lunedì 19 ottobre 2020

Conte non richiude e avvisa: “Fase critica, fare la propria parte”. - Paola Zanca

 

“Non firmerò mai più un lockdown”, aveva detto Giuseppe Conte nelle ultime ore. E in effetti, non l’ha firmato.

Alle nove e mezza della sera, uscendo nel cortile di palazzo Chigi, insiste: la strategia di contenimento del virus non può essere la stessa di marzo. Perché gli ospedali sono attrezzati, i dispositivi di protezione individuali adesso ci sono, i tamponi anche. “Non abbiamo abbassato la guardia”, dice, pur ammettendo che ci sono ancora “criticità” e avvertendo che, dal punto di vista economico, qualunque cosa succeda, “non ci saranno più elargizioni a pioggia”.

Ma il vero appello lo rivolge alle persone, ricordando le regole di igiene e distanziamento, in particolare quando sono in situazioni “vulnerabili”, come dentro le mura di casa. “Dobbiamo impegnarci – è il cuore del discorso del premier – la situazione è critica, la curva dei contagi è preoccupante. Ma il governo c’è. E ognuno deve fare la sua parte”.

Pazienza se filtra già l’irritazione dei sindaci e dei governatori, consapevoli che toccherà a loro il lavoro sporco. Ieri mattina, al termine della riunione con i presidenti, era già chiarissimo lo scontro andato in scena con le ministre De Micheli (Trasporti) e Azzolina (Istruzione): la prima che ha ribadito la capienza dei mezzi pubblici all’80 per cento, la seconda che li invitava ad aprire un tavolo con i dirigenti scolastici per trovare un accordo sugli ingressi scaglionati delle scuole. “A questo punto, mentre il virus avanza – è sbottato il presidente dell’Anci Antonio Decaro – tra due settimane staremo ancora parlando di cosa fare”.

Chiuso il confronto con gli enti locali e aperto quello con la politica, sembra incredibile ma raccontano che alla fine, la litigata vera, l’abbiano fatta sulle palestre. Da una parte i dem convintissimi che fosse il caso di chiuderle perché quelle, in effetti, sono rimaste l’unico luogo chiuso in cui si sta in tanti senza indossare la mascherina. Dall’altra il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora, la renziana Teresa Bellanova, ma per primo il presidente Giuseppe Conte: che non ha cuore di dire ai gestori, che hanno speso fior di euro per la messa in sicurezza degli impianti, che adesso si riabbassa la serranda. Bisogna “seguire il principio di proporzionalità”, è il mantra che ha ripetuto il premier nei vertici di questi giorni. Sulla sicurezza di palestre e piscine, ha spiegato il premier, dal Comitato tecnico scientifico sono arrivate informazioni “contrastanti”, per cui si sono presi una settimana di tempo per decidere se chiuderle o no, dopo aver verificato il rispetto dei protocolli e preannunciando già l’impegno economico per eventuali ristori.

Non si tocca invece la scuola, “le lezioni continueranno in presenza, è un asset fondamentale”, fatto salvo l’aumento della didattica digitale per le scuole superiori, per le quali è previsto anche un ulteriore scaglionamento degli ingressi – che non potranno iniziare prima delle 9 e potranno arrivare fino al pomeriggio – per alleggerire il carico dei trasporti. E alla fine, perfino la movida ha subito sì una stretta, ma ben lontana dal coprifuoco di cui pure si è discusso nei giorni scorsi: non è passata infatti nemmeno la proposta di mediazione del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che suggeriva un lockdown a notte fonda, tra l’1 e le sei del mattino, mentre in casa Pd si arrivava a ipotizzare la chiusura dei locali tra le 22 e le 23: si continua a stare aperti fino a mezzanotte – seppur con un limite di sei persone per tavolo – , solo l’asporto termina alle 18.

Si è buttata la patata bollente ai sindaci, per i quali è stato messo nero su bianco un potere che, va detto, avevano già: ovvero quello di chiudere – nel testo si specifica “dopo le 21” – quelle strade e quelle piazze dove di solito si formano gli assembramenti. Decisioni non popolarissime da prendere, magari, e ancora più complesse da far rispettare considerata l’arcinota carenza di forze dell’ordine a disposizione. Tanto che i sindaci hanno chiesto all’esecutivo di ripensarci: “Sarebbe un coprifuoco scaricato sulle nostre spalle”. Ma evidentemente non ci sono riusciti. Così come non è riuscito a incidere il ministro della Salute Roberto Speranza, che è “rimasto fermo sulle sue posizioni”. Che poi è un eufemismo per dire che non è per niente d’accordo con le decisioni assunte.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/19/conte-non-richiude-e-avvisa-fase-critica-fare-la-propria-parte/5971064/

Ma mi faccia il piacere. - Marco Travaglio

 

Dementi Pirla Cretini Minchioni. “Sul Covid Conte e i suoi litigano. Tra riunioni e scontri il dpcm balla ancora” (Verità, 18.10). “Nuovo rinvio per le misure anti-Covid” (Giornale, 18.10). Quando arriva il Dpcm, protestano. Quando non arriva, invece, protestano.

Coprimi ‘sto fuoco.“Su i cointagi, verso il coprifuoco” (Corriere della sera, 16.10). “Più coprifuoco per tutti” (Foglio, 16.10). “Aria di coprifuoco” (Giornale, 16.10). “L’Italia chiude alle 22” (Repubblica, 17.10). “Arriva il coprifuoco. Il governo prepara la serrata dopo le 22” (Stampa, 17.10). “Conte prepara il coprifuoco: locali chiusi alle 22. Stop per parrucchieri, centri estetici, cinema, teatri” (Libero, 17.10), “Ci chiudono in casa”, “Serrata per parrucchieri e palestre, Conte vuol chiudere i locali alle 22” (Verità, 17.10). “Coprifuoco: oggi si decide” (Giornale, 17.10). Ne avessero azzeccata una.

Il vero problema. “Il centrodestra alza la voce: follia tassare la prima casa” (Giornale, 18.10). É il loro contributo scientifico contro la pandemia.

Er Pomata. “Provo a restare umano, malgrado il virus” (Enrico Montesano appena beccato senza mascherina dalla polizia, Verità, 17.10). Enri’, però prova pure a restare vivo.

Il portafortuna. “Col Pd a Roma Calenda può farcela” (Piero Fassino, deputato Pd, Foglio, 16.10). E anche Calenda ce lo siamo tolto dai piedi.

Sfiducia distruttiva. “Ogni contagio è un voto di sfiducia verso il governo” (Domani, 17.10). L’altroieri, per dire, Angela Merkel ha avuto 7.830 voti di sfiducia. Eppure, chissà come e perchè, è popolarissima.

Prenderla con filosofia. “Siamo in un regime. Hanno reintrodotto la Gestapo, che può piombarvi in casa per verificare quante persone vi siano all’interno. Sembra davvero il regime di Franco in Spagna o di Salazar in Portogallo” (Diego Fusaro, filosofo, 12.10). Mi sa che gli son tornati in casa i testimoni di Geova.

L’onorevole. “L’obbligo di mascherina in casa? Conte deve andare a dar via il culo, probabilmente come ha fatto in altri momenti della sua vita: a casa ognuno fa il cazzo che vuole. Effettivamente potrebbero fare anche i pompini con la mascherina e mettersi il preservativo quando dormono da soli! Conte può pure mettersi un mattarello in culo, se vuole” (Vittorio Sgarbi, deputato FI, Radio Radio, 13.10). Sempre bello avere un intellettuale in Parlamento.

Il partigiano Roby. “Tornano i decreti dittatoriali sempre a spese dei cittadini” (Roberto Formigoni, pregiudicato per corruzione, Libero, 18.10). Ma il vero dramma resta il settimo comandamento.

Paragoni. “Travaglio nasconde la condanna di Profumo per non imbarazzare Giuseppe Conte e Rocco Casalino” (Gianluigi Paragone, senatore ex M5S, ora leader di Italexit, Facebook, 16.10). Naturalmente la condanna di Profumo era sulla prima pagina del Fatto, unico giornale italiano ad averle dedicato il terzo titolo in ordine di importanza con tanto di foto del manager condannato. Che Paragone non sapesse scrivere era noto. Ora si scopre che non sa neppure leggere.

Profumo di Conte/1. “La strana condanna di Profumo scatena la corrida delle nomine. Le manovre di Conte su Leonardo-Finmeccanica”, “La procura di Milano ha chiesto ripetutamente l’archiviazione, il proscioglimento e l’assoluzione” (Domani, 17.10). È un vero peccato che le sentenze le facciano i giudici, anziché le procure. E che Conte non fosse imputato.

Profumo di Conte/2. “Il dramma contemporaneo è che, anziché leggere le sentenze, gli uomini di governo si preoccupano di proteggere l’amico imputato o di acchiappare per un amico la poltrona del manager azzoppato dalla giustizia” (ibidem). Vero, le sentenze bisogna leggerle: ma siccome questa verrà depositata fra 90 giorni, bisogna prima scriverle.

Prontoboss. “Niente telefono, non siamo inglesi (e abbiamo Bonafede). I cellulare rinvenuti nei penitenziari? In UK hanno risposto mettendo il telefono in ogni cella. Da noi solo repressione” (Rita Bernardini, Riformista, 9.10). Giusto. E, siccome ogni tanto qualcuno tenta di evadere, in cella diamogli pure una lima.

Il titolo della settimana/1. “Raggi rinunci a Roma per non lasciarla alla destra” (Corrado Augias, Repubblica, 15.10). Geniale: così, se rinunciano tutti, la destra vince pure con un paracarro.

Il titolo della settimana/2. “Appendino furbetta: non mi ricandido” (Giornale, 14.10). Ma, in caso contrario, era pronto il titolo opposto: “Appendino furbetta: mi ricandido”.

Il titolo della settimana/3. “Dell’Utri, ‘fanciullo’ sognatore e la casa (demolita) sull’albero” (Teresa Ciabatti, Sette-Corriere, 16.10). Povera stella.

Il titolo della settimana/4. “Alessandro Meluzzi: ‘Sono un profeta incompreso” (Libero, 12.10). Ogni tanto ne va bene una anche a noi.

Il titolo della settimana/5. “Andrea Marcucci (Pd): ‘FI nella coalizione? Se son rose fioriranno…’” (Dubbio, 16.10). Già ci pare di sentire il profumo.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/19/ma-mi-faccia-il-piacere-207/5971063/