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sabato 22 febbraio 2020

Scoperta la prima molecola di ossigeno fuori dalla Via Lattea. - Viola Rita

ossigeno
Markarian 231 (foto: Nasa, Esa, the Hubble Heritage (STScI/Aura)-Esa/Hubble Collaboration e A. Evans – University of Virginia, Charlottesville/Nrao/Stony Brook University).

Per la prima volta gli scienziati hanno rilevato la presenza di ossigeno in molecole (nella sua forma molecolare O2) al di fuori della Via Lattea. E precisamente nella galassia Markarian 231 (Mrk 231), a 581 milioni di anni luce da noi, che nel suo centro contiene la quasar a noi più vicina – le quasar sono nuclei galattici attivi estremamente luminosi. L’ossigeno è il terzo elemento più abbondante nell’universo e conoscere meglio dove e come si presenta il gas molecolare di O2 è essenziale per studiare diversi fenomeni astronomici. I risultati sono pubblicati su The Astrophysical Journal.

L’ossigeno molecolare, difficile da rilevare.

L’ossigeno è sul podio, al terzo posto dopo idrogeno e elio, per abbondanza nell’universo. Sino ad oggi l’ossigeno nella forma molecolare è stato rilevato nella Nebulosa di Orione, una delle nebulose più brillanti nel cielo notturno. Un’ipotesi è che buona parte dell’ossigeno nello spazio sia legato ad idrogeno e si presenti sotto forma di acqua ghiacciata che si lega a particelle di polvere.
In generale, lo studio della distribuzione dell’ossigeno nella nostra galassia è complesso. “Manca ancora una fotografia dettagliata della chimica dell’ossigeno in diversi ambienti interstellari”, scrivono gli autori nel paper. E questo anche a causa del fatto che l’atmosfera terrestre può influenzare la possibilità di rilevarlo. Il problema dell’interferenza dell’atmosfera terrestre si risolverebbe qualora si andasse a studiare la presenza di ossigeno al di fuori della nostra galassia, dato che a causa di complessi fenomeni fisici questa interferenza verrebbe meno.
Tuttavia, rintracciarlo rimane comunque molto complicato e, nonostante ripetute osservazioni, ad oggi gli scienziati non c’erano riusciti. Soltanto ora per la prima volta il gruppo, coordinato dallo Shangai Astronomical Observatory dell’Accademia cinese delle scienze, ha annunciato di averlo avvistato al di fuori della Via Lattea, nella galassia Markarian 231.

Il rilievo.

Il gruppo di ricerca ha svolto le osservazioni dall’agosto 2015 al dicembre 2017, con il telescopio Iram, un radiotelescopio dal diametro di 30 metri che si trova in Sierra Nevada e che è secondo per dimensioni della parabola soltanto al Large Millimeter Array, insieme con l‘interferometro Noema, uno strumento situato sulle Alpi francesi, costituito da 12 radiotelescopi dal diametro di 15 metri. In particolare, l’ossigeno molecolare è stato identificato a 32.600 anni luce di distanza dal centro della galassia, ovvero in prossimità della quasar nel nucleo della galassia, la quasar più vicina a noi.

Dalle quasar all’Universo.

L’emissione potrebbe essere causata dall’interazione fra la fuga di gas molecolare dal nucleo galattico e quello presente nelle nubi molecolari del disco esterno, come spiegano gli autori nello studio. In particolare, le quasar sono nuclei galattici attivi estremamente brillanti, con una luminosità anche migliaia di volte più alta rispetto a quella riscontrata nella Via Lattea. Per questo, studiare le emissioni di questi nuclei è importante per comprendere le evoluzione di queste galassie e avere informazioni in più sull’universo. “Questo primo rilievo di ossigeno molecolare extragalattico”, concludono gli autori, “fornisce uno strumento ideale per studiare la fuoruscita di gas molecolare dal nucleo galattico attivo su scale di tempo dinamiche di decine di milioni di anni”.

martedì 8 ottobre 2019

Nobel per la Medicina a Kailin, Ratcliffe e Semenza.


Il premio è per la scoperta del modo in cui le cellule utilizzano l'ossigeno. Questo meccanismo ha un'importanza cruciale per mantenere le cellule in buona salute e averlo scoperto ha aperto la strada alla comprensione di molte malattie, prime fra anemia e tumori.


Il processo che permette alle cellule di adattarsi al livello di ossigeno è fondamentale sia per capire molti processi fisiologici (a sinistra) sia per affrontare molte malattie (fonte: Fondazione Nobel)

CHI SONO I PREMIATI
Sir Peter J. Ratcliffe, ha 65 anni, nato in Gran Bretagna, a Lancashire nel 1954, ha studiato a Cambridge e poi si è specializzato in nefrologia a Oxford. In questa università ha dato vita a un gruppo di ricerca ed ha avuto una cattedra nel 1996. Attualmente dirige il Centro per la ricerca clinica dell'Istituto Francis Crick di Londra ed è membro dell'Istituto Ludwig per la ricerca sul cancro.
L'americano Gregg L. Semenza, 63 anni, è nato a New York nel 1956 e ha studiato biologia ad Harvard e poi nell'Università della Pennsylvania. Si è specializzato in pediatria nella Duke University e dal 1999 insegna nella Johns Hopkins University, dove dal 2003 dirige il programma sulla ricerca vascolare.
William G. Kaelin, 62 anni, è nato a New York nel 1957 e, dopo gli studi nelle Duke University, si è specializzato in Medicina interna e oncologia nella Johns Hopkins University. Dal 2002 insegna a Harvard.
LA SCOPERTA
Il merito di Kaelin, Ratcliffe e Semenza è nell'avere scoperto il meccanismo molecolare che, all'interno delle cellule, regola l'attività dei geni in risposta al variare dei livelli di ossigeno. Il loro è stato un traguardo inseguito per decenni. La posta in gioco era infatti altissima perché l'ossigeno è l'elemento fondamentale che permette a ogni essere vivente di convertire il cibo in energia, e che è alla base di processi fisiologici fondamentali, dallo sviluppo embrionale alle difese immunitarie.
E' infatti nella capacità delle cellule di 'dialogare' con l'ambiente uno dei segreti della loro capacità di adattarsi, regolando il loro metabolismo e ogni loro funzione fisiologica. Il primo passo in questa direzione risale a 88 anni fa, quando il fisiologo tedesco Otto Warburg dimostrò che la conversione dell'ossigeno in energia dipende da un processo enzimatico, aggiudicandosi il Nobel per la Medicina nel 1931. Un altro passo in avanti è stato fatto dal fisiologo belga Corneille Heymans, Nobel per la Medicina nel 1938, con la scoperta che nella carotide esistono cellule che si comportano come sensori dell'ossigeno.
Le ricerche sono andate avanti negli anni, finché Semenza non ha individuato un altro sensore dei livelli di ossigeno nel gene chiamato Epo e ha dimostrato il suo legame con la carenza di questo elemento (ipossia) con esperimenti su topi geneticamente modificati. Parallelamente il gruppo di Ratcliffe studiava i meccanismi che regolano l'attività del gene Epo ed entrambe le linee di ricerca hanno finito per dimostrare che il gene è presente in tutti i tessuti dell'organismo. E' cominciata così la caccia agli altri protagonisti che aiutano le cellule ad adattarsi a diversi livelli di ossigeno e, nel 1995, studiando le cellule del fegato, Semenza ha scoperto il fattore che induce l'ipossia (Hif).
A trovare una risposta ulteriore è stato William Kaelin, che studiando una malattia ereditaria ha scoperto il ruolo di un altro gene, chiamato Vhl, capace di aiutare le cellule tumorali a superare l'ipossia. Ricerche successive hanno permesso di ricostruire l'intero processo che regola la risposta delle cellule all'ossigeno, e contemporaneamente hanno lasciato intravedere l'importanza che poter controllare questo meccanismo può avere per capire molti processi fisiologici, come metabolismo, sistema immunitario, sviluppo embrionale, respirazione e adattamento all'alta quota, e per affrontare molte malattie, come anemia, tumori, infarto, ictus, riparazione delle ferite.
L'incontro con ricerca italiana sulle piante
Non solo cellule animali: le piante percepiscono l'ossigeno con un meccanismo molto simile a quello che ha valso il Nobel per la Medicina al britannico Peter Ratcliffe e agli americani William Kaelin e Gregg Semenza. "Abbiamo voluto collaborare con Ratcliffe per verificare se il meccanismo con cui le piante percepiscono l'ossigeno, da noi scoperto, è simile a quello al quale stava lavorando sulle cellule animali lo studioso premiato oggi con il Nobel", ha osservato il ricercatore che ha coordinato lo studio nella Scuola Sant'Anna di Pisa, Pierdomenico Perata, in collaborazione con Francesco Licausi e Beatrice Giuntoli, ora entrambi nell'Università di Pisa.
Pubblicata sulla rivista Science nel luglio 2019, la ricerca è stata condotta negli ultimi tre anni in collaborazione fra il PlantLab dell'Istituto di Scienze della Vita della Scuola Sant'Anna, del dipartimento di Biologia dell'Università di Pisa e il gruppo di Ratcliffe a Oxford. "Da sempre - ha detto Perata - il meccanismo di percezione dell'ossigeno negli animali e nelle piante era considerato diverso, così come da sempre si è guardato a piante e animali come a due mondi diversi". Oggi, ha aggiunto, "sappiamo che il meccanismo è molto simile e che è condiviso da piante e animali: é un esempio esempio molto bello di come la ricerca di base nelle piante può essere tradotta in applicazioni importanti, anche nell'uomo"

venerdì 25 dicembre 2015

L'ossigenazione del pianeta e l'esplosione della vita animale.




L'incremento delle concentrazioni di ossigeno nei mari e nell'atmosfera, uno degli eventi fondamentali della storia della Terra, è durato circa 100 milioni di anni. Il risultato, emerso da uno studio basato sull'analisi degli isotopi di selenio in antichi campioni di roccia, dimostra che l'ossigenazione ha preceduto la diffusione della vita sul pianeta(red)


Sono stati necessari 100 milioni di anni affinché le concentrazioni di ossigeno negli oceani e nell'atmosfera della Terra del remoto passato raggiungessero livelli sufficienti a provocare l'esplosione della vita animale. Lo rivela uno studio pubblicato su "Nature Communications" da Philip Pogge von Strandmann, dello University College London e colleghi. Il risultato ha mostrato che l'incremento è iniziato molto prima di quanto stimato e che è avvenuto in diverse fasi ed epoche iniziando circa 600 milioni di anni fa. Tutto questo ha una conseguenza importante: è probabile che sia stato l'incremento della concentrazione di ossigeno a innescare la comparsa dei primi animali, e non viceversa, come invece indicato in alcuni studi.

Nel corso del periodo Neoproterozoico, che va da un miliardo a 542 milioni di anni fa, il nostro pianeta ha conosciuto un profondo cambiamento, passando per diverse glaciazioni, per il processo di ossigenazione dell'atmosfera e per la comparsa degli animali. Tuttavia, finora è sfuggita una comprensione completa di questi eventi, in parte perché sono mancate le prove che potessero documentare la cronologia degli eventi.



L'ossigenazione del pianeta e l'esplosione della vita animale

Impronta fossile di Dickinsonia costata, uno degli organismi vissuti dopo la glaciazione di Gaskiers (Wikimedia Commons)


 
Pogge e colleghi hanno studiato campioni di roccia raccolti in Stati Uniti, Canada e Cina per ricostruire le condizioni della Terra tra 770 e 520 milioni di anni fa. Durante questo arco di tempo, sono avvenute tre grandi glaciazioni, quella Sturtiana (circa 716 milioni di anni fa), quella Marinoana (circa 635 milioni di anni fa) e quella di Gaskiers (circa 580 milioni di anni fa), durante le quali le terre emerse erano ricoperte da ghiaccio e la maggior 

parte degli oceani erano ghiacciati dai poli ai tropici. Nei periodi interglaciali, l'incremento della temperatura provocò la fusione di enormi masse di ghiaccio, portando una grande 
quantità di nutrienti negli oceani e causando un aumento dei livelli di ossigeno nei mari fino a notevoli profondità.

L'incremento dei nutrienti a sua volta innescò un aumento del plancton che, dopo la morte, raggiungeva il fondo, portando con sé il carbonio fissato nei composti organici. La fissazione del carbonio ha avuto come conseguenza un notevole incremento dell'ossigeno. Uno dei più importanti indici di tipo chimico-fisico per ricostruire questa cronologia è proprio la presenza di maggiore ossigeno nei mari che, cambiando le condizioni per le reazioni coinvolte, ha determinato una variazione nell'abbondanza di alcuni metalli in tracce.

Gli autori hanno analizzato in particolare le concentrazioni degli isotopi di selenio, concludendo che la grande ossigenazione è iniziata dopo la glaciazione Marinoana, e non dopo la glaciazione di Gaskiers, come ritenuto finora. Il risultato quindi retrodata notevolmente questo passaggio fondamentale per la vita sulla Terra.



L'ossigenazione del pianeta e l'esplosione della vita animale
Illustrazione della Terra durante il Neoproterozoico: una delle ipotesi è che furono le emissioni di anidride carbonica da parte dei vulcani a riscaldare il pianeta e a porre fine alle glaciazioni (Wikimedia Commons)
"L'ossigeno è stato la miccia dell'esplosione della vita animale: 635 milioni di anni fa, era appena sufficiente per sostenere la vita di piccole spugne e 580 milioni di anni fa solo per la comparsa di pochi altri organismi; 50 milioni di anni più tardi, gli antenati dei vertebrati nuotavano in acque ricche di ossigeno", ha commentato David Catling, coautore dello studio. "Capire come è aumentata la concentrazione dell'ossigeno è il primo passo per capire perché il processo è stato così lungo".

Complessivamente, sono stati necessari 100 milioni di anni per decuplicare la concentrazione di ossigeno.

"Questo nuovo approccio basato sugli isotopi di selenio fornisce più informazioni sulle variazioni graduali dei livelli di ossigeno di quanto consentano le tecniche convenzionali", ha spiegato Pogge von Strandmann. "Siamo rimasti sorpresi di vedere quanto tempo ha impiegato la Terra per produrre l'ossigeno e i nostri risultati smentiscono le teorie secondo cui si sarebbe trattato di un processo repentino causato da cambiamenti nel comportamento animale".