sabato 2 luglio 2011

Murdoch sbatte la porta a Silvio: via Mediaset Plus da Sky.


berlusconi murdoch 304

«Da oggi Mediaset Plus non è più distribuito da Sky a causa di gravi inadempimenti contrattuali di Rti». Con questa nota Sky Italia scarica il canale satellitare targato “biscione” dalla sua piattaforma, precisando che «il contratto stabiliva, tra i vari impegni che Mediaset Plus avrebbe incluso all'interno del proprio palinsesto, anche programmi particolarmente graditi al pubblico come Chi vuol esser milionario, La Corrida, Striscia la Notizia, Paperissima, Zelig. Questi programmi - conclude l'emittente satellitare - non sono mai stati inclusi». L'amministratore delegato di Sky Italia, Tom Mockridge, si è detto sorpreso che il «gruppo Mediaset rinunci ad una platea televisiva di oltre 13 milioni di italiani che accedono ai programmi Sky, dopo aver già rifiutato di accogliere le nostre campagne pubblicitarie sulle proprie reti, rinunciando così ai relativi proventi».

Mediaset, dal canto suo, ha fatto sapere che chiederà a Sky il risarcimento dei danni causati «dalla illegittima e inefficace risoluzione unilaterale di un contratto in vigore fino al termine del 2012». Non l'hanno certo presa bene, a Cologno Monzese. «La nuova azione legale - prosegue la nota dell'azienda - si va ad aggiungere alle ingiunzioni chieste da Mediaset al Tribunale di Milano per irregolari pagamenti da parte di Sky. La volontà, o la necessità, di non onorare i corrispettivi pattuiti non può esprimersi in atti arbitrari e pretestuosi, che vanamente si cerca di giustificare, come fa Sky, invocando l'adempimento di presunti impegni contrattuali in realtà inesistenti».

Che i rapporti tra Sky e Mediaset non fossero proprio idilliaci si è sempre saputo. Il Cavaliere e i suoi governi hanno sempre provato a mettere i bastoni tra le ruote della creatura del magnate australiano. E adesso la multinazionale restituisce il colpo.




Sanità in Sicilia: scarsa e costa un milione di euro/ora.



La Corte dei Conti della Regione Sicilia, dal proprio bilancio annuale, ha fatto sapere che la spesa per la sanità nel 2010 è stata di un milione di euro all'ora. Giovanni Coppola, procuratore generale d'appello della Corte dei conti, ha sottolineato che rimane sempre alta la spesa per le strutture convenzionate. Un miliardo e 96 milioni di euro il costo. Tuttavia emerge anche un dato positivo come la riduzione del deficit. Infatti sono stati risparmiati 98,6 milioni di euro con una riduzione del 62%. La Corte dei Conti ha sottolineato anche come la qualità dei servizi sanitari in Sicilia sia notevolmente scarsa al punto - ironizzano - che i siciliani preferiscono l'aereo come cura.


Saldi, la crisi fa salire l’attesa In un anno chiusi 400 negozi.


Via agli sconti, i veneti pronti a spendere 300 milioni. Ma i commercianti storcono il naso: «Troppo in anticipo»

Al via i saldi anche in Veneto (archivio)

Al via i saldi anche in Veneto (archivio)

VENEZIA—Conto alla rovescia per l’apertura dei saldi estivi, che in virtù dell’accordo sottoscritto in Conferenza delle Regioni lo scorso 24 marzo per la prima volta partono il primo luglio in tutta Italia (posticipa all’8 luglio solo Bolzano). Una novità che ne introduce una seconda: questa svendita di fine stagione, vuoi per la crisi vuoi per l’aumento di costi e bollette, è particolarmente attesa da un numero sempre crescente di veneti ormai rassegnati a comprare abbigliamento, calzature e pelletteria solo con i ribassi, ma anche dai commercianti. Per molti di loro potrebbe essere l’ultimaoccasione per sopravvivere. Nell’ultimo anno infatti nella nostra regione hanno chiuso i battenti 400 negozi tradizionali, strozzati dal calo degli introiti (-1,5% dall’inizio del 2011) e da spese di gestione e affitto schizzate alle stelle.

Lo rivela il dossier del Cescot, l’osservatorio economico di Confesercenti, il cui presidente Maurizio Francescon spiega: «Purtroppo in Veneto esiste un turn-over di vetrine velocissimo, che tocca il 20% degli operatori, ovvero 51 mila attività. Di queste, 9 mila trattano abbigliamento, 2 mila calzature e pelletterie e 1600 tessile e biancheria: ecco, ogni anno abbassa definitivamente le serrande tra il 4% e il 5% del totale delle tre categorie. A sparire sono gli esercizi di famiglia, i più antichi, sostituiti da realtà in franchising gestiti direttamente dalla catena madre, da servizi specializzati come la moda donna giovane o l’uomo, oppure da monomarca usati come promozione dalle grandi griffe, cui costa meno aprire un negozio piuttosto che comprare pubblicità. Il saldo tra abbandoni e nuovi arrivi è in attivo, ma con un duplice problema: muore il commercio di famiglia e si allarga il delta tra l’utile operativo, in crollo, e i costi, in crescita. Forbice alla base del continuo turn-over». Ecco spiegate le speranze riposte nei saldi dagli operatori di settore. «Nei primi tre giorni di sconti si realizza il 50% del fatturato legato al periodo (che si conclude il 31 agosto, ndr) —avverte Francescon—e nei primi quindici l’80%. Secondo le nostre proiezioni, ogni famiglia dovrebbe spendere tra 250 e 270 euro, per un importo regionale di circa 280/300 milioni ».

Proiezioni che tranquillizzano solo in parte le associazioni di categoria, scontente per un avvio troppo anticipato delle occasioni. Eppure l’anno scorso la maggior parte dei loro iscritti aveva contestato la partenza ritardata al 17 luglio. Mai contenti? «Siamo soddisfatti per la data comune a tutta Italia, che però andava spostata in agosto— rileva Maurizio Franceschi, presidente regionale di Confesercenti— non ha senso fissare le svendite di fine stagione ad estate appena iniziata. E solo per correre dietro alla grande distribuzione, che tende a voler partire sempre prima, in un’ottica di liberalizzazione degli sconti cui aspira da sempre. E invece i saldi tradizionali sono ancora l’unica opportunità per l’acquirente di vedersi realmente scontare un capo visto prima a cartellino intero. Devo però sottolineare che abbiamo i magazzini ancora pieni, cominciamo ora a vendere e farlo a metà prezzo è una perdita non da poco, anche se riusciremo a smerciare quasi tutto. Da qualche tempo, poi, vanno in saldo anche articoli non contemplati dalla normativa sui ribassi, applicata ad abbigliamento, calzature e pelletteria. Parlo per esempio di profumeria, occhialeria, elettrodomestici, settori liberi di praticare sconti tutto l’anno ma che si accodano alle occasioni estive».

Irritato Massimo Zanon, numero uno di Confcommercio Veneto: «Non parlo volentieri dei saldi, perchè a quelli estivi è stato tolto il significato originario. Partono troppo presto eppure sono regolamente "bruciati" da altre vendite promozionali, per di più pagano la crisi economica che ha lasciato ben poco nelle tasche della gente. Chi stabilisce il calendario dei ribassi deve mettersi in testa che svendere significa prima di tutto svuotare il magazzino al termine di una fase dell’anno, non scontare e basta». Di parere esattamente contrario l’Aduc (Associazione diritti utenti e consumatori): «I ribassi sono concepiti per favorire i commercianti, non gli acquirenti, quindi aspettiamo che il legislatore nazionale li cancelli. E consenta agli esercenti di lanciare promozioni quando e come vogliono, perchè almeno ne trarrebbero vantaggio il sistema economico nella sua globalità e, nel dettaglio, la qualità dell’offerta».

Michela Nicolussi Moro

http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cronaca/2011/1-luglio-2011/saldi-crisi-fa-salire-l-attesa-un-anno-chiusi-400-negozi-190993977540.shtml


Fisco, meno controlli nelle Pmi del 20% L'obiettivo resta recuperare 10,6 miliardi.




ROMA - Meno controlli su autonomi, piccole imprese e professionisti. Ma verifiche più efficienti per consentire al fisco di eguagliare quest'anno lo stesso recupero di evasione che nel 2010 ha fruttato 10,6 miliardi. L'Agenzia delle Entrate cambia strategia, non obiettivi.

La lotta all'evasione prosegue con maggiore preparazione, puntando agli obiettivi veri. Ma diminuendo i controlli. Venendo così incontro all'esigenza di un Fisco in grado di essere autorevole ma anche rispettoso dei contribuenti. Il direttore generale dell'Agenzia delle Entrate Attilio Befera nel recente passato aveva inviato gli uffici due lettere spiegando che avrebbe sanzionato i soprusi nel corso dei controlli giocando in anticipo rispetto alle proteste su Ganasce Fiscali ed Equitalia. Ora è tornato a prendere carta e penna per scrivere agli uffici che sul territorio conducono la lotta all'evasione, cambiando gli obiettivi numeri fissati nel budget contenuto nella circolare di maggio, quella con le indicazioni operative sui controlli, nella quale l'accento era stato posto sull'obiettivo strategico di ottimizzazione dell'efficacia delle singole attività da sviluppare nel 2011. Ora l'adeguamento.

«Si dispone - scrive nella direttiva inviata ieri sera agli uffici - la riduzione nella misura del 20% del target relativo all'indicatore accertamenti nei confronti di imprese di piccole dimensioni e professionisti, mantenendo invariato l'obiettivo monetario assegnato». Di conseguenza anche il numero dei controlli sul settore globale delle imprese cala del 15%. In pratica ci saranno 45.000 controlli in meno sul mondo dei lavoratori autonomi, dei professionisti e dei piccoli imprenditori, passando per l'esattezza da 221.831 a 177.340 verifiche. Ma non ci dovrà essere alcun taglio per i risultati attesi: i vertici dell'Agenzia non hanno mai nascosto che anche nel 2011 vogliono eguagliare e provare a superare il 2010, che ha gonfiato le casse dello Stato con più di 10,6 miliardi recuperati dall'evasione. La svolta non è estemporanea.

Una settimana fa Befera aveva preannunciato il provvedimento proprio durante un incontro con i direttori regionali, ai quali aveva però ricordato la mission dell'Agenzia: «Coniugare efficienza e correttezza; recuperare evasione, favorendo lo sviluppo della fiducia reciproca e della collaborazione tra fisco e cittadini; promuovere in questo modo la crescita della coscienza civica - ha detto - È questo l'obiettivo ultimo della nostra missione». Ora con la nuova direttiva l'attenzione viene richiamata in particolare su due aspetti, che valgono efficienza e correttezza. Befera chiede un'analisi approfondita per togliere i controlli che danno risultati poco significativi ma anche di evitare controlli che poi producono contestazioni di dubbia tenuta giuridica o di natura meramente formale, laddove l'analisi di rischio non sia stata appropriata ed il controllo non abbia consentito l'individuazione di violazioni sostanziali adeguatamente sostenibili. Come dire, meglio la sostanza che la forma.



Libia/ Altro che vittoria, in Libia ci siamo impantanati.




M.O.: autorita' greche arrestano capitano imbarcazione Freedom Flotilla.



Atene, 2 lug. (Adnkronos/Dpa) - La Guardia costiera greca ha arrestato il capitano della 'Audacity of Hope', una delle imbarcazioni della Freedom Flotilla dirette a Gaza. Lo ha riferito la radio greca. L'uomo, che comparira' davanti a un giudice lunedi', e' accusato di avere violato il divieto di salpare dai porti greci imposto dalle autorita' a tutte le navi dirette a Gaza. La 'Audacity of Hope' era stata intercettata ieri dalla Guardia costiera all'interno delle acque territoriali greche.



Telesantoro, ecco il progetto. - di Giorgio Meletti


Il nuovo network si poggerà su una concessionaria di pubblicità che reperirà le risorse economiche e il segnale sarà trasmesso in multipiattaforma: da Internet, al satellite, fino a una rete di televisioni locali.


Michele Santoro l’ha detto chiaro ieri nell’intervista al Fatto: “Sto lavorando perché un programma comeAnnozero vada in onda dall’autunno ogni settimana, come sempre: alla Rai, a La7 o su una multipiattaforma fra satellite, streaming in rete enetwork di tv locali sul digitale”. Non è una battuta. L’idea della tv indipendente multipiattaforma è al centro di fitti colloqui che vedono protagonista soprattutto Sandro Parenzo, patron diTelelombardia e leader di una pattuglia di grosse tv regionali pronte a giocarsi la partita per reagire al declino imposto alle realtà locali dalle politiche del digitale terrestre del governo Berlusconi.

“È una strada per tentare un vero pluralismo, e per reagire all’attacco durissimo alle tv regionali che il governo sta conducendo ormai da anni”, spiega Boris Mugnai di Rtv38, tv leader in Toscana.

Alla base del progetto c’è una concessionaria di pubblicità televisiva poco conosciuta, Publishare, che da qualche tempo ha consorziato 18 tv regionali e raccoglie per loro la pubblicità nazionale. I numeri sono ancora piccoli, ma i 10-12 milioni di pubblicità raccolta da Publishare oggi rappresentano una boccata d’ossigeno importante per realtà gloriose dell’emittenza locale come Telenorba in Puglia, Primocanale in Liguria, Umbria tv o le stesse Telelombardia e Rtv38.

Secondo Parenzo un’operazione incardinata sul marchio Santoro può consentire la raccolta di quei 20-30 milioni di euro di pubblicità che servirebbero a finanziare il nuovo canale televisivo.

In campo ci sono due ipotesi. La prima è quella più classica: una società di produzione televisiva che distribuisca alle tv regionali del circuito il contenuto televisivo già vestito della sua pubblicità per inserirlo ad arricchimento dei loro palinsesti. L’esperimento di “Tutti in piedi”, andato in onda lo scorso 17 giugno da Bologna, con Santoro e la sorpresa Roberto Benigni, ha dato risultati incoraggianti. La raccolta pubblicitaria è stata dieci volte superiore a quella di “Rai per una notte” dell’anno scorso, nonostante un preavviso molto inferiore. Per i sostenitori del progetto questo è il segno che il mercato pubblicitario sta cambiando, e già da un anno all’altro è maturata una maggiore disponibilità degli inserzionisti per l’innovazione. Anche il risultato di pubblico è stato ottimo: le tv generaliste hanno perso quella sera 9 punti di share, e alcune tv regionali hanno toccato e superato il 10 per cento.

Parenzo e Santoro lavorano però su un obiettivo più ambizioso, un canale nuovo di zecca.

Le tv regionali coinvolte metterebbero a disposizione una delle nuove frequenze liberate dalla tecnologia digitale, e costituirebbero così il nuovo network nazionale di Telesantoro. Per loro il ritorno sarebbe costituito, oltre che dall’affitto della frequenza, da una parte dei proventi pubblicitari e dalla fornitura di prodotto di informazione locale al network. La Publishare raccoglierebbe la pubblicità nazionale, con l’obiettivo di 20-30 milioni per partire, cifra non proibitiva se confrontata con i 2,5 miliardi di euro raccolti da Mediaset. L’idea del canale/cantiere, come lo definisce Parenzo, con un palinsesto tutto di informazione, anche locale, può risultare più attraente per il pubblico e per gli investitori pubblicitari, del semplice intarsio di Annozero o simile nei tradizionali palinsesti delle tv locali, tra una vendita di materassi e l’altra.

Il punto più critico è se bastano i 20-30 milioni per tenere in piedi un canale nazionale all news. Anche perché la pubblicità televisiva è considerato l’unico polmeno finanziario ipotizzabile. La distribuzione del segnale televisivo online, che ha dato ottimi risultati con “Rai per una notte” e “Tutti in piedi”, procura un grande pubblico, valutabile in centinaia di migliaia di persone, ma un ricavo pubblicitario praticamente trascurabile. “Ma la rete è fondamentale”, insiste Parenzo, “perché crea attorno all’impresa televisiva la comunità, che diventa un punto di forza decisivo”.

Per adesso siamo allo stadio delle chiacchiere e delle ipotesi. Per sapere se l’impresa ha qualche seria possibilità di partire bisogna aspettare almeno la fine di luglio
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Le vere ragioni della fumata nera della trattativa Santoro-La7.


Nel giorno del gran rifiuto della "terza rete" all'ex conduttore di Annozero, scompare dalla manovra economica una norma sulla rete telefonica che avrebbe pesantemente penalizzato Telecom, proprietaria della rete

La metafora di Giovanni Stella, confezionata un mese fa per il Fatto, annunciava la discesa in campo (televisivo) di Telecom: io aspetto paziente sotto il banano-Rai che ne scendano i macachi-conduttori. L’amministratore delegato di Telecom Italia Mediarompeva il bipolarismo di Rai e Mediaset: ecco, diceva, La7 è disposta a prendersi il gruppo di giornalisti che il servizio pubblico e il Biscione, per motivi diversi ma di uguale matrice (il Cavaliere), non vogliono e non possono permettersi. Stava nascendo una televisione all’apparenza poco controllabile per il Silvio Berlusconi imprenditore e politico, ma estremamente influenzabile per la sua versione di capo del governo. La trattativa con Michele Santoro era chiusa, mancava un tratto di penna: la firma (alle prime voci, il titolo di La7 crebbe in un giorno del 20%; l’altroieri, al niet, ha perso il 4 e ieri il 3).

Martedì scorso, l’ultimo incontro tra l’inventore di Annozero e il dirigente di La7 conosciuto con il soprannome di “canaro” per i suoi modi spicci ed efficaci fino al sadismo. E che succede martedì, proprio quel giorno? Il governo scrive e riscrive e infine diffonde la bozza di manovra economica: tagli, pensioni, tasse e finte rivoluzioni liberali e liberiste. In un articolo del provvedimento, a sorpresa, si materializza il conflitto d’interessi che Santoro ha denunciato ieri nell’intervista al Fatto.

Il governo, se vuole, può fare male a Telecom, la multinazionale proprietaria di La7. E con una norma, infilata di soppiatto, Palazzo Chigi ha dimostrato come può farle male. La bozza prevedeva un progetto del ministero per lo Sviluppo economico di Paolo Romani: “Un piano di interesse nazionale per il diritto di accesso a Internet”. E come? “Mediante la razionalizzazione, la modernizzazione e l’ammodernamento delle strutture esistenti”. Parole astruse e verbi incrociati per sottrarre a Telecom l’ultimo bene invidiato da tutti i concorrenti: la rete fisica, quella che porta il cavo telefonico in tutte le case e gli uffici, eredità del monopolio pubblico. Il governo pensava di aprire il mercato e le connessioni veloci imponendo “obblighi di servizio universale”.

Tradotto: Telecom investe per migliorare la sua struttura e poi deve metterla a disposizione dei concorrenti. Il governo di lievi e dure sforbiciate, che spinge all’infinito una correzione nel bilancio statale da 47 miliardi di euro, sentiva l’urgenza di ricorrere ai soldi della Cassa depositi e prestiti per “finanziare il piano nazionale su Internet”. Poche righe nascondevano un possibile esproprio del tesoro più sensibile per i vertici di Telecom. L’ipotesi dura due giorni, esattamente 48 ore, fin quando ieri accadono due fatti all’apparenza distanti ma forse strettamente legati: La7 annuncia la fine di qualsiasi negoziato con Santoro, azzoppando così l’ipotesi terzo polo televisivo; e, in contemporanea, il governo cambia la norma, stravolge il suo “piano di interesse nazionale per il diritto di accesso a Internet” e cancella dal testo della manovra quei passaggi – “la razionalizzazione, l’obbligo di diritto universale” – che minavano la stabilità patrimoniale di Telecom e preoccupavano i suoi azionisti (anche stranieri). Anche se il numero uno di Telecom Italia Franco Bernabè giura che tra i due fatti non c’è alcun nesso, e ribalta su Santoro l’accusa di aver cercato pretesti per far saltare la trattativa con La7, i casi sono due: o le idee del ministro Romani e del governo sono talmente labili da evaporare nel breve volgere di 48 ore, oppure la rivoluzione telematica di Berlusconi era un atto di forza, un segnale per intimorire La7.

Per capire dov’è intrappolata la ragione è utile ricordare che la Rai di centrodestra, in trincea contro i giornalisti sgraditi dal Cavaliere, adesso comincia a riflettere: forse è meglio trattenere Santoro, forse Vieni via con me era davvero importante, forse Report è un prezioso settimanale d’inchiesta, forse Lucia Annunziata è una figura professionale irrinunciabile per il servizio pubblico. Togliendo i forse, resta l’ordine di servizio di Berlusconi, il più recente: è più facile controllare il servizio pubblico, senza indebolirlo troppo, per giocare di sponda con Mediaset, che combattere un terzo polo televisivo. Nella peggiore delle ipotesi, un colossale ricatto. Nella migliore, l’ultima trasfigurazione del conflitto d’interessi.

di Giorgio Meletti e Carlo Tecce


Santoro: “Con La7 era fatta Poi sono cominciati i pretesti sul nulla”.


Il conduttore racconta le trattative con la La7 e la loro rottura. Sull'autonomia giornalistica e le garanzie sembrava esserci l'accordo. Il giornalista: "C'è stato un intervento esterno, colpa del conflitto d'interessi". Ma rassicura gli spettatori: "Un programma ci sarà".



“Una cosa è certa: o alla Rai, o a La7 o da qualche altra parte, noi in autunno saremo in onda. Continuare a esistere, magari su una multipiattaforma internet-digitale-satellite, anche ‘senza il permesso de li superiori’, sarebbe il coronamento della mia carriera”. Domani Michele Santorocompie 60 anni. Ma, diversamente da Vasco Rossi, non si dimette da nulla. Anzi rilancia. La rottura con La7 non la vive come una sconfitta, ma come una nuova opportunità. L’ha detto lui stesso nel suo comunicato: “Tutto cambia”. E lo spiega in questa intervista al Fatto.

Cominciamo dall’inizio. Pentito di aver lasciato la Rai?
Non credo di aver commesso errori né subìto sconfitte. Alla Rai mi sentivo assediato: regole, regolette, codicilli, pseudogaranti, partiti dappertutto. Ormai questo sistematico abuso di potere costruito da interessi estranei e confliggenti con quelli della Rai emerge da tutte le inchieste: P4, Trani, Hdc… Ero costretto a difendere l’esistente, e sempre più a fatica. Annozero arricchiva la Rai, che però ci trattava come criminali, indesiderati, imposti dai giudici. E mi sono ribellato a quella gabbia: c’è la possibilità di lavorare liberamente altrove?

Dopo la transazione, s’è fatta avanti La7.
Mi ha contattato l’amministratore Giovanni Stella. Ho subito messo le carte in tavola: “Siete davvero convinti di potervi permettere un programma come Annozero?”. Risposta: “Sì”. “Bene, lo sa come si fa Annozero? Rispettando l’autonomia dei giornalisti”. So bene che Mentana, Lerner, Gruber, Telese,Costamagna, D’Amico sono liberi. Ma, quando uno va a contrattualizzare la sua posizione con un nuovo editore, mette nero su bianco le garanzie d’indipendenza.

Problemi di soldi?
Per sgomberare subito il campo da questioni del genere, ho accettato la ‘formula La7’: contratto-base basso, meno della metà dello stipendio Rai (630 mila euro lordi dal 1999, ndr), con incentivi legati agli ascolti. Per andare in pari, avrei dovuto ottenere risultati straordinari. Ma non era questo il problema: ho subito accettato le loro condizioni.

Siete arrivati a un contratto?
Sì, Stella mi ha inviato, con la sua firma, una proposta subordinata all’accettazione di un contratto standard come quelli che ormai si fanno firmare a chiunque fa tv in Italia. Autonomia zero: l’editore si riserva di leggere preventivamente scalette, argomenti, ospiti e di porre il veto. Per questo Celentanoda anni non mette più piede in tv. Gli editori pretendono totale soggezione, per poter fare di te ciò che vogliono, in barba all’autonomia dei giornalisti. È un recinto, figlio della mancanza di concorrenza.

E tu che hai risposto?
Ho tirato fuori il contratto che mi fece Mediaset nel ‘96: “Firmate questo”. In ogni caso, penso che alla fine ci saremmo intesi con una stretta di mano: nei successivi incontri c’è stato un lavoro di reciproca conoscenza. Anche perchè Stella dava ancora l’impressione di volerlo fare davvero, il programma. L’ho rassicurato: non siamo avventurieri, in trent’anni non abbiamo mai perso una causa, mica siamo gente che spara ai bambini. Ferma restando la mia autonomia di giornalista, non ho problemi a informare l’editore di ciò che va in onda.

Tutte rose e fiori. Poi?
La fase costruttiva s’è chiusa con l’annuncio di Mentana, in diretta, che l’accordo con noi era cosa fatta. E in effetti, a parte qualche dettaglio… Poi hanno cominciato a cercare pretesti. Si sono attaccati a una mia dichiarazione. Cioè che, per il suo potenziale umano e professionale e per le attese che suscita, La7 potrebbe svolgere meglio il ruolo di terzo polo competitivo se riducesse la dipendenza da Telecom. Un’ovvietà: una concessionaria dello Stato, in un paese in cui il premier possiede tv, è inevitabilmente esposta a ritorsioni governative. Non mi sembra un’offesa sanguinosa al presidente Telecom, Franco Bernabè. E l’aveva detto proprio Stella, al Fatto, che entro fine anno Telecom avrebbe ceduto il 40% di La7. Quindi dov’è il problema? Era un pretesto.

A quel punto che è accaduto?
All’improvviso sono ricomparsi i vincoli e le diffidenze iniziali, che avevamo già dissipato. Stella domanda: “Chi si accolla le spese legali?”. Io mi dico: ecco, gli stessi problemi che la Rai sta creando alla Gabanelli. È un altro pretesto per nascondere qualcosa che mi sfugge. E rimuovo anche quello: ok, ci accolliamo anche i rischi legali. Ma allora – rilancio – se siamo responsabili di tutto, il programma lo autoproduciamo. Più responsabilità, più libertà e nessun veto. Inventano un altro pretesto: la responsabilità penale. Obietto che le denunce penali non le fanno quasi più, in ogni caso non all’editore. Ma qui Mentana si offre come ‘direttore responsabile’ del nostro programma, accogliendoci sotto la testata del tg. A quel punto però una cosa l’aggiungo.

Quale?
Domando a Stella: “Ma voi lo volete fare questo programma o no? Perchè su tutto il resto, la quadra si trova”. È come nei matrimoni: se sposi Santoro, o Celentano, ti sarai almeno informato su chi sono e come sono fatti. Mica puoi sposarti con la riserva mentale. Stella continuava a dire che voleva Annozero su La7, ma non mi convinceva più.

Forse Stella voleva sposarti, ma Bernabè non poteva dare l’assenso. Si è molto discettato sulla loro divaricazione.
Qualcuno ha ipotizzato questo dualismo, ma io ho esplicitamente chiesto a Stella di avere l’ok di Bernabè prima di iniziare qualunque trattativa. E l’ok c’era. Ora non c’è più? Non posso immaginare che improvvisamente abbiano scoperto che io lavoro in autonomia. Lo sanno pure i sassi che mi sono scontrato con Masi perchè pretendeva schede-programma e scalette sette giorni prima.

E allora come si spiega la retromarcia di La7? In fondo, si erano fatti avanti loro.
Evidentemente c’è stato un intervento esterno per bloccare un’acquisto importante per realizzare un terzo polo televisivo che poteva diventare dirompente per il duopolio Rai-Mediaset. Se Sky e La7 raccogliessero insieme la pubblicità, sarebbe un terremoto. Perché Rai e Mediaset sono due aziende in profonda crisi che si tengono in piedi l’una sulle debolezze dell’altra. Quando i partiti, diversamente dalla Prima Repubblica, non rappresentano che i propri gruppi dirigenti senza un progetto culturale, le tv sottostanti ne risentono: dirigenti sempre più mediocri e incompetenti, nessuno sa cosa sia il prodotto, nessuno progetta né pensa né innova. Così si finisce per appaltare tutto agli impresari delle star e ai venditori di format. Gestiscono budget e personaggi, se vuoi una star devi prenderti tutto il pacchetto pieno di patacche. Risultato: il palinsesto si svuota, la programmazione finisce non più a luglio-agosto, ma fra un po’ si esaurirà poco dopo il Festival di Sanremo, ad aprile.

Questo “intervento esterno” su La7 ha un nome?
Un nome e un cognome: conflitto d’interessi. Politico e industriale insieme. Un’azienda, Mediaset, occupa il governo, il Parlamento, le Autorità, la Rai e piega tutto al proprio tornaconto. Con i numeri che facciamo, dovremmo avere una fila di editori: invece c’è la fuga. La miglior prova della debolezza organica delle classi dirigenti e del capitalismo, incapace di tradurre in progetti e prodotti le idee migliori e di portarle al pubblico. Non è un regime, ma un paese semilibero sì.

Davvero basta Santoro su La7 per stendere i due colossi?
Non sono così presuntuoso. Ma un tempo i programmi ‘diversi’ erano importanti ma non determinanti nella programmazione. Ancora nel 2002 eliminare Biagi, Santoro e Luttazzi fu un colpo per l’immagine, ma non significò svuotare la Rai. Ora i programmi scomodi sono diventati il core business, il top del palinsesto: senza Vieni via con me, Report e Annozero, la Rai si dimezza. È la grande novità degli ultimi anni, imposta dal pubblico che, stufo della ripetitività dei reality, va a cercarsi la realtà là dove sopravvive. Disposto persino a ciucciarsi Avetrana, dove qualcosa di reale comunque c’è, pur di non cadere nei Grandi Fratelli e nelle Talpe. Specie dopo che lo scandalo del bunga bunga ne ha svelato il retroscena, il reality del reality: le selezioni nell’alcova di Arcore.

Lerner e Mentana invitano La7 a ripensarci.
Li ringrazio. La battuta d’arresto delle rete nei nostri confronti è un pessimo segnale di stop anche per chi resta dentro.

Parliamo del futuro. Tu ora sei un ex dipendente Rai…
No, sono ancora dipendente fino al 31 luglio. Se il Cda rivuole Annozero lo dica, io straccio la transazione e resto qui. Oppure torno da esterno, purchè smettano di vedermi come un’imposizione da malsopportare e mi vogliano con la necessaria autonomia. Il servizio pubblico resta sempre la mia prima scelta.

Pia illusione.
E vabbè, se non mi vogliono alla Rai né a La7, devo provare a farne a meno. Siamo usciti dalla serata “Tutti in piedi” a Bologna, come l’anno scorso da “Raiperunanotte”, con una grande carica: c’è un enorme pubblico, soprattutto giovane, che ci chiede di rompere gli schemi, anche quelli in cui abbiamo lavorato finora, per parlare liberamente e uscire da un campo da gioco sempre più ristretto e asfittico. Una rottura come quella del Fatto nell’editoria. C’è un grande pubblico disposto a finanziarci con contributi individuali, a cercarci in rete, sul digitale, sul satellite. La ragazza precaria, sul palco di Bologna davanti a 30 mila persone, spaccava lo schermo. L’ho rivista in tv, seduta in un talk: non era la stessa cosa. Ecco, io ora cerco questo: una tv che rimetta al centro la realtà. “Scassando tutto”, come dice De Magistris: spazzando via l’equilibrio perverso che tiene insieme cattiva politica, cattiva economia e cattiva tv.

Molti si domandano: in autunno rivedremo Santoro e la sua squadra?
Certo che sì. È il momento della chiarezza, siamo alla scelta finale: se Rai e La7 non ci vogliono, dobbiamo essere noi a dire “rivogliamo la Rai” e a riprenderci il servizio pubblico privatizzato dai partiti, di destra e di sinistra, che lo considerano terreno di conquista. Per questo mi sono candidato a direttore generale: della Rai: una provocazione per affermare la necessità di competenze. E poi ci vogliono regole veramente liberali e un garante unico della comunicazione.

E Annozero?
Sto lavorando perché un programma come Annozero vada in onda dall’autunno ogni settimana, come sempre: alla Rai, a La7 o su una multipiattaforma fra satellite, streaming in rete e network di tv locali sul digitale.

Può funzionare anche in versione “feriale” o solo in quella “festiva” dei grandi eventi?
È una sfida entusiasmante. Ma possiamo vincerla solo se si mettono in gioco centinaia di migliaia di persone. Le interpelleremo presto perchè ci diano la forza necessaria. Riuscire in questa impresa sarebbe il coronamento della mia carriera.

di Marco Travaglio e Silvia Truzzi