venerdì 17 giugno 2016

Piano criminale dietro gli incendi a Palermo? Indaga la Procura.

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PALERMO. La Procura di Palermo acquisirà gli elementi raccolti dalle forze dell'ordine sugli incendi scoppiati in città per accertare se dietro alle decine di roghi divampati nelle ultime ore ci sia un piano criminale. Al momento polizia e carabinieri sono concentrati sul soccorso alla popolazione. Sono state decine le case fatte evacuare.
Anche a Cefalù gli investigatori seguono la pista dell'origine dolosa nelle indagini sulla causa degli incendi divampati tra ieri sera e oggi. Il commissariato della polizia di Stato, diretto da Manfredi Borsellino, ha chiesto anche l'intervento della scientifica. L'ipotesi che dietro i roghi ci sia un piano criminale nasce dal fatto che i focolai sono scoppiati contemporaneamente in diversi posti anche lontani. I piromani avrebbero scelto le condizioni più favorevoli per provocare danni maggiori.

Sprechi di Roma, le spese pazze del Comune: 5 milioni l’anno solo per l’acqua delle fontane. - Anna Morgantini




E' il conto che il Campidoglio paga all'Acea. Per rifornire gli impianti che alimentano bellezze monumentali come Piazza Navona o Fontana di Trevi. Una bolletta pesantissima adesso entrata nel mirino del M5S. Che in caso di vittoria al ballottaggio di domenica annuncia tagli  milionari al contratto di servizio con la multiutility.

Ma, in fatto di soldi, il Campidoglio ci è o ci fa? A poche ore dal ballottaggio Raggi-Giachetti, proprio mentre lo scontro si focalizza sul debito, nella capitale scoppia il caso-fontane: consumano oro anziché acqua, a giudicare dalle bollette che Acea ha inviato nel 2012 al comune di Roma e che il Campidoglio ha pagato senza dire neanche beh. Ben 234 mila per la fontana alla salita del Pincio. Quasi 250 mila per piazza Farnese. La fontana di Trevi si beve 294 mila euro l’anno. E Piazza Navona? Tre bollette-monstre: per i Quattro Fiumi del Bernini, ecco la numero 2304625 dell’11 dicembre 2012 che ammonta a 523 mila euro, a cui ancora bisogna aggiungere le fatture numero 2304521 e 2304522  (33 e 31 mila euro) per l’alimentazione delle due fontane laterali. In tutto fanno 590 mila euro, che sommati al costo di tutte le altre fontane e fontanelle dell’Urbe portano a un conto finale clamoroso: 5 milioni 134 mila e 147 euro, regolarmente liquidati dal Campidoglio nell’ottobre 2015 come «debiti fuori bilancio».
E IO PAGO Un conto stratosferico. Ma tutt’altro che chiaro, limpido e trasparente: «Secondo i funzionari del comune, le fontane monumentali di Roma sono alimentate con acqua potabile e sono prive di impianto di ricircolo» spiegano Laura Maragnani, giornalista di Panorama, e  Daniele Frongia, ex presidente M5S della Commissione capitolina per la riforma della spesa, che hanno scovato queste bollette micidiali e le hanno pubblicate nel loro libro“E io pago” (Chiarelettere). A tutto questo si è aggiunta anche la scoperta di Sky tg 24: l’impianto di ricircolo in realtà esiste e le fontane monumentali sono alimentate non dalla rete potabile ma da quella non potabile, quindi i consumi reali non hanno nulla a che vedere con l’importo finito in fattura. Il consumo di piazza Navona, per dire, secondo i tecnici di Acea Ato 2 Spa ammonterebbe a soli 4.757 euro l’anno, a fronte di bollette per quasi 600 mila. Centoventi volte di più.
ACQUA PAZZA Problemino. Siamo di fronte a bollette pazze di cui il Campidoglio è vittima innocente, e che però ha scioccamente pagato senza protestare? O si tratta invece di specifici contratti di fornitura che il Campidoglio ha scientemente firmato, offrendo ad Acea un «minimo annuo (da concessione)» al di fuori da ogni logica di mercato? E chi li ha sottoscritti? Quando? E perché? Il mistero è sempre più fitto. «Come quasi tutto quello che riguarda le spese del Campidoglio», si sfoga Frongia, che oggi è in predicato, se vince Virginia Raggi, di diventare vicesindaco o capo di gabinetto con specifica missione taglia-sprechi: «L’amministrazione capitolina è il trionfo della mancanza di trasparenza, della confusione, della sciatteria, dello spreco sistematico».
LUCE! LUCE! Parole forti. Ma tra il 2013 e il 2015, malgrado il boicottaggio della macchina amministrativa, la commissione Frongia ha scovato sprechi («recuperabili») per almeno un miliardo e 200 milioni l’anno. Tra cui un altro extra-costo targato Acea, quello per l’illuminazione pubblica: «Su un contratto di servizio che garantisce alla multiutility di piazzale Ostiense più di 70 milioni di introiti l’anno, abbiamo stimato che il comune potrebbe risparmiarne addirittura 20. Un euro su quattro».
FRONTE LIQUIDO Non c’è da stupirsi se in questi giorni, all’Acea, la prospettiva di una vittoria dei Cinque Stelle renda tutti un po’ nervosi, a cominciare dall’amministratore delegato e direttore generale Alberto Irace, ex Publiacqua, renzianissimo. Già c’è stato, a marzo, il precedente di Virginia Raggi che ha annunciato di voler rivoltare l’azienda come un calzino in caso di vittoria: «Solo quest’anno l’Acea dovrebbe chiudere con un utile di esercizio di 50 milioni. Sicuramente questo tipo di gestione è in perfetto contrasto con il risultato del referendum del 2011 perché con l’acqua non si devono fare profitti». E nemmeno dividendi. Ma proprio lunedì 20 Acea staccherà una cedola pari a 0,50 centesimi per azione, 20 centesimi in più del 2012. E anche se gli azionisti gongolano (il comune controlla il 51 per cento, seguito dall’editore del Messaggero, Francesco Gaetano Caltagirone, con il 15,86, e da Suez con il 12,48) è facile prevedere che con l’acqua delle fontane pazze si aprirà un altro fronte di scontro.
RISCHIATUTTO Il management di Acea non è però l’unico a correre qualche rischio in caso di vittoria grillina. Tra i macigni che pesano sul bilancio di Roma Capitale c’è anche e soprattutto il Vaticano: sono ben 400 i milioni pagati dai romani per le spese e i servizi «non previsti e non dovuti» forniti gratuitamente alla Chiesa (dalle transenne alla pulizia di piazza San Pietro dopo ogni udienza papale) e per le tasse e i tributi allegramente evasi dal Cupolone Spa, come i 20 milioni di canone per la fognatura che Oltretevere si è sempre rifiutata di pagare all’Acea e che l’Acea – rieccola! – ha trasferito pari pari alle casse del Campidoglio.
BUCHI ROMANI Tra i tanti buchi censiti dalla commissione, ecco il disastro del patrimonio immobiliare: a 216 milioni ammonta «l’evasione di Imu e Tasi che sfugge agli accertamenti perché i dati presenti in catasto sono errati»; altri 100 milioni sono sprecati per il mancato adeguamento degli affitti (memorabile l’inquilino, dotato di Porsche, che paga 7,75 euro al mese per un appartamento in via del Colosseo); una quarantina di milioni se ne vanno per gli affitti irrisori di immobili non residenziali e 20 per le concessioni ridicole degli impianti sportivi (caso record: 5.500 euro al mese per l’intero ippodromo di Capannelle, 170 ettari, uno dei più grandi d’Europa). L’evasione della tassa sui rifiuti marcisce sui 50 milioni e quella sui mezzi pubblici viaggia sui 90.  Altri 10 milioni se ne vanno per le auto blu e 35 per l’evasione della tassa di soggiorno, mentre l’extracosto dei funzionari e dei dirigenti assunti grazie a Parentopoli nelle aziende del gruppo Roma Capitale è di 15 milioni.
DEFICIT MILIARDARIO Un miliardo e 200 milioni di sprechi sono un’enormità. Ma è anche l’ammontare del «disavanzo strutturale» del Campidoglio calcolato dalla società di consulenza Ernst&Young: «Un disavanzo fisso che, insieme alle spese per le somme urgenze e per i debiti fuori bilancio, come quelli per le bollette delle fontane», secondo il revisore legale Massimo Zaccardelli, membro dell’Oref capitolino fino allo scorso febbraio, «ha di nuovo portato Roma praticamente al default, benché non dichiarato». In tre parole: Roma è fallita. Di nuovo. E il suo bilancio fa acqua da tutte le parti, e non solo per colpa delle fontane.

L'operaio antincendio brucia la riserva. - Alfonso Contrera

L'operaio antincendio brucia la riserva

Si era assentato dalla sua squadra. Ma gli agenti lo hanno scoperto mentre appiccava le fiamme all'oasi di Vendicari. L'ultimo caso che alimenta i sospetti sull'industria dei roghi.


L'hanno visto con l'accendino in mano, mentre appiccava il fuoco nella riserva di Vendicari, un'oasi di macchia mediterranea nella Sicilia orientale. E sono bastati pochi minuti per capire che il piromane era un operaio antincendio, ingaggiato per fronteggiare la stagione delle fiamme. L'unico che si era assentato dal posto di lavoro per “motivi di famiglia”.

L'arresto di Giovanni Conforto sembra confermare i peggiori sospetti sulla fabbrica dei roghi: gli incendi scatenati solo per giustificare il rinnovo dei contratti alle squadre destinati a spegnerli. Lui è stato particolarmente sfortunato. Una pattuglia del Corpo forestale di Siracusa stava controllando proprio l'attività della squadra di operai che doveva difendere il tesoro verde di Vendicari, una riserva che unisce lo splendore del mare siciliano al patrimonio di vestigia archeologiche e di animali rari. Il capoturno ha spiegato agli agenti che uno dei suoi uomini era rimasto a casa. Ma poco distante i forestali hanno notato un automobile parcheggiata, con una persona chinata a terra che stava accendendo il fuoco. Quando ha capito di essere stato scoperto, Conforto è salito sulla sua vettura e ha cercato di fuggire. L'hanno bloccato nel giro di pochi minuti: un arresto in flagranza di reato, con l'aggravante di avere colpito nella riserva.

«È inammissibile che chi deve tutelare il nostro patrimonio boschivo, lo danneggi», ha dichiarato il presidente della Regione Rosario Crocetta: «Il licenziamento deve essere immediato, per fare comprendere che su queste cose non ci possono essere sconti per nessuno». Solo il 31 luglio l'amministrazione siciliana ha varato un accordo per dare lavoro a 1400 operai stagionali, destinati alla lotta contro le fiamme.

Sull'efficacia di queste misure non mancano le critiche. La scorsa settimana sul Monte di Erice, uno degli angoli più belli del Trapanese, il fuoco ha divorato boschi per ventiquattro ore di fila. E da anni si ripetono le accuse sul ruolo degli operai stagionali.

Nel 2012 l'allora assessore siciliano Andrea Vecchio fece accuse esplicite: «C’è un rumor: che appicchino loro gli incendi. Com’è possibile che in Sicilia ci siano più incendi che nelle altre regioni? È solo un sospetto, ma credo che il numero degli incendi sia direttamente proporzionale al numero dei forestali, precari o da stabilizzare. Loro vengono impiegati, e dico impiegati perché lavorare è un termine troppo importante per utilizzarlo in questi casi. Parole dure? È quello che penso, io dico di me che la parola precede il pensiero, non ho veli. E mi assumo le mie responsabilità». Queste dichiarazioni provocarono l'uscita di Vecchio dalla giunta Lombardo. Ma il politico e imprenditore, oggi parlamentare di Scelta Civica, non ha mai rinunciato a sostenere la sua visione del problema. Anche quando nel 2013 un altro operaio antincendio è stato bloccato mentre creava un rogo a Sciacca, usando addirittura una fiamma ossidrica.