giovedì 28 aprile 2022

Draghi ignora il Parlamento e tratta con Biden e Zelensky. - Luca De Carolis, Wanda Marra

 

IL FRONTE ITALIANO - Il premier farà visita al presidente Usa il 10 maggio: ieri ha sentito il leader ucraino. No a nuovo dl sulle armi.

Oggi il ministro della Difesa Lorenzo Guerini riferirà al Copasir sul secondo decreto interministeriale per l’invio di armi all’Ucraina. Un provvedimento di Mef, Difesa e Farnesina, che contiene una lista secretata degli aiuti per Kiev. E se dalla Difesa assicurano che è la fotocopia del primo, quel che è certo è che l’invio di artiglieria pesante (cannoni, obici, semoventi) non passerà per un voto del Parlamento. Palazzo Chigi aveva fatto filtrare la possibilità di un decreto da licenziare in Consiglio dei ministri. Ma è scomparso dal tavolo, “ammesso che ci sia mai stato”, per dirla come un’autorevole fonte di governo.
Guerini ipotizza un altro invio con nuovo decreto interministeriale. Senza un voto del Parlamento. Cartina di tornasole è la dichiarazione del dem Graziano Delrio, da sempre vicino al ministro della Difesa: “Il Parlamento ha autorizzato l’invio di armi a scopi difensivi: conoscendo la correttezza del premier e di Guerini, se ci fosse un cambiamento di prospettiva ci sarebbe una discussione in Parlamento”. Un’affermazione che adombra più di un dubbio. Draghi, peraltro, non ha al momento alcuna intenzione di riferire sul tema. Al massimo, raccontano fonti di governo, potrebbe limitarsi a rispondere in un Question time.

Ieri invece ha annunciato la sua visita negli Usa: bilaterale con Biden il 10 maggio. Sanzioni alla Russia, aiuto all’Ucraina e anche clima, al centro della visita, come fa sapere la Casa Bianca. Draghi ha chiamato Volodymyr Zelensky, ribadendo “il pieno sostegno” del governo italiano. L’altro ha ringraziato anche per l’accoglienza dei rifugiati. Si è parlato poi del “coinvolgimento dell’Italia nei futuri accordi di sicurezza dell’Ucraina”. Ovvero della possibilità che il nostro Paese sia tra i garanti della sicurezza, a negoziati avviati. I due hanno parlato anche della visita a Kiev del premier, ma su data e modalità dovranno risentirsi. Curiosa situazione, visto che il viaggio era stato annunciato da Palazzo Chigi come imminente. Intanto lì fuori c’è sempre Giuseppe Conte a chiedere di distinguere tra armi offensive e difensive. “Confine labile” come ha ammesso al Fatto il leader dei 5 Stelle, che però deve mantenere il punto politico. Per questo chiederà ancora che Draghi e Guerini riferiscano in aula sugli armamenti. “Probabilmente anche con una richiesta diretta al presidente del Consiglio” dicono dal M5S. Nell’attesa, ieri Conte ha fatto visita all’ambasciatore della Gran Bretagna a Roma, Ed Llewellyn.

Due ore di incontro, secondo i 5Stelle, chiesto dal diplomatico: perché a Londra vogliono capire dove possa arrivare l’ex premier. Di certo da ieri Conte può sentirsi più sollevato, perché ha incassato il sostegno del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. “Il faro resta l’articolo 51 della Carta dell’Onu sulla legittima difesa, per garantire la sovranità e l’integrità dell’Ucraina” ha sostenuto il 5Stelle da Strasburgo, citando quella norma su cui Conte martedì aveva impostato la sua linea: sì ad armamenti per l’autotutela, no per un’eventuale controffensiva. Distinzione “complicata”, a detta di Matteo Salvini, “perché mica c’è il missile difensivo e il missile offensivo, è soggettivo”.

Però anche il leghista ritiene che Draghi debba riferire in aula: “Sulle armi serve assolutamente un passaggio parlamentare, anzi io chiedo un incontro di tutti i leader sulla pace, perché si parla solo di razzi e missili”. Una (parziale) convergenza che infastidisce il Pd. Ma la vera partita potrebbe essere quella di un documento in cui precisare quali armi inviare. “Ora non pensiamo a mozioni o risoluzioni” sostengono dai piani alti del M5S.

Però a Un giorno da pecora ne ha parlato il vice capogruppo in Senato, Gianluca Ferrara: “Una mozione contro l’invio di armi pesanti è un’ipotesi da tenere in considerazione”. Altre voci a 5 Stelle di Palazzo Madama raccontano una versione un po’ diversa: “Sarebbe meglio una risoluzione di maggioranza, legata all’intervento di Draghi in aula”. Un testo attento alle sfumature, per scongiurare tensioni o crisi di governo. Ammesso che Draghi in Parlamento ci vada.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/04/28/draghi-ignora-il-parlamento-e-tratta-con-biden-e-zelensky/6573088/

Salomonicamente. - Marco Travaglio

 

Siccome è bene attrezzarsi per tempo e non farsi trovare impreparati, stiamo studiando attentamente le Isole Salomone, simpatico arcipelago di un migliaio di atolli nell’Oceano Pacifico meridionale a Nord Est dell’Australia e a Sud Est della Papua Nuova Guinea, con 687 mila abitanti.
L’isola più grande e famosa, che ospita la capitale Honiara, è Guadalcanal (teatro dell’omonima battaglia del 1942-’43 fra Alleati e giapponesi).
Ma c’è anche Bougainville, che evoca i fiori.
Le Salomone sono uno degli Stati più poveri dell’Oceania e del mondo: agricoltura, pesca, un po’ di turismo, qualche giacimento minerario non sfruttato.
Il capo dello Stato è la regina d’Inghilterra, mentre il governo – dal 1978, fine del protettorato Uk – è espressione di un Parlamento elettivo.
Il premier dal 2019, Manasseh Sogavare, ha riallacciato i rapporti con la Cina, scaricato Taiwan e firmato un accordo di cooperazione e sicurezza con i cinesi, che li autorizza a visite periodiche nei porti in cambio
di aiuti economici.
La cosa non piace a Usa, Australia e Giappone, per la posizione strategica delle Salomone sulle rotte del Pacifico.
Sogavare ribadisce che resta neutrale, ma Washington lo accusa di voler ospitare una base militare cinese.
Nei giorni scorsi Biden ha inviato due alti funzionari nelle Hawaii, nelle Fiji, in Papua Nuova Guinea e nelle Salomone, suscitando l’ilarità del ministro degli Esteri cinese Wang Yi: “Perché gli americani si prendono la briga di visitare un Paese insulare nel quale
la loro ambasciata è rimasta chiusa per 29 anni?”.
Tre giorni fa la Casa Bianca ha minacciato di “rispondere
di conseguenza” se le Salomone oseranno ospitare una base cinese, che avrebbe “potenziali implicazioni di sicurezza regionali”.
E l’altroieri, malgrado le nuove smentite del premier, Daniel Kritenbrink, assistente del segretario di Stato per l’Asia orientale e il Pacifico,
ha rifiutato di escludere un’azione militare nelle isole.
Nessuno spiega a che titolo gli Usa pretendono di decidere con chi possa accordarsi un Paese sovrano, che non è neppure loro alleato, dunque è libero di fare ciò che gli pare.
Né con che faccia Biden impartisca lezioni alla Russia per aver fatto a un Paese confinante ciò che lui minaccia di fare a un Paese distante 9.600 km dalla California.
Né, soprattutto, a chi dovremmo inviare le armi, o almeno i pedalò, nel caso di invasione Usa
nelle Salomone.
Al nostro primo alleato Nato che si sacrifica per noi salvandoci dalla penetrazione cinese nel Pacifico?
O al popolo salomonese aggredito, in base all’articolo 11-bis della Costituzione Immaginaria che ripudia la guerra, ma ci impone di combatterle tutte con gli aggrediti?