lunedì 11 dicembre 2017

Un debito figlio di tanti governi Come nasce il “buco” della Regione. - Accursio Sabella


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Tra mutui e anticipazioni l’indebitamento della Sicilia supera gli 8 miliardi. Di chi è la responsabilità?

PALERMO - Un botta e risposta sui conti. Sull’eredità ricevuta e sulla zavorra ai piedi della Sicilia. Nei giorni scorsi ecco tornare lo spettro del default o quantomeno la concreta presenza di un mega indebitamento della Regione. Di chi è la responsabilità di questo peso? "Non voglio polemizzare - ha detto il neo governatore Musumeci - con il governo precedente. Lo dico con la sobrietà che un presidente deve avere. Ma va detto che la condizione delle finanze della Regione, con le partecipate quasi tutte in deficit, si presenta drammatica. Perciò urge un confronto sereno con il governo centrale”. Secondo il neo governatore il deficit di Palazzo d'Orleans "ammonta a cinque miliardi" ed "è fuor di dubbio che la crisi finanziaria condizionerà l'operato del governo almeno per i primi anni”. Da lì, le prime azioni, come la “missione” romana dell’assessore all’Economia Gaetano Armao.

Ma a stretto giro, ecco arrivare le precisazioni del predecessore, cioè Alessandro Baccei: “Mi aspetterei, conoscendo la serietà del presidente, informazioni più precise e puntuali e una maggiore competenza. Cinque miliardi di deficit, o 8 miliardi se consideriamo le anticipazioni di liquidità, comunque ereditati dai governi Lombardo e Cuffaro - afferma Baccei -. Sono tanti? Il numero in assoluto non è rappresentativo di nulla, come ben chiariscono le agenzie di rating”.

Insomma, Musumeci fa riferimento al governo precedente, Baccei ai governi di Cuffaro e Lombardo. Dove sta la verità? Come accade spesso, nel mezzo. E per trovare una rappresentazione imparziale del reale andamento del deficit della Sicilia, si può far riferimento all’atto più “ufficiale” che esista sui conti regionali: il giudizio di parifica, sul rendiconto dell’ultimo esercizio finanziario.

Da quelle pagine, al di là delle parole di Baccei, non viene fuori un bel quadro. Anzi. “Al 31 dicembre 2016 – si legge nella relazione delle Sezioni riunite presiedute da Maurizio Graffeo – il debito di finanziamento residuo della Regione ammonta complessivamente a 8.035 milioni di euro”. Più di otto miliardi, quindi, e un trend preoccupante, visto che la Corte parla di “un incremento rispetto all’inizio del quinquennio del 41,4 per cento”. Con Crocetta, quindi, il debito è cresciuto di quasi la metà rispetto al debito lasciato dai suoi predecessori. “Una notevole anticipazione di liquidità tra il 2014 e 2015 (2 miliardi e 667 milioni di euro, per un residuo al 2016 di 2 miliardi e 567 milioni di euro) – ha ammonito nel corso della sua requisitoria il Procuratore generale d’appello Pino Zingale – influisce pesantemente sul servizio di debito e, quindi, sulla capacità di spesa futura della Regione: tale liquidità – prosegue il Procuratore – pur non essendo tecnicamente considerata come indebitamento, composta comunque l’assunzione di obblighi da parte della Regione”. Gli effetti sulle future generazioni, insomma, di cui parlava anche Graffeo: “La restituzione, - prosegue Zingale – gravata naturalmente da interessi, peserà sulle già esangui casse della Regione Siciliana per un trentennio e cioè sino al 2044-2045”. Le anticipazioni di cassa, insomma, che si aggiungono ai mutui già esistenti, hanno appesantito l’indebitamento della Regione.

Che però, come detto, non nasce certamente con Rosario Crocetta. Ma è il figlio anche dei governi precedenti, in particolare quelli di Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo. Affrontando il tema dei mutui e dei finanziamenti della Regione, i giudici contabili annotano che “la loro consistenza finale era di 5.816 milioni di euro nel 2011 e, poi, di 5.934 milioni nel 2012”. Eccolo il debito lasciato nelle mani di Crocetta: poco meno di sei miliardi di euro. E gli assessori all’Economia di quei governi che contribuirono, ognuno per la propria 'quota' a creare quel debito, non possono certamente essere considerati, in molti casi, estranei ai partiti su cui poggia il governo Musumeci: dal ‘neoleghista’ Alessandro Pagano che fu assessore al Bilancio di Cuffaro a Roberto Di Mauro, nel listino dello stesso Musumeci alle ultime elezioni, che ebbe quella delega da Raffaele Lombardo, prima che questa passasse proprio a Gaetano Armao, che oggi torna sempre nelle vesti di assessore all’Economia nel governo di centrodestra.

E il “peso” di quei governi va cercato anche altrove. Nella vicenda, cioè, relativa ai cosiddetti “derivati” accesi dalla Regione nel 2005, quando a governare era Totò Cuffaro. Contratti che diedero dei risultati positivi per un paio di anni, ma che dal 2008 in poi hanno solo creato dei passivi per le casse pubbliche, quantificati in quasi 160 milioni di euro. Il “debito” miliardario della Regione, insomma, ha tanti padri.

[L’analisi] Dalle armi di distruzione di massa dell’Iraq a Biden. Ecco chi ha inventato la madre di tutte le bufale. - Alberto Negri

Joe Biden

Fu il capo della National Geospatial Intelligence Agency, James Clapper, a costruire le prove, lo stesso che come direttore della Nsa molti anni dopo ha cercato di dimostrare l’interferenza degli hacker russi nelle elezioni presidenziali americane. Forse anche Joe Biden, l’ex vicepresidente americano, si è servito da lui per scrivere l’articolo sui presunti tentativi d'ingerenza della Russia nell'esito del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 in Italia.


Dagli Stati Uniti arrivano, con una certa regolarità, “bufale” con il marchio di fabbrica. Ma la madre di tutte le “fake news” fu certamente la storia delle presunte armi di distruzione di massa del dittatore iracheno Saddam Hussein. Quelle armi, che dovevano giustificare la guerra del 2003, non furono mai trovate e hanno continuato a fare vittime molti anni dopo.
Come nascono le “bufale” americane compresa probabilmente quella dell’ex vicepresidente Joe Biden sulle interferenze russe in Italia? È il novembre 2015 quando France 5, canale pubblico di informazione, invia una giornalista a intervistare Ahmad Chalabi, l’uomo politico scelto da Washington per guidare l’Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein nel 2003: Time gli dedicò allora una cover story intitolata al “George Washington iracheno”. La parabola politica di Chalabi è nota, un po’ meno chiaro è come contribuì alla guerra e persino la sua fine lascia più di qualche dubbio. 
Fu lui fu il grande ispiratore della madre di tutte le bufale: le armi di distruzione di massa irachene. L’intervista con France 5 si rivela laboriosa. La giornalista alla fine riesce a ottenere il sospirato incontro: è il tardo pomeriggio del 2 novembre del 2015. Le domande sono riferite quasi tutte a una questione. Come fu costruito il dossier americano che imputava a Saddam il possesso di un arsenale chimico e biologico che non fu mai trovato e costituì una delle basi legali all’intervento militare che ha segnato l’inizio della disgregazione del Medio Oriente?
Quando la tv francese mi ha raccontato la storia di questa intervista ha ovviamente sollevato il mio interesse. Come inviato seguo sul campo gli eventi mediorientali da oltre 35 anni e in Iraq ho trascorso molto tempo, in particolare oltre cinque mesi di fila tra la fine del 2002 e la primavera del 2003 quando cadde il regime baathista.
L’arsenale di Saddam era materia di articoli quasi quotidiani. Eravamo inondati da centinaia di pagine di rapporti del dipartimento di Stato, del Pentagono di think tank Usa e britannici. Faldoni enormi, densi di dati e di riferimenti: per sfogliarli ogni giornalista all’epoca spese intere settimane. A Baghdad l’arsenale proibito di Saddam si “materializzò” davanti agli occhi dei reporter, come in un gioco di prestigio. Squadre di ispettori dell’Onu percorrevano l’Iraq alla ricerca di prove. Nella capitale sbucavano su jeep bianche con la bandiera delle Nazioni Unite, entravano negli edifici del regime e ne uscivano con montagne di incartamenti. Erano quelle le prove?
Talvolta i giornalisti erano invitati a verificare le accuse. Fu così che un giorno andai a Falluja dove in una spianata sassosa si potevano vedere delle strutture di metallo assai sghembe, che sembravano disegnate un geometra distratto: ci fu detto che erano rampe di lancio di missili da armare con testate chimiche. Eppure i famosi Scud di Saddam, sottoposto a sanzioni da oltre 12 anni, dovevano essere quasi tutti spariti da tempo. Infatti durante la guerra non vennero mai usati. 
Le accuse potevano sembrare credibili. Nel 1988 avevo visto i sopravvissuti di Halabja, la popolazione curda irachena colpita dai gas di Baghdad che avevano fatto cinquemila morti. Ricordavo benissimo che allora nessuno aveva rivolto alcuna accusa al regime perché combatteva contro l’Iran di Khomeini.
Per costruire delle menzogne credibili serve sempre un fondo di verità e Saddam aveva un fedina piuttosto lunga che non deponeva a suo favore. Il regime negava tutto. Nel febbraio del 2003, mentre aspettavamo l’attacco americano, il braccio destro di Saddam, Tarek Aziz, che avevo incontrato diverse volte, mi invitò nel suo ufficio. Davanti alla scrivania aveva una montagna di carte da firmare mentre la tv, sintonizzata su Cnn, trasmetteva il discorso del segretario di stato Colin Powell alle Nazioni Unite: stava mostrando le prove della famosa “pistola fumante”, le foto satellitari delle armi di distruzione di massa.
Chi gliele aveva date? Il capo della National Geospatial Intelligence Agency, James Clapper, lo stesso che come direttore della Nsa molti anni dopo ha portato le prove dell’interferenza degli hacker russi nelle elezioni presidenziali americane.
Forse anche Joe Biden, l’ex vicepresidente americano, si è servito da lui per scrivere l’articolo su “Foreign Affairs” sui presunti tentativi d'ingerenza della Russia nell'esito del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, aggiungendo che Mosca ora “sta aiutando la Lega e il Movimento 5 Stelle in vista delle prossime elezioni parlamentari”.
Brava persona Biden ma non si è neppure accordo che l’ex presidente del Consiglio Renzi andò da Obama alla Casa Bianca per farsi appoggiare nel referendum costituzionale: si vede che le interferenze degli altri sono sempre peggiori delle proprie. Un po’ sprovveduto però Biden deve esserlo. Da vicepresidente Usa in un discorso accusò il leader turco Erdogan di essere complice dell’Isis. Poi dovette scusarsi e nell’agosto 2016 andò ad Ankara dove lui stesso lanciò l’ultimatum ai curdi siriani di ritirarsi a Est dell’Eufrate, cioè minacciò ci colpire i più strenui alleati degli Usa nella lotta al Califfato e nell’assedio di Raqqa.
Ma torniamo in Iraq. Tarek Aziz, allora, continuò a sfogliare le carte senza alzare lo sguardo alla tv e gli chiesi cosa ne pensasse del discorso di Powell. “Credo – disse – che ci faranno la guerra anche se gli consegneremo l’ultimo dei nostri kalashnikov”.
Come è stato possibile costruire il dossier contro l’Iraq di Saddam? “Semplice – ha risposto Chalabi alla giornalista di France 5 – gli americani già nel 2001-2002 mi chiesero riferimenti e persone che avrebbero potuto essere utili a costruire un’accusa sulle armi di Saddam e io ho fornito agli Stati Uniti questi elementi: non mi sento colpevole, sono stati gli americani poi a trarre le conclusioni”.
Ora sappiamo, anche in base al rapporto di John Chilcot, presidente della commissione d’inchiesta britannica, che l’intervento militare Usa in Iraq del 2003, sostenuto caldamente da Tony Blair, era basato su falsi rapporti. La giornalista di France 5 poteva ritenersi soddisfatta: l’intervista a Chalabi era costata mesi di attesa. Il giorno seguente all’incontro con Chalabi, il 3 novembre 2015, stava esaminando nella sua stanza d’albergo a Baghdad il materiale raccolto.
La notizia arrivò all’improvviso: Chalabi era stato appena trovato morto, apparentemente vittima di un attacco di cuore. Nel filmato ammetteva la sua complicità nella raccolta delle false accuse contro Saddam sulle armi di distruzione di massa e faceva dei nomi: ma questa era stata la sua ultima intervista. Alla giornalista non restò che correre in aereoporto e dileguarsi con il primo volo utile per Beirut. Di solito questi non sono buoni segnali.
La madre di tutte le bufale è nata dentro al sistema politico e di propaganda anglo-americano che non ha mai smesso di produrre la “verità del momento”. E gli altri, come i russi o cinesi, hanno cominciato a imitarlo. Non solo, ha continuato a sostenerla e oggi il sistema che produce bufale può godere dell’aiuto dei social network, di Facebook, di Twitter, di centinaia di siti e blog le cui notizie sono spesso false o inverificabili.Non c’è più bisogno di inviare come un tempo ai giornalisti voluminosi faldoni che davano al tutto una parvenza di serietà: basta andare sul web e la verità del momento si diffonde come un virus.
Le fake news americane - come del resto quelle inglesi, francesi, russe o italiane - non conoscono vergogna o pentimenti. Donald Rumsfeld, l’ex segretario di stato americano, interpellato sulle armi di distruzione di massa in Iraq e la mancanza di fondamento di quelle accuse, ha proclamato: “L’assenza di una prova non è la prova di un’assenza”. La madre delle bufale non si stanca di lavorare.

Glifosato ? PD, Forza Italia e Lega hanno detto SI’! - Rosanna Spadini



Matteuccio nostro lo ha impostato come slogan della nuova Leopolda. «Termineremo la giornata lottando contro le fake news. Il New York Times ha pubblicato un pezzo su quello che sta avvenendo in Italia: sono state oscurate pagine con sette milioni di like che spargono veleno e falsità contro di noi».
In realtà un’accozzaglia elettoralmente utile di siti e profili che avrebbero sparso notizie e immagini false sul Pd. L’articolo, naturalmente non è solo farina del sacco del NYT, ma è stato suscitato da un fantomatico «Rapporto», redatto indovinate da chi? Ma da Andrea Stroppa, fondatore di Ghost Data e consigliere di Renzi per la Cybersicurezza.
Ma la guerra delle fake news per l’incipiente campagna elettorale è appena iniziata, e dopo gli hackers russi a sostegno del No al Referendum e i soldi del Cremlino distribuiti ai 5 Stelle, arriva l’insalata di bufale di Repubblica, impegnata a seminare nebbia densa sui voti di PD, Forza Italia e Lega sul glifosato. Perché i media ci sguazzano nelle fake news, ci ingrassano e si arricchiscono, al motto di «honi soit qui mal y pense!»
Infatti gli Stati membri dell’UE hanno da poco ritrovato la maggioranza qualificata e rinnovato l’uso di glifosato per altri 5 anni. Sono perfino stati ignorati i limiti per l’utilizzo del glifosato su parchi pubblici, l’uso disseccante preraccolto (che ci mette in forte competizione con gli Stati del Nord Europa a danno delle nostre coltivazioni) e i restringimenti per gli usi non professionali.
A spostare gli equilibri sono stati i voti favorevoli di Germania e Polonia. Quindi rinnovo dell’utilizzo dei pesticidi per almeno altri 5 anni, il tempo utile per fare ottimi profitti sulla pelle dei cittadini europei. Mentre la Germania è in attesa (a gennaio) della decisione finale della Commissione sulla fusione Bayer-Monsanto, in Italia si ignora palesemente ciò che molti parlamentari italiani hanno votato NO al bando immediato del glifosato, prima di votare SI’ al prolungamento del suo utilizzo a 5 anni.
E’ lo stesso Parlamento europeo a dircelo:
– L’emendamento dei 5Stelle chiedeva alla Commissione di «Vietare con effetto immediato» il glifosato nell´Unione Europea
Invece 501 eurodeputati di differenti schieramenti politici hanno votato contro la richiesta di messa al bando del glifosato: tra questi LEGA (Bizzotto, Borghezio, Fontana e Zanni), FORZA ITALIA (Cicu, Cirio, Comi, Dorfmann, Gardini, Martusciello, Matera, Patriciello, Pogliese, Salini) e PD (Benifei, Bettini, Bonafè, Bresso, Briano, Chinnici, Cozzolino, Danti, De Castro, De Monte, Gasbarra, Giuffrida, Grapini, Gualtieri, Kyenge, Mosca, Panzeri, Paolucci, Picierno, Pittella, Sassoli, Toia, Viotti, Zanonato, Zoffoli). Tutto registrato qua alle pagine 88-89
– Emendamento dei socialisti (dove confluisce il PD a livello europeo) che chiedeva di “eliminare progressivamente” il glifosato “ENTRO IL 15 DICEMBRE 2022.
– Poi 353 eurodeputati hanno votato a favore di questa richiesta, tra cui i soliti Lega, Forza Italia e PD. Tutto registrato qua alle pagine 90-91.
– Ancora 355 europarlamentari hanno votato a favore di quello che non è un bando a 5 anni ma un nuovo rinnovo dell’approvazione della sostanza attiva glifosato fino al 2022. Tra cui i soliti LEGA, FORZA ITALIA (Cicu, Dorfmann, Patriciello), PD e l´”indipendente” Affronte. Non solo, ma ben 111 europarlamentari si sono astenuti. Tra questi Mussolini, Pogliese e De Castro. Tutto registrato nel link alle pagine 106-107.
– Proposta finale della Commissione con, indovinate un po’, UN RINNOVO A 5 ANNI FINO AL 15 DICEMBRE 2022.
Dunque decisione scellerata del Parlamento europeo, utile idiota alle dipendenze del volere delle multinazionali.
Eppure la Monsanto, travolta dallo scandalo dei “Monsanto Papers“, con cui si erano falsificate alcune ricerche scientifiche, era stata interdetta a settembre dal Parlamento europeo.
Nonostante ciò Bruxelles si piega ancora una volta dinanzi allo strapotere della multinazionale americana e concede l’ennesima proroga per questo pesticida riconosciuto come fortemente cancerogeno.

Saranno ulteriori anni d’infestazione, senza che esista una smentita credibile allo studio dello IARC che classifica il pesticida più celebre e diffuso al mondo come probabile cancerogeno per l’uomo. Ma il fatto più sconcertante di questa ennesimo favore concesso al colosso statunitense – e appoggiato dai partiti italiani – è la totale noncuranza degli effetti che il glifosato produce sul nostro territorio.
Questo erbicida, usato in pre-raccolta, consente a paesi come il Canada di esportare i loro prodotti a prezzi estremamente competitivi che distruggono il settore produttivo di paesi come l’Italia. Negli ultimi dieci anni più della metà delle aziende che producevano grano duro sono sparite nel Sud, in  Sicilia, in Puglia, in Basilicata, Calabria e Campania.
Con un fabbisogno nazionale di pasta che non è affatto diminuito, anzi è aumentato. Questo perché i grandi industriali della pasta, in assenza di una normativa che proteggesse le nostre produzioni locali, hanno cominciato ad approvvigionarsi di grano duro importato dall’estero, con l’unico obiettivo di fare maggior profitto, fregandosene della salute dei cittadini.
Nello scorso agosto la Commissione Europea aveva espresso preoccupazioni sulle conseguenze della fusione dei due colossi dell’agrochimica Bayer-Monsanto. Se però consideriamo l’atteggiamento tenuto dalla stessa Unione europea sulle precedenti fusioni di colossi mondiali della chimica come Dow e DuPont e ChemChina-Syngenta, in entrambi i casi le indagini preventive sulla concentrazione del mercato non impedirono le operazioni di compravendita.
In questo caso la fusione di Monsanto e Bayer segnerebbe un danno irreparabile per la salute dei cittadini europei. Il colosso dei pesticidi e dei sementi di Saint Louis, Stati Uniti, e il gigante farmaceutico di Leverkusen, Germania, sono prossimi  infatti a una fusione da 66 miliardi di euro, guidata dai tedeschi.
Il nuovo rapporto dell’iPES, il panel internazionale di esperti sulla sostenibilità dei sistemi alimentari, denuncia l’oligarchia delle grandi multinazionali agroalimentari e prova a tracciare degli scenari partendo dagli impatti dei grandi movimenti di capitale che stanno portando all’aggregazione di soggetti già leader del mercato.  Le grandi manovre dei colossi agrochimici sono iniziate nel 2015, ed hanno architettato una «concentrazione senza precedenti nei settori delle sementi, dei fertilizzanti, della genetica animale e dei macchinari agricoli, con la nascita di player sempre più grandi e capaci di controllare i passaggi strategici di filiera: la logistica, la trasformazione e la vendita al dettaglio». (www.rinnovabili.it)
Chi coltiva il cibo in Europa sarà costretto ad investire sulle colture diffuse dal mercato internazionale, che minacciano la sicurezza alimentare. Infatti ormai le grandi imprese controllano gli snodi chiave della catena produttiva.
Viste le prospettive, spiega il rapporto «le imprese dominanti sono diventate troppo grandi per alimentare l’umanità in modo sostenibile, troppo grandi per operare in condizioni eque con gli altri attori della filiera e troppo grandi per aprirsi all’innovazione. Piuttosto che guidare i sistemi alimentari verso la sostenibilità, questo meccanismo è destinato a causare degrado ambientale e declino economico e sociale».
La fusione Monsanto-Bayer  darà vita alla più grande azienda di semi e pesticidi del mondo.

Nel video in primo piano, la giornalista Abby Martin parla dell’ascesa al potere di Monsanto e di come l’azienda sia riuscita a saturare l’ambiente globale con le sue sostanze chimiche tossiche, in gran parte attraverso vere e proprie frodi.
Nel maggio 2016, l’Università di San Francisco (USF) ha rivelato i risultati di un progetto di test iniziato nel 2015. I test, commissionati dalla Organic Consumers Association (OCA), hanno rilevato che il 93% degli americani ha livelli rilevabili di glifosato nell’urina.
Il glifosato è la sostanza chimica agricola più utilizzata al mondo, ed è un ingrediente attivo nell’erbicida ad ampio spettro Monsanto Roundup. Come notato dal Progetto Detox:
«Il glifosato, etichettato come» probabile cancerogeno per l’uomo «dall’agenzia di cancro IARC dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2015, si è rivelato ormai onnipresente nel primo progetto di test LC / MS / MS che sia mai stato realizzato in tutta l’America».
«Il glifosato è stato trovato ad un livello medio di 3.096 parti per miliardo (ppb). I bambini avevano i livelli più alti con una media di 3.586 ppb. Le regioni con i livelli più alti erano l’Ovest e il Midwest con una media di 3.053 ppb e 3.050 ppb rispettivamente».
Il glifosato è stato trovato in una vasta gamma di campioni, tra cui sangue, urina, latte materno, acqua potabile e altro ancora. I risultati di uno studio tedesco pubblicato nel 2012 hanno dimostrato che anche le persone che non hanno un contatto diretto con l’agricoltura hanno concentrazioni significative di glifosato nelle loro urine.
Perché la maggior parte delle persone ha tracce di questo probabile cancerogeno nei loro corpi, indipendentemente da dove vivono?
La risposta è perché il glifosato viene spruzzato su praticamente tutte le colture alimentari in tutto il mondo. In effetti, il glifosato è il killer più pesantemente usato nella storia. «Roundup» è la formulazione più comunemente usata, ma il glifosato può essere trovato anche in altre formule di pesticidi.
Dal 1974, 1,8 milioni di tonnellate di glifosato sono state applicate nei campi degli Stati Uniti; due terzi di quel volume sono stati spruzzati negli ultimi 10 anni.
Tra il 1974 e il 2014, sono stati utilizzati 9,4 milioni di tonnellate di glifosato in tutto il mondo. Il glifosato minaccia la salute ecologica, animale e umana.
Come notato da «The Center for Biological Diversity», l’uso massiccio del glifosato, in particolare sulle colture Roundup Ready geneticamente modificate, anch’esse sviluppate dalla Monsanto, è stato implicato nel drammatico declino delle farfalle monarca .
La ricerca ha anche collegato il glifosato al Collapse Disorder nelle colonie d’api (CCD), insieme a tossicità per suolo, piante boschive, anfibi, pesci, ambienti acquatici e mammiferi, causando problemi riproduttivi e perturbazione endocrina.
Secondo altre ricerche recenti, il glifosato può anche promuovere la resistenza agli antibiotici distruggendo i batteri intestinali e disaggregando l’utilizzo di manganese.
Monsanto è dunque una minaccia per l’Ecosistema del Pianeta.
Nonostante le numerose preoccupazioni sollevate dagli scienziati circa la natura tossica del glifosato, il governo degli Stati Uniti e la stessa Monsanto, non hanno intrapreso alcun provvedimento per salvaguardare la salute umana.
La storia dell’azienda risale al 1901, quando John Francis Queeny fondò la Monsanto Chemical Works a St. Louis, nel Missouri. Suo suocero, un commerciante di zucchero di nome Emmanuel Mendes de Monsanto fornì i finanziamenti.
Fin dagli esordi la società ha impiegato le più oscure tattiche per evitare leggi che danneggiassero i propri profitti. Per aggirare i regolamenti e le tasse elevate a St. Louis, la Monsanto poi trasferì la sua attività 4 miglia a sud, stabilendosi nell’Illinois.
Divenne produttore leader di policlorobifenili (PCB), producendo quasi tutti i PCB venduti negli Stati Uniti, anche se la tossicità dei PCB era nota e occultata dai dirigenti della Monsanto.
Oggi, il persistente inquinamento da PCB ha portato ad almeno 700 azioni legali per conto di persone che dichiarano che la loro esposizione a PCB ha causato linfoma non Hodgkin.
Nel 2002, la Monsanto è stata dichiarata colpevole di decenni di «atti oltraggiosi d’inquinamento» nella città di Anniston, in Alabama, dove ha scaricato PCB (policlorobifenili, inquinanti persistenti, assimilabili alla diossina) nel fiume locale e sepolto segretamente la sostanza chimica tossica in una discarica.
I documenti interni hanno rivelato che Monsanto aveva piena conoscenza della gravità del problema dell’inquinamento causato da almeno tre decenni e ha comunque deciso di coprirlo. Come riportato dal Washington Post all’epoca:
«Nel 1966 … i dirigenti della Monsanto scoprirono che il pesce inzuppato in un ruscello locale si gonfiava in meno di 10 secondi, schizzando sangue e versando la pelle come se fosse caduto in acqua bollente. Nel 1969, trovarono un pesce in un altro torrente con 7.500 volte il livello di PCB legale, ma hanno oscurato l’episodio».
Seattle ha recentemente intentato una causa contro Monsanto per l’inquinamento da PCB. Vogliono che la Monsanto paghi per contribuire a ripulire l’inquinamento provocato nel fiume Duwamish.
Anche San Diego ha fatto causa alla Monsanto per aver inquinato la Baia di Coronado con PCB,  mentre San Jose, Oakland e Berkeley, California e Spokane, Washington hanno intentato azioni legali contro Monsanto per aver continuato a produrre e promuovere PCB nonostante conoscessero i loro rischi.
Si ignora altresì che nel 1943 la Monsanto sostenne la macchina da guerra statunitense. Il capo della Monsanto, Charles Allen Thomas, fu invitato dal Pentagono ad unirsi al Progetto Manhattan. I laboratori della Monsanto produssero successivamente il polonio per la bomba atomica, che è stata  sganciata a Hiroshima, in Giappone.
La Monsanto è stata anche responsabile dell’irradiazione dei cittadini americani sul suolo americano, fornendo ferro radioattivo per esperimenti umani. Tra il 1945 e il 1947, i ricercatori della Vanderbilt University fornirono ferro radioattivo a quasi 900 donne in gravidanza per testare gli effetti delle radiazioni sul corpo umano e sul feto.
La Monsanto ha anche prodotto uno dei primi pesticidi al mondo, il diclorodifeniltricloroetano, meglio noto come DDT . Pubblicizzato non solo come innocuo, ma in realtà «buono» per la salute umana, il DDT è stato ampiamente utilizzato senza precauzioni di sicurezza di sorta per uccidere le zanzare portatrici di malattie.
Per trent’anni, le campagne di marketing hanno assicurato la sicurezza e i benefici del DDT, nonostante il crescente numero di ricerche scientifiche suggerivano diversamente. Oggi la tossicità del DDT è ben riconosciuta, ma è stata la pressione pubblica a costringere il governo statunitense a vietare definitivamente la sostanza chimica nel 1972.
I contributi di Monsanto alla macchina da guerra degli Stati Uniti continuarono durante la guerra del Vietnam, quando la compagnia divenne uno dei principali produttori di «Agent Orange», un defoliante irrorato su tutto il Vietnam del Sud, tra il 1961 e il 1971, per motivi di disboscamento, che ebbe gravi conseguenze sulla salute per chi era stato esposto, grazie alla presenza di diossina. Sembra che la Monsanto e il governo degli Stati Uniti fossero consapevoli della natura tossica della diossina, ma l’abbiano nascosta al pubblico.
Ancora oggi, il popolo vietnamita, i veterani americani e gli operai delle piante chimiche subiscono le conseguenze dell’esposizione. Nella città di Nitro, dove la Monsanto ha scaricato la diossina per anni senza informare i residenti, le persone soffrono anche di elevati tassi di cancro e di altri problemi di salute. Anche i sottoprodotti della manifattura dell’Agente Orange sono stati scaricati nel fiume Passaic del New Jersey per decenni, trasformandolo in uno dei corsi d’acqua più contaminati negli Stati Uniti.
Ma fino ad oggi nulla è riuscito a fermare il successo di questo gigante della chimica, riconvertitosi poi alla biogenetica e divenuto maestro di produzione e lobbismo criminali plurirecidivi.