Da mesi le 29 famiglie residenti sotto il viadotto Bisagno dell’A12, riunite nel comitato ‘Abitanti sotto il ponte’ chiedono di essere messe in sicurezza e trasferite: “Non vogliamo indennizzi economici, ma soluzioni alternative e definitive”. Avevano dimostrato con foto e video, fin dal dicembre 2019 lo stato di degrado del ponte che sovrasta il Bisagno e il centro abitato delle Gavette, a Genova. Sempre nell’ottobre di due anni fa, la direzione di Autostrade annunciava con un comunicato l’avvio del montaggio dei ponteggi sul viadotto Bisagno per il restauro della superficie dell’intero viadotto “La durata dei lavori prevista è di circa due anni”, scriveva la direzione di tronco. Passato quel periodo, l’unica cosa realizzata sono proprio i ponteggi sui primi tre piloni, che, però, perdono pezzi, che vanno ad aggiungersi alla caduta di detriti e calcinacci dei piloni sottostanti.
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
domenica 28 marzo 2021
Genova, i pezzi del viadotto Bisagno sulle case. Come 15 mesi fa. “Dicono di chiamare il capocantiere prima di uscire. Lavori? Solo ponteggi. Come fidarsi di Autostrade?” - Pietro Barabino
venerdì 26 marzo 2021
Antitrust, multa da 5 milioni per Autostrade: “Non ha ridotto pedaggi sui tratti in condizioni critiche per gravi carenze nella gestione.”
Secondo l'authority questa pratica commerciale scorretta è stata attuata sulle autostrade A/16 Napoli-Canosa, A/14 Bologna-Taranto, A/26 Genova Voltri-Gravellona Toce e, per le parti di sua competenza, A/7 Milano-Serravalle-Genova, A/10 Genova-Savona-Ventimiglia e A/12 Genova-Rosignano. Rilievi sui "forti disservizi" causati dalla riduzione delle corsie di marcia e sulle informazioni "omissive, inadeguate, intempestive, insufficienti" date agli automobilisti.
L’Antitrust ha sanzionato con una multa da 5 milioni di euro Autostrade per l’Italia per pratica commerciale scorretta. Secondo l’Autorità, la società concessionaria a cui sono affidati oltre 3mila chilometri di rete autostradale “non ha adeguato né ridotto il pedaggio nei tratti in cui si registrano critiche e persistenti condizioni di fruibilità del servizio autostradale con lunghe code e tempi di percorrenza elevati, causati dalle gravi carenze da parte della società nella gestione e nella manutenzione delle infrastrutture che hanno richiesto interventi straordinari per la messa in sicurezza“. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ritiene di aver accertato questa pratica commerciale scorretta sulle autostrade A/16 Napoli-Canosa, A/14 Bologna-Taranto, A/26 Genova Voltri-Gravellona Toce e, per le parti di sua competenza, A/7 Milano-Serravalle-Genova, A/10 Genova-Savona-Ventimiglia e A/12 Genova-Rosignano.
In particolare, l’Autorità ha appurato una consistente riduzione delle corsie di marcia e/o specifiche limitazioni – per lunghi tratti – della velocità massima consentita. Ciò ha comportato un notevole disservizio e un forte disagio ai consumatori in termini di code, di rallentamenti e quindi di tempi di percorrenza molto più elevati, senza prevedere un adeguamento o una riduzione dell’importo richiesto a titolo di pedaggio ai consumatori. L’Agcm ha poi rilevato che sono risultate inadeguate le modalità informative sulle eventuali procedure di rimborso, come emerso in relazione all’Autostrada A/14 Bologna-Taranto, allorché le informazioni fornite sono rivelate omissive, inadeguate, intempestive, insufficienti quanto al modo di diffusione e non idonee a compensare i disagi arrecati agli utenti.
I maggiori problemi si sono verificati nell’area ligure e abruzzese-marchigiana, determinando anche gravi danni all’economia, soprattutto nell’industria, nei servizi e per le imprese di trasporto, dati i maggiori tempi di percorrenza degli operatori e i riflessi sulle imprese destinatarie delle merci.
Per l’Antitrust tutto questi è pienamente ascrivibile alla responsabilità di Aspi e integra una pratica commerciale scorretta in violazione degli articoli 20, 22, 24 e 25 del Codice del Consumo. Per questo l’Autorità ha applicato una sanzione – pari al massimo edittale – di 5 milioni di euro. Autostrade per l’Italia dovrà anche pubblicare un estratto del provvedimento sul proprio sito internet e su uno dei quotidiani a maggiore tiratura nazionale.
IlFattoQuotidiano
martedì 22 dicembre 2020
Ponte Morandi, la perizia: “I controlli e la manutenzione avrebbero impedito il crollo. Dal 1993 nessun intervento sul pilone caduto”. - Paolo Frosina
Il documento, di circa 500 pagine, è stato redatto nell’ambito del secondo incidente probatorio, quello che dove stabilire le cause del crollo. La procura aveva formulato 40 quesiti a cui i super esperti hanno risposto.
A far crollare il ponte Morandi il 14 agosto del 2018 sono state la scarsa manutenzione e l’assenza di controlli. Lo scrivono i quattro periti incaricati di individuare le cause del disastro, nelle 476 pagine depositate alla gip Angela Maria Nutini. “Sono identificabili – si legge nell’atto firmato dagli ingegneri Giampaolo Rosati, Massimo Losa, Renzo Valentini e Stefano Tubaro – le carenze nei controlli e gli interventi di manutenzione che non sono stati eseguiti correttamente”. Si rafforza così la tesi dei pubblici ministeri Massimo Terrile e Walter Cotugno, secondo cui il collasso del ponte è da imputare a negligenze di Autostrade per l’Italia – la società concessionaria – mentre le difese puntano sull’esistenza di difetti strutturali nell’esecuzione dell’opera.
La perizia rappresenta la tappa fondamentale del secondo incidente probatorio disposto durante le indagini, che deve far luce, appunto, sulle cause del cedimento. Il primo incidente probatorio, concluso ad agosto 2019, aveva evidenziato uno stato diffuso di corrosione dei cavi d’acciaio degli stralli, i tiranti che collegavano la piattaforma stradale alla sommità della pila 9, quella crollata.
A questo proposito, sottolineano i periti, l’esecuzione dell’intervento di retrofitting che avrebbe dovuto rinforzare gli stralli delle pile 9 e 10 – deliberato nel 2017 ma mai eseguito – “avrebbe elevato il crollo con elevata probabilità”. “È paradossale – si legge – rilevare che tanti dei difetti che hanno determinato l’esecuzione degli interventi dal 1982 al 1993”, cioè, secondo la prima perizia, le ultime manutenzioni efficaci, “siano stati riscontrati nuovamente dai Periti nell’ambito delle attività svolte nel primo incidente probatorio per la valutazione dello stato di conservazione e di manutenzione del viadotto”. E cioè “danni al calcestruzzo con distacchi per effetto della ossidazione delle armature, passaggi di umidità, difetti di esecuzione”, nonché “aggressione di natura fisico-chimica delle superfici esterne del calcestruzzo” e “fessurazioni o lesioni di solette, pareti e tiranti”.
Il documento ridimensiona anche un altro caposaldo della strategia difensiva di Autostrade: la teoria che da un camion, in transito in quei minuti sul Morandi, sia caduta una bobina (coil) di acciaio da 3,5 tonnellate capace di dare il via al cedimento della struttura. “Le analisi svolte – scrivono i periti – portano ad escludere con elevata probabilità l’ipotesi che il coil possa essere caduto dal tir mentre quest’ultimo transitava a cavallo del giunto tra la pila 9 e il tampone 10”. Inoltre, “la posizione a terra del semirimorchio e del coil sono pienamente compatibili con l’ipotesi che i due corpi siano precipitati entrambi insieme fino a giungere al suolo”.
Per quanto riguarda il “reperto 132C”, cioè la parte sommitale dello strallo di sud-est della pila 9 – quella che secondo la Procura sarebbe stata la prima a spezzarsi causando il crollo – le analisi “hanno confermato quel che si poteva visivamente osservare, e cioè una forte corrosione in corrispondenza delle zone di rottura con un grado peggiore per i trefoli dei cavi secondari rispetto ai primari”. Lo strallo, insomma, ha ceduto per la corrosione dei cavi che lo costituivano, non per altre cause. “La causa scatenante” del crollo del ponte, sintetizza la relazione rispondendo al primo dei quaranta quesiti posti dal giudice, “è il fenomeno di corrosione a cui è stata soggetta la parte sommitale del tirante Sud-lato Genova della pila 9; tale processo di corrosione è cominciato sin dai primi anni di vita del ponte ed è progredito senza arrestarsi fino al momento del crollo, determinando una inaccettabile riduzione dell’area della sezione resistente dei trefoli (i cavi d’acciaio, ndr) che costituivano l’anima dei tiranti, elementi essenziali per la stabilità dell’opera”.
“Le cause profonde dell’evento – proseguono i periti – possono individuarsi in tutte le fasi della vita del ponte, che iniziano con la concezione/progettazione dell’opera e terminano con il crollo Lungo questo periodo temporale, si collocano le cause, relative alle diverse fasi della vita dell’opera, che hanno contribuito al verificarsi del crollo. Esse sono identificabili nei momenti dei controlli e degli interventi manutentivi che, se fossero stati eseguiti correttamente, con elevata probabilità avrebbero impedito il verificarsi dell’evento. La mancanza e/o l’inadeguatezza dei controlli e delle conseguenti azioni correttive costituiscono gli anelli deboli del sistema; se essi, laddove mancanti, fossero stati eseguiti e, laddove eseguiti, lo fossero stati correttamente, avrebbero interrotto la catena causale e l’evento non si sarebbe verificato”.
Secondo gli ingegneri incaricati dal gip, quindi, non c’è stato caso fortuito o incidenza di fattori esterni: il Morandi era destinato a crollare per carenza di manutenzione. “Il punto di non ritorno, oltre il quale l’incidente si è sviluppato inevitabilmente, è da individuarsi nel momento in cui, per effetto della corrosione, si è innescato un fenomeno evolutivo che ha determinato un elevato tasso giornaliero di rottura dei fili, che avrebbe portato inevitabilmente al collasso della struttura anche per effetto dei soli carichi permanenti”, precisa la relazione. “Con riferimento allo stato di manutenzione – si legge ancora -, si deve rilevare che sulla Pila 9 in generale, l’ultimo intervento di manutenzione rilevato dai Periti, sotto il profilo strutturale, risale al 1993 e che, comunque, nella vita dell’opera, non sono stati eseguiti interventi di manutenzione che potessero arrestare il processo di degrado in atto”.
Si giunge così al quesito decisivo per la difesa di Aspi, quello in cui il gip chiede agli esperti “se vi siano fattori indipendenti dallo stato di manutenzione e conservazione del ponte che possano avere concorso a determinare il crollo”. La risposta è lapidaria: “Non sono stati individuati fattori indipendenti dallo stato di manutenzione e conservazione del ponte che possano avere concorso a determinare il crollo, come confermato anche dalle evidenze visive emerse dall’analisi del filmato Ferrometal”, il video della telecamera di sorveglianza di un’azienda ai piedi del viadotto, acquisito agli atti.
venerdì 18 dicembre 2020
Ponte Genova, la procura ipotizza il reato di "crollo doloso". -
Nuove accuse sulla base delle indagini sulle barriere fono assorbenti pericolose.
Per il crollo del Morandi (14 agosto 2018, 43 morti) la Procura ipotizza anche il reato di «crollo di costruzioni o altri disastri dolosi».
Le nuove accuse arrivano sulla base dello sviluppo delle indagini sulle barriere fonoassorbenti pericolose che hanno portato a scoprire come gli ex vertici di Aspi abbiano voluto risparmiare sulla manutenzione della rete per accrescere gli utili del gruppo Atlantia, abbiano falsificato atti per nascondere i mancati restyling e fossero consapevoli del pericolo. Attentato alla sicurezza dei trasporti, falso, disastro colposo e omicidio colposo plurimo.
71 gli indagati. Lo riportano vari quotidiani
«Questa contestazione - spiegano dalla Procura - non significa che hanno volutamente fatto crollare il viadotto ma che hanno messo insieme una serie di comportamenti dolosi come la mancata manutenzione o la realizzazione di falsi verbali, tali da portare al crollo dello stesso». E il reato doloso, rispetto a quello colposo, ha pene molto più severe. «Si rischia un massimo di dodici anni contro i cinque del reato colposo», viene precisato. «Ovviamente le formalizzazioni della Procura potrebbero essere poi cambiate dai giudici in sede di processo», viene spiegato.
Per contestare il crollo doloso serve un fatto diretto. E per i pm quel fatto è la mancata manutenzione e gli atti falsi. La scorsa settimana dall'analisi delle carte del tribunale del Riesame era emerso come la Procura contestasse anche il reato di falso. Anche questa nuova imputazione - così come il crollo doloso - è stata messa nera su bianco dei giudici nello spiegare perché le intercettazioni telefoniche effettuate proprio nell'indagine per il viadotto crollato siano rilevanti anche per le barriere fonoassorbenti, filone di inchiesta, quest'ultimo che nei giorni scorsi aveva portato agli arresti domiciliari l'ex Ad di Aspi e Atlantia, Giovanni Castellucci, l'ex direttore delle operazioni centrali di Aspi Paolo Berti, e Michele Donferri Mitelli, ex direttore delle manutenzioni di Aspi. Gli ex vertici di Autostrade secondo l'accusa avevano messo in atto falsi rapporti per nascondere «l'assenza di reali ispezioni» e per «nascondere la sottovalutazione dei reali vizi accertabili».
Intanto emerge che Donferri Mitelli e Berti, dopo il crollo del Morandi furono promossi "per non accusare Castellucci. Il primo fu mandato in una società spagnola controllata dai Benetton, il secondo venne destinato ad occuparsi di appalti per Aeroporti di Roma spa.
domenica 15 novembre 2020
Autostrade mentì allo Stato che non ha mai controllato. - Carlo Di Foggia e Valeria Pacelli
I controlli su Autostrade per l’Italia da parte della vigilanza del Ministero delle Infrastrutture dal 2016 al 2019 sono stati “cartolari”, ossia si basavano sui documenti forniti dalla concessionaria. Peccato però che, come ricostruito nelle carte dell’inchiesta della Procura di Genova, nella documentazione inviata al Ministero la reale situazione delle barriere fonoassorbenti (per i pm pericolose e sostitute tardi) veniva occultata. Lo scrive il Gip di Genova Paola Faggioni nell’ordinanza di misura cautelare ai domiciliari emessa per l’ex Ad di Autostrade Giovanni Castellucci e i manager Michele Donferri Mitelli e Paolo Berti. L’inchiesta riguarda le barriere fonoassorbenti e antivento installate in tutta Italia da Aspi (il modello “Integautos”). Secondo le accuse, nonostante il vecchio management fosse consapevole della loro pericolosità non ha provveduto a sostituirle subito. Questo per evitare “gli ingentissimi costi che tali attività avrebbero comportato”.
Si deciderà di sostituirle solo a partire da gennaio scorso dopo che il consulente della procura di Genova, l’ingegnere Placido Migliorino, capo dell’ufficio ispettivo di Roma, stila una pesante perizia sulle criticità. Il tecnico fa a pezzi l’operato della concessionaria: errori progettuali; materiali di ancoraggio “non certificati” (sono “incollate col Vinavil”, dice un manager intercettato); difetti nella posa in opera; consegna al ministero di perizie incomplete; omissione degli atti di collaudo e via discorrendo. A parere di Migliorino, il problema poteva “essere risolto in maniera definitiva solo con l’integrale sostituzione”.
Il caso delle barriere è noto ad Aspi da novembre 2016, quando alcune si staccarono dal viadotto Rezza per il vento. Ma perché si è dovuto aspettare l’intervento dei pm? Mercoledì dal ministero hanno fatto sapere di aver “imposto il monitoraggio effettuato da società terze” perché “prima i controlli venivano effettuati da società interne agli stessi concessionari”, che nel caso di Aspi era Spea Engineering. E di aver istituto “l’agenzia di sicurezza Ansfisa” con 50 persone in più della direzione concessioni dedicate alla “verifica e all’approvazione dei programmi di manutenzione”. L’agenzia, voluta due anni fa dall’allora ministro Toninelli non è però ancora operativa ed è stata azzoppata da un emendamento che l’ha resa solo ‘promotrice’ della sicurezza e non ‘responsabile’ come pensato quando fu istituita.
Stando alle indagini di Genova, i documenti inviati da Aspi al ministero fornivano una visione distorta della condizione delle barriere. Il gip parla di “sistematico occultamento della situazione, attuato anche attraverso vari artifici quali l’abbassamento delle ribaltine adducendo motivi fittizi, il rialzo delle stesse nei casi nei quali le proteste richiamavano l’attenzione, l’omessa comunicazione delle problematiche allo Stato e addirittura anche il tentativo di aggiustamento di atti presso la Polizia Stradale”. Delle mancate comunicazioni al Ministero parla anche un ex responsabile dei lavori di Aspi. Ai pm dice – sintezza il gip – che “le disposizioni di servizio che ordinavano l’abbattimento delle ribaltine nell’area ligure sono state inviate al primo Tronco di Aspi e a Spea…, ma non al Mit”.
L’indagine della procura di Genova riguarda 30 km di barriere installate in Liguria da Autostrade (60 in tutta Italia), ma negli atti si parla di strutture molto più estese sul territorio. Per il Gip, da un’intercettazione, emerge che erano 400 i chilometri da adeguare. La domanda è: oltre la Liguria, ci sono altre tratte sulle quali intervenire? La palla passa al Ministero che potrebbe effettuare verifiche più estese e non “cartolari”, come fatto finora.
Intanto l’inchiesta complica la trattativa tra Atlantia e il governo per cedere il controllo di Aspi alla Cassa depositi e a due fondi speculativi. Mercoledì, dopo gli arresti, in un teso vertice video il Tesoro avrebbe fatto presente agli uomini della holding che il prezzo dovrà calare. Risposta: non se ne parla.
venerdì 13 novembre 2020
Donferri, cacciato, lavorava in nero col fornitore Aspi. - Iacopo Rocca
È l’uomo su cui converge ogni inchiesta: i morti del Ponte Morandi, i report sulla sicurezza truccati per risparmiare, le barriere difettose che non tengono il vento. Talmente centrale, da essere sempre indagato. L’ex potentissimo capo delle manutenzioni di Autostrade per l’Italia (Aspi) Michele Donferri Mitelli era caduto in disgrazia dopo la pubblicazione delle intercettazioni in cui faceva pressione sui sottoposti per ammorbidire i report sulla sicurezza dei viadotti. Lo scandalo nel 2019 aveva portato alle dimissioni il suo grande protettore, l’ad Giovanni Castellucci. E il nuovo management aveva allontanato Donferri, un provvedimento bandiera del rinnovamento. Dalle carte della nuova inchiesta di Genova, però, emerge come il manager, per il quale la Procura aveva chiesto il carcere, non fosse andato molto lontano. Continuava a lavorare in nero per una ditta di consulenza che ha fra i suoi clienti proprio Autostrade e altre società controllate da Atlantia. A scoprirlo è stata la Guardia di Finanza, che mercoledì si è presentata presso gli uffici della Polis Consulting di Pomezia. I militari hanno sentito i dipendenti, per capire che tipo di rapporto avesse Donferri con la ditta. Tabulati e intercettazioni telefoniche hanno consentito di appurare che il manager frequentava la sede almeno tre volte a settimana, presentandosi anche durante il lockdown. Di questo però non c’è traccia in nessun contratto. E infatti Donferri, uomo che in Autostrade viaggiava su uno stipendio lordo annuo di circa 300mila euro, potrebbe finire nei guai perché riceveva la Naspi, il sussidio di disoccupazione.
Il suo nuovo inquadramento è oggetto di indagine. Lo cita nella sua ordinanza il gip Paola Faggioni: “L’uscita dal gruppo non ha impedito a Donferri di prestare la propria attività lavorativa per società collegate con Aspi (percependo in modo indebito l’indennità di disoccupazione) con elevato rischio di reiterazione di analoghe condotte criminose strumentali all’ottenimento di indebiti risparmi con conseguenti illeciti guadagni”. L’impresa è intestata ad Angela Antonia Alaia. Più spesso Donferri si confrontava con il marito, l’ingegnere Ciro Antonio Cannelonga.
La stessa Polis Consulting dichiara sul suo sito di avere appalti in corso con la galassia Atlantia: per l’aeroporto Leonardo Da Vinci (Aeroporti di Roma) sta curando la progettazione di una centrale idrica di pompaggio dell’acqua, un sistema antincendio; per Aspi ha in corso la progettazione di due gallerie, la Val di Sambro e Grizzana, della variante di valico a Bologna, e la Cavallo e Sappanico, sulla A14, ad Ancona; per Spea altre consulenze.
Contattati dal Fatto, da Aspi fanno sapere che la Polis Consulting dal 2016 è tra le migliaia di fornitori di Aspi, tuttavia non erano assolutamente a conoscenza di legami tra la ditta e Donferri. E assicurano che ora avvieranno tutte le verifiche consentite, nei limiti della norma, nei confronti del fornitore. Donferri non è solo un semplice dirigente di lungo corso, che ha attraversato la gestione pubblica e privata di Autostrade. Per chi indaga è il depositario dei segreti meglio custoditi della società.
Come dimostra la richiesta fatta alla segretaria, all’indomani del crollo del Morandi: “Portati un bel trolley grosso… devo comincia’ a prendere l’archivio là del Polcevera. Quella è roba mia”. È lui a confidare al suo superiore, Paolo Berti, che “i cavi del viadotto sono corrosi”. Quel messaggio viene cancellato da Berti all’indomani del disastro, ma è stato ritrovato dagli investigatori nelle chat di Whatsapp. E ancora, è sempre lui a portare un’ambasciata del “capo”, l’ex ad Castellucci, quando Berti sembra vacillare. È l’inizio del 2019, e Berti è stato condannato a 5 anni per la strage di Avellino. In quei dialoghi sembra essersi pentito “di non aver raccontato tutta la verità”. “Devi fare come Andreotti – gli consiglia allora Donferri – se non puoi ammazzare il nemico devi fartelo amico. Stringi un accordo con il capo”. E ancora: “Quarantatré morti de qua, quarantatré morti de là, stamo tutti sulla stessa barca. (Castellucci) Ti vuole rasserenare, ti aiuterà tutta la vita. Dai ti faccio venire a prendere con un taxi”.
Quel patto del silenzio, insomma, aveva tenuto a tutte le stagioni. Anche all’allontanamento di Castellucci. Ecco perché adesso la Procura di Genova vuole rendere più nitida la fotografia del nuovo lavoro di Donferri, l’uomo dei segreti.
giovedì 1 ottobre 2020
Il governo ha deciso: revoca Atlantia, 10 giorni per cedere. - Carlo Di Foggia
Rottura totale. I Benetton minacciano l’apocalisse finanziaria.
Nel dossier Autostrade per l’Italia ogni giorno ha la sua pena e il suo ultimatum. La strada però sembra tracciata verso una nuova escalation. Il governo ha deciso di procedere alla revoca della concessione ed entro 10 giorni porterà la decisione in Consiglio dei ministri. In questo lasso di tempo si attende da Atlantia, la holding controllata dai Benetton, un passo indietro. Dal canto suo il colosso ha reagito ieri paventando l’apocalisse finanziaria: “Una simile mossa causerebbe un default gravissimo per l’intero mercato finanziario europeo”, ha fatto filtrare alla stampa. È l’ultima trincea dei Benetton ed è anche l’aspetto che spaventa di più il governo. In ambienti finanziari filtra che Altantia stia facendo il diavolo a quattro per spingere la Commissione europea a intervenire, tanto più che al netto dei Benetton, il 70% della holding è in mano soprattutto ai grandi fondi esteri.
Andiamo con ordine. Ieri è servito un ennesimo vertice a Palazzo Chigi. Al tavolo, il premier Giuseppe Conte e i ministri di Tesoro e Infrastrutture Roberto Gualtieri e Paola De Micheli con i rispettivi capi di gabinetto. Ieri scadeva l’ultimatum dato ad Atlantia per accettare le condizioni previste dall’accordo del 14 luglio scorso per chiudere la ferita del Morandi con la vendita di Aspi e la presa di controllo da parte della Cassa Depositi e Prestiti. La trattativa si è arenata sulla richiesta di Cdp di essere manlevata dai rischi legati ai contenziosi giudiziari sul ponte di Genova, che possono ammontare a miliardi di euro. Atlantia martedì ha risposto che la manleva è inaccettabile e si può trattare solo sul prezzo. Poi ha bollato come “illegale” la decisione del governo di subordinare tutti gli atti amministrativi, necessari ad aggiornare la concessione e chiudere il contenzioso del Morandi, alla cessione di Autostrade alla Cassa Depositi e Prestiti. Mossa che la holding ha denunciato a Bruxelles.
A Palazzo Chigi, ministri, premier e tecnici hanno fatto il punto. Ne è uscita una lettera spedita ieri ad Atlantia in cui il governo respinge le accuse, e avverte che porterà gli atti conseguenti in un Cdm che sarà convocato entro dieci giorni. In serata il premier ha fatto il punto nel Consiglio dei ministri convocato, già previsto per approvare alcuni provvedimenti in scadenza.
Nelle stesse ore, Atlantia riuniva la stampa e paventava l’apocalisse finanziaria: “La revoca – ha fatto sapere – provocherebbe un default sistemico gravissimo, esteso a tutto il mercato europeo, per oltre 16,5 miliardi di euro (i debiti di Atlantia, ndr), oltre al blocco degli investimenti. Verrebbero così messi a serio rischio 7.000 posti di lavoro di Autostrade. Bisogna assolutamente evitare questo scenario nefasto”. Il colosso si appella “all’equilibrio del premier Giuseppe Conte”, ma conferma di non voler accettare le condizioni dettate dal governo, anche perché “gli azionisti di Atlantia, dei quali il 70% è rappresentato da fondi istituzionali, hedge fund, investitori internazionali, non sono disposti ad approvare in assemblea soluzioni che non siano trasparenti e di mercato”. È questa l’ultima trincea. I grandi fondi stanno premendo a Bruxelles perché intervenga inibendo l’esecutivo italiano. Tutti guardano a Margrethe Vestager, la commissaria europea alla Concorrenza, assai sensibile alle istanze francesi. Tra gli azionisti colpiti ci sarebbero anche gruppi d’oltralpe. Tra i soci di minoranza di Aspi, per dire, oltre ai cinesi di Silk Road c’è un altro 7% detenuto da un veicolo, Appia Investment, sottoscritto dal gruppo assicurativo tedesco Allianz e dal colosso francese Edf Invest e Dif, con due suoi fondi infrastrutturali. Nei giorni scorsi Atlantia ha fatto sapere che la Commissione le ha inviato una lettera in cui spiega di star monitorando attentamente la situazione. La speranza è che un intervento più deciso blocchi la strada al governo italiano.
La palla, come sempre, è nelle mani dell’esecutivo. Se manterrà fede alla minaccia, la prossima settimana sarà convocato un Cdm per decidere sulla revoca. Tecnicamente sarà un’informativa del premier, la revoca vera e propria arriverà con un decreto interministeriale firmato da Gualtieri e De Micheli. Servirà però sciogliere il nodo di cosa fare di Aspi e della gestione dei 3mila km di autostrade in mano al concessionario. In base al decreto Milleproroghe di fine 2019 dovrebbe passare in mano all’Anas, ma si ipotizza anche di commissariare Aspi. Un primo punto verrà fatto già lunedì, quando è in programma il Consiglio dei ministri che deve approvare la Nota di aggiornamento al Def e le modifiche ai decreti Sicurezza. Parte del governo, specie i 5Stelle, premono però per decidere già in quella data.
giovedì 16 luglio 2020
Una vittoria storica. - Tommaso Merlo
Le autostrade tornano pubbliche.
I Benetton tornano a cucire golfini colorati.
Una vittoria storica.
È salvo l’onore dello Stato che per una volta non piega la testa davanti ai potentati.
È salvo l’onore delle 43 vittime.
È salva la speranza che le cose possano cambiare in questo paese.
Opposizioni e giornalacci possono buttarla in caciara fin che vogliono.
I fatti parlano chiaro. Il Movimento 5 Stelle raggiunge un traguardo ormai insperato. In pochi credevano nel cedimento dei Benetton dopo un anno d’ipocrita melina di Salvini e dopo un altro speso tra complicazioni gastrointestinali della fu sinistra.
Ed invece Conte ha tirato fuori un altro coniglio dal cilindro. L’ennesimo anche se il merito va a tutto il Movimento che non ha mai mollato.
Spronando il suo premier e portando tutta la coalizione sulla sua linea. Una linea considerata dura ma solo perché siamo in Italia. Il paese delle stragi impunite e di una politica storicamente stracciona. Sempre col cappello in mano e pronta a soddisfare le esigenze più perverse di Lorsignori. Compreso l’esigenza di farla franca e quella di riciclarsi all’infinito.
Ma per una volta non è andata così.
Per una volta l’interesse pubblico ha prevalso su quello privato.
Per una volta la politica si è assunta le sue responsabilità schierandosi dalla parte dei cittadini senza rifugiarsi dietro a qualche azzeccagarbugli. Spetterà alla giustizia determinare i responsabili del crollo, ma per una volta la politica non attenderà interminabili processi coi parenti delle vittime fuori dai tribunali ad implorare giustizia con qualche cartello in mano.
Non questa volta.
Le autostrade tornano pubbliche.
I Benetton tornano a cucire golfini colorati. Una vittoria storica.
Opposizioni e giornalacci suonavano già le campane a morto. Erano sicuri che l’accordo sarebbe sfumato e che quelli del Movimento sarebbero stati costretti ad ingoiarsi un’altra sconfitta.
Ed invece il Movimento ha ottenuto il massimo risultato in un governo di coalizione e coi soci che si ritrova.
Un risultato addirittura migliore di una revoca traumatica che avrebbe comportato un verminaio di contenziosi con strascichi legali che alla lunga avrebbero fatto il gioco dei Benetton permettendogli di attendere un governo amico per tentare di non mollare l’osso.
Magari un governo guidato dal loro caro Salvini. Quello che hanno sponsorizzato, quello che li ha sempre difesi e che al governo ha fatto melina per un anno intero.
Se a Salvini riusciva il colpo di mano del Papeete ed oggi avesse gli agognati i pieni poteri, a quest’ora i Benetton starebbero scegliendo il frac per la cerimonia d’inaugurazione del Ponte di Genova e canticchierebbero felici pensando al loro roseo futuro autostradale. Ed invece hanno dovuto cedere dopo due anni di duro corpo a corpo con lo Stato. Le hanno provate tutte. Come se non riuscissero a credere che la festa fosse finita. Come se non riuscissero a credere di poter perdere. Come se non riuscissero a credere che il paese in cui hanno spadroneggiato per decenni fosse cambiato al punto da costringerli a fare davvero le valigie. Ed invece per una volta è andata così. Le autostrade tornano pubbliche e i Benetton tornano a cucire golfini colorati. Una vittoria storica. Un passo avanti per la nostra democrazia.
https://repubblicaeuropea.com/2020/07/15/una-vittoria-storica/
mercoledì 15 luglio 2020
Autostrade, passo indietro dei Benetton. Entra Cdp, sarà una public company. - Serenella Mattera e Michele Esposito
Ingresso di Cdp con il 51%. Alla famiglia veneta resta il 10%, non saranno neanche in Cda. Balzo in Borsa di Atlantia, +21%.
martedì 14 luglio 2020
Autostrade: Guerra Conte-Aspi.Muro Iv,tensioni governo su revoca. - Michele Esposito
La situazione Autostrade.