lunedì 26 agosto 2019

Zingaretti insiste, Di Maio alza il tiro. Oggi il giro di boa. - Luca De Carolis

Zingaretti insiste, Di Maio alza il tiro. Oggi il giro di boa

I due leader di mondi diversi in fondo l’accordo non lo vorrebbero, potendo si sarebbero presi il voto anticipato (Nicola Zingaretti) o magari addirittura la Lega (Luigi Di Maio). Forse però non possono più tornare indietro. “Il treno è andato troppo avanti per fermarsi, lentamente arriverà dove deve arrivare” riassume un veterano del Pd. In sintesi, il segretario dem e il capo politico dei Cinque Stelle questo governo devono davvero cercare di farlo. Magari partendo proprio da Giuseppe Conte, su cui il veto di Zingaretti rimane, ma di domenica sera pare più fragile, perché tante voci di dentro del Pd e parecchie voci da fuori ripetono senza fermarsi che non bisogna formalizzarsi, meglio inghiottire il premier dimissionario a Palazzo Chigi e passare all’incasso sui ministeri, a partire dal Viminale.
VERTICE AL NAZARENO.
In giornata la linea dei democratici su Conte. Poi la palla torna ai grillini
Però è ancora maledettamente difficile questa guerra fredda, perché il Movimento forza i toni e le parole: troppo, per i pontieri delle rispettive parti. Quasi urla il Di Maio che non vuole sentire ragioni, anche perché altri nomi non ne ha. “La soluzione è Conte, e solo lui” tambureggia per tutta la domenica il Movimento. E lo stesso capo politico ripete il concetto a Zingaretti in una telefonata mattutina, l’unico contatto tra i due vertici.
Ma per il segretario del Pd, vecchia scuola comunista, non si può recedere da quella “richiesta di discontinuità” che predica da giorni, cioè dal veto su Conte. Per questo nel pomeriggio appare in maniche di camicia al Nazareno, la sede del Pd dove i dem tengono tavoli un po’ surreali sui temi, e tiene il punto: “L’Italia non capirebbe un rimpastone, noi pensiamo che in un governo di svolta la discontinuità deve esser garantita anche da un cambio di persone”. Però, aggiunge il segretario, “noi faremo di tutto per trovare una soluzione positiva, che si troverà in un confronto reciproco, senza ultimatum”. Ce l’ha con il Movimento che ripete Conte o morte, che gioca sempre di aut aut. Ma in controluce fa capire che serve tempo. Poi magari si potrà fare. Dall’altra parte dovrebbero cogliere il messaggio, ragionano i dem. Invece un nanosecondo dopo il M5S già spara: “L’Italia non può aspettare il Pd, è assurdo”. Una gamba tesa che non ci voleva, a leggere la reazioni. E che rende tutto più difficile, nella domenica in cui i renziani tornano a spingere pubblicamente per il sì a Conte. Tanto che Dario Franceschini, quello che parla pochissimo perché conta davvero, chiede pubblicamente a tutti i dem di fare i bravi: “Fino alla fine della crisi parli solo il segretario Zingaretti”. È più di un suggerimento, dal big che il veto a Conte lo sta corrodendo da giorni, con consigli, segnali, suggerimenti. E il segretario ovviamente ha preso nota. Sa che per l’accordo, e per il presidente del Consiglio che fu gialloverde, si sono mossi in parecchi. Ambasciate, per esempio, e l’eterno potere, la Chiesa. “Conte ha entrature in Vaticano che forse nessuno del Pd ha” sussurra un altro dem. Però Zingaretti e i suoi non vogliono prove di forza dal Movimento. Si irrigidiscono, e anche per questo si trincerano dietro la linea ufficiale: “Non cediamo sul premier, anche se ci stanno offrendo di tutto”. Dal fronte M5S negano: “Figurarsi, al limite potremmo nominare un commissario europeo condiviso”.
E si irritano per un’agenzia che narra di Di Maio che a Zingaretti avrebbe offerto “quasi” un monocolore Pd in cambio del sì a Conte. “Non si fanno scambi o giochini” giurano. Però sanno bene che ai democratici bisognerà dare ministeri di peso, come quello dell’Interno, a cui pure il capo politico puntava per sè. “Ma Luigi può prendere anche gli Esteri” ragiona un maggiorente del Movimento. Certo, dal M5S assicurano che, per carità, “non abbiamo mai parlato di ministri”. Ma i segnali dicono che i 5Stelle sicuri della riconferma sono solo Di Maio e i suoi due pretoriani, Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede. Mentre sul fronte Pd si ragiona su varie opzioni. Con l’attuale capo della Polizia Franco Gabrielli che rimane un nome per il Viminale. E con l’ex governatore del Piemonte Sergio Chiamparino, in ottimi rapporti con la sindaca 5Stelle di Torino Chiara Appendino, che è dato tra i papabili.
Ma siamo già troppo oltre, perché ci sono ancora mille passi da fare. “Di Maio è troppo sfuggente” si lamentano dal Pd. Cioè sfugge a un nuovo incontro, che ieri Zingaretti è tornato a chiedergli. “Fino alle consultazioni di domani dovrebbero vedersi solo le delegazioni” insistono dal M5S. Di Maio vuole continuare a giocarsela a distanza, puntando sul pressing delle varie anime del Pd su Zingaretti e sullo scorrere delle lancette. Ma il segretario dem risponde invocando tavoli anche “con la sinistra”, ossia con Leu (e Federico Fornaro risponde: “Il governo di svolta è possibile”). Oggi però si dovranno trovare se non tutte molte delle risposte. Tradotto, potrebbe essere un lunedì decisivo.
Con il Pd che si riunirà per un vertice che dovrebbe chiarire la linea, cioè dare la risposta definitiva su Conte. E dopo sono previste le 48 ore delle consultazioni. Ma in mezzo ci sono tante botole possibili. Per esempio, il Pd potrebbe rilanciare chiedendo Di Maio fuori dall’esecutivo in cambio del sì a Conte. “Impossibile” dicono i 5Stelle. Ma non è detto. Come non è affatto dato capire cosa farà Di Maio in caso di no al premier. La bomba che potrebbe fare saltare davvero tutto.