domenica 20 settembre 2020

Arriva l'abolizione del bollo auto. Cancellato anche canone Rai. - Pierpaolo Molinengo


Buone notiizie per i contribuenti Italiani: la pressione fiscale inizia ad abbassarsi grazie all'abolizione del bollo auto, che era attesa da tempo. Discorso diverso, invece, per il canone Rai, che molti utenti riescono ad evadere, riuscendo a continuare a ricevere tutti i canali televisivi senza alcuna limitazione. Per il bollo auto, invece, sembra esserci una decisione ufficiale da parte di alcune regioni italiane, che hanno preso delle iniziative molto importanti a riguardo!

Dobbiamo, però, sottolineare che quella che riguarda il bollo auto è a tutti gli effetti una procedura a tempo determinato: alcune regione, come l'Emilia Romagna, hanno deciso che i detentori di auto ibride siano esentati dal pagamento dell'odiata tassa automobilistica per tre anni. Un risparmio di 191 euro ogni 365 giorni!

Bollo auto e canone Rai: quale dei due è più odiato?

In un'ipotetica gara di odio tra il bollo auto ed il canone Rai sarebbe difficile decretare il vincitore. Senza dubbio le due tasse sono detestate dagli Italiani. Probabilmente, negli ultimi anni, qualcuno si sarà anche dimenticato del canone Rai, anche perché viene addebitato sulla bolletta dell'energia elettrica. In un certo senso viene nascosto, anche se nel momento in cui paghiamo la nostra fornitura di elettricità, ce ne ricordiamo sempre amaramente.

Il bollo auto, invece, è tutta un'altra cosa. Viene pagata anche all'estero, anche se non in maniera così pesante come in Italia. Solo per fare un esempio, in Francia non esiste per i privati, mentre in Spagna si paga due terzi in meno rispetto all'Italia. Nel nostro paese grazie al bollo auto le regioni riescono ad incassare ogni anno qualcosa come 6,5 miliardi di euro. E' una tassa nazionale, ma che è di competenza locale, la cui riscossione è stata affidata alle regioni. In linea teorica queste potrebbero decidere di non applicarlo o di ridurne il costo: questo è stato precisato da una sentenza della Corte Costituzionale del 20 maggio 2019. Qualche osservatore non ha escluso che nella prossima riforma del Codice della Strada possa saltar fuori quale sorpresa per i proprietari delle auto.

Iniziamo con lo spiegare che il bollo auto è una vera e propria tassa automobilistica: la si deve pagare perché si è in possesso di un veicolo a motore. Un tempo veniva anche chiamata tassa di circolazione, perché, in un certo senso, il tributo è riconosciuto per la circolazione di un'automobile sulle strade. Il fatto che un contribuente sia in possesso di un veicolo lo si presume dall'iscrizione nel Pubblico Registro Automobilistico (PRA). Questo significa che tutti i proprietari di auto, moto e veicoli a motore sono obbligati a pagare ogni santissimo anno il bollo auto. Questo viene calcolato in base alla potenza del motore e al grado di inquinamento dello stesso.

Bollo auto: le esenzioni!

Sembra ovvio, a questo punto, che solo per il fatto che si sia in possesso di un'automobile, si sia anche obbligati a pagare il bollo auto. A volte, però, le singole regione ci possono graziare e possono permetterci di risparmiare un po' di soldi. Solo per fare un esempio, la Lombardia ha introdotto delle agevolazioni per quanti abbiano deciso di acquistare dei veicoli a basse emissioni inquinanti. Le auto elettriche sono esenti da bollo, così anche quelle a gas e ad idrogeno. Queste ultime vetture sono esentate dal pagamento del bollo auto per sempre, mentre le automobili nuove o usate, che sino euro 5 o bifuel od ibride, beneficiano di un'agevolazione che dura tre anni.

Altri tipi di veicoli che sono esentati dal bollo auto sono quelli alimentati a GPL. Dobbiamo, però, segnalare che la regolamentazione in questa materia varia di anno in anno ed è diversa nelle varie regioni. In alcune l'esenzione è totale, nelle altre solo parziale.

Sono esentate dal pagamento del bollo auto anche le auto storiche. In questo caso l'esenzione è valida solo e soltanto se il proprietario ne fa richiesta. E' necessario distinguere le auto ultraventennali da quelle ultratrentennali: la normativa considera mezzi ultratrentennali quelli costuiti da più di 30 anni e che non siano adibiti ad usi professionali od utilizzati per l'esercizio di attività d'impresa. In questo caso l'esenzione è totale ed il beneficio è automatico, senza doverne far richiesta. Gli autoveicoli ultraventennali, invece, devono essere in possesso di un certificato di rilevanza storica annotato sulla carta di circolazione. In questo caso viene concessa una riduzione del pagamento nella misura del 50%. I veicoli ultraventennali che non abbiano un certificato di rilevanza storica, ma con attestazione di storicità ASI o FMI, sono assoggettati al pagamento bollo nella misura ridotta del 10%.

Possono beneficiare dell'esenzione del bollo auto anche le persone disabili che rientrino nei requisiti previsti dalla Legge 104/1992. Per richiedere l’agevolazione è necessario compilare un modulo esenzione bollo auto legge 104 e trasmetterlo all’Agenzia delle Entrate entro tre mesi dalla scadenza del pagamento.

Canone Rai: come evitare di pagarlo legamente!

Buone notizie anche per gli utenti della televisione che vogliano evitare di pagare il canone Rai. Benché sappiamo che non sia possibile esimersi dal pagarlo, è bene ricordare che se si rispettano determinate condizioni se ne è esentati. I requisiti che bisogna avere per non pagare il canone Rai sono i seguenti:

  • aver compiuto 75 anni;
  • possedere un Isee uguale od inferiore a 8.000 euro.

In alternativa l’uso di dispositivi non esclusivamente adibiti alla ricezione dei canali possono ottenere il veto all’approvazione delle tasse.

https://www.trend-online.com/prp/bollo-auto-canone-rai/

Laricchia&Laricchio - Marco Travaglio

 













Alessandro Di Battista che non fa un solo comizio per il Sì al referendum, ma arringa la folla pentastellata di Bari contro il mio consiglio agli elettori 5Stelle toscani e pugliesi di “turarsi il naso e votare disgiunto” mette tristezza. E ricorda il compagno Antonio: il comunista di Avanzi interpretato da Antonello Fassari che nel 1993 si risvegliava dopo vent’anni di coma e non ritrovava più nulla del suo piccolo mondo antico, tranne i Pooh. Con eleganza pari all’acume politico, Di Battista paragona il turarsi il naso, cioè scegliere il candidato meno lontano per scongiurare la vittoria del peggiore, a “un cesso pubblico”. E, con sicumera pari alla disinformazione, attribuisce il voto disgiunto alla “vecchia Democrazia cristiana”, che mai neppure lo nominò in 50 anni di vita perché nel sistema proporzionale non c’era niente da disgiungere. Poi scomunica le alleanze che “distruggono i progetti”, dimenticando che tutti i risultati ottenuti dal M5S nell’ultimo biennio con i governi Conte sono dovuti alle alleanze (potrebbe spiegarglielo Barbara Lezzi, che si spellava le mani alle sue spalle: al ministero del Sud chi ce l’ha portata? L’alleanza con la Lega o la cicogna?). Poi elogia Conte (troppo popolare per non prendere fischi attaccandolo), ma anche la candidata presidente Antonella Laricchia, che proprio all’invito di Conte a sedersi al tavolo con Emiliano rispose picche e ora non ha alcuna possibilità di vincere, ma ne ha parecchie di far vincere il peggiore di tutti: Fitto. Ma, per Di Battista, Emiliano e Fitto pari sono. Anche se uno faceva il magistrato e l’altro l’imputato. Anche se uno vuole decarbonizzare l’Ilva, come pure il governo Conte, coi soldi del Recovery Fund e l’altro nel suo programma l’Ilva non la cita neppure per sbaglio. Anche se uno, con tutti i suoi difetti, predica da sempre l’alleanza con i 5Stelle e l’altro li ha sempre schifati. Lo stesso vale per Giani e Ceccardi in Toscana, come ben sa chiunque abbia visto curricula, programmi e discorsi. Non vale invece per la Campania, dove De Luca è pure peggio di Caldoro e benissimo fa il M5S a correre da solo con l’ottima Valeria Ciarambino.

Qualcuno dovrebbe spiegare al compagno Antonio, alias Dibba, che siamo nel 2020, non nel 2009 quando i 5Stelle nacquero in piazza contro tutto e contro tutti. La politica è cambiata, in Italia e in Europa, anche grazie a loro (senza i loro voti, col cavolo che sarebbe stata eletta la Von der Leyen, avremmo avuto gli Eurobond e i 209 miliardi di Recovery Fund e che ora si parlerebbe di abolire i regolamenti di Dublino sui migranti). Il Pd non è più quello di Napolitano e Renzi, equivalente al centrodestra, con cui infatti governava giulivo.

E i 5Stelle non sono più all’opposizione, ma al governo. Perché han saputo turarsi il naso, non per finire nei cessi pubblici, ma per fare alleanze e compromessi, così come i loro alleati: prima la Lega, che li ha traditi, ora il centrosinistra, che li rispetta. Altrimenti sarebbero ancora lì in piazza a strillare senza portare a casa nulla. Ma soprattutto bisognerebbe spiegare a Di Battista cos’è il voto disgiunto (o panachage), previsto in molti Paesi Ue: non un vile e sotterfugio vetero-partitocratico, ma un potere in più che la legge dà agli elettori per differenziare, se vogliono, la scelta sul presidente della Regione da quella sulla lista dei consiglieri. Una specie di doppio turno a turno unico. Se anche nelle Regioni, come nei Comuni, fosse previsto il ballottaggio, oggi i grillini voterebbero M5S e Laricchia; poi, al secondo turno, nello scontato derby Emiliano-Fitto, molti sceglierebbero il meno lontano Emiliano. Ma in Puglia si vota a turno unico, dunque il voto disgiunto consente di concentrare in una sola tornata la scelta che nel ballottaggio si fa due settimane dopo: voto di lista ai 5Stelle e possibilità di scegliere fra i due presidenti possibili. Fra i quali Laricchia, come sanno benissimo anche lei e Dibba, non c’è. Lo stesso vale per la Toscana (che va al ballottaggio solo se nessuno supera il 40%): anche lì la brava candidata Irene Galletti è a distanza siderale da Giani e Ceccardi.
Ora spetta agli elettori M5S decidere, calcolando il danno che le vittorie di Fitto e Ceccardi farebbero alla Puglia, alla Toscana e, vista l’assurda politicizzazione delle Regionali, al governo Conte e all’Italia intera. Così come fecero a gennaio in Emilia-Romagna, quando un terzo di loro votò disgiunto 5Stelle/Bonaccini, scongiurando la vittoria della Borgonzoni in Salvini. L’anno prossimo, se Raggi e Appendino andranno al ballottaggio a Roma e Torino contro i candidati di destra, toccherà agli elettori del centrosinistra turarsi il naso e votare disgiunto: non perché Raggi e Appendino puzzino, anzi sono donne perbene, ma perché non sono amatissime da Pd&C. Il voto disgiunto, fra l’altro, non solo non danneggia i 5Stelle, ma ne aumenta addirittura i voti: i loro simpatizzanti tentati dal Pd per paura di favorire Salvini&C. o di indebolire il governo potranno scegliere serenamente la lista M5S e il presidente Pd. Laricchia e Galletti arriveranno comunque terze, ma il M5S avrà più consiglieri regionali per tener d’occhio e combattere Giani ed Emiliano ogni volta che lo meriteranno. Se invece chi arriva terzo si arrocca e impedisce ai suoi elettori di scegliere fra gli altri due, condanna i 5Stelle all’irrilevanza. E lavora per Salvini e/o per Draghi. Magari a sua insaputa, che è pure peggio.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/20/laricchialaricchio/5937297/

Domani e lunedì persino Internet si schiera per il taglio. - Giovanni Valentini



“Non si tratta, com’è ovvio, di superare la democrazia rappresentativa, ma precisamente di farla evolvere verso una ‘democrazia deliberativa’, in cui la cittadinanza occupi un ruolo più attivo e partecipativo non solo nei processi di promozione del consenso, ma anche in quelli di costruzione della decisione”

(da Política e Democracia na era digital di João de Almeida Santos – Parsifal, 2020 – pag. 150)

Trecentomila euro al giorno. Cento milioni all’anno. Mezzo miliardo in una legislatura. E, anche se fosse solo la metà, scusate se è poco. Ma, quale che sia la cifra esatta, non è questo in realtà il “focus” del referendum costituzionale in programma domani e dopodomani.

Mettiamo pure da parte, per un momento, la querelle sull’entità dei risparmi che la riduzione del numero dei parlamentari comporta. Concentriamoci piuttosto sullo snellimento e sulla maggiore rapidità dei lavori parlamentari che una vittoria del Sì può verosimilmente innescare. Come? Con un effetto di accelerazione favorito dalle tecnologie digitali e dai nuovi strumenti di comunicazione, da Internet ai social network.

Attraverso la Rete, il deputato o il senatore può innanzitutto gestire meglio e più direttamente i rapporti con i suoi elettori via email o WhatsApp. È vero che – la Costituzione – non ha un “vincolo di mandato”, ma il parlamentare deve pur sempre interloquire e confrontarsi con la sua constituency per rappresentarne le legittime aspettative, senza piegarsi a logiche clientelari nell’ottica dell’interesse nazionale. La tecnologia gli consente di ridurre eventualmente i comizi, gli incontri o le visite alle sezioni di partito superstiti, e quindi i trasferimenti logistici, per aumentare piuttosto il numero e l’intensità dei suoi contatti.

Al tempo della democrazia digitale, il deputato o il senatore ha gli strumenti per partecipare di più ai lavori e alle votazioni; per accedere agli archivi o ai documenti e provvedere più agevolmente all’elaborazione e alla stesura delle proposte di legge; per attendere meglio alla comunicazione con i componenti del proprio gruppo o con i propri collaboratori, oltre che con la propria base elettorale. E così si riuscirà forse a contenere la proliferazione delle sedi e degli uffici disseminati intorno a Montecitorio e a Palazzo Madama. Lo smart working e il voto online possono valere anche per i peones, gli assenteisti e i trasformisti.

Per tutte queste ragioni è opportuno che il numero dei parlamentari, in un equilibrato rapporto con la popolazione, diminuisca fisiologicamente com’è accaduto per tante altre categorie: dai dipendenti pubblici agli impiegati o funzionari di banca, compresi i giornalisti e i poligrafici. In qualsiasi campo o settore, oggi meno persone svolgono più compiti, mansioni e funzioni di quelle che svolgevano i loro colleghi sessant’anni fa: cioè quando una legge costituzionale stabilì nel 1963 che i deputati dovevano essere 630 e i senatori 315, per un totale di 945, con tutti i loro privilegi, indennità e immunità. Adesso anche loro sono in condizione di lavorare meglio e produrre di più.

Non è un paradosso, perciò, sostenere che nell’era digitale il taglio dei parlamentari – anziché ridurre la democrazia rappresentativa, come sostengono i fautori del No – possa favorire piuttosto l’avvento di quella “democrazia deliberativa” auspicata dal sociologo e filosofo tedesco Jürgen Habermas, insieme a tanti altri studiosi internazionali. Sì, quindi, a una democrazia più partecipata, circolare ed efficiente. Insomma, più adeguata ai tempi in cui viviamo.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/19/domani-e-lunedi-persino-internet-si-schiera-per-il-taglio/5936687/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-09-19