lunedì 20 aprile 2020

Coronavirus, sospesi alcuni dipendenti che hanno parlato con i media della denuncia contro Fondazione don Gnocchi. - Valeria Pacelli

Coronavirus, sospesi alcuni dipendenti che hanno parlato con i media della denuncia contro Fondazione don Gnocchi

“Si tratta di un provvedimento palesemente illegittimo e ritorsivo. Nel caso la cooperativa erogasse sanzioni disciplinari, queste ultime sarebbero immediatamente impugnate avanti al Tribunale del Lavoro di Milano”, ha commentato l’avvocato Romolo Reboa, che rappresenta i 18 lavoratori firmatari dell’esposto.

Sospesi dal servizio per aver parlato con i media di una denuncia nei confronti dell’Istituto Palazzolo della Fondazione Don Gnocchi di Milano. È successo ad alcuni dipendenti della cooperativa Ampast che prestavano servizio presso l’Istituto Palazzolo, firmatari di un esposto in cui si chiede ai pm di Milano di indagare “atteso che i comportamenti omissivi e commissivi – è scritto nella denuncia – appaiono cagionare colposamente un’epidemia”.
Sono accuse, queste, che la Fondazione nei giorni scorsi ha respinto con forza definendole “false e calunniose”. Dell’esposto ne aveva parlato ilfattoquotidiano.it in un articolo del 23 marzo scorso. Nel frattempo però alcuni dei denunciati hanno ricevuto una lettera dall’Ampast, che il Fatto ha visionato. È di ieri per esempio quella consegnata ad una dipendente della cooperativa: “Risulta a codesta direzione che la S.V., unitamente ad altri dipendenti e collaboratori, – è scritto nella raccomandata a mano – ha diffuso a mezzo stampa (Corriere della Sera), televisione (Rai, Mediaset, Sky, La7) il testo di una querela sporta nei confronti della nostra azienda e della committente Fondazione Don Gnocchi con l’accusa di aver leso la vostra incolumità. In seguito a tale condotta, la Fondazione ha esercitati, in data 17 aprile 2020, il diritto di non gradimento nei suoi confronti”. “Fermo restando il Suo diritto di tutelare i suoi diritti, nonché il diritto dell’azienda di difendersi, – prosegue la raccomandata – si reputa che la scelta di divulgare le accuse prima ancora che si instauri, sempre che mai si instauri, un procedimento lede l’immagine dell’azienda e della committenza, oltre che minare il rapporto fiduciario con la S.V. e mettere a rischio l’azienda nel rapporto con lo stesso committente”. A questo punto la cooperativa invita la dipendente a “produrre le giustificazioni entro e non oltre il termine di cinque giorni dal ricevimento della presente contestazione”.
Nel frattempo però la dipendente è stata sospesa, anche se con stipendio: “A partire dalla consegna della presente, – si conclude nella raccomandata – lei viene sospesa cautelativamente dal servizio, con diritto di retribuzione, sino a nuova disposizione. Ci si riserva l’adozione degli opportuni provvedimenti, non esclusi quelli di natura disciplinare, all’esito delle giustificazioni o in difetto di loro tempestivo inoltro”. “Si tratta di un provvedimento palesemente illegittimo e ritorsivo. Nel caso la cooperativa erogasse sanzioni disciplinari, queste ultime sarebbero immediatamente impugnate avanti al Tribunale del Lavoro di Milano”, ha commentato l’avvocato Romolo Reboa, che rappresenta i 18 lavoratori firmatari dell’esposto contro la Fondazione.
La fondazione Don Gnocchi in una nota “precisa di aver legittimamente esercitato il proprio diritto contrattuale di ‘non gradimento’ nei confronti della Cooperativa Ampast, ritenendo la presenza di alcuni loro lavoratori all’interno della struttura incompatibile e inopportuna dopo che gli stessi, a mezzo stampa e televisione, avevano espresso giudizi gravi e calunniosi, tali da ledere il rapporto fiduciario con la Fondazione. La Cooperativa, in qualità di datore di lavoro, – conclude la nota – anche a sua propria tutela, ha autonomamente ritenuto di avviare l’iter di contestazione disciplinare, secondo quanto normativamente previsto”.

Ma mi faccia il piacere. - Marco Travaglio - Il Fatto Quotidiano - 20 APRILE 2020.

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Stampa satirica.“Travaglio batte Berlusconi sul conflitto d’interessi e prende l’Eni”. “Il Fatto Quotidiano è tornato ad attaccare a testa bassa Claudio Descalzi. Cioè l’amministratore delegato dell’Eni. Ormai però il gioco è scoperto: l’attacco del Fatto non nasce, come tutti immaginano, dalla solita furia giustizialista (Descalzi è indagato), ma stavolta nasce da una più prosaica furia di potere. Il Fatto vuole l’Eni per sé… Il Fatto (che ormai tratta direttamente con il Pd, senza più la mediazione di Di Maio) bastona Descalzi per aumentare la propria forza nella trattativa. Alla fine è disposto a cedere su Descalzi purché gli si permetta di mettere le mani sulla Presidenza con una pedina che è controllata direttamente da Travaglio… Non era mai successa una cosa del genere… Spesso si parla di conflitto di interessi, in particolare da quando Berlusconi è in politica. Lo schieramento populista-giustizialista, che da tempo ormai ha trovato in Travaglio e nel suo giornale la guida politica e morale (una specie di Maotsetung) ha sempre avuto due chiodi fissi: la guerra al conflitto di interessi e la guerra alla lottizzazione. Beh, ora le parti si sono rovesciate. La richiesta da parte di un giornale di avere per sé la Presidenza dell’Eni non si era mai vista. Né nella lunga storia delle lottizzazioni politiche né nella storia dei conflitti di interesse… Un giornale che è espressione del governo, della magistratura e dell’Eni” (Piero Sansonetti, Il Riformista, 18.4). Tutta invidia perché ora faccio benzina gratis.
Facci lei/1. “… come se avrebbe potuto fare una grande zona rossa da sola, senza un esercito” (F.F., Libero, 12.4). Mi sa che Facci, in realtà, si chiama Farebbi.
Facci lei/2. “Adesso basta, spezzo le catene. Martedì me ne vado al mare” (F.F., Libero, 12.4). Mo’ me lo segno.
Facci lei/3. “Sono evaso dai domiciliari e mi sono trovato benissimo. In auto fino a Lecco” (F.F., Libero, 15.4). Più che una destinazione, una vocazione. A proposito, com’era il mare a Lecco?
Troppa grazia. “Si sa che se scrivi sul Fatto hai uno scudo penale tombale” (Alessandro Sallusti, il Giornale, 16.4). Disse quello che, dagli arresti domiciliari, fu graziato da Napolitano.
I Conti non tornano. “Adesso ci interessa di aiutare Conti a non commettere errori” (Silvio Berlusconi, presidente FI, collegato da Nizza con Dimartedì, La7, 14.2). Cominciamo bene.
Dice il saggio. “In un momento di così forte emergenza per l’espandersi dell’epidemia di coronavirus, le parole di Briatore dopo l’ultimo decreto pesano come un macigno” (il Giornale, 23.3). Appeso al collo.
Viale dell’Astrologia. “’La politica non sa guidare l’Italia’. Bonomi lancia subito la sfida. Confindustria, il presidente designato attacca” (La Stampa, 17.4). Ha parlato Churchill.
Doppia elle. “Gallera: ‘Disgustato dallo sciacallaggio politico’” (il Giornale, 17.4). Deve aver trovato finalmente uno specchio.
Wanted. “Fuorilegge: Conte è un pericolo pubblico. ‘Governa con atti illegittimi’. Cassese: si è dato poteri che la Costituzione non gli attribuisce. Ma nessuno lo fa notare” (Renato Farina, Libero, 17.4). Meno male che c’è Betulla.
Cattiva lettura. “Cercasi leader capaci di decidere” (La Lettura-Corriere della sera, 12.4). E cercansi conoscitori della lingua italiana.
Zero vale zero. “Troppo spesso in questi anni abbiamo ragionato con la logica dell’uno vale uno, che punisce la competenza, e con il criterio della mediocrità, che punisce le eccellenze. E le eccellenze sono per definizione poche. A giudicare da quel che vediamo, pochissime” (Aldo Cazzullo, Corriere della sera, 17.4). E, a giudicare da quel che leggiamo, nessuna.
A funerali avvenuti. “Nessuno si aspettava inchieste e perquisizioni con i morti ancora in corsia. Possiamo almeno aspettare che l’epidemia sia finita e che i pazienti e i medici abbiano finito di morire prima di mandare ispezioni nelle case di riposo?” (Matteo Salvini, segretario Lega, Rtl 102.5, 17.4). Giusto, qualcuno respira ancora: aspettiamo che siano tutti morti.
I titoli della settimana. “Ecco il piano del governo per riaprire ogni attività” (Libero, pag.1, 14.4). “Conte ci vuole semireclusi fino a marzo 2021” (Libero, pag.3, 14.4). Di nuovo bevuto pesante, da quelle parti, eh?


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Paradisi fiscali in Ue: ecco quanti soldi ci sottraggono Olanda, Irlanda e Lussemburgo offrendo alle multinazionali una tassazione di favore. - Felice Meoli

Paradisi fiscali in Ue: ecco quanti soldi ci sottraggono Olanda, Irlanda e Lussemburgo offrendo alle multinazionali una tassazione di favore
nella foto i primi ministri di Olanda (Mark Rutte), Lussemburgo (Xavier Bettel) e Irlanda (Leo Varadkar)

L'Italia perde ogni anno almeno 6,5 miliardi euro di entrate: finiscono nelle casse dei sei Paesi che stando al rapporto dalla commissione speciale sui crimini finanziari TAX3 "facilitano una gestione fiscale aggressiva”. Ci sono anche Cipro, Malta e Ungheria ma olandesi e lussemburghesi sono quelli che ci guadagnano di più impoverendo il resto dell'Unione. La Germania si vede sottrarre addirittura 19 miliardi, la Francia 17. Non si interviene perché le modifiche in materia fiscale richiedono l’unanimità.
Più che paradisi, dei veri e propri “buchi neri fiscali”. Questa la definizione dell’ex Commissario europeo all’economia Pierre Moscovici, poco più di due anni fa. Cioè due mesi prima della partenza dei lavori della commissione speciale sui crimini finanziari TAX3. Sette – poi scesi a sei – Paesi che sottraggono risorse ai propri vicini di casa, provocando un danno netto a tutto il condominio, a favore di chi può eludere il pagamento delle tasse. A causa del profit shifting, l’Italia perde ogni anno il 19% delle entrate tributarie dalle proprie imprese ovvero 7,5 miliardi di euro l’anno, di cui 6,5 all’interno dell’Unione EuropeaTax Justice Network di recente ha stimato che Paesi Bassi – grandi oppositori di misure “solidali” di risposta alla pandemia come i coronabond – l’anno scorso abbiano sottratto al nostro Paese 1,5 miliardi. Una distorsione dell’architettura comunitaria ben conosciuta da tutti gli attori in gioco e in alcuni casi perfino rivendicata da chi se ne avvantaggia.
Dopo le rivelazioni e gli scandali fiscali emersi negli ultimi anni, dai Lux leaks ai Panama paper, dai Football leaks ai Paradise papers, il Parlamento europeo decise di istituire una commissione speciale sui crimini finanziari, sull’evasione e sull’elusione fiscale – cosiddetta TAX3 – insediatasi il 1 marzo 2018. Dopo un anno di lavoro fatto di audizioni, interpelli e investigazioni, TAX3 ha inviato agli eurodeputati una lunga serie di conclusioni e raccomandazioni. Segnalando in particolare che 7 Paesi dell’Unione “mostrano tratti di paradisi fiscali e facilitano una gestione fiscale aggressiva”. Si tratta di Belgio, Cipro, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Olanda e Ungheria.
La vecchia Commissione glissò sui paradisi fiscali nell’Ue – Le stime di Bruxelles indicano che le pianificazioni fiscali aggressive all’interno dell’Unione provocano una perdita annuale di gettito compresa tra i 50-70 miliardi (cifre riconducibili alla sola traslazione dei profitti, e che rappresentano il 17% delle entrate fiscali) e i 160-190 miliardi di euro se si comprendono anche gli accordi ad hoc delle maggiori multinazionali con gli Stati e le inefficienze nella raccolta del gettito. Poco meno di 50 miliardi sono invece elusi dalle persone fisiche che portano la propria ricchezza all’estero, mentre circa 65 miliardi di euro riguardano le frodi sull’iva transfrontaliera. Un quadro comunque chiaro anche alla Commissione, che già negli scorsi anni aveva avanzato critiche ai sette Paesi, per i problemi emergenti dai loro sistemi tributari. Nel rispondere alla risoluzione del Parlamento, circa un anno fa e prima dell’insediamento della nuova Commissione, Palazzo Berlaymont ebbe a eccepire solo sul Belgio, che dallo scorso anno non offrirebbe più la possibilità di una pianificazione aggressiva. Sulla richiesta del Parlamento di dichiarare ufficialmente paradisi fiscali gli altri Paesi, la Commissione ha invece praticamente glissato. Non così l’ex commissario Pierre Moscovici, che li definì, più che paradisi, veri e propri “buchi neri fiscali”.
Ecco quanto ci perde l’Italia e quanto guadagnano Lussemburgo, Irlanda e Olanda – Secondo quanto evidenziato dai più recenti studi macroeconomici portati avanti da Thomas Tørsløv (Università di Copenaghen), Gabriel Zucman e Ludvig Wier (entrambi dell’Università di Berkeley), questi Paesi sottraggono direttamente agli altri Stati membri, solo in elusione fiscale, oltre 42 miliardi all’anno. L’Olanda raccoglie in questo modo il 30% del proprio gettito, attraendo in maniera artificiosa da altri Paesi circa 90 miliardi di euro, a cui offrire un’aliquota speciale. Il Lussemburgo attrae 50 miliardi, da cui va a formare il 54% delle proprie entrate fiscali. L’Irlanda costruisce in questo modo il 65% del proprio gettito, attraendo ogni anno 117 miliardi di euro dai Paesi (non solo europei) con tassazione maggiore. A Malta questo frutta l’88% delle proprie entrate fiscali complessive.
L’Italia, invece, subisce un profit shifting di 24 miliardi di euro e a causa dei paradisi perde il 19% delle proprie entrate tributarie dalle imprese, ovvero 7,5 miliardi di euro, di cui 6,5 all’interno dell’Unione Europea. Sono 3 i miliardi sottratti dal Lussemburgo, 1,6 dall’Irlanda e 1 dall’Olanda. Per quanto riguarda le destinazioni extra Ue quasi 700 milioni sono persi a favore della Svizzera, mentre poco più di 270 milioni spariscono a favore di Caraibi, Hong Kong e SingaporeGermania e Francia sono anche più colpite dell’Italia, perdendo rispettivamente il 28% e il 24% del proprio gettito da parte delle imprese. Sono 19 miliardi di euro per la Germania, di cui quasi 16 restano nei paradisi europei, mentre per la Francia si tratta di 12 miliardi, di cui 10 rimangono nelle immediate vicinanze.
Ma i paradisi impoveriscono tutta l’Unione – Va sottolineato che i paradisi non impoveriscono solo i Paesi da cui fuggono le imprese, ma tutta l’Unione, perché garantendo una tassazione di favore permettono di sborsare molto meno di quanto dovuto, alimentando l’inefficienza del sistema. Questo vale sia per le imprese europee che per quelle extra-Ue ma operanti nell’Unione. Per esemplificare, con una tassazione sugli utili che attraverso un’accurata pianificazione può arrivare fin sotto il 5%, una multinazionale americana con sede in un paradiso e operante nel resto dell’Unione riesce a risparmiare 4 euro ogni 5 teoricamente dovuti. Il paradiso ne incassa solo 1, l’Unione nel complesso ne perde 4. I Paesi dove opera realmente perdono tutto.
In Olanda e Lussemburgo metà degli investimenti fantasma del mondo – Grazie a queste possibilità i paradisi della Ue sono anche leader mondiali nell’attrazione di investimenti diretti esteri fantasma, presentando stock di investimenti in entrata e in uscita di molte volte maggiori del loro Prodotto interno lordo, spesso il risultato della creazione di strutture artificiali per abbattere gli oneri. Secondo un report dello scorso dicembre del Fondo monetario internazionale, a firma di Jannick DamgaardThomas Elkjaer e Niels Johannesen, il 40% di tutti gli investimenti diretti esteri globali sarebbe fantasma. Olanda e Lussemburgo, che insieme ricevono una quota di investimenti diretti esteri maggiore di quella degli Stati Uniti, ospiterebbero quasi metà di tutti gli investimenti fantasma del mondo. Il Fmi indica che su un totale di 40 trilioni di dollari di investimenti diretti esteri globali, 15 trilioni sarebbero da ricondurre a scatole vuote senza vere attività. Di questi 3,8 trilioni (3.800 miliardi) di dollari sarebbero in Lussemburgo e 3,3 trilioni (3.300 miliardi) in Olanda. Anche questa è una circostanza ben conosciuta dalle istituzioni europee, evidenziata nella relazione del Parlamento dopo i lavori di TAX3. Il documento approvato sottolinea che l’Irlanda riceve più investimenti diretti di Germania e Francia, e che Malta raccoglie investimenti per un ammontare pari al 1.474% della propria economia. Su queste evidenze la Commissione non avanzò commenti.
Le modifiche in materia fiscale richiedono l’unanimità – Perché allora è tutto fermo? Secondo l’ultimo rapporto del Tax Justice Network, pubblicato all’inizio di aprile e intitolato “Time for the EU to close its own tax havens”, le ragioni sono principalmente due. La prima è ideologica. Persino nei Paesi che perdono di più come la Germania, il mondo degli affari ha resistito alle richieste crescenti di trasparenza fiscale da parte dell’opinione pubblica, cercando di evitare ogni tipo di rendicontazione che rivelerebbe le discrepanze tra le nazioni in cui prende forma l’attività economica e le nazioni in cui gli utili vengono riportati per motivi fiscali. La seconda ragione è l’inerzia politica collegata all’impossibilità di un’azione concreta su questo fronte da parte dell’Unione Europea. Le modifiche in materia fiscale richiedono l’unanimità, e i paradisi si oppongono costantemente a ogni discussione di revisione delle norme, in nome della “sovranità fiscale”. Che finisce tuttavia per andare a scapito di tutti gli altri Paesi membri. “Nessuno dovrebbe sorprendersi che un paradiso fiscale agisca in maniera egoistica, indebolendo i propri vicini”, afferma in apertura del suo report il Tax Justice Network. E mutatis mutandis è proprio ciò che rivendicano anche gli stessi olandesi.
La posizione olandese: “Preservare la reputazione di porta d’ingresso in Europa” – Nell’incontro del 12 settembre 2018 presso la Direzione generale della Fiscalità e dell’Unione Doganale della Commissione Europea, indetta per costruire una “piattaforma di buona governance fiscale”, il professore dell’Università di Amsterdam Sjoerd Douma offriva ai presenti la prospettiva olandese del dibattito sulla fiscalità internazionale, stakeholder per stakeholder. Dal punto di vista dei commercialisti, una “scelta volontaria del governo olandese di adottare misure di contrasto all’elusione fiscale oltre le richieste minime del consensus internazionale indebolirebbe seriamente il clima degli investimenti nei Paesi Bassi. Specialmente nel contesto della Brexit e della riforma fiscale americana, l’Olanda deve preservare la propria reputazione di “porta d’ingresso in Europa” e proteggere i suoi tradizionali gioielli della corona”. Secondo le associazioni imprenditoriali olandesi, l’approccio della Commissione di puntare a una base imponibile comune in Europa sarebbe invece poco ambizioso e piuttosto ci sarebbe bisogno di una maggiore competitività tributaria, così come dell’eliminazione delle ritenute sui dividendi. Secondo Douma, in un dibattito pubblico finora dominato dalle posizioni delle Ong, il problema sarebbe culturale e mediatico, gravato dalla mancanza di fiducia tra gli attori del sistema. Ma forse questa diffidenza si può capire a fronte di obiettivi contrastanti da parte degli attori e ruoli ambigui, come sottolineato dalle stesse Ong. Tax Justice, Oxfam e Somo puntano infatti il dito sui doppi incarichi dei professori universitari, allo stesso tempo anche consulenti fiscali delle imprese. Ambiguità a cui non si possono sottrarre nemmeno le stesse autorità tributarie, strette nella morsa di dover bilanciare la volontà di adottare misure di contrasto alle frodi e il bisogno di mantenere alti gli investimenti nel Paese.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/04/20/paradisi-fiscali-in-ue-ecco-quanti-soldi-ci-sottraggono-olanda-irlanda-e-lussemburgo-offrendo-alle-multinazionali-una-tassazione-di-favore/5773468/
Ho sempre sostenuto che questa Unione Europea è nata malissimo ed è gestita anche peggio.
Non si possono accettare in un contesto stati membri che giocano sporco alle spalle degli altri stati facenti parte del contesto.
La lealtà, l'etica dovrebbero prevalere in un gruppo omogeneo, senza il reciproco rispetto non possono coesistere la collaborazione e la coesione di intenti.
Questa unione è una continua discrepanza su tutti gli argomenti, non è una unione è un'accozzaglia informe, senza alcun senso comune.
Cetta.

L'opinione (non richiesta) di Massimo Erbetti

Mes Italia Europa - ViaCialdini

5 maggio
"Ei fu. Siccome immobile,
dato il fatal sospiro,
stette la salma immemore
orba di tanto spiro... "

Così scriveva Manzoni nel 1821, dopo aver appreso della morte di Napoleone. Ma il 5 maggio potrebbe anche essere la morte definitiva dell'Unione Europea per mano della Corte Costituzionale tedesca.
La Germania, o meglio la Corte Costituzionale tedesca ha già per ben due volte, spinta dal ricorso di 35 deputati della Cdu di Angela Merkel, da sempre ostili a qualsiasi forma di condivisione del debito su scala europea, e perciò favorevoli solo al Mes, ha provato a bloccare qualsiasi iniziativa che prevedesse piani di salvataggio dell'euro che non fossero il MES. La prima volta cerco di bloccare le operazioni Omt (Outright monetary transactions), poi il Quantitative easing, cioè l'acquisto di titoli pubblici dei paesi dell'eurozona in difficoltà.
In entrambi i casi la Corte europea ha precisato che la Bce può svolgere la propria politica monetaria senza ricorrere al Mes.
Il 5 maggio 2020, ci sara una ulteriore sentenza della Corte Costituzionale in merito all'adozione di misure che non siano il MES, se il parere della Corte dovesse essere negativo, la Germania non appoggerà nessuna misura differente dal Mes, nessun eurobond o coranabond...niente di niente e sarà la morte definitiva dell'Unione Europea e dell'euro stesso. Altro che solidarietà europea, altro che unione solidale, l'Europa ha un solo unico nemico: la Germania di Angela Merkel. Per cui anche se il 23 aprile il consiglio dei capi di governo dovesse trovare un accordo per gli eurbond, per i recoverybond e comunque anche per l'emissione di nuova moneta, il tutto potrebbe essere vanificato dal parere della Corte Costituzionale tedesca...eh si perché i tedeschi sono furbi, non basta il voto del parlamento, no, loro si sono tutelati, loro hanno pensato bene di fare un passaggio ulteriore, il che è positivo per il popolo tedesco, ma lo è altrettanto per l'Europa? Si può entrare in una unione pensando solo al proprio profitto? Si può essere parte di qualcosa solo per aumentare il proprio predominio? Non è certo questo lo spirito da cui era nata l'idea di Europa unita...5 maggio 2020..il giorno della nascita di una nuova Europa o il giorno della sua morte definitiva?

“Energie rinnovabili e agricoltura punti per ripartire”, Farruggia: “No a nuova cementificazione”.


Farruggia e il senatore Pietro Lorefice che ha a sua volta partecipato alla seduta.

Gela. Produzione di energia da fonti rinnovabili, più spazio all’agricoltura sostenibile e una nuova visione della mobilità urbana e non solo. Sono questi i punti cardine che il Movimento cinquestelle pone nell’ottica della fase successiva all’emergenza Covid, così da ripartire ma sfruttando fonti economiche diverse rispetto a quelle del passato, che ormai segnano il passo. Il consigliere comunale pentastellato Virginia Farruggia ha tirato le linee di ripartenza già nel corso della seduta monotematica di consiglio comunale. “La crisi creata dal coronavirus, partendo da un ambito strettamente sanitario, è collegata ad una devastazione ambientale non più praticabile. Data questa prospettiva, non possiamo sottrarci alla necessità di fornire alternative concrete allo sviluppo del nostro territorio, elaborando proposte che abbiano una visione a lungo termine e che permettano di coniugare la tutela ambientale con la crescita economica e sociale della città. Sotto questo profilo crediamo che si debba investire nello sviluppo delle energie rinnovabili – dice – favorendo gli investimenti legati alla produzione di energia elettrica tramite impianti solari a concentrazione ed impianti eolici offshore posizionati non sottocosta, ma al largo. Queste due forme presentano sia imprenditori validi che esperienze concrete già realizzate nel mondo e consentirebbero una crescita economica e tecnologica che darebbe molti posti di lavoro, rispettando i limiti posti dalle normative nazionali ed europee, rispecchiate nel Piano di gestione Rete Natura 2000, oggi vincolante per il territorio. Settori cardine come la metalmeccanica potrebbero trovare ampio sviluppo in un comparto in forte crescita”. Farruggia richiama la necessità di non trascurare un’agricoltura locale abbandonata da decenni al proprio destino, riprendendo le fila di un nuovo sistema di mobilità, che colleghi la città all’aeroporto di Comiso e a quello di Catania. “Una città con questi strumenti può eliminare la sua marginalità e grazie alla posizione geografica, fondamentale per il vento e l’esposizione solare – continua – potrà assumere un ruolo baricentrico e di crescita economica e sociale, fondando la rinascita sui principi dell’economia circolare”. Tutti punti di un programma potenziale che non annovera ricette fatte di nuove costruzioni e cementificazione ad ogni costo.

“Una visione del genere si pone in netto contrasto con le proposte legate all’economia fossile del passato, oggi in insanabile crisi, e con quelle di chi ritiene di dover consumare ancora suolo e di fondare la rinascita della città sul metodo della cementificazione selvaggia e delle nuove concessioni edilizie – conclude – questi sistemi risultano inaccettabili e rappresentano solo fumo negli occhi che blocca la costruzione del futuro. Il futuro si costruisce con strumenti concreti e moderni, non con metodi arcaici che tanto danno hanno già arrecato alla nostra città”. Una risposta, quest’ultima, che sembra indirizzata verso alcune proposte avanzate durante il consiglio monotematico, avanzate principalmente dalla commissione urbanistica.

https://www.quotidianodigela.it/energie-rinnovabili-e-agricoltura-punti-per-ripartire-farruggia-no-a-nuova-cementificazione/?fbclid=IwAR0O8w7lK3ch0Vx11PvGiYw3Yb7LiY_mPY4pr9Omzi93lmlb1Atuj6Mlao0