martedì 8 ottobre 2019

Nobel per la Medicina a Kailin, Ratcliffe e Semenza.


Il premio è per la scoperta del modo in cui le cellule utilizzano l'ossigeno. Questo meccanismo ha un'importanza cruciale per mantenere le cellule in buona salute e averlo scoperto ha aperto la strada alla comprensione di molte malattie, prime fra anemia e tumori.


Il processo che permette alle cellule di adattarsi al livello di ossigeno è fondamentale sia per capire molti processi fisiologici (a sinistra) sia per affrontare molte malattie (fonte: Fondazione Nobel)

CHI SONO I PREMIATI
Sir Peter J. Ratcliffe, ha 65 anni, nato in Gran Bretagna, a Lancashire nel 1954, ha studiato a Cambridge e poi si è specializzato in nefrologia a Oxford. In questa università ha dato vita a un gruppo di ricerca ed ha avuto una cattedra nel 1996. Attualmente dirige il Centro per la ricerca clinica dell'Istituto Francis Crick di Londra ed è membro dell'Istituto Ludwig per la ricerca sul cancro.
L'americano Gregg L. Semenza, 63 anni, è nato a New York nel 1956 e ha studiato biologia ad Harvard e poi nell'Università della Pennsylvania. Si è specializzato in pediatria nella Duke University e dal 1999 insegna nella Johns Hopkins University, dove dal 2003 dirige il programma sulla ricerca vascolare.
William G. Kaelin, 62 anni, è nato a New York nel 1957 e, dopo gli studi nelle Duke University, si è specializzato in Medicina interna e oncologia nella Johns Hopkins University. Dal 2002 insegna a Harvard.
LA SCOPERTA
Il merito di Kaelin, Ratcliffe e Semenza è nell'avere scoperto il meccanismo molecolare che, all'interno delle cellule, regola l'attività dei geni in risposta al variare dei livelli di ossigeno. Il loro è stato un traguardo inseguito per decenni. La posta in gioco era infatti altissima perché l'ossigeno è l'elemento fondamentale che permette a ogni essere vivente di convertire il cibo in energia, e che è alla base di processi fisiologici fondamentali, dallo sviluppo embrionale alle difese immunitarie.
E' infatti nella capacità delle cellule di 'dialogare' con l'ambiente uno dei segreti della loro capacità di adattarsi, regolando il loro metabolismo e ogni loro funzione fisiologica. Il primo passo in questa direzione risale a 88 anni fa, quando il fisiologo tedesco Otto Warburg dimostrò che la conversione dell'ossigeno in energia dipende da un processo enzimatico, aggiudicandosi il Nobel per la Medicina nel 1931. Un altro passo in avanti è stato fatto dal fisiologo belga Corneille Heymans, Nobel per la Medicina nel 1938, con la scoperta che nella carotide esistono cellule che si comportano come sensori dell'ossigeno.
Le ricerche sono andate avanti negli anni, finché Semenza non ha individuato un altro sensore dei livelli di ossigeno nel gene chiamato Epo e ha dimostrato il suo legame con la carenza di questo elemento (ipossia) con esperimenti su topi geneticamente modificati. Parallelamente il gruppo di Ratcliffe studiava i meccanismi che regolano l'attività del gene Epo ed entrambe le linee di ricerca hanno finito per dimostrare che il gene è presente in tutti i tessuti dell'organismo. E' cominciata così la caccia agli altri protagonisti che aiutano le cellule ad adattarsi a diversi livelli di ossigeno e, nel 1995, studiando le cellule del fegato, Semenza ha scoperto il fattore che induce l'ipossia (Hif).
A trovare una risposta ulteriore è stato William Kaelin, che studiando una malattia ereditaria ha scoperto il ruolo di un altro gene, chiamato Vhl, capace di aiutare le cellule tumorali a superare l'ipossia. Ricerche successive hanno permesso di ricostruire l'intero processo che regola la risposta delle cellule all'ossigeno, e contemporaneamente hanno lasciato intravedere l'importanza che poter controllare questo meccanismo può avere per capire molti processi fisiologici, come metabolismo, sistema immunitario, sviluppo embrionale, respirazione e adattamento all'alta quota, e per affrontare molte malattie, come anemia, tumori, infarto, ictus, riparazione delle ferite.
L'incontro con ricerca italiana sulle piante
Non solo cellule animali: le piante percepiscono l'ossigeno con un meccanismo molto simile a quello che ha valso il Nobel per la Medicina al britannico Peter Ratcliffe e agli americani William Kaelin e Gregg Semenza. "Abbiamo voluto collaborare con Ratcliffe per verificare se il meccanismo con cui le piante percepiscono l'ossigeno, da noi scoperto, è simile a quello al quale stava lavorando sulle cellule animali lo studioso premiato oggi con il Nobel", ha osservato il ricercatore che ha coordinato lo studio nella Scuola Sant'Anna di Pisa, Pierdomenico Perata, in collaborazione con Francesco Licausi e Beatrice Giuntoli, ora entrambi nell'Università di Pisa.
Pubblicata sulla rivista Science nel luglio 2019, la ricerca è stata condotta negli ultimi tre anni in collaborazione fra il PlantLab dell'Istituto di Scienze della Vita della Scuola Sant'Anna, del dipartimento di Biologia dell'Università di Pisa e il gruppo di Ratcliffe a Oxford. "Da sempre - ha detto Perata - il meccanismo di percezione dell'ossigeno negli animali e nelle piante era considerato diverso, così come da sempre si è guardato a piante e animali come a due mondi diversi". Oggi, ha aggiunto, "sappiamo che il meccanismo è molto simile e che è condiviso da piante e animali: é un esempio esempio molto bello di come la ricerca di base nelle piante può essere tradotta in applicazioni importanti, anche nell'uomo"

Nobel per la Fisica a Peebles, Mayor e Queloz, cacciatori di mondi alieni.




Sono un canadese e due svizzeri.

All'indomani dell'annuncio dei vincitori del Nobel per Medicina, il cosmologo James Peebles e i planetologi Michel Mayor e Didier Queloz sono stati premiati con il Nobel per la Fisica 2019 per le loro scoperte relative alla radiazione cosmologica di fondo e ai primi pianeti esterni al Sistema Solare: scoperte che hanno cambiato la nostra immagine dell'universo. 
Chi sono i vincitori.
Il Nobel per la Fisica 2019 è andato al canadese James Peebles, 84 anni, per il suo contributo alla radiazione cosmica di fondo, ossia l'eco del Big Bang che ha dato origine all'universo. Nato a Winnipeg nel 1935, ha lavorato nell'Università americana di Princeton. A lui è assegnata la metà del premio.
Gli svizzeri Michel Mayor e Didier Queloz dividono l'altra metà del premio per la scoperta dei primi pianeti esterni al Sistema Solare. Michel Mayor, 77 anni, è nato a Losanna nel 1942 e ha insegnato nell'Università di Ginevra. Con il collega Didier Queloz, che ha lavorato fra le università di Ginevra e Cambridge, ha scoperto nel 1995 il primo pianeta estero al Sistema Solare intorno a una stella simile al nostro Sole.
DUE RICERCHE DIVERSE, ENTRAMBE RIVOLUZIONARIE.Sono due ricerche molto diverse, quelle che si dividono i tre premiati, ma entrambe hanno il merito di avere aperto strade nuove, capaci di portare a una nuova visione dell'universo. La scoperta di Peebles ha avuto il merito di avere osservato le tracce dell'evoluzione dell'universo dall'epoca del Big Bang, interpretandole al punto da proporre un'immagine completamente nuova, nella quale l'universo non era fatto soltanto di stelle, galassie e pianeti. 
La nuova immagine dell'universoLa materia visibile, anzi, lo occuperebbe solo per una minima parte, pari al 5% e il restante 95% sarebbe costituita dalla materia oscura, fatta di particelle invisibili e finora mai viste, e dall'energia oscura, anche questa dalla natura misteriosa. Scoprire la natura di questi oggetti misteriosi è la grande scommessa della fisica contemporanea, sulla quale stanno indagando centinaia di ricercatori in tutto il mondo e grandi progetti, come quelli condotti dal più grande acceleratore del mondo, il Large Hadron Collider (Lhc) del Cern di Ginevra.

Localizzazione della stella 51 Pegasi, attorno alla quale ruota il primo pianeta esterno al Sistema Solare mai scoperto, individuato da Michel Mayor e Didier Queloz (fonte: © Johan Jarnestad/The Royal Swedish Academy of Sciences”) 
Infiniti mondi.Mayor e Queloz hanno aperto un'altra porta sull'universo, altrettanto sorprendente, dimostrando che il nostro Sistema Solare non è affatto unico né un'eccezione nell'universo. Nel 1995 i due astronomi svizzeri hanno scoperto infatti il primo pianeta esterno al Sistema Solare, in orbita intorno alla stella 51 Pegasi e chiamato 51 Pegasi b. Era un gigante gassoso simile a Giove.

Localizzazione della stella 51 Pegasi, attorno alla quale ruota il primo pianeta esterno al Sistema Solare mai scoperto, individuato da Michel Mayor e Didier Queloz (fonte: © Johan Jarnestad/The Royal Swedish Academy of Sciences”)
Da allora nuovi pianeti sono stati scoperti con i telescopi basati a Terra e poi con i telescopi spaziali, come Hubble e i cacciatori di pianeti Kepler e Tess, entrambi della Nasa: è stata una vera e propria esplosione di scoperte che in poco più di 20 anni ha permesso di scoprire oltre 4.000 pianeti extrasolari. Molti di questi sono giganti gassosi come 51 Pegasi b, ma stanno diventando sempre più numerosi i pianeti rocciosi simili alla Terra.

L'area nella quale si è andati ginora in cerca di pianeti esterni al Sistema Solare, localizzata nella Via Lattea (fonte: © Johan Jarnestad/The Royal Swedish Academy of Sciences”) 
Fioramonti, studiare il cosmo aiuta lo sviluppo
Un premio che ricorda come studiare il cosmo possa diventare un motore per lo sviluppo: è anche questo, per il ministro per l'Istruzione, Università e Ricerca Lorenzo Fioramonti, il Nobel per la Fisica assegnato oggi a James Peebles, Michel Mayor e Didier Queloz.
 "E' un modo per ricordarci che la ricerca sull'universo non è importante solo dal punto di vista scientifico, ma può avere anche un impatto sul miglioramento dell'economia e dello sviluppo industriale", ha detto ancora il ministro a margine della presentazione dell'Expoforum europeo dedicato alla Space economy. Per il ministro un esempio dell'impatto che la ricerca sull'universo può avere sull'economia e lo sviluppo è la costruzione della più grande rete di radiotelescopi del mondo, chiamata Ska (Square Kilometre Array), "di cui l'Italia è capofila". 
Saccoccia (Asi), Italia protagonista della ricerca sull'universo.
"Il Nobel assegnato oggi - ha osservato - è un altro risultato straordinario che premia la ricerca sull'universo: un settore nel quale l'Italia è da sempre impegnata da protagonista. È fondamentale continuare a impegnarsi in questo campo".

Il Jova Beach Party e la protezione delle aree naturali. - Lisa Signorile

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Un'immagine della tappa di Roccella Ionica del Jova Beach Party. Fotografia Ansa

A conclusione del tour di concerti di Jovanotti sulle spiagge ci si pone la domanda su quali siano stati gli effettivi impatti ambientali, e se questo tipo di esibizione sia - sul lungo termine - sostenibile in ambienti fragili e sotto costante pressione antropica come le coste italiane. Abbiamo voluto fare il punto per le estati a venire.


L'estate appena trascorsa ci ha regalato un'insolita operazione di divulgazione mista a marketing, il "Jova Beach Party", in cui 17 dei 19 concerti del cantante e musicista Jovanotti sono stati organizzati sulle spiagge italiane ed erano accompagnati dalla campagna del WWF Plastic Free Tour.

“Tante persone”, dice a National Geographic Italia Gaetano Benedetto, direttore generale del WWF Italia, “hanno ritenuto che questo fosse un cambio di linguaggio dell’ambientalismo, che avvicinava la gente comune alle problematiche globali. Quest’anno si è svolta la più grande campagna popolare sul tema delle plastiche che sia mai stata fatta”.

L’iniziativa era interessante da un punto di vista della comunicazione, ma secondo gli addetti ai lavori tra cui ornitologi e associazioni ambientaliste impegnate sul territorio, ha costi troppo alti in termini ambientali, e questo tipo di concerti sarebbero in futuro assolutamente da scoraggiare. Recentemente, gli oltre 200 iscritti al Convegno Italiano di Ornitologia hanno infatti 
sottoscritto all’unanimità un documento in cui chiedono “che non vengano svolti eventi che prevedono consistenti afflussi di pubblico, negli ambienti costieri naturali o con residua naturalità frequentati o potenzialmente utilizzabili dal Fratino e da altre specie di interesse conservazionistico”

Infatti, l’infrastruttura del concerto, pensata per accogliere tra 25.000 e 40.000 persone a serata, doveva essere montata, come ha scritto la Trident, la società che organizzava questi concerti, su “alcune tra le più belle spiagge italiane”. In breve, giusto sulle spiagge meno antropizzate, quelle che accolgono ancora alcuni degli ecosistemi costieri relitti, proprio quelle zone umide che, secondo il recente rapporto delle Nazioni Unite sul preoccupante e rapido declino degli ambienti naturali, negli ultimi tre secoli si sono ridotte di oltre l’85%, una perdita, secondo il rapporto, “tre volte più rapida, in percentuale, della perdita delle foreste”.

“Le aree costiere italiane”, dice a National Geographic Italia Magazine Augusto De Sanctis, consigliere della ONLUS Stazione Ornitologica Abruzzese e ornitologo specializzato in limicoli costieri, “sono sottoposte ogni giorno a stress immensi. L’80-85% di spiagge, almeno in Abruzzo, non ha più specie psammofile, ovvero adattate a vivere negli ambienti sabbiosi. Sono rimasti piccoli tratti di duna degradata e frammenti di dune pioniere con vegetazione annua, il che non vuol dire che il primo stadio sia meno importante dell’ultimo. Siamo a favore dei concerti e della musica, ma da farsi nei luoghi adeguati, come gli stadi”.

Le tappe e gli "intoppi"
Delle varie tappe del tour programmate, tre sono state modificate: quella di Albenga è stata annullata a causa di una mareggiata che ha eroso la spiaggia. Quella prevista a Ladispoli è stata spostata a Marina di Cerveteri dopo la protesta delle associazioni ambientaliste. Quella di Vasto è stata spostata a Montesilvano per motivi legati a ordine pubblico e sicurezza, ma anche per via di esposti e proteste degli ambientalisti.

Nelle altre tappe invece i concerti si sono svolti regolarmente, malgrado le contestazioni. “Si è fatta una sorta di frullatore di valori” dice il direttore del WWF, coinvolto nell’organizzazione dei concerti, “per cui spiagge antropizzate come, ad esempio, quelle di Rimini, Lido degli Estensi, Castel Volturno, erano trattate con la stessa enfasi e approccio valoriale di spiagge sottoposte a vincoli”.

Non tutti però concordano, e tra questi c’è l’ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, che in una replica a una richiesta di informazioni di un privato sugli effetti ambientali del Jova Beach Party a Lido degli Estensi replica che “la documentazione fotografica inviata a corredo della richiesta sembra testimoniare sostanziali trasformazioni della situazione ambientale originaria”.

La stessa situazione, secondo le associazioni ambientaliste, si applica a Castel Volturno, dove per il concerto, avvenuto a ridosso di un Sito di Interesse Comunitario (SIC), è stata rimossa con mezzi meccanici la vegetazione perenne psammofila, che include specie rare come l’Achillea maritima.

“Sembra che una parte di questo paese abbia scoperto oggi che le spiagge italiane vengono pulite con le ruspe, comprese le aree naturali protette”, afferma Benedetto. “Dire che questa situazione è responsabilità di Jovanotti o il fatto che per pulire un’area per 40000 persone si usano gli stessi mezzi che si utilizzano quotidianamente diventa un momento d’accusa forse un po’ eccessivo”. Tuttavia in futuro bisognerebbe forse evitare in toto di pulire le spiagge con mezzi meccanici, a prescindere se si tratti di lidi per turisti o di concerti con decine di migliaia di partecipanti.

Roccella Jonica e le tartarughe.
Le ruspe, infatti, possono essere distruttive. “Ma lei le ha viste le immagini di Roccella Jonica?” Esclama scoraggiato De Sanctis. “Una ruspa che fa una spianata di quel tipo porta via un intero tratto di spiaggia con ambienti protetti dalla direttiva habitat e tutto ciò che consegue. In questo caso i mezzi meccanici hanno spianato un tratto grande come due o tre campi da calcio”.

La posizione di Roccella Jonica era particolarmente critica in quanto è un sito potenziale di nidificazione delle tartarughe marine. “Di solito”, mi spiega uno dei soci fondatori di Caretta Calabria Conservation che preferisce rimanere anonimo, “la femmina elegge a proprio sito riproduttivo un tratto di costa più o meno vasto e fa un nido ogni 15 giorni circa, sino a 4, 5 deposizioni. Quest’anno, manco a farlo apposta, probabilmente la stessa femmina ha nidificato proprio nei dintorni della zona del concerto: a Riace, a Grotteria a Mare (subito a nord e subito a sud) e a Marina di Gioiosa Jonica che è il comune limitrofo. Non lo sapremo mai, ma magari ne ha fatto proprio un altro nella zona in cui le ruspe hanno fatto spazio al concerto di Jovanotti, solo che nessuno lo ha rinvenuto”.

Persino Benedetto ammette che a Roccella “c’era un’area anche interessante sotto un profilo di ripresa naturalistica dopo che la spiaggia si è formata a seguito della realizzazione del porto” e che “si poteva far meglio”. Ma c’è di più. A cosa era destinato quel tratto di spiaggia? Secondo Benedetto “nell’area dove si è svolto il concerto a Roccella Jonica, nel piano spiagge approvato dalla provincia di Reggio Calabria con valutazione ambientale strategica e quindi con tutto l’iter, la destinazione di quell’area è per eventi, è pubblica”.

Tuttavia l’area spianata dalle ruspe, fotografie aeree alla mano, si espande ben oltre l’area destinata a uso turistico. Va infatti a occupare una grande porzione dell’area destinata a rinaturalizzazione, ovvero, secondo il piano spiagge approvato dalla città metropolitana, “aree demaniali nelle quali l'ambiente naturale deve essere conservato/ripristinato nella sua totale integrità”. Chi ha autorizzato l’intervento non ha quindi tenuto conto della destinazione dell’area indicata dal piano spiagge, riducendo di fatto il tutto a una spianata desertificata.

Anche l’ISPRA è perplessa. Risponde infatti così a una richiesta di chiarimenti di De Sanctis: “Si ritiene che sia gli interventi ambientali necessari alla preparazione del sito in funzione dell’evento, sia la realizzazione dell’evento stesso e il successivo ripristino dell’area, comportino rischi di impatto su diverse componenti ambientali compresi habitat e specie tutelati dalla normativa comunitaria vigente”.

Il fosso Marino e le fogne di Nuova Delhi.
Le anomalie di Roccella si sono ripetute a Vasto, dove però il concerto non si è più svolto. A Vasto le problematiche erano molteplici, e alcune riguardavano la sicurezza stessa del pubblico del concerto. La prefettura di Chieti infatti ha annullato il concerto “a causa di gravi carenze di carattere documentale riscontrate, nonché l’assenza di alcune necessarie pianificazioni”. In particolare c’erano problemi riguardanti “la viabilità e i parcheggi” perché si voleva destinare a parcheggio un tratto della statale 16, una delle principali vie percorribili lungo l’Adriatico, nel periodo del massimo traffico ferragostano.

Inoltre il fosso Marino, un corso d’acqua ritenuto “a rischio idrogeologico”, è stato preventivamente ‘tombato’ dal comune, cioè reso sotterraneo, per allestire l’area per il concerto. Secondo la Prefettura di Chieti, “l’evento è stato programmato su un sito inidoneo dal punto di vista della safety e della security con potenziali pericolosità per gli spettatori”. Come a Roccella, anche il piano spiaggia del comune di Vasto indicava quell’area come zona di rinaturalizzazione. Inoltre, il canneto nel tratto terminale del fosso Marino, rifugio invernale di molte specie tra cui anfibi a rischio, è stato tagliato durante i lavori per tombare il corso d’acqua in violazione della normativa comunitaria.

La Trident e Jovanotti hanno preso molto male la decisione, ed è stato questo l’evento che, insieme a qualche piccola polemica locale a Montesilvano, dove è stato spostato l’evento di Vasto, ha portato Jovanotti a paragonare su Facebook l’ambientalismo italiano alle fogne di Nuova Delhi. Il WWF è rimasto al fianco del cantante: “Non bisogna perdere di vista”, ha chiarito Benedetto, “che non stiamo buttando giù le dune del Circeo”.

Policoro e gli eliporti.
A Policoro la tappa si è svolta in un SIC che si chiama Foce dell’Agri. “La foce dell’Agri”, afferma il direttore del WWF,  “è stata alterata con autorizzazione certamente sbagliata, che ha consentito la realizzazione di un porto, di un villaggio turistico, di una darsena, di un albergo a 5 stelle, di un eliporto, di una serie di attività commerciali e ha costruito una piccola città su questo fiume, tutto regolarmente autorizzato. Il concerto di Jovanotti è avvenuto a ridosso del muraglione del porto, chilometri lontano dai siti di nidificazione della tartaruga”.

Un’area protetta, quindi, ma già gravemente compromessa. Alcuni video amatoriali, indubbiamente di parte, mostrano le ruspe sulla vegetazione dunale protetta. Ma quello che sorprende di più è che il redattore della valutazione di incidenza ambientale fatta effettuare dalla Trident, sia l’ing. Marco Vitale, che risulta essere il proprietario del centro turistico di Marinagri, ovvero di quegli stessi alberghi, porti, eliporti, etc. etc., che hanno compromesso il SIC. Tutto regolarmente autorizzato.

La plastica e l’ambiente.
Le polemiche sull'impatto ambientale del tour hanno accompagnato quasi tutte le tappe. Un punto fermo dell’ecologia moderna è che qualunque attività umana svolta in ambiente non antropizzato ha un impatto più o meno grande. Ci sono altri punti quindi su cui forse vale la pena di soffermarsi.

Ammassare in un punto solo le auto di 20-30mila persone (i carabinieri di Vasto stimavano per il 17 agosto 27.000 veicoli circolanti) ha una carbon footprint elevatissima, anche considerando gli ingorghi, lamentati da molti partecipanti, alla fine del concerto, e questo moltiplicato per 19 tappe. Sempre dalla relazione del verbale dei carabinieri di Vasto si apprende che i “fuochi d’artificio freddi che non prevedono combustibile e fiamme ma solo polveri di farina di riso”, previsti nella relativa valutazione di incidenza ambientale, sono effettivamente prodotti con macchine alimentate con isoparaffina liquida, un derivato del petrolio e “bidoni di fuoco” che producono fiamme bruciando bioetanolo. Non citiamo i 12.000 euro spesi solo in energia elettrica a serata, che fanno quasi 150.000 euro in energia, ma vale la pena di menzionare che le bottiglie in alluminio -a causa della legge vigente-erano vietate, a favore di quelle di plastica (riciclata, per carità).

Spiagge e eventi di massa, un futuro da riconsiderare.
Il Jova Beach Party è stata una manifestazione di grande successo, sia in termini di popolarità (con circa mezzo milione di spettatori complessivi), sia in termini di fatturato (un biglietto singolo costava circa 60 Euro), e così lo sono state altre analoghe, sebbene più piccole, esibizioni canore in altri luoghi naturali italiani più o meno protetti. Visto il successo, è molto probabile che questi eventi si ripetano i prossimi anni, e che possano dare il via a una “moda” di grosse iniziative con decine di migliaia di spettatori che si riuniscono in aree naturali delicate e prive delle infrastrutture necessarie alla ricezione, tra cui il trasporto pubblico. Viste le numerose problematiche sollevate quest’anno dai concerti di Jovanotti, sorge tuttavia il dubbio che queste iniziative non siano ecosostenibili e che dovrebbero essere scoraggiate dagli organi competenti.

Il ministero dell’Ambiente, silente per tutta l’estate, a una esplicita richiesta di National Geographic Italia ha così commentato: “Sul versante della gestione dei Siti Natura 2000 è in fase di approvazione un documento di indirizzo alle Regioni per la corretta valutazione d’incidenza di piani e progetti. Tale atto, insieme all’attenzione sollevata da questi eventi, contribuirà ad una maggiore consapevolezza e di conseguenza ad una più attenta programmazione e valutazione di futuri eventi analoghi”.

Resta il dubbio che non ci sia il tempo e/o la volontà di limitare la prossima estate questi eventi in aree più idonee come stadi o palazzetti dello sport. Ha senso educare solo su un aspetto ecologico (la plastica in mare) ignorando invece la fragilità delle nostre coste e di altri ambienti a rischio? Il nostro pianeta, come dice Greta Thumberg, “è in fiamme”, e non abbiamo molto tempo per agire. Forse una prima azione sarebbe proprio educare il pubblico al rispetto di tutti gli ecosistemi, prima che sia troppo tardi, utilizzando quello che abbiamo imparato quest’anno per prevenire errori futuri.

Geppetto e Pinocchio. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano dell'8 Ottobre.

L'immagine può contenere: 2 persone, persone che sorridono

La condanna di babbo e mamma Renzi a 1 anno e 9 mesi ciascuno per false fatture, cioè per frode fiscale, potrebbe essere una questione privata del signor Tiziano e della signora Laura. Non c’è alcun elemento che dimostri un qualunque ruolo del figlio Matteo nella vicenda. E il fatto che il loro amico Luigi Dagostino, imprenditore del ramo outlet, condannato (anche per truffa) a 2 anni, abbia dichiarato al processo di aver pagato nel 2015 quelle due fatture esorbitanti da 160 mila euro per “sudditanza psicologica” verso i “genitori del presidente del Consiglio”, non significa che Matteo ne sapesse qualcosa (anche se dovrebbe astenersi, per pudore, dal parlare di evasione fiscale). Ma solo che i genitori approfittavano della posizione del figlio per fare affari, per così dire, border line.

Come del resto il babbo nel caso Consip e nelle avance del fido Carlo Russo al governatore Emiliano per un business in Puglia parlano da sé. Purtroppo per Matteo Renzi, è stato lui a trasformare le indagini sui genitori da questione privata a questione pubblica, cioè politica. Perché non s’è limitato a esprimere solidarietà ai congiunti, ma ha messo la mano sul fuoco sulla loro assoluta estraneità; non contento, ha accusato i magistrati di indagare su di loro per colpire lui con finalità politiche; e, non bastando, ha minacciato e addirittura firmato in pubblico raffiche di denunce ai (pochi) giornalisti che osavano raccontare gli scandali della sua famiglia, mescolando la sua figura pubblica a quelle private di babbo e mamma col noi maiestatico.


Il 22 febbraio scorso disse: “Sono fiero e orgoglioso di esser figlio di Tiziano Renzi e Laura Bovoli perché conosco i fatti e perché mio padre e mia madre vogliono difendersi nel processo…


Noi non vogliamo impunità, immunità, scambi per non andare a processo. Noi non scappiamo come gli altri, vogliamo andare in quell’aula. Lì vedremo chi ha ragione e chi torto”. Ecco: fermo restando che non è prevista alcun’immunità per i parenti dei politici, dunque è ridicolo vantarsi di rinunciare a qualcosa che non esiste, ieri in quell’aula è arrivata la condanna.


Il 13 febbraio aveva dichiarato: “Quando tuo padre viene intercettato, pedinato, seguito quasi fosse un camorrista per quattro anni, la sua vita scandagliata come mai era accaduto a un libero cittadino che fino a 63 anni aveva commesso forse quale unica infrazione un eccesso di velocità, è evidente che qualcosa non torna. Non voglio far leva su un elemento soggettivo, ovvero… come muta il clima al pranzo di Natale quando i tuoi familiari… ti considerano responsabile della crisi cardiaca che ha colpito tuo padre”.


Ora, la sentenza di ieri conferma che i genitori non sono stati indagati perché avevano quel figlio, ma perché facevano pasticci con le loro società: sennò non ci sarebbe stata alcuna indagine.


“Chi ha letto le carte – sostenne Renzi il 18 febbraio appena i suoi finirono ai domiciliari – mi garantisce di non aver mai visto un provvedimento così assurdo e sproporzionato. Mai. Da figlio, sono dispiaciuto per aver costretto le persone che mi hanno messo al mondo a vivere questa umiliazione immeritata e ingiustificata. Se io non avessi fatto politica, la mia famiglia non sarebbe stata sommersa dal fango. Se io non avessi cercato di cambiare questo Paese, i miei sarebbero tranquillamente in pensione”. Invece chi ha letto le carte sa che le sue presunte riforme, con le indagini sui familiari, non c’entrano una mazza.


A proposito di Consip, Renzi rincarò: “È indegno il tentativo di tacere sullo scandalo di un premier contro il quale elementi della magistratura, delle forze dell’ordine, dell’intelligence agiscono di concerto con qualche servitore dello Stato che arriva a falsificare prove e a meritarsi l’accusa di depistaggio”. Giusto il 3 ottobre il gup ha stabilito che nessun servitore dello Stato falsificò prove né depistò le indagini Consip, a parte il Giglio magico renziano: l’errore del capitano Scafarto nel riportare una delle migliaia di intercettazioni fu “sicuramente involontario” e ininfluente sul quadro accusatorio; e gli unici depistaggi “volti a impedire il regolare corso delle indagini” furono di “ambienti istituzionali vicini all’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi”. Il quale ora dovrebbe scusarsi con Woodcock e Scafarto per averli calunniati e con gli italiani per averli buggerati con montagne di fake news.


Una volta però ne disse una giusta persino lui: “Il tempo è galantuomo. Mentre scrivo, mio padre non è stato condannato per nessuno dei reati contestati. E le uniche condanne sono arrivate a chi, come il direttore del Fatto Marco Travaglio, ha diffamato mio padre”.


Ecco, il tempo è talmente galantuomo che suo padre e sua madre sono stati condannati per frode fiscale, mentre noi abbiamo scritto solo cose vere, ma purtroppo le nostre sentenze di primo grado sono arrivate prima di quelle sui suoi genitori: ergo ci vediamo in appello.


Intanto apprezziamo l’improvvisa sete di verità che ha colto Renzi nell’intimare a Conte di fare ciò che ha già detto che farà: spiegare al Copasir il suo ruolo negli incontri fra i nostri 007 e un ministro Usa.


Mentre ci auguriamo che il premier lo faccia al più presto, rammentiamo (a pag. 7) alcune questioncine che Renzi si scorda da anni di chiarire: le sue spese “istituzionali” da sindaco di Firenze; la soffiata a De Benedetti sul DL Banche; gli spifferi nel suo entourage sull’inchiesta Consip e il famoso incontro fra Tiziano-Romeo, sempre negato dai due e anche da lui, ma alla fine accertato; lo strano leasing dell’Air Force Renzi a un prezzo 26 volte superiore a quello speso da Etihad per acquistarlo; e altre cosette così. Ci fa sapere?


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Giordania: alla scoperta di Jerash, l'antica Gerasa. - Eva Tobalina

Giordania: alla scoperta di Jerash, l'antica Gerasa
Una veduta del Foro ovale dal Tempio di Zeus. Il foro collegava la porta meridionale di accesso al Cardo Massimo della città. Queste particolari piazze ovale sono tipiche delle città romane d’Oriente. Fotografia di Kitti Boonnitrod/Getty images
Fiorente polo commerciale dal passato leggendario, la città conobbe il suo periodo più prospero sotto l’Impero romano. E ancora oggi i suoi meravigliosi monumenti fanno rivivere lo splendore dell’Impero.
Nell’Antico Testamento viene descritto il viaggio degli Ebrei verso la Terra promessa. Una volta giunti ai confini del Regno di Edom, nel Deserto del Negev, implorarono il popolo che lo abitava di lasciarli transitare:
“Lasciateci passare per il vostro paese, seguiremo la Via Regia finché avremo oltrepassato i vostri confini”
La Via Regia, citata nei versetti della Bibbia, era un’antichissima via mercantile che esisteva già nell’Età del Bronzo e connetteva le genti e le città del Medio Oriente, dal Golfo di Aqaba  fino a Damasco. Anche se lungo la via non sorsero grandi imperi, le città che ne erano attraversate prosperarono grazie ai commerci, poiché tutte le mercanzie più pregiate dell’epoca, spezie, grano, incenso e perle, viaggiavano su quella direttrice.
Giordania: alla scoperta di Jerash, l'antica Gerasa
Il Teatro meridionale. - Fotografia di Jochen Schlenker/Age Fotostock
Una delle città più importanti che si svilupparono lungo la Via Regia fu Jerash, fondata durante la colonizzazione greca della regione. La città continuò a crescere e ad arricchirsi grazie ai traffici commerciali fino alla conquista romana. Distante poco meno di 50 chilometri dalla capitale della Giordania Amman, Jerash resta una delle città meglio conservate della Decapoli romana, un gruppo di dieci città di stampo ellenistico - romano in territorio semitico che prosperano durante l’Impero romano.
Sulle sponde del fiume d’oro.
Secondo alcune antiche iscrizione, il nome Jerash o Gerasa deriverebbe dai suoi primi abitanti, ossia i vecchi soldati - gerasmenos significa vecchio o anziano in greco - che avevano partecipato alle campagne militari di Alessandro Magno nel IV secolo a.C.. Dopo le guerre persiane pare infatti che i veterani macedoni furono ricompensati con delle terre fertili tra il fiume Giordano e il deserto.
Sebbene il sito possa essere stato effettivamente usato come un presidio militare da Alessandro Magno, la storia della fondazione ad opera dei suoi veterani è poco verosimile. Il primo nome della città non era Jerash, un termine semitico, ma un toponimo greco: Antiochia ad Chrysorrhoam, ossia “Antiochia sul rive del fiume d’oro”. Questo era il nome che venne dato al primo insediamento ellenistico, fondato nel II secolo a.C. dal re seleucide Antioco IV Epifane.
Giordania: alla scoperta di Jerash, l'antica Gerasa
Un capitello corinzio.
I Seleucidi discendevano dal generale macedone Seleuco Nicatore che nel 312 a.C. conquistò il controllo della parte orientale dell’impero di Alessandro. Durante la dinastia seleucide si diffusero in Medio Oriente la lingua e costumi greci, e tra il terzo e il secondo secolo a.C. i coloni greci si mescolarono con le popolazioni locali. In questo periodo vennero avviati i grandi progetti di sviluppo della città con la costruzione dei templi dedicati alle divinità del pantheon greco. Anche se in costante competizione con le città elleniche dell’area, Jerash mantenne comunque solide relazioni con alcune di loro, come Philadelphia, l’attuale Amman, ed Heliopolis, oggi Baalbek in Libano
Jerash diventò un fiorente polo commerciale, dove diverse genti, lingue e religioni si mescolavano tra di di loro. Era normale per i coloni greci ritrovarsi fianco a fianco di mercanti persiani, indiani e parti. In città si parlava il greco e l’aramaico e si professavano la fede ellenistica e quella semitica, grazie anche all’influenza dei commercianti che provenivano dalla vicina Petra, la capitale del ricco Impero Nabateo.
Giordania: alla scoperta di Jerash, l'antica Gerasa
Una moneta d’oro con la testa dell’Imperatore Adriano. Durante i suoi viaggi nelle provincie romane d’Oriente l’imperatore passò un inverno a Jerash. Fotografia di Asf/Album
L’influenza romana.
Il governo seleucide non durò a lungo. La rapida ascesa dei Parti ad oriente, infatti, allentò il dominio seleucide nell’area e nel 129 a.C. il re Antioco VII morì durante un attacco dei Parti. L’attuale Siria piombò nel caos e Jerash cadde sotto un governo militare. Dopo il declino della dinastia seleucide nel 102 a.C. Jerash fu conquistata da Alessandro Ianneo, appartenente alla dinastia degli asmonei e Re della Giudea, che regnò sull’odierna Israele fino al 63 a.C.. Nello stesso anno Pompeo sconfisse il re del Ponto, Mitridate VI, garantendo così a Roma l’espansione verso il Medio Oriente. I Romani conquistarono la Siria, e Jerash e le altre città ellenistiche furono annesse alla nuova provincia romana. Plinio il Vecchio racconta che Jerash divenne parte della Decapoli romana, un gruppo di dieci città di tradizione classica situate nella regione semitica. Questa caratteristica garantì loro uno speciale trattamento da parte di Roma che le rese città - stato quasi del tutto autonome. 
Crescita urbanistica. Nel I secolo d.C. il regno dei Nabatei fu conquistato da Nerone. La città di Petra visse un periodo piuttosto fiorente e tutta la regione, compresa Jerash, ne trasse beneficio. Un secolo dopo l’Imperatore Traiano incorporò formalmente la città di Jerash e le terre nabatee nella provincia d’Arabia. Furono costruite nuove strade che collegavano il Golfo di Aqaba alla città di Jerash, e la Via Traiana Nova, l’antica Via Regia, fu pavimentata.
La ricchezza di Jerash si rifletteva nei suoi templi e nei maestosi edifici che abbellivano la città. Nella seconda metà del II secolo d.C. furono eretti l’imponente tempio di Artemide, il Foro ovale, il Teatro meridionale e l’Arco di Adriano che svetta ancora oggi tra le rovine della città antica. Dopo la caduta dell’Impero Romano, Jerash visse un altro periodo di splendore quando nel IV secolo entrò a far parte dell’Impero Bizantino. Nel 749 fu quasi completamente distrutta da un terremoto, ma nel 1806 l’esploratore tedesco Ulrich Jasper Seetzen riuscì a localizzare i suoi resti. Oggi Jerash, patrimonio dell’Unesco, è considerata tra le più affascinanti e meglio conservate città romane del Medio Oriente, “antico luogo di incontro tra Occidente e Oriente”.

Fusione nucleare importante per sviluppo energetico sostenibile.

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Roma, 7 ott. (askanews) - L'Italia gioca un ruolo di rilievo nella ricerca sulla fusione nucleare per produrre energia pulita e sicura, in quella roadmap tracciata dall'Europa per arrivare ad avere reattori commerciali in grado di portare l'energia elettrica nelle nostre case intorno alla metà di questo secolo. 
A Padova e a Frascati si sta lavorando a due importanti tasselli di questo percorso, come ci racconta il prof. Piero Martin, Ordinario di Fisica sperimentale all'Università di Padova, coinvolto in entrambi i progetti. Martin è infatti membro dell'Executive Board del Divertor Tokamak Test (DTT) che sarà sviluppato a Frascati sotto la guida dell'Enea ed è ricercatore presso il consorzio RFX (di cui fanno parte CNR, Enea, Unipd, INFN, Acciaierie Venete) che sta sviluppando a Padova il progetto NBTF - Neutral Beam Test Facility.Prima di addentrarci in questi due progetti, soffermiamoci sull'obiettivo della ricerca sulla fusione: riprodurre sulla terra il funzionamento del Sole."Stiamo cercando di rubare il segreto del Sole. Il Sole funziona fondendo nuclei di idrogeno e trasformando così l'energia necessaria per la vita sul nostro pianeta. Noi cerchiamo di fare qualcosa del genere. È molto più complicato - chiarisce il prof. Martin - ma ci stiamo lavorando. Vogliamo lavorare con un combustibile che sono isotopi dell'idrogeno, quindi nuclei estremamente leggeri che vogliamo far fondere insieme e da questi poi ricavare energia elettrica".E veniamo ai progetti sulla fusione in corso in Italia. A Padova si sta sviluppando NBTF - Neutral Beam Test Facility. Di cosa si tratta?"A Padova stiamo realizzando un grande acceleratore, un iniettore di particelle neutre che avrà il compito di scaldare il plasma di ITER. ITER è questo grande esperimento che dovrà dimostrare la fattibilità scientifica della fusione, lo stiamo costruendo nel Sud della Francia con un'ampia collaborazione internazionale. E il contributo di Padova - spiega il fisico - è proprio quello di costruire l'accendino, quel dispositivo che porterà il combustibile di ITER alle temperature necessarie per ottenere la fusione. Temperature elevatissime, decine di milioni di gradi".Ed è nella gestione di queste temperature così elevate che si inserisce un altro progetto italiano, DTT- Divertor Tokamak Test che si svilupperà a Frascati sotto la guida dell'Enea e che di recente ha avuto un finanziamento di 250 milioni di euro dalla Banca europea per gli investimenti."Esattamente. DTT sarà un esperimento intero, la ciambella in cui produciamo il plasma e tutti i sistemi ausiliari ed è proprio realizzato per capire come gestire i grandi flussi di potenza che escono da questi dispositivi, pari a quelli che abbiamo sulla superficie del Sole. Quindi veramente impegnativi per i materiali di oggi e quindi stiamo lavorando per cercare di gestirli al meglio. DTT servirà esattamente a questo".Guardando alla roadmap europea per l'energia da fusione, abbiamo detto di ITER e poi?" ITER dovrebbe entrare in servizio alla fine di questo decennio e ottenere i suoi primi risultati importanti agli inizi del prossimo, cioè dal 2030 in poi; sarà seguito da DEMO che sarà il primo prototipo di reattore per la produzione dell'energia elettrica e poi da una filiera di reattori commerciali. Credo che tutto questo ci porterà alla seconda metà di questo secolo, dal 2050-2060 in poi. Salvo improvvise accelerazioni dettate da emergenze vuoi sociali vuoi ambientali. Uno dei padri della fusione - prosegue il prof. Martin - agli inizi della ricerca verso la fine degli anni '50 disse: la fusione sarà pronta quando l'umanità ne avrà bisogno. Credo che sia arrivato il momento. Quindi il percorso scientifico potrebbe anche essere accelerato, ad esempio da ulteriori investimenti". La fusione non risolverebbe del tutto i problemi di approvvigionamento energetico da fonti alternative e sostenibili. "No, non li risolverà. Darà però un contributo importante. Credo che la filosofia per uno sviluppo energetico sostenibile sia quella di saper gestire e lavorare su un paniere di energie libere da CO2, quindi rinnovabili, da fusione, quindi tante sorgenti insieme. Certamente per quel che riguarda il cosiddetto 'baseload' cioè quella necessità di energia di cui per esempio una grande città ha bisogno 24 ore su 24 la fusione potrà dare un grossissimo contributo, probabilmente fondamentale".

http://www.affaritaliani.it/coffee/video/scienza-tecnologia/fusione-nucleare-importante-per-sviluppo-energetico-sostenibile.html

Manovra, Istat: “Gli elevati livelli di evasione riducono crescita e competitività”. Bankitalia: “Incide su efficienza ed equità”.

Manovra, Istat: “Gli elevati livelli di evasione riducono crescita e competitività”. Bankitalia: “Incide su efficienza ed equità”

Il presidente Gian Carlo Blangiardo, in audizione sulla Nadef, ha ribadito quello che economisti, addetti ai lavori e istituzioni internazionali ripetono da anni: i soldi sottratti alle casse pubbliche da chi non paga le tasse contribuiscono ad affossare le prospettive di sviluppo. Il vice direttore generale di Bankitalia Signorini e la Corte dei Conti invece hanno avvertito che serve "cautela" nell'indicare come coperture i proventi dalla lotta all'evasione, che sono incerti.
dati contenuti nel rapporto sull’economia non osservata allegato alla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza mostrano “la persistenza di elevati livelli di evasione fiscale e contributiva, aspetti critici per il rafforzamento della capacità competitiva e di crescita del nostro paese e per l’efficacia e l’equità delle politiche pubbliche”. Il presidente Istat Gian Carlo Blangiardo, in audizione nelle commissioni Bilancio di Camera e Senato, ha ribadito quello che economisti, addetti ai lavori e istituzioni internazionali ripetono da anni: i soldi sottratti alle casse pubbliche da chi non paga le tasse contribuiscono ad affossare le prospettive di crescita dell’Italia. La relazione annuale presentata insieme alla Nadef quantifica il “tax gap” medio – cioè la differenza fra il gettito teorico e quello effettivo, che stima l’evasione fiscale – in 109,7 miliardi nel periodo 2014-2016.
Dal canto suo il vice direttore generale di Bankitalia, Luigi Federico Signorini, sempre nel corso dell’audizione ha sottolineato che “in Italia l’evasione sottrae all’erario una quantità elevata di gettito, ma il gettito mancato non è l’unica conseguenza dei comportamenti irregolari nei confronti del fisco. Chi evade riesce a offrire beni o servizi a un prezzo più basso rispetto ai concorrenti onesti; la connessa distorsione altera l’allocazione dei fattori della produzione, con conseguenze negative sull’efficienza, sulla produttività e sulla crescita. L’evasione si traduce in un inasprimento dei tributi per le aziende in regola, ostacolandone la competitività relativa; analogamente, l’aumento della pressione fiscale in capo ai contribuenti che adempiono correttamente agli obblighi fiscali pone un problema di equo trattamento dei cittadini, a maggior ragione se l’effetto di dichiarazioni infedeli si estende oltre il campo strettamente fiscale, per esempio alle agevolazioni o ai servizi sociali previsti per i meno abbienti. L’evasione insomma incide tanto sull’efficienza quanto sull’equità: ostacola il regolare funzionamento del mercato e altera i meccanismi redistributivi disegnati dalla legge. C’è, giustamente, ampio consenso sulla necessità di prendere misure efficaci per contrastarla.
Signorini però ha anche avvertito che serve “cautela” nella valutazione “dei risultati che si possono ottenere in un singolo anno nel contrasto all’evasione fiscale”da cui il governo conta di ricavare nel 2020 oltre 7 miliardi. “Gli effetti delle misure che si introducono e i loro tempi non possono essere quantificati in anticipo con certezza, ed è bene continuare a valutarne analiticamente, caso per caso, l’efficienza e l’efficacia, ed eventualmente fare le correzioni tecniche opportune”, ha spiegato Signorini. “In ultima analisi l’evolversi dei comportamenti dei contribuenti, che per lo più è graduale, ha un ruolo cruciale”.
D’accordo la Corte dei Conti secondo cui il ricorso “massiccio” per la copertura della manovra alla lotta all’evasione “rafforza le riserve su tale modalità di copertura”. “Sul fronte delle entrate, all’impegno per il riassorbimento di sacche di evasione ed elusione, dovrebbe necessariamente accompagnarsi un processo di riforma più complessivo, che risponda a criteri di equità e semplificazione del sistema e che restituisca un ambiente più favorevole alla crescita”. Considerate le dimensioni dell’evasione fiscale, stimata tra i 90 e oltre 100 miliardi, “sicuramente i margini d’intervento ci sono. Quello che noi abbiamo storicamente cercato di sottolineare è l’esigenza di una strategia coordinata, fatta di tante misure”, spiega il consigliere della Corte dei conti ed ex direttore dell’Agenzia delle entrate, Massimo Romano. “Non c’è uno strumento unico che risolve il problema ma una linea di interventi che devono avere una loro coerenza”.
L’auspicio è che si possano mettere in campo”, sottolinea Romano. L’utilizzo dei pagamenti elettronici “è un complemento, un pezzo di una strategia, non l’unica strategia possibile”.
Per quanto riguarda i dati macro della Nadef, l’Istat giudica “coerente” l’obiettivo di crescita programmatica fissato dal governo per il 2019, pari a +0,1%, “in assenza di perturbazioni derivanti da una significativa involuzione dello scenario internazionale”. Le previsioni complete sul 2020 verranno pubblicate il 4 dicembre. “Per un paese in cui il debito pubblico rappresenta uno dei principali fattori di fragilità, assicurare che la variazione abbia quanto meno il segno giusto è il minimo”, ha detto invece Signorini. “La situazione di questi anni è storicamente eccezionale. I tassi nominali sono i più bassi che si ricordino. Questa situazione va sfruttata per mettere il rapporto tra debito e prodotto su un sentiero di durevole discesa”. Per Signorini è necessaria una riforma fiscale complessiva e organica, fondata su un’attenta analisi che non può consistere nell’abbattere tutte le imposte. Nella definizione dei provvedimenti da adottare sarà opportuno prendere in considerazione in modo complessivo gli strumenti disponibili, incluse le imposte indirette”.
Quotazioni in borsa ed evasione fiscale non aiutano l'economia mondiale, ma contribuiscono a determinare una sostanziale differenza economica tra ricchi, sempre più ricchi perchè azionisti ed evasori fiscali, e poveri sempre più poveri perchè schiavi di chi non rispetta le regole. Cetta.

Germania, divario tra ricchi e poveri ai massimi storici. - Isabella Bufacchi

(Marka)

La disuguaglianza dei redditi è ai massimi storici in Germania. Nonostante dieci anni di crescita e un boom economico segnato dall’aumento dei salari, cresce il divario tra ricchi e poveri. Lo dice un rapporto uscito oggi della Fondazione Hans-Böckler.

La disuguaglianza dei redditi, il divario tra ricchi e poveri ha toccato un nuovo massimo storico in Germania. Dieci anni di crescita, un boom economico e l’aumento dei salari non sono riusciti ad arrestare la tendenza di una crescente disparità di reddito. Secondo un rapporto uscito oggi dell’Istituto Ricerca Economica e Sociale WSI della Fondazione Hans-Böckler vicina al mondo dei sindacati e della DGB (Deutscher Gewerkschaftsbund, la maggiore confederazione dei sindacati in Germania), la disparità di reddito disponibile ha continuato ad allargarsi tra il 2005 e il 2016: alla fine del 2016, il coefficiente di Gini, il noto metro per misurare la disuguaglianza, era superiore del 2% rispetto al 2005. Le famiglie povere sono sempre più al di sotto della soglia di povertà, si evidenzia inoltre nel rapporto. «Sempre più persone sono colpite dalla povertà in Germania», afferma WSI.

Due fattori spiegano il divario più ampio
Sono due i fattori principali, secondo i ricercatori, che hanno contribuito all’aumento della disuguaglianza negli ultimi anni: le persone ad alto reddito hanno tratto maggiore beneficio dai profitti aziendali e dai rialzi delle azioni in Borsa, «mentre la stragrande maggioranza delle famiglie in Germania è rimasta indietro». Il 40% delle famiglie con i redditi più bassi non è riuscito a tenere il passo con l’aumento della ricchezza delle famiglie più benestanti. Secondo il rapporto - che tiene conto del mercato del lavoro con una disoccupazione ai minimi storici e un’occupazione piena, della crescita economica dal 2010 e degli aumenti salariali - il reddito disponibile è salito per il ceto medio ma non per i più poveri, con grandi disparità di trattamento tra chi percepisce regolarmente lo stipendio e chi no.

Dorothee Spannagel, tra gli autori del rapporto WSI, riconosce che la disuguaglianza sta crescendo a un ritmo molto più lento rispetto all’inizio del 2000, perchè chi percepisce regolarmente uno stipendio ha avuto un aumento del reddito disponibile, al netto dell’inflazione. Ma anche il divario tra ceto medio e classi più povere sta aumentando. «Nonostante questa tendenza positiva, la polarizzazione in Germania continua - sostiene Spannagel.- Il settore delle retribuzioni molto basse continua ad essere molto ampio, mentre i super ricchi, cioè i multimilionari e miliardari, hanno tratto più beneficio dal boom della Borsa, dall’impennata dei prezzi nel mercato immobiliare, dagli alti profitti aziendali. La disuguaglianza riduce la partecipazione sociale e politica e compromette il funzionamento dell’economia sociale di mercato». La crescita economica degli ultimi anni non è dunque servita a ridurre la disparità tra ricchi e poveri: uno sviluppo macroeconomico positivo non è sufficiente per ridurre le disuguaglianze e la povertà, secondo Spannagel.

Ricchi più ricchi.
La stampa tedesca cita anche un recente studio dell'Istituto tedesco di ricerca economica DIW secondo il quale la ricchezza in Germania è distribuita in modo molto disomogeneo: l’1% dei tedeschi più ricchi ha quasi un quinto del patrimonio netto nazionale, il 10% ha il 56 per cento. Il 50% della popolazione è il ceto più povero, circa 40 milioni di persone. Tuttavia secondo DIW la disuguaglianza di ricchezza non è aumentata negli ultimi dieci anni in Germania.

Le soluzioni. Dorothee Spannagel della Fondazione Böckler indica tra le tante soluzioni, una tassazione più alta per la popolazione con i redditi più elevati e un aumento dei salari minimi.
Il coefficiente di Gini. La ricerca tiene conto del coefficiente di Gini, l’indicatore più comune della distribuzione del reddito con valori compresi tra zero (tutte le famiglie hanno lo stesso reddito) e uno (una singola famiglia ha l'intero reddito nel Paese). Alla fine del 2016, il coefficiente Gini del reddito familiare disponibile in Germania era di 0,295 con un aumento del 19% della disuguaglianza rispetto alla fine degli anni '90 quando il Gini era poco meno di 0,25 e comunque in aumento rispetto allo 0,289 del 2005. La disuguaglianza in Germania è aumentata molto rapidamente alla fine degli anni '90 e nella prima metà degli anni 2000.