sabato 28 maggio 2011

La Rai impone il canone alle Poste anche per i sistemi di video sorveglianza. - di Giuseppe Pipitone


L'azienda di viale Mazzini ha imposto il canone anche agli uffici postali per il possesso di schermi usati esclusivamente per la video sorveglianza.

Sui conti della Rai devono iniziare a pesare le multe salate che Augusto Minzolini e il suo Tg1 continuano a ricevere dal Garante della Comunicazione. L'azienda di viale Mazzini ha infatti iniziato a "dare una stretta" agli evasori del canone televisivo. Agenti dell' Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza sono stati sguinzagliati in giro per i condomini di tutta Italia a sorprendere famigliole che si godono Vespa senza pagare il canone. Ma non solo. L'azienda del cavallino rampante ha iniziato a fare sentire il fiato sul collo anche agli enti pubblici, mandando gl'impiegati dell'ufficio abbonamenti a recapitare ingiunzioni anche a chi non possiede una vera e propria tv.

E' il caso degli uffici postali. A Palermo la solerte Rai di viale Strasburgo ha intimato le poste a mettersi in regola con il tassa del canone televisivo. Unico particolare il fatto che negli uffici postali non ci sono televisioni ma soltanto schermi per la video sorveglianza. Strumenti che secondo i tecnici Rai potrebbero anche essere collegati all'antenna e sintonizzati su programmi televisivi. A nulla sono valse le proteste dei dirigenti dell'ufficio: per la Rai anche se gli schermi servono per evitare rapine e non saranno mai collegati ai cavi dell'antenna devono comunque pagare il canone. Negli uffici postali palermitani l'ingiunzione ha colpito gli schermi che trasmettevano spot delle stesse Poste Italiane. Anche qui nessun programma televisivo ma la stessa pretesa di pagamento. In pratica la Rai colpisce il mero possesso di un apparecchio indipendentemente dall'uso che se ne faccia. E in certi casi infischiandosene anche dell'apparecchio stesso.

Secondo la legge infatti "chiunque detenga uno o piu' apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle radioaudizioni deve pagare il canone di abbonamento TV". La norma che istituisce la tassa è però regolata ancora oggi dal decreto regio numero 246 del 1938, epoca in cui il mezzo di comunicazione più diffuso era la radio e la televisione era appena nata. Oggi non è ancora mai stato chiarito cosa s'intenda con "apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle radioaudizioni". Nel 2007 ci provò l'onorevole Donatella Poretti, deputata della Rosa nel Pugno, a farselo spiegare presentando un' interrogazione ai ministeri di Economia e Finanze e delle Comunicazioni per sapere per il possesso di quali apparecchi deve essere pagato il canone/tassa della Rai. Interrogazione che però non ha mai avuto risposta. In teoria quindi il canone potrebbe essere richiesto oltre che per la televisione, anche per i computer (indipendentemente dalla presenza di una scheda tv o di una connessione Internet), il videofonino, il tvfonino, i monitor di qualsiasi tipo , e addirittura per il monitor del citofono, che essendo apparecchio potenzialmente adattabile alla ricezione delle radioaudizioni potrebbe essere candidato ad una multa salata. Da ora in poi prima di rispondere al campanello faremo un po' di attenzione.



Red Ronnie e gli altri ‘megafoni’ di Letizia. - di Thomas Mackinson


Quattro giornalisti hanno seguito la campagna elettorale del sindaco uscente di Milano. Sono gli stessi a cui sono andati contratti e consulenze per oltre 712mila euro di fondi pubblici

I quattro dell’ave Letizia. Alla campagna elettorale del sindaco uscente di Milano hanno contribuito anche i fedelissimi giornalisti che il sindaco Letizia Moratti è riuscita a piegare alla causa della sua rielezione, sempre sotto il peso di una montagna di soldi pubblici con cui li ha resi degli “endorsement” di fatto. Dopo la chiusura delle urne al primo turno, i suoi uomini-megafono erano tutti rinchiusi nella crisis room di via Romagnosi, sede del Comitato per Letizia Moratti, mentre arrivavano i primi dati sul tracollo del Pdl nel capoluogo.

Dietro una porta bianca “interdetta ai non addetti” sedeva Red Ronnie (al secolo Gabriele Ansaloni), titolare di un contratto da 60mila euro l’anno che prevede “lo svolgimento di attività di supporto, strategico e progettuale, tese a rafforzare la presenza del Comune di Milano in ambienti digitali, web e new media”. Peccato che quei soldi pubblici vengano sistematicamente utilizzati nell’interesse privato di Letizia Moratti, in qualità di candidato. Ronnie, come consulente esterno, ha realizzato il canale web e la tv digitale di Letizia Moratti, un’accozzaglia di interviste a domande concordate per darle la volata e svecchiarne l’immagine.

La confusione di ruoli tra sindaco e candidato riguarda anche l’uomo stampa della Moratti, Alessandro Usai (ex Class Cnbc). Il suo contratto prevede un compenso di 625 euro al giorno (277mila all’anno) per “attività di supporto alle strategie di comunicazione del sindaco”. Ancora una volta del sindaco, non del candidato. Eppure Usai è regolarmente a fianco di Letizia nei comizi e nei dibattiti tv. E’ proprio lui il primo a sbiancare per l’uscita a sorpresa di lei su Pisapia ladro e terrorista nel confronto tra rivali su Sky.

Altro reporter arruolato alla causa è Roberto Poletti di Telelombardia. Lui si è occupato di lanciare e dirigere il canale tv di Letizia Moratti “Milano 2015″. Per questo impegno è stato ripagato profumatamente. Non con i soldi di Letizia ma con quelli dei milanesi: Poletti ha un contratto di consulenza da 160mila euro l’anno per la comunicazione strategica della municipalizzata dei trasporti Atm.

Della truppa di intruppati fa parte anche Roberto Pavanello, che di Atm è il responsabile delle relazioni esterne. Ma anche nel suo caso, più che l’immagine dell’azienda, pare stargli a cuore quella di Letizia Moratti.

Durante lo spoglio del primo turno Pavanello, insieme a Red Ronnie, Alessandro Usai e Roberto Poletti – i quattro dell’ave Letizia – dopo tre ore di brain storming dietro la porta bianca hanno consegnato al sottosegretario Laura Ravetto (Pdl) un biglietto. Riportava la prima, attesissima, dichiarazione ufficiale di un membro del governo sugli exit pole che mettevano in croce la Moratti. Una frase, sette secondi, che finiva per risuonare grottesca: “Dai primi dati in nostro possesso possiamo dire che a Milano il Pdl ha tenuto”.



Annarella su referendum, Pisapia, situazione politica italiana ecc.




La bonifica atomica della Maddalena che terrorizza la popolazione. - di Alessandro Ferrucci

La Procura ha disposto il sequestro dei fondali marini. Un testimone denuncia: mi hanno fatto scaricare rifiuti dove non dovevo. E un consigliere regionale dice: "I rifiuti speciali dovevano essere spediti sul continente, ma nessuno ha visto partire alcuna nave, non esistono i piani di navigazione"

Mare cristallino, sabbie bianche, angoli ventosi, sole splendente anche quando nella Penisola in tanti tirano fuori l’ombrello. Sarebbe un paradiso. Per molti non lo è più. “Qui alla Maddalena c’è un rischio serio, quello di aver causato un genocidio”, spiega al Fatto Claudia Zuncheddu, consigliere regionale sardo del gruppo indipendentistas. Lo dice e non pensa di esagerare: lei medico, impegnata in politica, da anni denuncia le tante vessazioni perpetrate sull’isola e i suoi abitanti. A partire dalla zona dove sorge il Poligono di Quirra: qui il 65% dei pastori è affetto da leucemia, qui sono nati i maialini senza occhi né orecchie, gli agnelli con due teste. E ancora l’area vicino a Cagliari, protagonista la raffineria Saras: “Lì tutte le famiglie sono colpite da casi di cancro, tutte hanno uno o più morti da piangere – continua la Zuncheddu –. Così via, ogni angolo della Sardegna ha la sua causa di grave inquinamento”. Fino al nord-est, fino al 26 gennaio del 2008, quando, dopo 35 anni, viene ammainata la bandiera stelle e strisce a La Maddalena: gli statunitensi abbandonano la base atomica. Attenzione: a-to-mi-ca. Vuol dire migliaia di tonnellate di rifiuti speciali da rimuovere, quindi soldi, maestranze specializzate, luoghi di stoccaggio e tempo. Soprattutto tempo. Peccato che non ce n’è: il luogo è stato prescelto per ospitare il summit del G8 del 2009, vetrina chiave per il rilancio internazionale del governo italiano. Silvio Berlusconi gongola, fa proclami, parla di rilancio della zona, di occupazione, turismo, e tutto il solito repertorio.

62 mila tonnellate: ci pensa Bertolaso
Il premier chiama in causa Guido Bertolaso e la Protezione civile: c’è bisogno di loro per raggiungere l’obiettivo nella data prestabilita. C’è bisogno di potere decisionale, pochi vincoli, segreto di Stato. Sul sito dichiarano: rimosse 62 mila tonnellate di rifiuti, il 21% delle quali giudicate pericolose. Tradotto: 49 mila non pericolosi e 13 mila speciali. Tempo di realizzazione: 45 giorni in tutto, tra luglio e agosto, momento di massima invasione turistica della zona, grazie all’impiego di oltre duemila autocarri e tre navi. Cifra investita: 23 milioni di euro. “Peccato che qualcosa non torna – interviene la Zuncheddu –. Cosa? I rifiuti speciali dovevano essere spediti sul continente, ma nessuno ha visto partire alcuna nave, non esistono i piani di navigazione. In molti si sono accorti del traffico notturno via mare dall’arcipelago a Porto Torres, sede di due discariche, e da Olbia con i camion via terra, ma basta. Tutto si è fermato lì. Il problema è dove, in quale luogo hanno scaricato il materiale e come lo hanno riversato. Parliamo di rifiuti altamente pericolosi, ribadisco: la sede era atomica”. Quindi amianto, idrocarburi e metalli pesanti. Eppure la vicenda è avvolta nel mistero, gli interpellati istituzionali non rispondono a interrogazioni, sollecitazioni o quant’altro. “È un anno che cerco risposte, non ci sono mai riuscita – prosegue il consigliere regionale –. E come me altre persone che si sono interessate all’accaduto, gente che ha ‘annusato’ l’aria, che ha voluto e vuole capire cosa accade”. Qualcuno la definirebbe la “società civile”. Così ecco un medico di Alghero, Paola Correddu, un ex vicesindaco di Porto Torres,Giancarlo Pinna, fuori dalla politica da quasi trent’anni; il dirigente di un piccolo sindacato indipendentista, Angelo Marras, un avvocato di Sassari, Luigi Azena e un altro di Cagliari,Renato Margelli. Insieme seguono legalmente la vicenda. Insieme si sono messi di traverso, hanno deciso di non stare alla finestra. “Pensi – interviene la Correddu –, abbiamo anche tentato un blitz con Claudia (Zuncheddu): siamo andate alla discarica di Canaglia, dove temiamo hanno scaricato gran parte delle tonnellate.

Cosa è successo? Qualcuno deve aver fatto una soffiata, perché contestualmente ci hanno raggiunto le forze dell’ordine e ci hanno impedito di entrare. Ma a un certo punto uno dei gestori, sotto le nostre domande, è andato in contraddizione e ha quasi ammesso la presenza dei rifiuti. E pensare che sotto c’è una falda acquifera fondamentale per l’isola”. Sotto c’è una riserva da un miliardo di metri cubi di acqua, classificata dallo Stato italiano come punto strategico in caso di calamità. “Ma a questi non interessa niente – conferma Marras –, hanno puntato sulla fame delle persone, sulla disoccupazione per realizzare un disastro. Noi lo sappiamo, ne abbiamo le prove”. Vuol dire un “pentito”: con la certezza dell’anonimato i rappresentanti del “Sindacadu se sa Natzione Sarda” hanno intervistato uno degli ottanta autisti coinvolti nello smaltimento e nel trasporto. Nel filmato ammette: “Quello che caricavamo lo portavamo alle discariche di Canaglia e Scala Erre. Ogni tipo di materiale. Da chi sono stato assunto? Dalla Serfat di Enrico Piras”. Quest’ultimo è il presidente del consiglio provinciale di Sassari, uomo di navigata esperienza politica.

70 mila metri cubidragati in 14 mesi
“Le istituzioni non hanno mai risposto alle nostre domande, formali e informali – sorride la Zuncheddu –, solo quella di Sassari-Olbia ci ha fornito dei dati”. Ed è stata necessaria un’istanza di accesso ambientale, che per legge prevede una risposta entro trenta giorni. “Da loro sono arrivati numeri – conferma la Correddu – che ci allarmano ulteriormente: parlano di 40 mila tonnellate totali, di queste il 20% è classificato come pericoloso. Insomma, cifre differenti rispetto a quelle della Protezione civile. Perché? Chi dice il vero? E non è finita: c’è anche la questione legata alla bonifica dei fondali”. In questo caso parliamo di un’area marina di circa 17 ettari per un bilancio di 70 mila metri cubi di sedimenti dragati tra l’ottobre del 2008 e il maggio 2009. Anche qui dubbi, denunce, segnalazioni, inchieste a partire da quelle di Fabrizio Gatti per l’Espresso.

Fino a ieri, quando la Procura della Repubblica di Tempio Pausania ha disposto il sequestro probatorio dei fondali antistanti l’ex Arsenale della Marina Militare de La Maddalena. Una decisione presa dopo il rapporto dei sommozzatori del nucleo dei Carabinieri, su incarico della Corte dei Conti di Roma, che indaga sui 31 milioni di euro spesi per le bonifiche. Solo in teoria, a quanto pare. “Il problema è uno: la vicenda è talmente grande che, temo, difficilmente avremo un colpevole – ammette laconico Giancarlo Pinna –. Questo territorio è martoriato, da tumori e disoccupazione. Pensi, a Porto Torres su ventimila abitanti, cinquemila sono disoccupati. Eppure avremmo tutto a disposizione per stare bene: sole, vento, mare, risorse, cultura e possibilità di sviluppare il turismo”. Al contrario è una delle zone più inquinate e martoriate d’Europa.




Libera nos a mela.







Ora non c’è proprio più niente da dire, non ci sono più satire, commenti, ironie, indignazioni possibili dopo che quel tragico clown di Borghezio ha definito un criminale come Ratko Mladic, mela_rossacondannato per genocidio, un “patriota” e gli ha espresso la propria solidarietà. Dopo che Minzolini ha chiamato altri conduttori di programma che osano criticare il suo ignobile telegiornale nordcoreano: ‘aguzzini’. Dopo che Berlusconi ha sputtanato non se stesso, come fa da quando esibisce cornini e telefona in Questura per salvarsi da una ragazzona con la lingua lunga, ma tutta la nazione andando a molestare Obama e altri capi di governo agitando le proprie code di paglia, tessute di incriminazioni ben prima che si degnasse di scendere in campo. C’è soltanto da andare a votare e da sperare, contro ogni speranza, che il 29 e 30 giugno maggio 2011 si aggiungano ad altre, purtroppo poche, storiche date di liberazione per il nostro Paese. Se ne siete capaci, pregate. Sennò, sperate. (Avevo scritto giugno perchè, avendo già votato per i quattro referendum, mi sono portato avanti di oltre un mese col programma e con le speranze…).



Melchiorre sbatte la porta a Silvio «Con caso Obama superato limite».



Con questa lettera, indirizzata al direttore di Repubblica Ezio Mauro, Daniela Melchiorre informa della decisione di dimettersi dalla carica di sottosegretario.

«Gentile Direttore, questa mia per dire innanzitutto che ieri ho presentato le mie dimissioni da Sottosegretario di Stato al Ministero dello Sviluppo Economico. Incarico di cui, per la verità, non avevo ancora inteso prendere effettivo possesso. Poichè la questione può essere di pubblico interesse, vorrei chiederLe ospitalità per dar conto di queste ragioni», scrive Melchiorre.
«Il fatto è- aggiunge- che il livello di accettabilità è definitivamente superato anche per chi aveva ritenuto per un attimo di poter superare, in un momento di emergenza, le fratture politiche del passato.
Dopo le incredibili esternazioni del Presidente del Consiglio contro i magistrati all'incredulo Presidente Obama in occasione del summit del G8 di giovedì - come si trattasse di un tema degno dell'agenda internazionale e a quel livello - non ho potuto far altro che constatare che non vi è, almeno per me, uno spazio per proseguire, o meglio avviare, un contributo effettivo all'attività governativa.
Qui la cosiddetta difesa fuori dal processo ha voluto raggiungere, al di là di ogni misura, l'apice mondiale. Nella giustizia vi sono diverse cose che non vanno, pur se i rimedi, sempre più smodati, proposti dal PdL non sono i migliori. Ma le deformazioni politiche su questo tema potevano, seppur con sforzo, essere posposte da chi, come me, riteneva che altre urgenze, come quelle economiche, dovessero avere il primato». Melchiorre aggiunge: «Ora però si è superata la misura. Non è francamente accettabile che si giunga alle volgarità dei giorni passati e che si tenti la delegittimazione di quella che comunque è una funzione costituzionale innanzi ad una delle autorità più importanti della Terra: e in un giorno in cui il mondo intero guardava quel che i »grandi« decidevano a Deauville. Le ragioni che muovono il Presidente Berlusconi, quali che siano, non bastano a giustificare un gesto così grave. È certo che questo innalzamento pone la sua concezione della giustizia al primo piano, e sopravanza ogni altra diversa considerazione, compresa la mia e quella di tanti altri come me. Se questo è ciò che ormai, sopra di tutto, anima il governo Berlusconi, non c'è ragione perchè, nel mio piccolo, io gli dia davvero il mio contributo. È mio dovere essere coerente e rispettosa degli Italiani che rappresento, e dello Stato che servo da non pochi anni, e l'apporto che intendevo era per le urgenze del Paese, non per quelle individuali».

La parlamentare dei Libdem Daniela Melchiorre spiega: «Per quanto sia oggi Presidente dei Liberal Democratici, non posso dimenticare di essere un magistrato e di aver indossato con orgoglio e, se mi è permesso, con onore la mia toga. Orgoglio e onore che sono quelli della quasi totalità dei magistrati che, silenziosamente, lontano dai riflettori e dal circuito mediatico, svolgono il proprio dovere tra difficoltà e rischi, carichi e disagi. E che cercano di dare agli altri quel bene prezioso che è la giustizia. Tutti costoro, senza ormai più distinzioni, sono stati insultati quando pochi giorni fa sono stati definiti »cancro« da estirpare. E non sono certo loro il cancro dell'Italia. Non mi resta che constatare che la cautela con cui non ho inteso prendere possesso dell'incarico era fondata, e che per me è impossibile far parte di un Governo il cui capo sconsideratamente parla di »dittatura dei giudici di sinistra« a un summit internazionale. Se questa mia decisione irrevocabile di dimettermi non sarà condivisa dal mio partito, mi dimetterò anche dalla sua presidenza». Melchiorre informa che «nei prossimi giorni ci sarà una riunione della Direzione Nazionale dei Liberal Democratici per verificare se questa mia scelta è condivisa. Tanto debbo al mio Paese e a me stessa».



Trovata massa mancante universo.



Scoperta a Melbourne da Amelia Fraser-McKelvie, studentessa di 22 anni.


SYDNEY - Una studentessa di ingegneria aerospaziale dell'Universita' Monash di Melbourne ha scoperto quella che finora e' stata descritta come la 'massa mancante' dell'universo, o almeno una parte di essa. Amelia Fraser-McKelvie, lavorando con astrofisici della Scuola di Fisica dell'ateneo, ha condotto una ricerca mirata a raggi X, e in appena tre mesi l'ha individuata.

La scoperta, descritta nella rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, e' ancora piu' notevole perche' Fraser-McKelvie, 22 anni, non e' una ricercatrice di carriera, ma una studentessa che lavorava come stagista con una borsa di studio. Il suo relatore Kevin Pimbblet della Scuola di Fisica ha ricordato che gli scienziati cercavano da decenni la cosiddetta ''massa mancante''. ''Si pensava da un punto di vista teorico che nell'universo dovesse esserci circa il doppio della massa, rispetto a quella che e' stata osservata'', scrive Pimbblet nella relazione di cui e' coautore. ''Si riteneva che la maggior parte di questa massa mancante dovesse essere situata in strutture cosmiche di grande scala fra i gruppi di galassie, chiamate filamenti.

Gli astrofisici ritenevano che la massa fosse di bassa densita' ma alta di temperatura, attorno al milione di gradi Celsius. In teoria quindi avrebbe dovuto essere osservabile sulle lunghezze d'onda dei raggi X. La scoperta di Fraser-McKelvie ha dimostrato che l'ipotesi era corretta'', aggiunge lo scienziato. Usando le sue conoscenze nel campo dell'astronomia a raggi X, la giovane studiosa ha riesaminato da vicino i dati raccolti dai colleghi piu' anziani, confermando la presenza dei filamenti, che fino allora era sfuggita. La scoperta potra' cambiare la maniera in cui sono costruiti i telescopi, sostiene Pimbblet.


http://www.ansa.it/web/notizie/specializzati/scienza/2011/05/27/visualizza_new.html_844226632.html



Bankomat Verdini, soldi a tutti per tenerli buoni. - di Antonio Massari


Prosegue l'inchiesta su quei sette sportelli che l'hanno fatto diventare grande. Al centro dell'indagine i conti correnti di Dell'Utri e del premier, gli 800mila euro di Flavio Carboni. Per il coordinatore del Pdl questo è stato un annus horribilis che lo ha visto coinvolto in tre inchieste dalla Cricca alla P3

Denis Verdini: comprereste una banca usata da quest’uomo? Iniziano a chiederselo, da qualche mese, nel circuito del credito cooperativo della Toscana. La “banca del Verdini” è stata commissariata da Bankitalia, si presume che lo sarà per altri 8 mesi, e poi si dovrà decidere. Qualcuno dovrà comprarla, se non riesce a superare la crisi con le proprie gambe. Questa “banchina” da sette sportelli, nata a Campi Bisenzio, è però anche il motore del “sistema” Verdini. E – di riflesso – anche del “sistema” messo in piedi da Riccardo Fusi, l’ex patron dalla Btp, ora commissariata, per tenere in piedi il suo impero finanziario. Il cuore d’una formica, il peso d’un elefante. Il sistema collassa e, per di più, l’elefante si muoveva con la sua grazia nella più classica delle cristallerie. Le maggiori inchieste giudiziarie – quella sulla “cricca” che gestiva i grandi eventi e quella sulla “P3” – portano lì: nel credito cooperativo fiorentino, fondato nel 1909, per artigiani e bottegai della provincia. È lì che il 78enne sardo Flavio Carboni – indagato con Verdini a Roma per associazione segreta – versa 800 mila euro: per la Procura di Roma potrebbero essere il frutto d’una tangente sull’affare dell’eolico. I soldi finiscono nella “Società toscana edizioni” – sempre di Verdini, l’ala editoriale del suo sistema – destinati, dice lui, a un aumento di capitale. E ancora: che c’entra il siciliano Marcello Dell’Utri – condannato a sette anni per concorso esterno alla mafia – con i sette sportelli di Campi Bisenzio? C’è un conto aperto anche per lui: nel 2008 confluisce un bonifico di Silvio Berlusconi da 1,5 milioni di euro. Dell’Utri aveva un’esposizione di 2,8 milioni di euro e alcune rate di mutuo non pagate.

Nelle casse del Credito cooperativo fiorentino, nate con i risparmi dei bottegai, confluiscono i soldi del presidente Berlusconi (P2), di Verdini (presunta P3) e Dell’Utri (legato a Cosa Nostra). I vertici del Pdl. E ora confluiscono anche i soldi d’un altro parlamentare del Pdl, Antonio Angelucci, editore di Libero, ex editore del Riformista che, come ha scritto ieri il Corriere della Sera, ha sborsato 5 milioni di euro proprio per risanare la posizione di Verdini, che gli ha ipotecato una villa nel Chianti. Suo figlio Giampaolo è sotto processo a Bari, per una presunta maxi tangente, versata nel 2005 sui conti del movimento “La Puglia prima di tutto”, del ministro Raffaele Fitto, per ottenere – secondo la procura – un appalto da 198 milioni di euro nella sanità pugliese.

È questo il livello di potere che ruota intorno alla “banchina”. Un tempo non era così. Fin quando, nei primi anni Novanta, “il Denis” non riesce a raccogliere le deleghe dei soci: “Porta a porta”, raccontano gli impiegati, che chiedono l’anonimato. È così, porta a porta, che nasce il suo “sistema”. Ottiene la maggioranza e diventa presidente. La prima mossa? Bonus annuale per gli stipendi dei dipendenti: “Un media di tre milioni di lire ciascuno”. Verdini inizia ad acquisire consenso. E a diventare il padre-padrone. Straordinari spesso non registrati, qualche impiegato che fa da autista alla sua signora, e passo dopo passo, dal “si sta tutti bene, si passa al terrore d’essere invisi al presidente”. La piccola banca non usa più i servizi dei piccoli crediti cooperativi, ci dicono alla Cisl, ma s’affida a grossi gruppi esterni, come la “Cedacri”, per i sistemi informatici. Intanto molte operazioni non vengono segnalate all’anti riciclaggio. I commissari di Bankitalia le stanno scoprendo una dopo l’altra. Le radici della “banchina” vengono tradite: troppi soldi ai grossi gruppi, pochi spiccioli per le famiglie. Le indagini fanno saltare il tappo, nel luglio 2010 Verdini si dimette. E sono gli impiegati che convincono i piccoli risparmiatori a non chiudere i conti: 69 dipendenti che temono per il proprio futuro, orfani del padre-padrone, tutelati dai commissari di Bankitalia e dall’attivissimo sindacato della Cisl, che spiega: “Concentrazione dei finanziamenti a pochi gruppi, quasi tutti dello stesso settore, poi il conflitto d’interessi di Verdini e l’assenza di contrappesi con il cda e il collegio dei sindaci: questo era il problema”, dicono i sindacalisti Maria Manetti e Nicola Spinetti. Basti pensare che un membro del collegio sindacale, Antonio Marotti, divide lo studio legale con il vice presidente della banca, Marco Rocchi, che oggi è il difensore di Verdini. E che la contabilità privata di Verdini è stata trovata nello studio di un altro membro del collegio sindacale: Luciano Belli. Come distinguere, nella realtà, i controllori dai controllati? Intrecci dentro, intrecci fuori.

Sei mesi fa la Procura di Firenze perquisisce gli avvocati Gian Paolo e Pier Ettore Olivetti Rason – che sono in rapporti con Licio Gelli e la sua famiglia – dopo aver scoperto che sono stati pagati, per una consulenza, da Riccardo Fusi. I due avvocati, nel frattempo, avevano versato un bonifico di 260 mila euro sul conto di Verdini. Secondo l’accusa sono fatture per operazioni inesistenti. Sul sito dello studio – i due avvocati offrono consulenza alle società in affari – si legge che, tra i clienti, c’è anche la Ede Spa, di Stefano Biagini, costruttore edile. E c’è un fatto curioso: il costruttore edile, tra il 2008 e il 2009, decide di darsi all’editoria, costituendo la “Edicopyright”. La sua più grande operazione? Acquista i diritti dei Diari di Mussolini di Dell’Utri. Gli stessi diari pubblicati da Libero, di proprietà Angelucci, che ora risana la posizione di Verdini. E le famiglie? I piccoli risparmiatori? I dipendenti di Fusi? A loro che succede? Per capirlo basta parcheggiare all’area di servizio Firenze Nord. Fino a tre mesi fa c’era l’hotel Unaway. Ora è chiuso: 27 dipendenti in cassa integrazione da marzo, ottenuta grazie alla trattativa della Cgil. Era Riccardo Fusi l’ex patron della BPT e della catena alberghiera Una Spa. La banca del Verdini gli ha concesso prestiti per almeno 28,6 milioni di euro. Anche per questo, s’intuisce dalle intercettazioni, Verdini sponsorizzava Fusi con i politici e spingeva sui ministri per la nomina dei provveditori alle opere pubbliche. La posizione della Una Spa ora è “incagliata”: difficile per la banca recuperare i soldi. Se non bastasse, quegli affidamenti, secondo gli ispettori, configuravano un “potenziale conflitto d’interessi”.

Tra il febbraio 2005 e il dicembre 2006 venivano concessi decine di milioni di euro alle società “Il Forte” e “Una Spa”, in “relazioni di affari” con la Parved, “società all’epoca controllata da Verdini”. L’affare era il preliminare di acquisto, del 10 per cento, del capitale della “Una hotel & Resort spa”. E su questo, alla sua banca, Verdini non fornì alcuna informativa. Nel leggere un altro documento, però, scopriamo che nel febbraio 2005 – proprio mentre inizia la pratica di affidamento a “il Forte” e “Una spa” – la società Autostrade stipula una convenzione. Con chi? Con Una Spa. Volevano realizzare “un network di 12 alberghi su altrettante aree di servizio della rete autostradale”. Progetto oggi fallito. Ed ecco i conti di Una spa: “Nel 2008 la perdita è stata pari a 23,6 milioni di euro, nel 2009 a 31,4 mentre, per il 2010 è attesa un’ulteriore perdita di 10 milioni”. Lo scrive l’a.d. Elena David, spiegando che il quadro, per i dipendenti, è allarmante: già 35 licenziamenti effettuati, altri 23 previsti per la fine dell’anno, 68 lavoratori passati alle dipendenze di altre società. E la Btp? “Quattro cantieri ancora aperti, tre sull’autostrada, ma nessun grande appalto in vista”, dice Flavia Villani della Fillea Cgil. “E 160 dipendenti in cassa integrazione – conclude – con l’incubo dello “spezzatino” e dei licenziamenti”.