sabato 13 settembre 2014

EUTANASIA DEL REALE. - ROSANNA SPADINI



Fine dell’empatia comunicativa e inizio della distopia sociale, indotta ad arte dalla meraviglia multimediale dei visual network. 
Il 1989 è un anno di svolta, è l’anno in cui la società dello spettacolo diventa schiava di se stessa, in cui lo spettacolo viene trasformato in strumento di disperazione e di morte e si rompe quel patto millenario dell’illusione scenica utilizzato fino a quel momento per la promozione culturale della società, ridotta ora a semplice scenografia teatrale. 
Un teatro che rinnega se stesso, un teatro che uccide.
Il senso dell’incertezza della “società liquida” lo si riconosce anche nell’esercizio ossessivo della “navigazione in rete”, dove ci si connette immediatamente con gli altri, ma in realtà con altrettanta facilità ci si disconnette, smantellando con un canc i legami interpersonali che ci disturbano.

Navigazione rischiosa e temeraria, in cui viene consentito all’individuo di essere in un altrove extraterritoriale e slegato dallo spazio fisico del suo corpo e dal tempo della sua coscienza. 


Lo dice anche Giorgio Agamben, illustre filosofo italiano, che ha sintetizzato in modo magistrale la vicenda di Timisoara e del “falso genocidio” che la polizia di Ceausescu avrebbe provocato appunto nel 1989, anno in cui si manifesta la nascita delle notizie/spettacolo, funzionali al sostegno delle guerre moderne.
Venne allestito una sorte di set cinematografico dell’orrore, per criminalizzare Ceausescu:
«Per la prima volta nella storia dell’umanità, dei cadaveri appena sepolti o allineati sui tavoli delle morgues [degli obitori] sono stati dissepolti in fretta e torturati per simulare davanti alle telecamere il genocidio che doveva legittimare il nuovo regime. 
Ciò che tutto il mondo vedeva in diretta come la verità vera sugli schermi televisivi, era l’assoluta non-verità; e, benché la falsificazione fosse a tratti evidente, essa era tuttavia autentificata come vera dal sistema mondiale dei media, perché fosse chiaro che il vero non era ormai che un momento del movimento necessario del falso. Così verità e falsità diventavano indiscernibili e lo spettacolo si legittimava unicamente mediante lo spettacolo. Timisoara è, in questo senso, l’Auschwitz della società dello spettacolo: e come è stato detto che, dopo Auschwitz, è impossibile scrivere e pensare come prima, così, dopo Timisoara, non sarà più possibile guardare uno schermo televisivo nello stesso modo» (Agamben 1996).
Nei mesi successivi si accertò che le notizie non provate dei giorni precedenti andavano drasticamente ridimensionate, che le foto dei cadaveri erano un “falso giornalistico” e che non c’erano state fosse comuni, 
i giornali rettificarono e la vicenda fu presto archiviata di fronte ai grandi eventi che si prospettavano: il collasso dell’URSS, la Prima Guerra del Golfo, ecc …
La guerra moderna dunque “sola igiene” del mondo, viene anticipata da eventi traumatici sapientemente orchestrati dal regime e funzionali agli step successivi, con la produzione del falso giornalistico, per suscitare attraverso il terrorismo mediatico l’indignazione della gente e poi di conseguenza l’attacco aereo e il massacro dei civili. Così è avvenuto anche nel 1991 durante la prima guerra del Golfo, sostenuta anch’essa dalle solite denunce false: un’agenzia pubblicitaria denunciava il fatto che i soldati irakeni “tagliavano le orecchie” ai kuwaitiani che resistevano, poi che gli invasori avevano fatto irruzione in un ospedale “rimuovendo 312 neonati dalle loro incubatrici e lasciandoli morire sul freddo pavimento dell’ospedale di Kuwait City.”

Il linguaggio dell’immagine diventa il luogo politico per eccellenza, il luogo del conflitto estremo, oggetto 
di una contesa e di una manipolazione senza precedenti, dove il rapporto tra la scenografia e la sfera dei mezzi puri o dei gesti cognitivi  si emancipa dalla sua relazione ad un fine. Il video/teatro o la notizia/spettacolo perdono ogni tipo di senso didascalico, per dotarsi delle categorie della guerra, che prima di essere morte fisica segneranno la morte ontologica del teatro, così come è stato inteso da millenni. Il teatro muore nel momento in cui uccide la realtà: viene così realizzato il delitto perfetto!

Infatti nel 1991 gli psicopatici della  CIA organizzarono una psywar (psychological warfare) per demonizzare Saddam Hussein agli occhi del suo stesso popolo e facilitare così l'attacco. Avrebbero dovuto diffondere in Iraq un video in cui veniva mostrato il dittatore iracheno mentre faceva sesso con un ragazzo, naturalmente ripreso da una telecamera nascosta, come se si trattasse di una registrazione clandestina. Il video venne effettivamente girato, con un sosia di Saddam e alcuni agenti della CIA camuffati da arabi. Poi il progetto venne bloccato, di fronte ad altre strategie di false flag.
Il 2 agosto 1990 la 1° guerra del Golfo inizia prima sui mass media, poi nella realtà, con il simbolico conflitto tra Bush e Saddam Hussein avvenuto attraverso i canali della comunicazione, in cui entrambi si scambiavano minacce e sfide, appelli rivolti  all’estero in nome del diritto internazionale o  dei comuni valori religiosi e culturali del mondo arabo. La radio funzionò anche come strumento di spywar, la “Voice of America” tentò di minare il morale dei soldati iracheni dando notizia di un avvelenamento dell’acqua dei pozzi del deserto.

Sul fronte interno venne applicata una strategia di news management sui media americani (e di riflesso su quelli mondiali), prima per ottenere l’approvazione dell’ONU all’intervento armato, poi per il consenso interno alla guerra. L’amministrazione Bush diffonde il dato della presenza di 250.000 soldati iracheni e 1.500 carri armati in Kuwait (ma i satelliti sovietici non li vedono).

Intanto il governo kuwaitiano in esilio si affida alla maggiore agenzia americana  di pubbliche relazioni, la “Hill & Knowlton”, che cerca di influenzare l’opinione  pubblica utilizzando tecniche di marketing commerciale, demonizzando Saddam Hussein  con l’accostamento rispetto ad  Hitler, che si rivelerà una delle strategie vincenti per la mobilitazione dell’opinione pubblica contro l’Iraq.

Prova della malvagità irachena è anche la testimonianza portata da una ragazza quindicenne kuwaitiana a  Washington davanti alla Commissione Difesa, dice infatti che i soldati iracheni staccavano la corrente elettrica alle incubatrici degli ospedali, per fare morire i neonati kuwaitiani.  Questa testimonianza si rivelerà  un falso, la ragazza era in realtà la figlia dell’ambasciatore kuwaitiano all’ONU e aveva recitato un copione preparato dalla “Hill & Knowlton”. 

In questo senso quella del Golfo è stata la prima guerra televisiva, perché ha sfruttato pienamente le possibilità del mezzo televisivo di essere sul campo, confezionare e vendere la  guerra, a differenza del Vietnam, quando politici e militari non avevano capito come il nuovo media avrebbe potuto controllare il messaggio e distruggere un nemico appartenente al terzo mondo, e perciò senza voce. Da allora la leadership politica sembra avere appreso la lezione.

L’atto finale della guerra del Golfo trasmesso dalla televisione è la calata dei soldati americani da un elicottero per riconquistare l’ambasciata di Kuwait City. Di fronte a questa scena spettacolare, nessuno pone la domanda dell’utilità dell’azione (visto che la capitale era già libera da due giorni).  Per evitare le pericolose interferenze dei giornalisti e dell’opinione pubblica il comando militare si serve dei due strumenti tradizionalmente a sua disposizione: la censura e la produzione di un flusso alternativo di notizie.

Tutti i corrispondenti accreditati presso il JIB (Joint Information Bureau) a Dhahran, (in Arabia, la sede del comando delle forze alleate), sono obbligati a firmare un  documento in cui si impegnano a rispettare determinate condizioni, pena il ritiro dell’accredito. È proibito loro di andare al fronte senza una scorta militare, di fotografare o filmare morti e feriti, di dare informazioni su  armamenti, equipaggiamento, spostamenti  e consistenza numerica delle unità alleate e sulla consistenza dell’armamento nemico, di descrivere nei  particolari le operazioni militari, di fornire dati sulle perdite alleate, di nominare le basi di partenza delle missioni, di intervistare i militari senza il preventivo permesso ufficiale.

Questo controllo quasi totale  della censura militare è amplificato dalla nuova natura della guerra, guerra aerea, condotta con aerei e droni, che esclude la presenza fisica del giornalista. La guerra del Golfo è così oscurata per le cronache dell’informazione vera e propria, ma alla censura si riuscirà ad unire un’apparente ricchezza informativa, ottenuta dal news management militare.  Il comando militare delle forze multinazionali tiene briefings quotidiani in cui si forniscono dati, numeri, analisi delle azioni del giorno e soprattutto le immagini della guerra aerea, computerizzate o riprese da cineoperatori militari, e quelle degli aviatori in partenza o di ritorno dalla missione.

Poi però una delle immagini più famose, simbolo della guerra, quella del cormorano che agonizza nel petrolio a causa dell’incendio dei pozzi kuwaitiani, ha destato forti dubbi. Com’era stato possibile filmare, se il  territorio era in mano agli iracheni? Successivamente esperti ornitologi dissero che il cormorano non dimorerebbe nella regione in quel periodo dell’anno (Mirko Nozzi, Informazione e guerra).

Per arrivare ai giorni nostri in cui numerose false flag e spettacolarizzazioni della guerra moderna rimangono micidiali armi di distruzione di massa. Mentre viviamo da spettatori stavolta coinvolti sullo scenario di una terza guerra mondiale, negli ultimi mesi ci sono state somministrate diverse bufale mediatiche, che dovevano predisporre la demonizzazione del nemico e la giusta motivazione dell’intervento.  

Prima il “reality show” avvenuto a Kiev nel febbraio 2014 di cui si attribuiva la responsabilità ad un “sano desiderio di rivoluzione europeista”,  poi il Boeing MH17 abbattuto si diceva dai separatisti, poi l’invasione delle truppe russe in territorio ucraino, invasione mai avvenuta.
E le false flag sono poi avvalorate dai soliti vampiri, assatanati di sangue umano.  Infatti a Cernobbio, il 5 settembre, si è presentato il senatore dell’Arizona John McCain,  che ha detto - "Dovremmo vergognarci per non aver aiutato l'Ucraina di fronte a una chiara e aperta invasione da parte della Russia di Putin, l'ex generale del Kgb che si sente investito di un destino storico. E non venite a dirmi che questa non e' un'invasione vera e propria. L'Ucraina ha accettato il cessate il fuoco perché sta perdendo, perché non l'abbiamo aiutata a combattere contro un nemico più forte e agguerrito di lei".. "Di fronte al grido di aiuto dell'Ucraina - ha detto ancora McCain - l'amministrazione Obama ha deciso di fornire agli ucraini giubbotti antiproiettili che non servono un granché contro i  carrarmati e gli europei non hanno fatto assolutamente nulla".

Dunque il senatore McCain, avvoltoio di carriera, sempre presente in scenari che preannunciano l’imminenza di una guerra, non dice la verità naturalmente, non dice che le “truppe naziste” di Kiev sono state finanziate da USA, foraggiate dalla NATO, con la complicità dell’UE, e che nonostante i poderosi sostegni militari, sono state sbaragliate dai separatisti, meno riforniti di armi ed equipaggiamenti. 
Il senatore McCain non dice che non c’è stata nessuna invasione della Russia, ma anzi è vero il contrario, il territorio russo è stato letteralmente circondato da basi missilistiche americane. 
Per di più gli Usa hanno costretto l’UE all’imposizione di sanzioni economiche alla Russia, assolutamente demenziali, che danneggeranno fortemente la sua economia, per le esportazione di alimentari e manufatti rispedite al mittente e mettendola a rischio di insufficienza di risorse energetiche nel prossimo inverno.
Insomma di episodi di video/stragismo  ne abbiamo visti e sentiti tanti, da quel dannato 1989 in cui è iniziata l’”eutanasia del reale attraverso le immagini”. I regimi totalitari l’avevano già utilizzata per la propaganda politica di mietitura del consenso, ma mai in maniera così massiccia e spudorata, manipolando la realtà stessa per poi ucciderla in diretta. 
Ma un’altra novità degli ultimi tempi è che i più diretti avversari degli USA, Vladimir Putin e ISIS, si sono attrezzati alla grande per poter fronteggiare l’egemonia mediatica del mondo occidentale.
Ispirato dai media controllati dallo Stato del regime sovietico, anche il presidente Vladimir Putin sta facendo uno sforzo concertato per "rompere il monopolio anglo-sassone dei mass media " e per  "illuminare all'estero le politiche statali" del Cremlino. A tal fine, sta investendo somme incredibili di denaro nei media russi. Per esempio la Russia sta attualmente espandendo la sua emittente estera RT (precedentemente noto come Russia Today ), e la News Agency Ruptly. Lanciata nel 2005, RT è attualmente disponibile in inglese, spagnolo e arabo, e viene posizionato come alternativa ai media internazionali occidentali, come la CNN e la BBC.
Il governo USA aveva bloccato alcune volte la diffusione del canale Russia Today sul territorio nordamericano, dato che l’emittente si è sempre distinta dai media controllati dalle corporation per la sua indipendenza da grandi finanziatori americani, e  ha trattato i problemi di politica internazionale dando libertà di espressione a economisti e geopolitologi “fuori dal coro”.
Siamo nel bel mezzo di una guerra di propaganda mediatica spietata. RT è diventata uno strumento assolutamente necessario per la Russia, ai fini di gestione della politica estera, ed il Cremlino sta sfidando gli USA con una guerra di propaganda di altissima qualità, che continuamente smentisce il flusso di notizie yankee a senso unico.
RT si è già affermata con successo nei nove anni dalla sua creazione, ha recentemente superato anche la CNN quando si tratta di video visualizzati su YouTube. Con quasi 1,2 miliardi di vedute, la BBC è l'unico mezzo di comunicazione prima di RT. In Gran Bretagna, RT ha più spettatori rispetto al livello europeo di notizie Euronews e in alcune grandi città degli Stati Uniti, il canale è il più visto di tutte le emittenti straniere. La marcia trionfale del broadcaster di Putin è iniziata in una ex fabbrica nel nord-est di Mosca e il suo compito è stato fin da subito: "Rompere il monopolio dei mass media anglo-sassone".
Secondo Peter Pomerantsev, produttore televisivo e saggista, Putin sta reinventando la guerra del XXI secolo,  e la propaganda viene utilizzata come arma principale. La Russia starebbe conducendo una "guerra non lineare" in una strategia di "avant-garde", basato sul presupposto che il conflitto nel mondo globalizzato di oggi è multidimensionale, e gli Stati-nazione non sono più schierati contro altri Stati-nazione.
Allo stesso modo, anche l'insurrezione dello Stato Islamico irakeno sta impiegando nuove sofisticate tecniche di propaganda. Nel suo sapiente utilizzo di mezzi di comunicazione diversi, il gruppo ISIS ha utilizzato numerosi video, immagini scattate da terra di droni, e messaggi in multilingua sui social media. Ha utilizzato anche servizi come JustPaste per la pubblicazione di riassunti di battaglia, SoundCloud per rilasciare report audio, Instagram per condividere immagini e WhatsApp per diffondere la grafica e video. Ha adottato poi la strategia di  intimidire i nemici con immagini shock di decapitazioni (vere o presunte) dimostrando grande competenza tecnologica.
Infatti la campagna d'informazione dell’ ISIS è diventata molto più sofisticato rispetto a quella di Al Qaeda; 
i suoi video ben congegnati sono ben lontani da quelle sgranate immagini statiche di Osama Bin Laden & com. significativa è la pubblicazione di un flusso costante di storie dell'orrore su Facebook e Twitter, utilizzando l'hashtag  #ThinkAgainTurnAway.
L'insurrezione ribelle ha attentamente costruito una narrazione che giustifica la propria lotta contro le divisioni nazionali dei confini mediorientali tracciate dalle potenze occidentali, dopo la prima guerra mondiale e che definisce "partizioni Crusader", adattando terminologia informatica ad eventi storici (segnale di provenienza culturale dichiaratamente yankee). L’ISIS ha continuato a sostenere che il compito di una leadership araba moderna deve essere quello di contrastare la  strategia angloamericana del  “divide et impera”,  che impedisce al popolo musulmano di unirsi "sotto lo stesso Imam portando la bandiera della verità".
Dunque nella “War of the Worlds” del terzo millennio, è stata realizzata sotto i nostri occhi la perfetta “eutanasia del reale”, e secondo quanto diceva  Jean Baudrillard, l’immagine fantasmagorica e multimediale, riprodotta milioni di volte, su milioni di teleschermi accesi 24 ore su 24, ha ucciso la realtà globalizzata, compiendo così “Il delitto perfetto”.
The game is over, the game begins again.

Rosanna Spadini


http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=13908

Ucraina: Slitta l'accordo con l'Ue. Putin, "le sanzioni minano la pace".

Vladimir Putin (foto: EPA)

'Non portano mai risultati e danneggiano chi ne fa ricorso'.

La scure delle sanzioni Ue si abbatte su Mosca colpendo i giganti del petrolio Rosneft, Gazprom Neft, e Transneft, dell'aerospazio come Opk Oboronprom e della produzione di armi, come la Khalashnikov, ma anche personalità vicine al presidente Vladimir Putin, come il top manager pubblico Serghiei Chemezov, alla guida di RosTekhnologi, principale società manifatturiera nel settore della difesa. Un'azione che in tutto colpisce 15 società e 24 personalità (anche se 'risparmia' nomi di primissimo piano, lasciando fuori il ministro della Difesa Serghiei Shoigu, indicato nei giorni scorsi come possibile bersaglio), e imprime un nuovo giro di vite alle misure di luglio contro i principali istituti di credito a controllo pubblico: Sberbank; Vnesheconombank; Rosselkhozbank; Vtb bank; e Gazprombank.
Una ghigliottina che si incrocia con quella del nuovo pacchetto di misure varato dagli Usa, dopo giorni di indecisione e attente valutazioni, nelle capitali, sulla tenuta della tregua e sull'evoluzione della situazione sul terreno. Nuove sanzioni, che fanno colare a picco il rublo, al suo nuovo record negativo (a quota 37,72 per un dollaro), e suscitano la dura reazione del capo del Cremlino: "passi che minano il processo di pace", li definisce. Perchè "le sanzioni", sostiene, "non sono mai state efficaci come strumento di politica estera e non portano mai i risultati attesi". Anche se di fronte alla possibilità di ulteriori contromisure Putin si mostra cauto: si faranno solo se queste non danneggeranno l'economia russa. Mosca, del resto, non si mostra intimidita: e in serata fa sapere che una nuova colonna di aiuti destinati alle zone controllate dagli insorti ha attraversato il confine russo con l'Ucraina orientale per un totale di almeno 35 camion. Dal canto suo il presidente ucraino Petro Poroshenko ribadisce la promessa che la Crimea tornerà sotto Kiev, ma ammette che questo avverrà "non necessariamente" con l'uso delle armi.
Mentre il presidente della commissione Josè Manuel Barroso, da Kiev dove è in vista a Poroshenko spiega: "non abbiamo voluto aggravare la situazione". Con queste misure l'Ue ha "dimostra alla Russia e al mondo che ci sono comportamenti che non possono essere accettati". Anche se "le porte del dialogo", e del "compromesso" restano aperte. Esempio della disponibilità europea a mediare è la decisione di rinviare al 31 dicembre 2015 l'applicazione dell'accordo di libero scambio Ue-Ucraina (il pezzo economico dell'Accordo di associazione all'origine di tutto il conflitto) al termine di una trilaterale (Ue-Ucraina-Russia) a Bruxelles. Aprendo così "uno spazio politico di dialogo tra Mosca e Kiev", come spiega il commissario europeo al Commercio Karel De Gucht.
Intanto il colosso dell'energia statunitense Exxon perde lo 0,94% in borsa. Pesa il rischio di uno stop all'accordo da 3,2 miliardi di dollari con Rosneft nel mar Artico, dopo che il Tesoro americano ha "imposto sanzioni che vietano l'esportazione di beni, servizi (non inclusi quelli finanziari) o tecnologia" che possa aiutare la produzione di petrolio nel mar Artico a Gazprom, Gazprom Neft, Lukoil, Surgutneftegas e Rosneft.
Minano la pace, mettendo a rischio l'erogazione di gas; la scusa buona per farne aumentare il prezzo anche se non dovesse verificarsi nulla di quanto detto.....

Province, l’ultimo trucco della casta: via il nome, restano tutte le funzioni.

Province, l’ultimo trucco della casta: via il nome, restano tutte le funzioni

Tra le competenze fondamentali che rimarranno agli enti intermedi anche l'ambiente, le scuole, il trasporto pubblico, la pianificazione del territorio. Infatti dai territori si chiedono risorse altrimenti, come dice il presidente della Conferenza delle Regioni Chiamparino, non potranno essere garantite funzioni fondamentali come il riscaldamento delle scuole o la pulizia delle strade dalla neve.

Tutela dell’ambiente, gestione delle strade provinciali, pianificazione del territorio e del trasporto pubblico, controllo di quello privato, gestione dell’edilizia scolastica. Sono le competenze fondamentali delle nuove Province. Le vecchie Province, invece, prima della riforma Delrio, si occupavano anche di tutela dell’ambiente, gestione delle strade provinciali, pianificazione del territorio e del trasporto pubblico, controllo di quello privato, gestione dell’edilizia scolastica. Cioè le stesse materie. Per capirci qualcosa servirebbe uno bravo nel gioco della Settimana Enigmistica: trova le differenze. Il cerchietto finirebbe forse sul taglio delle poltrone (tra assessori e consiglieri saranno poco meno di mille anziché 2500) e magari sulle modalità di elezione: non più i cittadini che votano i politici, ma i politici che votano i politiciCioè i consiglieri comunali che votano i consiglieri provinciali, presidenti compresi. L’elezione di secondo livello, come quella per il Senato disegnato dai consiglieri regionali. In queste ore, anche se nessuno se ne accorge, ci sono tavoli diplomatici per cercare alleanze, sostegni, appoggi esterni tra i partiti. Una vera e propria campagna elettorale sottotraccia: arrivare al vertice ha soprattutto un significato politico (per dire: con un po’ di alleanze il M5s potrebbe prendersi Livorno).
Ma non solo. Regioni e Stato si sono incontrati, l’11 settembre, per definire se le Province dovranno prendere altre materie da gestire e su cui intervenire. Ma quelle 5-6 ci saranno di sicuro e il paradosso è che sono state proprio quelle il cuore della ragione d’essere delle Province conosciute fino a ora. Sembra un gioco di prestidigitazione: Matteo Renzi non avrà la bacchetta magica, ma forse un cilindro e un mazzo di carte se li è procurati. Come spiega il presidente dell’Upi Alessandro Pastacci, d’altronde, le Province continuano “a erogare funzioni fondamentali, in particolare, sulla costruzione e gestione dell’80% delle strade, pari a circa 130mila chilometri e sulla gestione della edilizia scolastica delle superiori secondarie, che sono circa 5mila edifici. Per questo è necessario che vengano erogate le risorse adeguate”. E d’altra parte la conferma è arrivata dalle dichiarazioni anche di chi rappresenta le Regioni: se non ci saranno trasferimenti sufficienti, dice il presidente Sergio Chiamparino, non saranno garantite funzioni fondamentali “come il riscaldamento nelle scuole o la pulizia delle strade dalla neve“. “Proceduralmente – aggiunge chiedendo che le risorse siano già nella legge di stabilità – ci sono delle garanzie che verranno attribuite le risorse per far si che le nuove province possano ottemperare almeno alle funzioni fondamentali , alla parte fondamentale dei loro compiti, però i soldi non ci sono ancora quindi questo è un altro tema. Rischiamo di non riuscire a mantenere le scuole aperte o la minima funzionalità delle viabilità in particolare in zone impervie e montagna”. Mentre tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre verranno eletti sindaci e consigli metropolitani di 8 città e presidenti e consigli di 64 Province, 33 di queste presentano una situazione di “pre-dissesto”, come è emerso dalla due diligence realizzata da Upi, ministero dell’Economia e Viminale.
Ogni Regione deciderà sulle competenze da delegare alle Province
In questo scenario c’è che la riunione dell’11 settembre non ha sciolto il nodo sulle (ulteriori) competenze che le Regioni dovrebbero distribuire alle Province. Anzi l’incontro è terminato con la decisione che ogni Regione deciderà per sé. L’unica decisione già definitiva riguarda la tutela delle minoranze linguistiche. Per il resto bisogna aspettare ancora – come scrive il Corriere della Sera – lasciando scoperte competenze importanti come culturaturismo e sport sulle quali è necessario un coordinamento di “area vasta” che non sia il piccolo territorio di un comune, ma neanche l’estensione di una regione nella quale ogni area ha esigenze e dinamiche diverse. Il risultato è che da semplificazione diventi ulteriore complicazione.
 
Le elezioni di fine settembre e inizio ottobre
Per le prime la presentazione delle liste dei candidati, secondo quanto fissato dalla circolare 32 del 2014 del ministero dell’Interno, è stata prevista entro il 20esimo giorno precedente le votazioni e per le seconde entro il 40esimo. Tutto ciò inevitabilmente ha dato vita a un fitto gioco di alleanze tra i vari gruppi consiliari, ancora in via di definizione in molte realtà, che va a sommarsi a una delle novità della legge 56 di riforma degli enti locali, vale a dire il voto di secondo livello, che esclude i cittadini conferendo la scelta a coloro che sono già stati eletti (i sindaci), che saranno chiamati ad eleggere i consigli metropolitani di 8 città metropolitane – MilanoBolognaGenovaFirenze e Bari, che andranno alle urne il 28 settembreRoma5 ottobre, e Torino e Napoli il 12 ottobre – e i presidenti e i consigli di 64 province (per i quali le urne saranno aperte nella maggior parte dei casi il 12 ottobre).
Città metropolitane
Il sindaco metropolitano sarà di diritto il primo cittadino del comune capoluogo (condizione che vale sempre a meno di modifiche stabilite per statuto); sono eleggibili come consigliere metropolitano i sindaci e i consiglieri comunali in carica. Il consiglio metropolitano sarà composto da: sindaco metropolitano, 24 consiglieri nelle città metropolitane con popolazione residente superiore a 3 milioni di abitanti (RomaMilanoNapoli); oppure da 18 (nelle realtà con popolazione residente superiore a 800mila e inferiore o pari a 3 milioni di abitanti (TorinoVeneziaGenovaBolognaFirenzeBari). Quattordici infine nelle altre (Reggio Calabria).
I termini per la presentazione delle liste di candidati al Consiglio metropolitano sono stati fissati tra il 19 e il 13 settembre, nel caso in cui si vota il 28 settembre, e tra il 23 e il 27 settembre se si va alle urne il 12 ottobre. Otto giorni prima della votazione le liste definitive dei candidati al consiglio metropolitano sono pubblicate sul sito internet della Provincia (entro il 20 settembre se si vota il 28 settembre o entro il 4 ottobre nel caso del 12 ottobre).
Nuove Province
Sono eleggibili a consigliere provinciale i sindaci e i consiglieri comunali in carica, nonché, limitatamente alle prime elezioni, i consiglieri provinciali uscenti. Il consiglio dura in carica 2 anni. Sono eleggibili a presidente della Provincia i sindaci della provincia il cui mandato scada non prima di 18 mesi dallo svolgimento delle elezioni e, in sede di prima applicazione, anche i consiglieri provinciali uscenti. Il presidente dura in carica 4 anni. Eleggono il presidente e il consiglio provinciale, i sindaci e i consiglieri dei comuni della provincia. Le date per la presentazione delle liste dei candidati sono state fissate al 7 settembre, in caso di voto il 28 settembre, e al 21 settembre nel caso del 12 ottobre.
Il profilo di innovazione che contempla, entro il 2015, la nascita delle città metropolitane e delle nuove province di area vasta, prevede anche un taglio dei nuovi amministratori, che alla fine saranno in tutto 986, anziché 2500, distribuiti tra 162 consiglieri metropolitani, 64 presidenti di provincia e 760 consiglieri provinciali. La legge prevede l’introduzione del voto ponderato: ogni elettore cioè esprimerà una scelta che sarà proporzionale al numero di cittadini che il consigliere comunale e il sindaco rappresentano nell’ambito del comune di appartenenza. Per l’elezione del consiglio metropolitano e del consiglio provinciale la legge introduce, oltre al voto ponderato, un voto di lista, con la possibilità per l’elettore di esprimere un voto di preferenza per uno dei candidati compreso nella lista.
Regione Lombardia: “E’ il funerale della legge Delrio”
Tra gli amministratori locali del centrodestra si usano immagini nette: “Si è sentito di fatto il fallimento della riforma Delrio”, dice l’assessore all’Economia della Regione Lombardia Massimo Garavaglia (Lega) e questo perché “nel testo del decreto che il governo emana a supporto della riforma all’articolo 3, comma 3, viene scritto che il governo non metterà un euro in più sulle funzioni in capo alle nuove province e lo stesso faranno le regioni”. Per il sottosegretario alle Riforme lombardo Daniele Nava (Ncd) “si celebra il funerale della legge Delrio”“Il Parlamento – aggiunge – ha votato una legge e il Governo non la finanzia. È una grandissima presa in giro per i cittadini e presto ci sarà un cortocircuito istituzionale, che pagheranno gli stessi cittadini. Non ci può essere trasferimento delle funzioni alle Province ma senza soldi. E’ una decisione molto pericolosa per alcuni servizi fondamentali”.
M5s: “Balladopoballa, Province mai abolite”
Intanto sulla questione, sotto il profilo di rimborsi e indennità, interviene anche il Movimento Cinque Stelle che trasforma il “passo dopo passo” di Renzi in “#balladopoballa”: “Il gattopardismo del Governo Renzi ha già fatto scuola – si legge in un post sul sito di Beppe Grillo – Nella conversione in legge del Dl Pubblica amministrazione del 7 agosto 2014 è stata inserita una postilla (all’articolo 23, comma 84 del paragrafo f-bis) grazie alla quale le Province, mai abolite e tuttora attive, dovranno continuare a erogare ricchi rimborsi spese a consiglieri e a presidenti peraltro non più eletti ma nominati dalla politica stessa”.