sabato 29 agosto 2015

Una farfalla cosmica immortalata dal telescopio Hubble. -

Farfalla cosmica immortalata dal telescopio Hubble (fonte: ESA/Hubble & NASA. Judy Schmidt) Farfalla cosmica immortalata dal telescopio Hubble (fonte: ESA/Hubble & NASA. Judy Schmidt)


Nasce dal 'litigio' di una coppia di stelle vicine alla fine




Dal litigioso atto finale di una coppia di stelle nasce una splendida 'farfalla' cosmica: è una delle ultime immagini arrivate dal telescopio spaziale Hubble, di Nasa e Agenzia Spaziale Europea (Esa), che svela ciò che avviene all'interno della nebulosa planetaria PNM2-9 creata da una coppia di stelle ormai nella fase conclusiva della loro vita.

Vista dagli occhi di Hubble può sembrare una colorata farfalla ma si tratta in realtà dei getti di gas espulsi da due stelle con masse molto simili a quella del Sole. Dopo aver consumato praticamente tutto il loro 'combustibile', idrogeno che attraverso il meccanismo di fusione viene trasformato in elementi più pesanti, queste due stelle stanno espellendo con violenza gran parte dalla loro massa. Ciò che si vede sono soprattutto gli strati più esterni che al termine del ciclo sono stati espulsi da violente esplosioni generate dal nucleo. Lo spettacolo è reso ancora più artistico dal fatto che si tratta di due stelle, binarie, in rotazione l'una con l'altra. Si ipotizza che a dare questa caratteristica forma sia la presenza di una una nana bianca, più grande dell'altra, capace di 'rubare' gli ultimi materiali alla compagna morente. Misurando la dimensione dei getti e la velocità delle particelle gli astronomi ipotizzano che il 'litigio' tra le due stelle, e la conseguente nascita della 'farfalla', sia avvenuta appena 1200 anni fa.


venerdì 28 agosto 2015

Jobs Act, i conti sono sbagliati: i nuovi contratti stabili sono “solo” 327mila (e non 630mila)

Jobs Act, i conti sono sbagliati: i nuovi contratti stabili sono “solo” 327mila (e non 630mila)

Il ministero del Lavoro martedì ha diffuso una tabella sul periodo gennaio-luglio contenente dati sballati. "Errore umano", secondo Giuliano Poletti. Il dicastero ha aggiustato il tiro dopo che Repubblica e Manifesto avevano evidenziato che i calcoli non tornavano. Le cessazioni di contratti sono state 4 milioni e non 2,6 milioni.

Il Jobs Act rischia di diventare un mosaico di problemi per il governo Renzi. I conti non tornano e il ministero del Lavoro ha dovuto correggere i dati sul numero dei contratti resi noti martedì, perché quelli su cessazioni, collaborazioni e apprendistato erano stati calcolati male. Nel frattempo è stato rinviato di nuovo, forse anche per questo, l’esame finale degli ultimi quattro decreti attuativi della delega sul lavoro in Consiglio dei ministri. Il Corriere della Sera parla di “gelo” tra Palazzo Chigi e il ministro Giuliano Poletti per il pasticcio. Quello che è certo che la vicenda è stata portata alla luce da Repubblica e dal Manifesto e i tecnici di via Veneto sono dovuti correre ai ripari.
“Purtroppo, un errore nei calcoli relativi alle diverse componenti ha prodotto valori non esatti”, è stata la giustificazione del ministero. Accompagnata da una nuova tabella con i dati “veri” sui primi sette mesi del 2015. Con la variazione si dimezza, da 630.585 a 327.758, il numero dei contratti aggiuntivi a tempo indeterminato rispetto allo stesso periodo del 2014. Un insieme che comprende 117mila nuove attivazioni a tempo indeterminato e 210mila stabilizzazioni, favorite dagli sgravi contributivi concessi da gennaio al datore di lavoro che trasforma un contratto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato. “C’è stato un errore umano nello scrivere una tabella, i dati che abbiamo modificato sono allineati a quelli dei mesi precedenti, a quelli che erano stati già rappresentati nei mesi precedenti e confermati dall’Inps”, ha detto Poletti giovedì a margine del vertice sul caporalato al ministero delle Politiche agricole. Secondo la nuova tabella i contratti attivati sono stati nel complesso (tra tempo determinato, apprendistato, contratti di collaborazione e “altri”) 5.150.539 e non 4.954.024 come comunicato precedentemente. Il saldo è di 1.136.172 contratti attivati in più, perché le cessazioni sono state oltre 4 milioni e non 2,6 milioni come attestava la tabella sbagliata.
Il ministro ha auspicato poi che ci si concentri sul “dato sostanziale”, ovvero “che c’è una conferma dell’incremento importantissimo dei contratti stabili e un crollo delle collaborazioni“. In effetti tra gennaio e luglio del 2014, il saldo tra attivazioni e cessazioni era stato negativo per 137.587 unità, mentre considerando anche le 150.462 il risultato era positivo di 12.875 posti. Contro, appunto, i 327.758 di quest’anno. Nella tabella corretta, l’incremento delle attivazioni dei contratti a tempo indeterminato sullo stesso periodo del 2014 “è del 39,3%“: nei primi 7 mesi del 2014 furono attivati 771.486 contratti a tempo indeterminato mentre nello stesso periodo del 2015 hanno superato il milione. Insomma i dati, anche dopo la correzione, evidenziano l’effetto positivo degli sgravi per le assunzioni stabili. Resta il fatto che, se la qualità del lavoro migliora, l’occupazione non progredisce, come dimostrano i dati Istat. Per di più l’effetto, dopo il picco di aprile, sta scemando con il passare dei mesi. A luglio, al netto delle cessazioni, i nuovi contratti stabili sono stati 135.417 di cui solo 47 a tempo indeterminato.
“Quello che abbiamo sempre detto e che ribadiamo è che strutturalmente il costo del lavoro stabile deve essere più basso delle altre tipologie contrattuali”, ha detto Poletti, sottolineando che “il tema degli sgravi per le assunzioni è un tema posto” per la legge di Stabilità. Nel senso che il rinnovo della decontribuzione, auspicato da più parti, entrerà nella partita della manovra di fine anno. Commentando i dati il ministro ha poi evidenziato come “stanno aumentando in maniera importante i contratti a tempo indeterminato e crollano le collaborazioni”. Infatti, secondo i dati del ministero, nei primi sette mesi del 2015 le collaborazioni attivate sono calate del 22% passando da 363.932 del 2014 ai 281.547 del 2015.

Austria, 70 morti soffocati nel Tir Libia, si temono 200 vittime.

Il tir dove sono stati trovati i corpi dei rifugiati (Epa)
Il tir dove sono stati trovati i corpi dei rifugiati (Epa)


Il tir trovato giovedì su un’autostrada vicino al confine con l’Ungheria. I migranti sarebbero morti asfissiati durante il viaggio. È caccia all’autista. Tre arresti in Ungheria.

Si aggrava il bilancio dei migranti morti soffocati in un tir in Austria: le autorità hanno rinvenuto nel camion oltre 70 cadaveri. Lo ha reso noto il portavoce del ministero dell’Interno. Il camion è stato ritrovato giovedì, abbandonato lungo un’autostrada vicino al confine con la Slovacchia e l’Ungheria. In un primo tempo si era detto che sul camion potevano esserci fino a 50 corpi. «Gli investigatori forensi - hanno spiegato le autorità- sono ancora al camion e stanno tentando di stabilire cosa sia accaduto». Il veicolo si trova in un edificio della dogana a Nickelsdorf, che è dotato celle frigorifere. Gli specialisti con tutte protettive bianche e stivali gialli sono stati visti all’interno della struttura mentre trasportavano carrelli con sopra sacchi contenenti corpi. Intanto è caccia all’autista che ha abbandonato il camion sull’A4 austriaca. Gli investigatori hanno fatto sapere, pur senza rivelare lo stato delle ricerche, che stanno indagando su «un gruppo di presunti autori del crimine legati a una impresa slovacca di costruzioni». L’Austria ha creato un gabinetto di emergenza e ha rinforzato i controlli ai passi di frontiera per tentare di catturare i responsabili. La polizia di Budapest ritiene che il camion, con targa ungherese, sia stato visto a sud della capitale del Paese nella giornata di mercoledì e più tardi vicino al confine con l’Austria. Intanto in Ungheria sono state arrestate tre persone che sarebbero collegati con la vicenda.

Libia: «Si temono 200 morti»
Altre 460 persone , invece, mercoledì notte da Zuwara, sono stati soccorsi nel nord della Libia, a bordo di un barcone in legno, lungo poco più di 20 metri. Dopo cinque ore di navigazione, sarebbero sorti alcuni problemi ai motori. Proprio nella stiva di quest’ultima «carretta», dove erano state ammassate oltre duecento persone, sono stati scoperti i cadaveri di 52 persone. Qualcuno ha riferito che i migranti sarebbero morti asfissiati a causa dei gas di scarico; altri, invece, a causa delle ferite riportate dopo essere stati picchiati selvaggiamente dai trafficanti. Le autorità libiche temono che circa 200 persone siano morte .

Gli altri casi: «Picchiati per non uscire dalla stiva»
Sul fronte italiano, sono circa 1.430 le persone soccorse giovedì in mare nel corso di dieci operazioni coordinate dalla Centrale operativa della Guardia costiera a Roma. Intanto arrivano anche le testimonianze dei migranti soccorsi dal pattugliatore svedese Poseidon al largo della Libia. Sarebbero morti per le ferite riportate, dopo essere stati accoltellati e bastonati per impedire loro di uscire, e per le esalazioni dei gas di scarico del motore, i migranti deceduti nella stiva del barcone. Il pattugliatore svedese giovedì sera è approdato nel porto di Palermo con a bordo 571 persone e 52 cadaveri. I profughi a bordo provengono da Siria, Sudan, Guinea, Palestina, Pakistan, Iraq, Bangladesh, Tunisia e Marocco. Le loro testimonianze sono state raccolte dagli operatori dell’Unchr e di Medici senza frontiere.

Speranze per i non vedenti con occhiali e microchip per vincere la cecità



Nel prossimo futuro grazie all’impianto di un microchip retinico e ad un sistema di trasmissione delle immagini mediante uno speciale tipo di occhiali sviluppato nella Silicon Valley, sarà possibile offrire una nuova opportunità a chi ha perso la vista. 

I non vedenti potranno così riacquisire la vista dei contorni degli oggetti e delle persone. Merito di un sistema che darà loro piena libertà di movimento, consentendo ad esempio di farsi il bagno, imparare a nuotare, in autonomia.  

Uno speciale tipo di occhiali sviluppato dall’università americana di Stanford in collaborazione con Google e un microchip impiantato nella retina funzionante autonomamente, senza cioè il bisogno di cavi di connessione, offriranno una nuova opportunità visiva a chi ha perso la vista.  

A parlare di questo nuovo dispositivo è Andrea Cusumano, dell’Università Tor Vergata e presidente della Macula & Genoma Foundation Onlus, anticipando alcuni dei contenuti dell’incontro “Si può vincere la cecità” in programma il 21 settembre a Roma. 

«Il sistema, sviluppato assieme all’università di Stanford - sottolinea Cusumano, che è docente di oftalmologia - è in fase avanzata di sperimentazione, e attende l’approvazione dell’Fda per poter avviare i test sugli uomini».  

Proprio l’ateneo americano ha risolto il principale problema, quello dell’alimentazione per un periodo lungo del dispositivo. «Il microchip è dotato di un “arco voltaico” - precisa - che consente la sua ricarica grazie all’interscambi continuo di dati con gli occhiali».  

In pratica gli occhiali fanno da telecamera, acquisiscono le immagini che trasmettono al microchip. Questo, a sua volta, è collegato al nervo ottico”. Sono stati così risolti, aggiunge il docente, «i problemi degli impianti retinici attuali, più invasivi perché necessitano di una connessione dei microchip con un cavo a un dispositivo che si devono portare con sé negli spostamenti». 

Le prime applicazioni pratiche del nuovo dispositivo, secondo Cusumano, richiederanno «qualche anno».  

Amore sincero.



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mercoledì 26 agosto 2015

Matteo Renzi, il premier che gettò la maschera. - Saverio Lodato


Detesta la magistratura. Detesta il controllo di legalità. Detesta le inchieste. Mal sopporta Procure e investigatori. Non ritiene che il Paese abbia bisogno di grandi verità sul passato recente e remoto. 
Non gliene frega niente di stragi, grandi delitti e mandanti esterni. Una volta a Firenze, a una giornalista che gli chiese che ne pensasse della strage di via dei Georgofili, rispose infastidito: "chieda alla mia segretaria". Elegante, non c’è che dire. E soprattutto rispettoso del dolore dei parenti delle vittime.
Detesta il confronto. Detesta la dialettica parlamentare. Gli piace la Cavalcata delle Valchirie, ma a colpi di voti di fiducia.
Non capisce perché lo Stato debba reggersi sull’equilibrio di tre poteri, quando ne basterebbe uno solo, il suo. Odia i giornali e i giornalisti, quelle rare volte che lo mettono in cattiva luce. Gli va il sangue al cervello, e metterebbe, metaforicamente, s’intende, la mano alla fondina, al solo sentir parlare di intercettazioni telefoniche, soprattutto se è anche lui a finirci dentro, come è accaduto quando anticipava che avrebbe licenziato Letta senza preavviso.
Non pronuncerà mai, né l’ha mai pronunciata, la parola "valori". Lo stesso dicasi per la "questione morale" che sembra diventata in Italia, da quando c’è lui, parola ricoperta dalla muffa della Crusca. Se scoppiano scandali che denotano un tasso di corruzione che ha fatto ormai dell’Italia una nazione irrecuperabile, fa finta di reagire con “gli strumenti della politica", nominando "consulenti" e "commissari", pretendendo la verità senza la quale "chi ha sbagliato pagherà". Tutto il mondo ha capito come Roma sia diventata negli anni la capitale dello Stato-Mafia. 
Ma consulenti e commissari, servizievoli al suo dettato, trovano il modo di non scioglierne il consiglio comunale, quando al Sud, per un decimo di quanto è accaduto a Roma, ne sono stati sciolti a bizzeffe.
Non lo sentirete mai pronunciare il nome di Nino Di Matteo, il pubblico ministero palermitano che rischia la vita. Non hai mai fatto riferimento, né lo farà mai, al processo sulla Trattativa Stato-Mafia che, fosse per lui, andrebbe spianato da una ruspa.
E’ solito abbracciarsi agli "impresentabili" in campagna elettorale, per l’immancabile foto ricordo.
E’ solito bistrattare i suoi stessi compagni di partito, pensiamo alla Bindi, o allo stesso Orfini, quando si sono permessi in alcune occasioni, anche se magari solo a parole, di alzare la cresta innalzando l’asticella della legalità.
Quando poi la temperatura sale eccessivamente, la contesa si fa rovente, i problemi esplodono, è lo specialista della fuga. Fughe intercontinentali, fughe a lunga percorrenza, da un continente all’altro.
Fugge all’estero, America o Israele non fa differenza, perché aspetta che la situazione interna si calmi e giornali e televisioni abbiano ormai altro a cui pensare.
E lui, che non solo è il premier, ma il segretario del PD, pretende una sua "presenza blindata" alla Festa nazionale dell’Unità. 
Come se Papa Francesco, per affacciarsi in piazza San Pietro, pretendesse fucili mitragliatori che fanno capolino dalle persiane. Ma c’è di più, e di peggio, come si sarebbe detto una volta. Alla fine, alla Festa dell’Unità non c’è neanche andato, accontentandosi di incontrare, in un’improvvisata, i cuochi che se lo son visti catapultare in mezzo a pentole e padelle. Temeva un fitto lancio di uova e pomodori di stagione.  
Direte che è arrogante.
Che è un cialtrone, un cialtroncello o un cialtronaccio, a usare i diminutivi e i peggiorativi della parola "cialtrone" riportati dal dizionario Treccani. E sbagliereste di grosso. Direte che è un superficiale, un approssimativo, un giovane Narciso dirottato da palazzo Pitti a Palazzo Chigi.
Direte che a suo tempo, uno dei suoi primi gesti mediatici fu rendere omaggio a Silvio Berlusconi nella sua dimora. Questo è vero. Ma può bastare quest’indizio, piatto forte per i "colpevolisti", per spiegare chi è oggi l’uomo che ha definitivamente gettato la maschera? Noi pensiamo di no.
Per giustificare il salvataggio del senatore Azzollini, con intercettazioni a suo carico che chiuderebbero qualsiasi udienza processuale cinque minuti dopo, ha avuto il coraggio, o la faccia tosta, se preferite, di complimentarsi con i senatori che avevano riscontrato il "fumus persecutionis" dei magistrati non accettando di far da "passacarte delle Procure". E le sue ministre ebetine, ma anche qualche suo ministro particolarmente signorsì, annuirono. Come d’abitudine.
Cosa vi aspettate di diverso da un premier così?
Da un premier che è amico di famiglia, essendone amico anche il suo papà, di un tal Verdini per quattro volte rinviato a giudizio?
O vi aspettavate che Matteo Renzi, perché è di questo signore che fino a ora abbiamo parlato, fosse un "passacarte delle Procure"?
No, no. Non lo capite? Questo premier sta cambiando l’Italia.
In che modo lo stia facendo, giudicatelo da soli.

I buchi neri non sono neri come il pensiero, dice Stephen Hawking A New Theory. - Jonathan O'Callaghan

Stephen Hawking


Stephen Hawking dice che potrebbe aver risolto un problema che ha afflitto l'astrofisica per 40 anni: la perdita di informazioni paradosso.
Per decenni, gli scienziati hanno discusso su ciò che accade per le informazioni relative alla morte di una stella che forma un buco nero. E 'noto che nulla, nemmeno la luce, può sfuggire da un buco nero a causa della sua intensa attrazione gravitazionale. La meccanica quantistica, però, dice che l'informazione non può essere distrutta; relatività generale dice che deve essere. Quindi, il paradosso perdita di informazioni.
Nel 1970, Hawking ha detto che i buchi neri potrebbero emettere "fotoni di informazione-less" attraverso fluttuazioni quantistiche - piccole perturbazioni nello spazio-tempo - chiamata radiazione di Hawking, ma nel 2004 ha prodotto una nuova teoria che sosteneva informazioni potrebbe effettivamente uscire da un buco nero. Come che si verificherebbe non era chiaro, ma ora dice di avere una risposta.
"Propongo che l'informazione non viene memorizzata all'interno del buco nero come ci si potrebbe aspettare, ma il suo confine, l'orizzonte degli eventi", ha detto oggi al KTH Reale Institute of Technology di Stoccolma, in Svezia. In particolare, si dice "super Traduzione" si svolge, che è essenzialmente un ologramma delle informazioni. Ciò significa che le informazioni possono sopravvivere e fuggire da un buco nero all'orizzonte degli eventi, il confine a cui nulla si dice che sia in grado di liberarsi. 
Hanno la chiave per questa teoria è Hawking radiazioni. Hawking dice che può "raccogliere" informazioni e spostare oltre l'orizzonte degli eventi. Ma non è tutto una buona notizia; l'informazione è sostanzialmente inutile. "Le informazioni sulle particelle dosi aggiunte viene restituito, ma in una forma caotica e inutile", ha detto Hawking. "Il risultato paradosso informazioni. Per tutti gli scopi pratici, l'informazione viene persa. "
L'orizzonte degli eventi è il confine oltre il quale nulla, nemmeno la luce, può sfuggire. NASA / JPL-Caltech.
Hawking ha lavorato sull'idea di fisici teorici Malcom Perry presso l'Università di Cambridge e Andrew Strominger presso la Harvard University. Insieme con una schiera di fisici teorici a Stoccolma, si discuterà la ricerca per tutta questa settimana prima di presentare i loro pensieri conclusivi questo Sabato. 
"Il messaggio di questa conferenza è che i buchi neri non è così nero come sono dipinte", Hawking ha detto ieri. "Non sono le prigioni eterne che una volta si pensava. Le cose possono uscire da un buco nero sia all'esterno ed eventualmente uscire in un altro universo. "
Ha elaborato che, se un buco nero era abbastanza grande e la rotazione, si potrebbe avere un passaggio verso un universo parallelo. «Ma non si poteva tornare al nostro universo," ha detto. "Quindi, anche se io sono appassionato di volo spaziale, io non ho intenzione di provarci."
http://www.iflscience.com/space/black-holes-arent-black-thought-says-stephen-hawking-new-theory

Leggi anche:
http://www.washingtonpost.com/news/speaking-of-science/wp/2015/08/25/stephen-hawking-believes-hes-solved-a-huge-mystery-about-black-holes/

E anche: 

Stephen Hawking: "Sui buchi neri avevo torto"


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Il celebre fisico ingelese ha presentato una nuova teoria che potrebbe rivoluzionare la nostra comprensione dei buchi neri. O la nostra incomprensione?

Stephen Hawking: "Sui buchi neri avevo torto"
Il celebre fisico ingelese ha presentato una nuova teoria che potrebbe rivoluzionare la nostra comprensione dei buchi neri. O la nostra incomprensione?         Un'illustrazione di un buco nero, invisibile al centro di un vorticoso gorgo di gas incandescente. © A. Hobart/CXC.

Mercoledì scorso, nel corso di una conferenza a Dublino (Irlanda), il celebre fisico teorico Stephen Hawking ha presentato una nuova teoria che potrebbe rivoluzionare la nostra comprensione dei buchi neri, corpi celesti così densi che nemmeno la luce può sfuggire alla loro attrazione gravitazionale.
Divoratori cosmici. Hawking, che è oggi titolare della prestigiosa cattedra Lucasiana di matematica dell'Università di Cambridge (UK), divenne famoso negli anni '70 proprio per i suoi studi su questi oggetti che divorano tutto ciò che si trovi nelle loro vicinanze, all'interno di una regione detta “orizzonte degli eventi”. Fin da allora, in realtà, fu evidente che questa proprietà portava a un paradosso. Se i buchi neri inghiottono tutto, infatti, allora devono distruggere anche l'informazione: in pratica, di ciò che è inghiottito si perderebbe qualsiasi traccia. Secondo un'altra importante teoria fisica, la meccanica quantistica, però, l'informazione contenuta nella materia non può andare persa del tutto.
Scommessa da pagare. Nel 1975, Hawking affermò che i buchi neri erano un'eccezione alla regola, perché potevano distruggere l'informazione di ciò che inghiottivano e, forse, farla riapparire in un altro universo. Insieme al fisico teorico Kip Thorne, scommise un'enciclopedia sul baseball con John Preskill, un fisico del Californian Institute of Technology che invece sosteneva il contrario.
Scienziati spiazzati. Nel suo intervento a Dublino, parlando con una voce sintetizzata al computer, Hawking ha ammesso dopo trent'anni di aver avuto torto. Lo scienziato, che è costretto alla sedia a rotelle dalla sclerosi laterale amiotrofica, ha motivato la sua nuova posizione sulla base di una teoria che ha colto impreparati gli altri scienziati. Preskill stesso si è dichiarato soddisfatto, ma ha ammesso di non avere ben compreso gli aspetti teorici. La comunità scientifica, dunque, attende ora la pubblicazione che, stando alle aspettative, sarà presentata tra circa un mese. http://www.focus.it/scienza/spazio/stephen-hawking-sui-buchi-neri-avevo-torto

martedì 25 agosto 2015

Il caso degli ulivi pugliesi e del “fastidioso” batterio. - Alessandro Mattedi

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Nel 2013 in Salento, nel sud della Puglia, viene notato qualcosa di strano negli uliveti (Olea europea) del luogo. Alcuni alberi iniziano a deperire misteriosamente. Le foglie si seccano, la corteccia inizia a sfaldarsi, la pianta alla fine muore.
Il fenomeno viene chiamato complesso del disseccamento rapido dell’olivo (CoDiRO). Di esso non si sa nulla e la malattia, per quanto avesse colpito ancora solo pochi esemplari, si diffonde pian piano senza poter essere trattata.L’impatto sui coltivatori locali è psicologico ancor più che economico. Alcuni di questi ulivi erano centenari e le loro coltivazioni sono più che una fonte alimentare ed economica: sono oltre 2000 anni di storia e cultura, simbolo dell’identità italiana e pugliese.
La European Plant Protection Organization (EPPO) avvia immediatamente un’indagine per scoprire cosa ci sia dietro. Il servizio dell’Ufficio Fitosanitario Regionale viene mobilitato assieme a numerosi ricercatori dell’Università di Bari e dell’Istituto di Virologia Generale del Consiglio Nazionale delle Ricerche per scoprire la causa di questa malattia. Un po’ in silenzio rispetto alla cronaca nazionale, gli ulivi colpiti vengono analizzati scrupolosamente da agronomi, botanici, fisiopatologi vegetali, genetisti e molte altre figure e per ottobre inoltrato si hanno i risultati.
I tessuti interni responsabili del trasporto dei liquidi (il sistema vascolare) sono imbruniti e marcescenti. Alcuni campioni mostrano la presenza di funghi, appartenenti ai generi Phaeoacremonium (P. parasiticum, P. rubrigenum, P. aleophilum e P. alvesii)Phaeomoniella. Si tratta della prima volta che vengono identificati in Italia sugli ulivi.
Larve di falena leopardo (Zeuzera pyrina) sono rinvenute mentre scavano delle gallerie nel tronco e nei rami degli ulivi, permettendo ai funghi sopracitati di depositarsi.
Ma sono alcune analisi microbiologiche a stupire di più. Alcuni ricercatori, infatti, riconoscendo determinati sintomi nel sistema vascolare, hanno un forte sospetto e conducono analisi specifiche (risultate positive) per un batterio il cui nome è tutto un programma: Xylella fastidiosa.
Cosa c’è di così preoccupante in questo batterio?
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Vi abbiamo già parlato in precedenza del morbo di Pierce [1], malattia dei vigneti californiani causata proprio dalla Xylella, che attacca l’organo della pianta responsabile del trasporto di acqua dalle radici alle foglie (lo xilema) causando la formazione di una massa gelatinosa ostruente. La pianta deperisce e si essicca alle estremità, le foglie marciscono e il fusto si sfalda fino alla morte del vegetale.
Il batterio è trasportato da un insetto particolare che funge da vettore. In California, ma anche in altri stati americani e in altri paesi come il Brasile, la Xylella è un problema rilevante, responsabile di numerosi danni agronomici. Non esistono cure.
Lasciamo ora queste vicende agli statunitensi e veniamo nella nostra Europa. Noi non ospitiamo la Xylella – anche se ci fu una segnalazione non confermata in Kosovo nel 1998.
Non si sa come sia sbucata in Italia. Con i traffici commerciali è possibile che un microrganismo possa essere trasportato oltremare mentre tutti sono ignari. La pista investigativa ha poi negli anni successivi portato al Costa Rica, perché la Xylella analizzata ha un profilo genetico che appartiene a quello della sottospecie pauca, proveniente proprio da lì, a quanto pare arrivata tramite una pianta da caffè [2].
La magistratura ha anche aperto un’indagine sul fatto che a fini sperimentali sia stato importato un ceppo a Bari, che non si sa come non si sa quando sarebbe stato rilasciato per sbaglio nel Salento [3].
Vedremo cosa concluderà, mentre il parere degli esperti è che non ci siano stati rilasci.
Inizialmente non era sicuro che il batterio sia da solo causa della malattia degli ulivi, motivo per cui la malattia è stata chiamata complesso. Inoltre come concausa viene segnalato l’eccessivo sfruttamento agronomico del suolo, il cui humus si è impoverito.
Ma la Xylella è fortemente dannosa e, essendo anche non nativa dell’Europa, i protocolli la classificano come un patogeno da quarantena. Immediatamente le autorità scientifiche si sono concentrate su di essa e hanno disposto l’allarme per la contaminazione, che si potrebbe estendere rapidamente, e per la ricerca del vettore. L’esportazione delle barbatelle da vigna è stata proibita in via precauzionale, per esempio. La Regione inizia a emettere comunicati, forse poco cauti dato che nella popolazione si diffondono agitazione e allarmismo.
Per ora, in Italia, il focolaio è concentrato in Salento, per lo più nella zona di Gallipoli-Nardò. La rilevazione di Xylella fastidiosa nei tessuti vegetali viene effettuata presso il laboratorio Basile Caramia di Locorotondo, con un protocollo dell’Istituto di virologia vegetale, dal Cnr e dall’Università di Bari. Ogni risultato positivo viene messo poi a conferma presso il laboratorio di riferimento a Bari. In media vengono analizzati 150 campioni al giorno, ciascuno pagato 10 € dal Servizio Fitosanitario Regionale. I test per la presenza di Xylella sono stati confermati non solo per gli ulivi, ma anche per verbena odorosa, oleandro, ciliegio, mandorlo, alcune varietà di mirto, ranno lanterno e rosmarino (generi AloysiaNerium, Prunus, Myrtus, Rhamnus, Rosmarinus). Si contano numerosi focolai sparsi a macchia di leopardo. Anche per questo le reazioni degli agricoltori del luogo sono contrastanti: alcuni lamentano morie impressionanti, altri praticamente cascano dalle nuvole.
Il vettore invece è stato scoperto dopo pochi mesi: è la sputacchina media (Philaenus spumarius), ordine Rhynchota.
Philaenus spumarius (credits: Sanja565658 via Wikimedia commons)
Philaenus spumarius (credits: Sanja565658 via Wikimedia commons) 
Il fatto che la zona sia limitata è una piccola “fortuna” nella sfortuna: si sa a malapena come contenere la diffusione della malattia e le zone colpite sono solo una parte della produzione olivicola regionale. Il timore è che l’infestazione giunga ai centri di Andria-Cerignola-Bitonto, e da lì in poi continui a propagarsi nella penisola (il che sarebbe una catastrofe).
Per questo il piano proposto fin da subito è totalmente drastico: estirpare le piante in una zona di quarantena con fascia-cuscinetto di sicurezza circostante [4].
Quanto deve essere un colpo al cuore per un coltivatore salentino sapere che deve espiantare i suoi alberi!
Il fatto è che possibilmente, finché la malattia è agli stadi iniziali di diffusione e concentrata in determinate zone, risulterebbe una vittoria.
Vengono inoltre stabilite varie “misure agronomiche da attuare negli uliveti” (arature, potature regolari, falciature) e un “piano di controllo degli insetti vettori e potenziali vettori” mediante l’applicazione di insetticidi sistemici sull’intero ecosistema agrario.
Anche l’EFSA, l’autorità europea per la sicurezza alimentare, ha rilasciato un parere tecnico-scientifico che porta a cercare di impedire ogni possibilità di contaminazione al di fuori delle zone colpite, temendo che il vettore non sia contenuto e che le misure agronomiche abbiano effetti deleteri sull’ambiente; mentre l’Unione Europea vuole mettere in quarantena buona parte del Salento. Il caso mediatico cresce.
A opporsi, oltre ad alcuni gruppi di agricoltori, sono i responsabili dei parchi naturali, poiché i trattamenti generali sono eccessivi per le aree protette secondo la legislazione [5]. Alcuni consorzi locali iniziano a contestare: ma se la malattia è causata da un complesso di fattori, perché focalizzarsi tanto sulla Xylella? Se su National Geographic i ricercatori intervistati [6] parlano di 1% iniziale degli ulivi, perché tanto allarmismo?
E il territorio? E la fauna?
Chi ci guadagna? Chi ci rimette?
Sintomi del complesso da essiccamento dell'ulivo, pianta danneggiata da Z. pyrina. Photo credits: http://photos.eppo.int/index.php for educational purposes only Authors: Donato Boscia, Istituto di Virologia Vegetale del CNR, UOS, Bari (IT) - Franco Nigro, Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e degli Alimenti, Università degli Studi di Bari (IT) - Antonio Guario, Plant Protection Service, Regione Puglia (IT)
Danni da Z. pyrina 
Sono domande che rappresentano una situazione di preoccupazione, confusione, timore e sensazione di essere presi in giro, diffusa fra gli abitanti. I produttori locali sono piuttosto sconfortati per varie ragioni:
  1. la gestione del problema ha una cattiva tempistica ed emergono notizie confuse di primi focolai di disseccamento rinvenuti già nel 2010 se non nel 2008 (molto prima dell’outbreakufficiale);
  2. la prevalenza della Xylella negli alberi affetti dalla malattia manca all’inizio di dati chiari con pubblicazione esclusiva di quelli sui primi campionamenti totali, i quali erano stati fraintesi nei rilevamenti a campione (che confermavano circa 400 campioni positivi su 16.000 campioni casuali totali riguardanti piante sia sane che malate);
  3. c’è impazienza sull’esito dei test di patogenicità;
  4. mancano risposte su una possibile cura e sui stanziamenti per la ricerca i cui fondi languono;
  5. l’ingente utilizzo di insetticidi e l’inquinamento della falde suscitano preoccupazione per la salute pubblica, nonché per il danneggiamento della fauna;
  6. attualmente non ci siano indennizzi per i proprietari di oliveto che stanno andando incontro a espianto forzato;
  7. infine, la presenza di “santoni” che probabilmente in buona fede e per mancanza di metodo scientifico sono convinti di aver trovato empiricamente la cura al disseccamento.
A fronte di ciò si sono determinate sacche di complottismo irrazionale. Come spesso accade, i meccanismi di rifiuto di un problema portano ad addebitare a “qualcuno” la colpa dell’avvenuto contagio, un ipotetico untore. L’ultimo caso ha coinvolto una nota attrice: è tutto un malefico piano di Sauron dalla Monsanto per estirpare gli ulivi secolari e rivendere i propri ulivi OGM (peccato che non esistano questi ulivi OGM [7]). Trovate fra gli approfondimenti in fondo all’articolo un bel debunking di Bufale un tanto al chilo a riguardo.
Difficile analizzare eventuali interessi economici a spingere per una soluzione o l’altra. Ci sono finanziamenti comunitari sia per il miglioramento della condizione di uliveti mal curati (e che facilmente vengono contagiati e quindi destinati all’espianto) sia per il piano di contenimento regionale (“bonifica” delle zone demaniali ed estirpazione, demaniale e privata). Per le estirpazioni non ci sono risarcimenti, mentre i fondi per i ricercatori a Bari languono.
Raccogliendo testimonianze, emerge che in realtà buona parte dei contadini è però semplicemente amareggiata e rassegnata a fronte di quella che pare una condanna a morte del tessuto agricolo locale.
Intanto il tempo passa e la situazione si fa sempre più caotica nei comunicati: ora eradicare, ora solo trattare, ora estirpare di nuovo, ora lasciar stare. Giustamente i coltivatori locali si spazientiscono dopo tanti allarmismi. Ma arrivati al 2015, il Corpo Forestale purtroppo arriva a definire la situazione come fuori controllo.
Altri ulivi nel Salento, sempre provenienti da EPPO come in precedenza.
Non esistono ancora cure. Non si può fare qualcosa?
Forse sì.
La Xylella è un problema in molte altre parti del globo: varie le tattiche che la ricerca sta studiando per sconfiggerla. Qui il nostro elenco degli studi a riguardo.
Intanto, l’intervista a Donato Boscia del CNR.
Qui invece insetti vettore, trattamenti per la sputacchina e il contagio in Francia.
Prossimamente, pubblicheremo altri approfondimenti su casi specifici della questione.
Altro da fonti esterne successive a questo articolo:
aggiornamento 27/03/2015 la Commissione Europea si è riunita, c’è divisione sulle misure da adottare. Let’s wait and see (cit.)
Su Siderlandia un ottimo articolo sul piano Siletti e un’altra intervista a Donato Bosica riguardo la CoDiRO che continua ad avanzare.
Bibliografia di riferimento:
Approfondimenti:
Note:
[1] http://italiaxlascienza.it/main/2015/03/xylella-fastidiosa-e-i-vigneti-californiani/
[2] http://bari.repubblica.it/cronaca/2015/03/14/news/emergenza_xylella_scatta_l_inchiesta_caccia_ai_colpevoli_-109508933/
[3] http://bari.repubblica.it/cronaca/2014/05/21/news/xylella-86763258/
[4] http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2014/10/14/14A07903/sg;jsessionid=lRiGq36fAD7Wu6+5l6S56Q__.ntc-as2-guri2b
[5] http://www.trnews.it/2015/03/05/i-responsabili-dei-parchi-regionali-provvedimento-su-xylella-inapplicabile-in-contrasto-con-le-leggi/123109159/
[6] http://www.nationalgeographic.it/ambiente/2013/11/17/news/la_moria_degli_ulivi_pugliesi_mito_mediatico_o_realt_-1893041/
[7] A volte si citano gli ulivi dell’Università della Tuscia. Non c’entrano nulla con Monsanto, erano parte di una ricerca pubblica italiana trentennale. E furono sradicati nel 2012. Non esistono ulivi OGM.
Tutte le foto provengono dall’EPPO tranne che dove segnalato diversamente. Photo credits: EPPO for educational purposes only. Photo authors: Donato Boscia, Istituto di Virologia Vegetale del CNR, UOS, Bari (IT) – Franco Nigro, Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e degli Alimenti, Università degli Studi di Bari (IT) – Antonio Guario, Plant Protection Service, Regione Puglia (IT)