Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
domenica 15 settembre 2019
Il primo giorno del Cenozoico. - Maura Sandri
Un nuovo studio condotto dall’Università del Texas ha confermato lo scenario dell’estinzione dei dinosauri grazie all’analisi di decine di metri di roccia raccolti all’interno del cratere da impatto. Frammenti di carbone e un mix di rocce trasportate dallo tsunami, così come l’assenza di zolfo, sarebbero le prove concrete della collisione di 66 milioni di anni fa, che portò a un cambiamento climatico globale responsabile dell'estinzione di massa dei dinosauri.
Su come sia andata l’estinzione dei dinosauri, gli scienziati sono abbastanza d’accordo. Ipotizzano che un asteroide si sia schiantato sulla superficie del nostro pianeta, scatenando incendi, innescando tsunami e rilasciando così tanto zolfo nell’atmosfera da bloccare la radiazione solare e causare quel raffreddamento globale che li ha inevitabilmente condannati. Ora ne abbiamo le prove concrete: un nuovo studio condotto dall’Università del Texas ha confermato questo scenario grazie a decine e decine di metri di roccia rinvenuta all’interno del cratere dell’impatto, depositatasi nelle prime 24 ore dopo l’impatto.
Le prove comprendono frammenti di carbone, un mix di rocce trasportato dal reflusso dello tsunami e l’evidente assenza di zolfo nei materiali rinvenuti. Tutte queste prove sono evidenti in un carotaggio che offre l’immagine più dettagliata di sempre della catastrofe che ha posto fine all’era dei dinosauri, ha affermato Sean Gulick, professore presso la University of Texas Institute for Geophysics (Utig) alla Jackson School of Geosciences.
«È un esteso campione che testimonia gli avvenimenti accaduti, che siamo riusciti a recuperare all’interno del “ground zero”», ha dichiarato Gulick, a guida dello studio e della missione scientifica di perforazione dell’International Ocean Discovery Program (2016) che ha recuperato le rocce dal sito di impatto, al largo della penisola dello Yucatan. «Il campione ci racconta quello che è successo in seguito all’impatto, direttamente dal luogo in cui l’impatto si è verificato, come se fosse un testimone oculare».
La ricerca è stata pubblicata il 9 settembre nei Proceedings of the National Academy of Sciences e prosegue lavori precedenti, condotti dalla Jackson School, che hanno descritto come si è formato il cratere e come la vita all’interno di esso si sia rapidamente rigenerata. Allo studio hanno contribuito più di due dozzine di scienziati a livello internazionale.
La maggior parte del materiale che riempì il cratere entro poche ore dall’impatto proviene dal sito dell’impatto o è stato portato dentro al cratere dall’acqua del mare, che si riversò al suo interno dal Golfo del Messico. In un solo giorno si depositarono circa 130 metri di materiale, un tasso di accumulo che è tra i più alti mai registrati nelle documentazioni geologiche. Questo tasso di accumulo così alto rivela che le rocce hanno registrato ciò che stava accadendo nell’ambiente, dentro e intorno il cratere, nei minuti e nelle ore successive all’impatto, e fornisce indizi sugli effetti più duraturi dell’impatto che ha spazzato via il 75 per cento della vita che allora c’era sul pianeta.
Gulick lo descrive come un inferno di breve durata a livello locale (della regione interessata all’impatto), seguito da un lungo periodo di raffreddamento globale. «Abbiamo bruciato i dinosauri e poi li abbiamo congelati», spiega Gulick. «Non tutti sono morti quel giorno, ma per molti è stato così».
Le prove comprendono frammenti di carbone, un mix di rocce trasportato dal reflusso dello tsunami e l’evidente assenza di zolfo nei materiali rinvenuti. Tutte queste prove sono evidenti in un carotaggio che offre l’immagine più dettagliata di sempre della catastrofe che ha posto fine all’era dei dinosauri, ha affermato Sean Gulick, professore presso la University of Texas Institute for Geophysics (Utig) alla Jackson School of Geosciences.
«È un esteso campione che testimonia gli avvenimenti accaduti, che siamo riusciti a recuperare all’interno del “ground zero”», ha dichiarato Gulick, a guida dello studio e della missione scientifica di perforazione dell’International Ocean Discovery Program (2016) che ha recuperato le rocce dal sito di impatto, al largo della penisola dello Yucatan. «Il campione ci racconta quello che è successo in seguito all’impatto, direttamente dal luogo in cui l’impatto si è verificato, come se fosse un testimone oculare».
La ricerca è stata pubblicata il 9 settembre nei Proceedings of the National Academy of Sciences e prosegue lavori precedenti, condotti dalla Jackson School, che hanno descritto come si è formato il cratere e come la vita all’interno di esso si sia rapidamente rigenerata. Allo studio hanno contribuito più di due dozzine di scienziati a livello internazionale.
La maggior parte del materiale che riempì il cratere entro poche ore dall’impatto proviene dal sito dell’impatto o è stato portato dentro al cratere dall’acqua del mare, che si riversò al suo interno dal Golfo del Messico. In un solo giorno si depositarono circa 130 metri di materiale, un tasso di accumulo che è tra i più alti mai registrati nelle documentazioni geologiche. Questo tasso di accumulo così alto rivela che le rocce hanno registrato ciò che stava accadendo nell’ambiente, dentro e intorno il cratere, nei minuti e nelle ore successive all’impatto, e fornisce indizi sugli effetti più duraturi dell’impatto che ha spazzato via il 75 per cento della vita che allora c’era sul pianeta.
Gulick lo descrive come un inferno di breve durata a livello locale (della regione interessata all’impatto), seguito da un lungo periodo di raffreddamento globale. «Abbiamo bruciato i dinosauri e poi li abbiamo congelati», spiega Gulick. «Non tutti sono morti quel giorno, ma per molti è stato così».
Una parte del campione di materiale che ha riempito il cratere lasciato dall’impatto dell’asteroide che ha spazzato via i dinosauri. Gli scienziati hanno scoperto rocce fuse e frantumate come arenaria, calcare e granito, ma senza minerali contenenti zolfo, nonostante l’elevata concentrazione nell’area di rocce contenenti zolfo. Questa scoperta suggerisce che l’impatto ha vaporizzato queste rocce formando aerosol di solfato nell’atmosfera, causando un raffreddamento su scala globale Crediti: International Ocean Discovery Program. |
I ricercatori stimano che l’impatto dell’asteroide abbia avuto una potenza equivalente a 10 miliardi di bombe atomiche delle dimensioni di quelle utilizzate nella Seconda guerra mondiale. L’esplosione ha incendiato alberi e piante che si trovavano a migliaia di chilometri di distanza e ha provocato un massiccio tsunami che ha raggiunto l’interno dell’Illinois. All’interno del cratere, i ricercatori hanno trovato carbone e un biomarcatore chimico associato a funghi del suolo all’interno o appena sopra strati di sabbia che mostrano segni di essere stati depositati dalle acque dello tsunami. Tali acque si pensa abbiamo trasportato all’interno del cratere il paesaggio carbonizzato dagli incendi che sono divampati in seguito all’impatto. Jay Melosh, professore della Purdue University ed esperto di crateri da impatto, ha affermato che l’evidenza degli avvenuti incendi permette agli scienziati di essere ragionevolmente sicuri del quadro che hanno ipotizzato sull’impatto dell’asteroide. «È stata una giornata importante nella storia della vita, e questa è una prova molto chiara di quello che è successo a ground zero», ha affermato Melosh, non personalmente coinvolto in questo studio. Uno dei più importanti aspetti della ricerca è proprio ciò che dai campioni manca: lo zolfo. L’area circostante il cratere è piena di rocce ricche di zolfo, ma a ground zero di zolfo non ne è stato trovato. Questo supporta la teoria secondo la quale l’impatto dell’asteroide ha vaporizzato i minerali contenenti zolfo presenti nel sito dell’impatto, rilasciandolo in atmosfera, dove ha provocato grandi cambiamenti nel clima terrestre, riflettendo la luce solare verso l’esterno del pianeta e causando un raffreddamento globale. I ricercatori stimano che almeno 325 miliardi di tonnellate siano state liberate dall’impatto. Volendo fare un’analogia con un caso relativamente recente, si tratta di circa quattro ordini di grandezza maggiore dello zolfo rilasciato durante l’eruzione del Krakatoa del 1883, che raffreddò il clima terrestre in media di 2.2 gradi per cinque anni. Sebbene l’impatto dell’asteroide abbia creato la distruzione di massa a livello locale, è stato questo cambiamento climatico globale a causare un’estinzione di massa, uccidendo i dinosauri insieme a gran parte della vita sul pianeta in quel momento. «Il vero assassino dev’essere stato atmosferico», ha detto Gulick. «L’unico modo per ottenere un’estinzione di massa su scala globale come questa è chiamare in causa un effetto atmosferico».
I depistaggi di Autostrade: “Ora dobbiamo prepararci”. - Vincenzo Iurillo
NELLE CARTE DELLA PROCURA LE STRATEGIE PER “METTERSI IN SICUREZZA” DALLE INDAGINI DEI PM, ANCHE GRAZIE AI “JAMMER” ANTI-INTERCETTAZIONI.
Invece di mettere in sicurezza i viadotti, si mettevano in sicurezza dalle indagini. Istruendo i dipendenti chiamati a testimoniare, bonificando i pc, installando telecamere di protezione e disturbando con i jammer le frequenze dei telefonini per ostacolare le intercettazioni. Una quindicina di pagine dell’ordinanza del Gip di Genova Angela Maria Nutini raccontano le strategie, scientifiche, di inquinamento probatorio. Avvenuto nell’ambito dell’inchiesta che ha portato ai domiciliari tre tecnici di Autostrade per l’Italia, mentre altri sei tecnici di Aspi e di Spea, la controllata da Autostrade, sono stati interdetti dai pubblici uffici per un anno. È il fascicolo bis sul ponte Morandi, con le accuse di aver prodotto falsi report sui viadotti Pecetti e Paolillo.
Ieri si è scoperto che c’è anche un avvocato indagato per favoreggiamento. Si chiama Fabio Freddi, dello studio legale Andreano. La Finanza e il procuratore aggiunto Francesco Pinto hanno perquisito il suo ufficio a Milano. Secondo gli investigatori, il legale fece acquistare agli indagati i jammer. Oltre all’ufficio è stata perquisita anche la Muteki srl, specializzata nel campo investigativo-informatico. “Emblematica – si legge nel provvedimento – è la telefonata di Valentina Maresca (responsabile dell’ufficio legale di Spea, ndr) al legale rappresentante della Muteki srl per chiedergli se vi sia il modo di rintracciare il “disturbatore”: “Nel senso che l’altro giorno abbiamo usato il disturbatore e non si trova più… io l’ho dimenticato nella sala riunioni”.
L’azienda era andata oltre un normale “zelo” nel supporto ai dipendenti indagati. Che venivano “istruiti” prima degli interrogatori. In un caso vennero convocati in un hotel romano, lo Zeta 3, per un “discorso di incoraggiamento”. A quell’incontro c’erano il presidente, l’amministratore delegato e i dipendenti di Spea. La riunione fu convocata dopo la diffusione della notizia di alcune iscrizioni nel registro degli indagati. Una vera e propria “procedura aziendale”. Che spinge il giudice a scrivere che lo “spirito di corpo” che contraddistingue l’agire dei lavoratori Aspi e Spea “si traduce in condotte ai limiti del lecito, e in specifici episodi, anche oltre”.
“Con il riferimento all’audizione di una persona sentita nell’ambito dell’inchiesta – si legge nell’ordinanza – si recrimina di non esserlo riuscito a preparare sufficientemente”. “Eh l’ho saputo il giorno prima dalla Valentina: chiamano Ascenzi. Il problema è che dovremmo capire chi chiamano. E ci si prepara”. Altra telefonata segnata dal giudice è quella del 26 ottobre 2018. Avviene tra i dipendenti di Spea dell’Utsa du Genova Maurizio Massardo e Maurizio Morbioli. Durante la quale Morbioli “si lamenta del fatto che Allemanni sia troppo sotto pressione e che rischi di non reggere lo stress, mettendo nei guai lei stessa ed anche loro, cosa che invece non può succedere per quanto riguarda l’altro collega Vezil: “… Vezil è un animale (…) non crolla… ma questa (…) il giorno che va in tribunale (…) questa crolla e se crolla ci mette in difficoltà…”.
Tra i tecnici e dirigenti di Spea c’è il sospetto di essere i “parafulmini” di Autostrade. E per tutelarsi qualcuno registra le riunioni con i vertici di Aspi e li conserva pure nel proprio computer. Grazie a quei file custoditi nel pc di uno degli indagati, gli investigatori scoprono che già nel 2017 le carte venivano truccate sempre per un obiettivo: ridurre i costi, una logica che “prevale sulla finalità di garantire la sicurezza dell’infrastruttura”.
Nel maggio del 2017 si discute del ripristino del viadotto Giustina, sulla A14, nelle Marche, dove a marzo morirono due persone schiacciate dal crollo di un ponte. A fare la voce grossa è Michele Donferri Mitelli, l’ex responsabile nazionale delle manutenzioni di Aspi. “Devo ridurre i costi – dice Donferri – Adesso te inventi quello che c… te pare e te lo metto per obbligo”. Lucio Torricelli Ferretti, di Aspi, (ai domiciliari da ieri insieme a Gianni Marrone di Aspi e a Massimiliano Giacobbi di Spea) prova a fare capire che non basta e Donferri risponde che “non ha alcuna rilevanza se sia vero o no”.
La Procura di Genova ha infine trasmesso ad Avellino le intercettazioni di Paolo Berti, all’epoca del crollo del Morandi direttore Operazioni centrali di Autostrade. In una telefonata, Berti si lamenta per la condanna nel processo per i 40 morti precipitati dal viadotto di Acqualonga e il suo interlocutore gli prospetta “un accordo col capo”.
https://infosannio.wordpress.com/2019/09/15/i-depistaggi-di-autostrade-ora-dobbiamo-prepararci/
La Banda dei Buchi. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 15 Settembre:
Il Partito degli Affari è di nuovo in ambasce: avrebbe preferito un bel monocolore Salvini-B., magari un tricolore Lega-FI-Pd. Il problema sono sempre i maledetti 5Stelle e il putribondo Conte, che per quanti sforzi si facciano non si riescono proprio a sterminare, con la loro fissa dell’ambiente. Gira e rigira, tutti i mal di pancia dei giornaloni e dei leoni da tastiera e da talk sul Conte 2 vengono di lì. Un anno fa il PdA era andato nel panico tre volte: per la dipartita dei vecchi santi protettori FI&Pd e per il governo giallo-verde; per l’annuncio di Conte, Di Maio e Salvini sulla revoca delle concessioni ad Autostrade dopo il crollo del ponte Morandi; e per le analisi costi-benefici sulle grandi opere (Tav in primis). Poi Salvini voltò gabbana su tutti e tre i fronti, diventando il nuovo patrono del PdA, che tirò un sospiro di sollievo. E cominciò a pompare il Cazzaro con i suoi giornaloni e tv, gonfiandolo come la rana della fiaba fino a farlo scoppiare. Ora il programma green di Conte provoca nuovi conati alla Banda del Buco: si vede dalle facce e dalle arrampicate sugli specchi dei suoi pennivendoli, che non dissero una parola sui vergognosi inciuci Pd-FI e ora si consumano le unghie in cerca di pretesti per sputtanare in fasce un governo pienamente legittimo.
Se c’è una critica che si può e si deve muovere al Conte 2, così come al Conte 1, è la preoccupante presenza di ministri e sottosegretari devoti al PdA: per esempio, al Mit, la De Micheli (che promette grandi opere à go-go senz’alcun controllo) e il suo vice Margiotta (in pieno conflitto d’interessi per le passate vicende petrolifero-giudiziarie e la società familiare di engineering). Ma ciò che allarma noi rallegra la Banda del Buco. E viceversa. Noi però non amiamo i processi alle intenzioni: dunque attendiamo al varco anche la De Micheli e Margiotta, per giudicarli dagli atti e dai fatti. I tre nuovi arresti per i report taroccati di Autostrade su altri viadotti pericolanti dopo il crollo del Morandi rendono urgentissima la revoca almeno parziale delle concessioni. Che peraltro lo era già un anno fa, prima del voltafaccia pro Benetton della Lega. Le responsabilità penali le stabiliranno i giudici con le loro regole e i loro tempi. Quelle gestionali del concessionario inadempiente per omessa manutenzione e messa in sicurezza di beni pubblici pagati dai cittadini e scriteriatamente privatizzati dal centrosinistra nel 1999, sono già accertate nero su bianco nella relazione degli esperti nominati da Toninelli. Qui si parrà la nobilitate del Conte 2 e la “discontinuità” del Pd che s’è ripreso Trasporti e Infrastrutture. Tutto il resto è noia. E chiacchiera.
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