giovedì 7 aprile 2016

LE MERAVIGLIOSE CASCATE DEL MULINO DOVE RILASSARSI A COSTO ZERO. - Dominella Trunfio

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Le Cascate del Mulino di Saturnia sono uno dei luoghi più belli della Maremma toscana, un piccolo regno creatosi grazie alle acque sulfuree termali, che hanno scavato naturalmente la roccia di travertino.
Le Cascate del Mulino di Saturnia sembrano delle piccole piscine che si riempiono continuamente, sono aperte tutto il giorno e anche di notte (anche in inverno) e sono completamente gratuite.
Lontano dallo stress e dal rumore cittadino, alle Cascate del Mulino è possibile immergersi completamente nella natura ma non solo. Oltre a godere di uno spettacolo mozzafiato, le terme libere sono un toccasana per la salute, poiché le acque solfuree che escono dalla sorgente naturale a una temperatura di 37 gradi centigradi, hanno molteplici benefici sugli apparati respiratorio, articolare e circolatorio. Anche a livello dermatologico svolgono una funzione antiossidante e di esfoliante naturale.
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Durante tutto l’anno, le vasche sono piene di visitatori, soprattutto nei weekend primaverili poiché quella di Saturnia è una delle località termali più famose al mondo
Viste da lontano, le Cascate del mulino di Saturnia sembrano un dipinto, il nome è legato a una leggenda. Si narra che le fonti termali siano nate a seguito di un fulmine lanciato da Giove, adirato contro il padre Saturno.
Secondo la mitologia greco-romano, infatti, Saturno tiranno detronizzato dall’Olimpo dal suo stesso figlio, aveva vagato per tutta la penisola prima di fermarsi nella Maremma. E proprio qui Giove aveva scagliato la sua ira contro il padre.
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Petrolio Basilicata, gip: “Malori per fughe di gas, Eni li taceva per evitare il blocco”. - Thomas Mackinson

Petrolio Basilicata, gip: “Malori per fughe di gas, Eni li taceva per evitare il blocco”

"Non riuscivo a respirare, mi girava la testa e avvertivo una sensazione di nausea e smarrimento". E' una delle testimonianze agli atti dell'inchiesta della Procura di Potenza sull'impianto di Viggiano. Secondo l'accusa, però, i funzionari indagati non aprivano neppure le procedure d'infortunio sul lavoro per evitare allarmi. La telefonata: "La moral suasion non ha funzionato, il dipendente ha aperto la pratica".


“Sono stata investita da un forte odore di gas, non riuscivo a respirare, mi girava la testa e avvertivo una sensazione di nausea e smarrimento”. Durante la corsa verso il 118 la signora Franca vomitava e respirava a fatica. Un’altra lavoratrice viene soccorsa, messa sotto flebo e con maschera d’ossigeno, sempre per una fuga di acido solfidrico. Ne avrà per diversi giorni ma per i responsabili del Centro Oli di Viggiano indagati dalla Procura di Potenza erano solo malori occasionali, tanto che nessuna procedura per infortunio veniva aperta. “L’atteggiamento che il management Eni ha dimostrato in dette occasioni – scrive il gip – era orientato a una preordinata e accanita pervicacia nel nascondere la reale entità del problema ambientale e i rischi connessi alla salute dei lavoratori”.
E’ partita anche da qui, dal cuore dello stabilimento Cova di Viggiano e a indagini ancora aperte, la pista che porta ora i magistrati ad acquisire le cartelle cliniche della popolazione in tutta la Basilicata, con indagini epidemiologiche anche sui “bioindicatori”, ovvero su indicatori utili a dimostrare i possibili livelli di inquinamento sulle produzioni agricole locali e sugli allevamenti. L’intento è verificare con dati clinici quanto fossero dannose per la salute le reiezioni nei pozzi dei liquami tossici smaltiti come acque di produzione e le emissioni in eccesso alle prescrizioni di legge che venivano sistematicamente nascoste. In particolare quelle di anidride solforosa (H2S), sostanza tossica ad ampio spettro, che viene prodotta nel processo di estrazione e raffinazione del petrolio tramite combustione.
Un veleno insidioso, annotano i magistrati: concentrazioni modeste vengono avvertite dalla popolazione sotto forma di odore di uova marce e possono causare problemi neurologici, debolezza, svenimenti. Ad alte concentrazioni può essere anche letale ma non viene avvertito, perché le particelle paralizzano il senso dell’olfatto. La H2S entra nel corpo per inalazione, attraverso il cibo e l’acqua contaminati, attraverso la pelle provocando infiammazioni alla cornea, congiuntiviti, tosse. I processi di cicatrizzazione della pelle si rallentano, le dermatiti non passano. Le concentrazioni più alte possono portare alla perdita di coscienza e alla morte.
Ecco il senso di quello che vanno cercando i magistrati: la conferma dell’ipotesi di disastro ambientale con quelle più gravi legate alla compromissione della salute. Alcuni elementi, per la verità, sono stati già acquisiti e hanno messo in luce ancora una volta la spregiudicatezza dell’atteggiamento dei dirigenti dell’impianto Eni. I magistrati di Potenza ricostruiscono quattro episodi in cui altrettanti lavoratori del Centro Oli, nel 2014 e dunque in piena fase di indagine, si sentono male proprio a causa delle fuoriuscite di H2S dallo stabilimento lucano. Anche se la compagnia insiste la “qualità dell’aria ottima” e certificata.
I pm mettono in risalto un dato sconcertante, poi ripreso dal gip nell’ordinanza: in caso di malore del personale che prestava opera negli impianti i dirigenti si spendevano molto perché fossero ben seguiti, ma non per le loro condizioni di salute: “Nell’ambito degli incidenti legati all’inalazione di ammina o H2S”, scrivono i magistrati “si è appurato come l’unico intento degli indagati fosse quello di celare la causa del malore di cui erano stati vittima i lavoratori, evitando addirittura di aprire la procedura per infortunio sul lavoro”. Il ricatto, manco a dirlo, era il lavoro. “La moral suasion non ha funzionato. Il lavoratore ha aperto l’infortunio”, si legge nelle intercettazioni agli atti dell’inchiesta tra i titolari di una ditta di manutenzione e i responsabili del settore “salute e sicurezza” dell’Eni. Poi il referente della ditta, per compiacere i vertici di Eni, non procederà ad aprire la pratica, “consapevole che i vertici non gradiscono veder aumentare le statistiche degli infortuni all’interno dei loro impianti”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/04/07/petrolio-basilicata-pm-malori-per-fughe-di-gas-eni-li-taceva-per-evitare-il-blocco/2609773/

Io intravedo tutte le motivazioni necessarie per formulare un'accusa di crimini contro l'umanità nei confronti dei responsabili dei disastri ambientali e delle relative conseguenze dagli stessi derivanti, tra le quali l'aumento delle mortalità per tumori.

Dietro i “Banana Pampers” si vede troppo Soros. - Maurizio Blondet



Di rivelazioni e scandali ne avremo per mesi, vista la mole dei dati trafugati.  Intanto, uno degli effetti dei Panama Papers  – e probabilmente degli scopi per cui sono stati diffusi – lo ha  definito benissimo l’ottimo blogger Nuke the Wales:  è parte della “guerra che gli americani attraverso i loro servizi segreti e l’influenza su alcuni organismi sovranazionali chiave (Ocse) hanno fatto contro i così detti “paradisi fiscali”  altrui;  una battaglia altamente morale – come sempre – che libera dai concorrenti i paradisi fiscali che stanno impetuosamente crescendo in Usa.  “Gli stati americani del Delaware, Wyoming e Nevada sono da decenni all’opera come paradisi nel segreto on-shore, si sono specializzati nella creazione di società di comodo per chiunque desidera nascondere i beni d’oltremare.”



Venite qui  a riciclare!
Il Delaware ha attuato leggi che lo rendono la miglior giurisdizione per la formazione di società. Offre la migliore protezione per chi non vuole rivelare la propria identità come beneficiario di una società e promuove elevati livelli di segreto bancario: non rivela i dettagli sui conti societari. Consente inoltre alle aziende di ri-domiciliarsi entro i propri confini, infatti questo stato ospita circa il 50% delle imprese quotate degli USA.
“Lo scorso settembre 2015, Andrew Penney (amministratore delegato di Rothschild Wealth Management & Trust, con sede a Londra, e con filiali a Milano, Zurigo e Hong Kong, gestisce circa 23 miliardi $ per 7.000 clienti) ha tenuto una conferenza in cui spiegava come si può evitare di pagare le tasse e come può aiutare i clienti a spostare le loro fortune negli USA, tenendo tutto nascosto ai rispettivi governi di provenienza”.



Dal blog di Nuke the Wales
L’altro vistoso tentativo dell’operazione, sporcare la reputazione di Vladimir Putin, condotta con immenso zelo dai media non solo anglo-americani, sembra abbia fatto relativamente cilecca. Qui   la valutazione è di Limes, non particolarmente filo-Putin:  “Putin ha due miliardi di dollari a Panama, dicevano i primi lanci d’agenzia. Qualche ora dopo erano “ambienti riconducibili a Putin” ad averli. Poi sono i suoi amici e conoscenti. Non lui o suo figlio, o suo padre o suo cognato. (…) Questa perenne necessità di dimostrare che Putin è il coacervo di ogni vizio e colpa dice molto dell’insicurezza delle nostre ragioni più che delle fragilità (pur notevoli) del suo regime”.

Il Cremlino ha risposto (sui media niente)

Come ha spiegato l’addetto stampa di Putin, Dmitri Peskov, era già da qualche giorno che riceveva da giornalisti esteri “richieste untuosamente gentili, in forma di domande  sul presidente personalmente, oltre a tentativi di contattare la sua famiglia, di parlare dei suoi amici d’infanzia, di affari –  Kovalchuk, Rotenberg [due uomini d’affari già colpiti da sanzioni americane, il primo  detto ‘il banchiere personale di Putin, ndr.] di certe ditte offshore  con gente d’affari che Putin non ha mai visto.  Tutto questo è molto ripetitivo, con variazioni a cui seguiva un’altra ripetizione”.

Lo ICIJ, il gigantesco Consorzio Internazionale di Giornalisti Investigativi che ha messo a punto il colossale trafugamento di dati panamensi, già nel 2013 aveva cercato di coinvolgere la moglie del vice-primo ministro, Igor Shuvalov, insieme con il milionario Gennady Timchenko in una storia  di conti segreti alle Isole Vergini Britanniche. Nel 2015,  lo ICIJ ha ‘rivelato’ che il suddetto Timchenko era caduto sotto sanzioni Usa in quanto cliente della banca HSBC, multata dalle autorità americane.  Adesso, ha aggiunto Peskov,   simultaneamente all’azione dello ICIJ, “una nota agenzia di stama internazionale sta preparando una pubblicazione basata su  certe asserzioni dello Organized Crime and Corruption Reporting Project, che sono rimasticature di rapporti di Putin con uomini d’affari, di  uomini d’affari che ottengono da lui contratti pubblici, di uomini d’affari che si arricchiscono a spese di Putin…”. La nota agenzia ha presentato una lista di domande a cui chiede a Putin di rispondere. 
Domande, Peskov ha esemplificato, del tipo: “E’  vero che il suo patrimonio ammonta a 40 miliardi di dollari? Che possiede queste villone o quei mega-yachts?  Dicono inoltre che Putin mantiene un intimo rapporto con Sergei Roldugin (il violoncellista, che è anche azionista della banca Russia),  rapporto che consisterebbe  in una frode presidenziale. Domande che insinuano che Putin è associato in qualche modo agli affari o a certe aziende –   Continuiamo a ripetere no, no, no. Adesso il Kremlino non risponde più.  Ci son modi legali per difendere la dignità e l’onore del presidente”.

Spunta la Open Society Foundation

Abbiamo visto che Peskov cita lo Organized Crime and Corruption Reporting Project;  altro nome con cui si presenta il superconsorzio di “indipendenti” giornalisti anti-corruzione, ICIJ.  Il quale a sua volta è una emanazione di una ONG denominata  Non-Governmental Organization Center for Public Integrity; una grossa entità “non-profit”,  quella che paga i giornalisti dediti alle opere di moralizzazione, ed è finanziata dalle solite fondazioni di celebri miliardari americani, alcune delle quali note per essere succursali della Cia  e/o  del Partito Democratico: Ford Foundation, Rockefeller Foundation, Carnegie Endowment, e un’altra mezza dozzina di meno note. Ma soprattutto dalla Open Society Foundation   le celebre fondazione  di Georges Soros, e dalla Sunlight Foundation, che è sempre di Soros.



Chi aiuta il Consortium? Anche lo USAID

Infatti, come hanno rilevato i russi  spulciando i loro archivi, questo ICIJ si è illustrato  nel 1996 per una campagna demolitrice contro il giornalista (paleo)conservatore Patrick Buchanan,  fortemente anti-neocon,   che s’era candidato alle elezioni presidenziali, e che Soros odiava  e riuscì infine a costringere al ritiro.  Il Consorzio è stato anche l’arma di punta nella  quasi decennale offensiva di Soros contro 
i fratelli Koch, miliardari ebrei come lui ma non “liberal”; in questa battaglia senza esclusione di colpi (passata alla storia come Luxembourg Papers) i giornalisti morali di Soros sono stati anche condannati per distorsione dei fatti ed altre violazioni del diritto. Similmente, a  gennaio del 2015, quando Soros cominciò la sua speculazione contro il franco svizzero,   i suoi “giornalisti indipendenti” si lanciarono in una inchiesta sul tema: “Come le banche svizzere riciclano il denaro sporco”. Un bell’ausilio all’attacco speculativo, che forzò la Banca Centrale elvetica a sganciare il franco dall’euro, rivalutandolo rovinosamente (scommettiamo che Soros era long sul Franco? )
Una volta intravisto lo zampino di Soros, i  bersagli dei Panama Papers – o Banana Pampers, come già li descrive qualcuno – si spiegano. Per esempio, all’inizio nessun nome americano, e poi – date le domande nate nei media- ah sì, sono 441 , ma nessun politico.  Per la Francia, grande campagna mediatica il maggiordomo di Jean Marie Le Pen, il tesoro del Front National.  Niente invece sulle “600 ditte israeliane e i circa 850 azionisti israeliani elencati come detentori di  conti offshore, fra cui la Banca Leumi e la Banca Hapoalim” (le più grosse di Sion), su cui il fisco israeliano ha aperto un’indagine.

Il modus operandi

I dati vengono selezionati. Lo ha ammesso Le Monde, che fa’ parte del Consorzio (stranamente né il New York Times né il Wall Street Journal sono della partita: strano davvero, una frattura in quel mondo).  In un articolo dal titolo: “Perché le Monde non pubblica integralmente i dati dei Panama Papers” spiega: “2600 gigaottetti di dati personali inclusi nel database non saranno mai pubblicati, perché contengono “dati privatissimi”; come indirizzi, fotocopie di passaporti corrispondenze private, bollette della luce”. E oltretutto, “il fatto di  possedere una società offshore non è in sé illegale”: bontà sua,  l’organo ufficioso del Grand Orient riconosce che la globalizzazione consiste appunto nella “libera circolazione” dei capitali.
Verranno pubblicati invece i dati delle “215 mila strutture offshore”, ossia le 215000  società, “con per ciascuna la data di creazione, di scioglimento, l’identità degli azionisti dichiarati”.
Verranno pubblicate “a maggio dallo ICIJ”.
Attenzione a questa frasetta: Le Monde ammette di non avere in mano i dati  con cui, per esempio, ha accusato il maggiordomo (sic) di Le Pen di avere un conto alla Mossack-Fonseca, per conto del padrone.  Il giornale francese dipende dallo ICIJ, che  li compulsa, seleziona, e li pubblicherà “a maggio”. Quanto all’identità degli azionisti dichiarati, è un dettaglio divertente: gli azionisti dichiarati sono dei prestanome,  come è ovvio  in questo tipo di società.  Dunque la soffiata sul maggiordomo del F N  gli è stata soffiata, e il giornale  l’’ha strombazzata senza aver visto la documentazione. Sicuro che poi  “i dati” che saranno diffusi “a maggio” confermeranno l’accusa?
Cosa valgono le accuse di Le Monde, senza i documenti? La risposta dell’organo del Grand Orient è molto significativa: “Per noi è importante condurre l’inchiesta (…) e interrogare le personalità messe in causa in modo da dar loro l’occasione di spiegarsi”
Capito? E’ esattamente la stessa tattica  descritta da Peskov: i giornalisti stranieri arrivano e melliflui “interrogano” Putin “per dargli l’occasione di spiegarsi: è vero che lei possiede 40 miliardi? Che è suo quel  certo  mega-yacht?”.
Le Monde farà lo stesso. E’ un genere di domande esemplificato da questa: “Da quanto tempo lei ha smesso di picchiare sua moglie?”.  Quando il poveretto nega: “Mai ho picchiato mia moglie!”, i giornali hanno il titolo già fatto: “Il politico X: non ho mai picchiato mia moglie”. L’articolo spiega: sì, effettivamente ha smesso, o così dice.
E la reputazione della vittima è rovinata.  Sono tecniche che noi giornalisti conosciamo bene.
Oltretutto,  visto che lo ICIJ e i suoi associati le usano con tanta dovizia, viene un sospetto: che  non abbiano in mano quasi nulla  di concreto. Il che è logico:  hanno i nomi di persone, che non sono che dei prestanome. E la Mossack-Fonseca   s’è rifiutata di validare i documenti, perché le sono stati sottratti con la frode.
Per esempio, stringi stringi, i soli nomi russi che hanno in mano sono due (dicesi 2): il celebre violoncellista Sergei Roldughin, e il miliardario ebreo Arkadi Rotenberg. Che – dicono – sono “intimi di Putin”,  quindi….Diamo a Putin l’occasione di spiegarsi.  Diamo alla Famiglia Le Pen l’occasione di spiegarsi. Mica li accusiamo (non avendo le prove  in mano), mica siamo scemi.
Il resto viene a poco a poco, accuratamente selezionato dai giornalisti di Soros, mossi dal più puro moralismo. Il polverone  può giovare alla candidata Hillary  Clinton, braccata dall’FBI per certe sue mail dove racconta che ha invaso la Libia per rendere più sicuro Israele, e sta per perdere le elezioni presidenziali.

La minaccia di Obama, ossia ISIS

In queste settimane, la disinformazione Made in Usa ha raggiunto vertici di virtuosismo  eccezionale. Per esempio  sulla Siria: i media – anche la nostra 7 del noto Mentana – hanno esaltato la notizia seguente: i maggiorenti della setta alawita (quella della famiglia Assad) hanno chiesto ad Assad di dimettersi,  per agevolare la transizione. Basta una breve verifica per apprendere che è un falso Made in Usa. Un  altro sciame di “notizie”  dà impressione che Obama   si  sia messo d’accordo con  Putin sulla Siria, che i due  se la intendano perfettamente  sulla tregua in corso e sulla transizione. La verità è l’esatto contrario:  il Pentagono ha ricominciato un nuovo addestramento di gruppi jihadisti, e  li hanno riarmati con missili Usa, pagati dai sauditi e inoltrati dalla Turchia.  Così rinfrancati, i jihadisti hanno violato la tregua e ripreso i combattimenti, abbattendo anche un caccia siriano e usando anche gas iprite contro una base aerea.



le nuove armi americane
La realtà –  nascosta dai media – è che mai le reazioni fra Mosca e Washington sono state ostili come in questi giorni, mai così prossime alla guerra calda. Lo dimostra,fra gli altri, il fatto che al “Vertice sulla Sicurezza Nucleare” organizzato a fine marzo da Obama, il cui scopo sarebbe appunto far avanzare la non-proliferazione  e far calare il rischio atomico,  Putin s’è rifiutato di partecipare e la Russia, la seconda potenza nucleare,  non è stata invitata. In questo contesto, va inteso il cosiddetto “l’allarme” di Obama alla conclusione del vertice sulla “sicurezza”  sul fatto che ISIS, Al Qaeda possano dotarsi di un’arma nucleare, perché “non c’è dubbio che questi pazzi la utilizzerebbero per uccidere quanti più innocenti possibile”.  A chi è chiaro che Obama (coi sauditi) ri-arma ISIS e Al Qaeda, è anche chiaro cosa significa questa previsione: è una minaccia che l’America ha diretto, specificamente, contro gli europei, gli alleati; se non si accodano alla  ostilità contro Mosca, il terrorismo islamico gli farà vedere ben altri attentati, oltre quelli di Parigi e Bruxelles.
Ma i media sono pieni di informazioni verissime sui Banana Pampers.

read:http://www.maurizioblondet.it/banana-pampers-centra-soros-ovviamente/

Ztl sospesa, le motivazioni del Tar: "Illogica, non garantisce l'ambiente" - Roberto Immesi

Ztl sospesa, il Tar di Palermo accoglie il ricorso. Il 9 novembre la sentenza di merito

PALERMO - Non c’è una mobilità alternativa, non si dovevano far partire insieme le Ztl e non c’era bisogno di ricorrere ai pass a pagamento

L’ordinanza con cui il Tar congela fino al 9 novembre la Zona a traffico limitato del comune di Palermo è una stroncatura in piena regola per l’amministrazione Orlando: Giovanni Tulumello, Auroira Lento e Lucia Maria Brancatelli non entrano nel merito, fissato fra ben otto mesi (circostanza singolare), ma nell’accettare la richiesta di sospensiva degli avvocati Dagnino e Scimone danno uno schiaffo al primo cittadino.

I giudici hanno considerato fondati alcuni dei profili di censura presentati dai ricorrenti. In poche parole puntano il dito contro l’attivazione contestuale delle due Ztl, che invece dovevano partire in fasi differenti e solo in seguito al consolidamento del sistema di trasporto urbano; contro l’adozione delle tariffe, visto che lo smog si poteva abbattere con misure più efficaci e a costo zero; contro l’insussistenza di un reale potenziamento della mobilità alternativa in grado di far lasciare la macchina a casa ai palermitani.

Il Tar inoltre scrive che le tariffe e la vastità dell’area “costituiscono un serio indizio della natura di sostanziale imposizione fiscale”: insomma, il pass è una tassa a tutti gli effetti, nonostante l’amministrazione dica il contrario. La tariffa invece, scrivono i giudici, deve essere solo un ulteriore disincentivo all’uso del mezzo privato, ma in presenza di concrete alternative che a Palermo però mancano. Il Tar arriva a definire contraddittorio e illogico il provvedimento di Orlando perché, pur avendo l’obiettivo di lottare contro l’inquinamento, di fatto privilegia l’aspetto economico del problema.

Insomma, l’ordinanza sembra più che altro una sentenza già scritta difficilmente ribaltabile. “In quanto avvocato tributarista - dice Alessandro Dagnino - sono soddisfatto che il Tribunale abbia confermato che il pass, per le modalità con cui è stato istituito, è una vera e propria tassa. Il Tar ha inoltre confermato, per la prima volta in Italia, la sussistenza del principio di gradualità: non si poteva istituire una Ztl così grande tutta in una volta. Bisognava procedere per tappe, altrimenti si trasforma tutto in una tassa. Infine i giudici dicono a chiare lettere che, considerata la natura radicale dei vizi riscontrati, non sarà possibile correggere il provvedimento”.


http://livesicilia.it/2016/04/06/ztl-sospesa-le-motivazioni-del-tar-illogica-non-garantisce-lambiente_735377/

Non si limita l'inquinamento facendo pagare il dazio, l'inquinamento va abbattuto prendendo seri e definitivi provvedimenti. Con lo ztl  i comuni battono cassa, senza ottenere alcun beneficio per l'ambiente.

CANAPA, LA PIANTA DI CUI NON SI BUTTA VIA NIENTE. - Valeria Gatti

Canapa, la pianta di cui non si butta via niente

Proibizionisti o no, la canapa potrebbe rappresentare una grande risorsa, anche per l'ambiente: ecco cosa possiamo fare con una pianta speciale di cui non si butta via niente.


La canapa, fin dall'antichità, è stata usata non solo per le sue proprietà mediche, ma anche a scopo alimentare, nella cosmesi e per la produzione di carta.
Tuttavia, negli ultimi anni, il suo utilizzo sta tornando alla ribalta grazie anche alla sua capacità di crescere velocemente e con poche risorse. Scopriamo tutti gli utilizzi.

Antiproibizionisti a ragione

Canapa sì o canapa no? Al di là dell'uso che ne viene fatto in campo medico, la canapa potrebbe essere un'ottima risorsa per il paese in cui viene coltivata, perchè il suo impiego si irradia in numerosi settori: dall'edilizia, alla cosmetica, passando per l'alimentazione, ma non solo.
Inoltre la canapa è un prodotto bio compatibile ed ecologico, poichè la sua coltivazione non richiede l'uso di pesticidi, erbicidi o fertilizzanti, ma anzi, bonifica e arricchisce la struttura dei terreni in cui viene messa a dimora.
Last but not least, è una pianta che ha una crescita rapida e abbondante, simile a una pianta infestante. Vediamo cosa si ottiene grazie alla canapa.

La carta di canapa

Anni fa, prima dell'avvento del proibizionismo, la canapa veniva ampiamente coltivata e utilizzata per la produzione della carta. Dalla canapa si può ricavare una carta resistente alle lacerazioni, ma anche al calore e alla luce.
Non viene nemmeno intaccata da muffe o insetti, per cui non ha bisogno di essere trattata chimicamente con acidi. Il suo utilizzo e la sua coltivazione per farne materiale cartaceo, eliminerebbe anche il problema dell'abbattimento degli alberi. 

Canapa come alimento

Per quanto riguarda l'alimentazione, la canapa viene oggi commercializzata e utilizzata soprattutto per i semi, la farina e l'olio.
L'olio di semi di canapa (diverso dall'olio di canapa farmaco, preparato galenico che solo i farmacisti possono realizzare) ha buone proprietà: antinfiammatorie, antiossidanti (grazie agli omega-3 e omega-6), abbassa il colesterolo e farebbe bene a chi soffre di gastrite e per le articolazioni (ideale per chi soffre di artrosi o artrite reumatoide).
La farina di canapa è adatta ai celiaci, non contenendo glutine, ed è molto nutriente, ricca com'è di sali minerali, amminoacidi preziosi e fibre.

Cosmetici alla canapa

La Bottega della Canapa o Verdesativa ne sanno qualcosa di vendita di prodotti naturali a base di canapa: si possono trovare saponi artigianali, ma anche prodotti per la bellezza e salute della pelle del viso, del corpo e dei capelli, sia per l'uomo che per la donna, che sfruttano le dosi benefiche, curative e profondamente nutrienti dell'olio di semi di canapa.

La canapa è usata anche per la produzione delle spugne vegetali: scopri come

Tessuti di canapa

Ideale per ricavarne tessuti, la canapa è calda d'inverno e fresca d'estate, anallergica, non assorbe gli odori e ha una vestibilità molto particolare.
In Italia, a causa del proibizionismo, non si può nemmeno coltivare per farne vestiti, per cui viene frequentemente importata dai paesi dell'est, dalla Moldavia per esempio. Bottega della Canapa, Altramoda, Fatti di Canapa, i punti utili on line per scoprire nuovi modi di vestire.
Francesca Tronca Hemp Fashion è la stilista portavoce di un modo di vestire ecologico e pulito.

Materiali edilizi con la canapa

Trattandosi di un ottimo isolante, la canapa è adatta per realizzare pannelli acustico e termo isolanti, traspirabili, salubri e leggere. Calcecanapa.it e Architetturaecosostenibile.it, due punti di riferimento utili.
Oltre ai classici pannelli si possono ralizzare anche fiocchi, feltri, materassini, pannellature, mattoni, vernici, smalti, colle, biocompositi e tessuti per il rinforzo strutturale.

Link utili

Andando al sito Usi della canapa si possono scoprire dove trovare i prodotti e quali punti vendita contattare per le diverse esigenze di impiego.  I prodotti a base di canapa sono ancora abbastanza cari:
  • mezzo litro di olio di canapa costa intorno alle 20 euro;
  • mezzo chilo di pasta alla canapa costa intorno ai 3 euro;
  • una giacca di canapa non costa meno di 100 euro.

I mille usi della canapa