lunedì 28 marzo 2011

Ferilli: "Su Ruby mi scandalizza più l'abuso di potere che il fatto che fosse minorenne".


Dal nostro team a Fukushima: “Evacuare subito la popolazione”


La nostra squadra di radioprotezione è arrivata nella zona di Fukushima. Ieri nel villaggio di Iitate, a 40 km a Nord-Ovest della centrale - e a 20 km oltre la zona ufficiale di evacuazione - abbiamo trovato livelli di contaminazione tali che la popolazione, soprattutto donne incinte e bambini, deve essere evacuata subito.

Team di esperti a lavoro in Giappone

A Iitate i nostri esperti hanno rilevato tra 7 e 10 micro Sievert per ora (µS/h). Questi valori si riferiscono alla sola radioattività esterna e non considerano il rischio aggiuntivo causato da inalazione e/o ingestione di particelle radioattive. Vivendo in quest’area, in soli cinque giorni viene superato il limite per la dose annua che è di 1000 µS/h.

Stare a Iitate non è sicuro. Le autorità giapponesi lo sanno ma non fanno niente per proteggere gli abitanti né per informarli dei rischi che corrono. Devono definire immediatamente zone di evacuazione intorno alla centrale di Fukushima in base ai valori di radioattività effettivamente presenti nell'area. Ancora duemila persone, inoltre, starebbero ancora nell'area di massima esclusione.


Ingrandisci la mappa dei rilievi di radioattività fatti dal nostro team

Gli effetti che la ricaduta radioattiva avrà sulla popolazione locale sono preoccupanti. Un nuovostudio commissionato da Greenpeace Germania al Dr. Helmut Hirsch, esperto di sicurezza nucleare, rivela che l'incidente alla centrale giapponese di Fukushima ha già rilasciato abbastanza radioattività da essere classificato di livello 7, secondo l’nternational Nuclear Event Scale (INES). 7 è il livello massimo di gravità per gli incidenti nucleari, raggiunto in precedenza solo a Cernobyl.

Stando alle ultime notizie, il Primo Ministro giapponese sapeva del rischio di fusione del nocciolo dal primo giorno dell'incidente, ma ha autorizzato lo scarico di vapore dal reattore solo due giorni dopo, aumentando probabilmente i danni al combustibile nucleare e al sistema di raffreddamento.

Oltre a fare chiarezza sui reali rischi di questa crisi nucleare, la migliore mossa per il Giappone e per tutti i governi è smantellare subito le centrali nucleari e investire in efficienza e rinnovabili.

http://www.greenpeace.org/italy/it/News1/news/team-fukushima/?utm_source=SilverpopMailing&utm_medium=email&utm_campaign=nostro%20team%20a%20Fukushima%20(cyber)&utm_content=


Noi con l’Anm. - Sandra Bonsanti



Comincia una nuova drammatica settimana per la giustizia e non si può non fare i conti con le strategie finora messe in campo per contrastare l’attacco alla magistratura da parte del governo e della sua maggioranza.

Gli unici che si stanno battendo come leoni e lo stanno facendo in nome di una giustizia per tutti e non per pochi o uno soltanto sono i magistrati stessi e la loro Associazione, la Anm. Con toni più o meno infiammati ma ugualmente fermi e decisi stanno spiegando agli italiani le trappole e gli inganni contenuti nella riforma. Ma la loro voce, competente e civile, viene dileggiata e contrastata e tacitata con slogan e manifesti, sul web e per le strade delle nostre città. I principali telegiornali pubblici parlano con messaggi imposti da Ghedini e Alfano.

L’opposizione dice dei NO ma è molto divisa: c’è chi rivaluta la Bicamerale e l’onorevole Boato. Chi lancia appelli per una apertura al dialogo senza condizioni. Chi perde tempo a spiegare che alcune proposte del governo “erano anche le nostre”. Chi interpreta l’invito a riforme condivise del Capo dello Stato come un invito a mollare, a trattare magari al ribasso.

E ad ogni incertezza o esitazione, la maggioranza si spinge più in là, chiede ed ottiene qualcosa di sempre più punitivo nei confronti dell’autonomia della magistratura e dell’uguaglianza dei cittadini.

Non aver creato una diga in questi anni, in presenza di un presidente del Consiglio che ha come obiettivo ultimo non il governo del Paese ma la propria salvaguardia dai processi che lo riguardano, rimane la vera colpa della politica che l’opposizione non ha fatto. Un patrimonio semplice e rivendicato di “non possumus” sui diritti fondamentali e sulla separazione dei poteri avrebbe chiarito che “oltre” (come dice Bersani) non si poteva andare, perché “oltre” c’è solo violazione di legalità e ingiustizia per tutti.

Oggi bisogna che tutta la società civile si faccia carico di dar voce alla magistratura, siamo noi cittadini che dobbiamo parlare, contrastare e opporsi, contrastare e incalzare, contrastare e informare.

Dire NO alle LEGGI SPECIALI di Berlusconi. Spiegare quali sono invece le vere riforme che farebbero funzionare la giustizia. Le cito dall’elenco più volte richiesto dall’Anm:

1) abolizione dei tribunali inutili

2) abolizione degli inutili formalismi nelle procedure penali e civili

3) effettiva informatizzazione degli uffici e del processo

4) l’ufficio del giudice e riqualificazione del personale amministrativo

5) incremento e razionalizzazione delle risorse umane e materiali per gli uffici

6) una seria depenalizzazione

7) una reale riduzione del contenzioso civile.

Questo servirebbe per far funzionare la giustizia. Perché una seria opposizione non fa propri questi sette punti e per essi decide di battersi in Parlamento e nel Paese con i pochi media ancora a disposizione? Perché non fare tutti, Centro, Pd, IdV quadrato su questa riforma? Timore di apparire “sdraiati” sulla posizione dell’Anm? Sempre meglio, più onorevole e dignitoso che servire anche indirettamente gli interessi oscuri e palesi di questo governo.

Sempre meglio, comunque, di quella penosa ammissione: “Erano anche proposte nostre”. Per rivendicare un primato e spalancare la porta non al confronto ma a un mercanteggiamento perdente e tanto dannoso per tutti. Il vero riformismo dovrebbe costruire una cultura più avanzata, non sollecitare il ritorno alla giustizia che abbiamo conosciuto ai tempi del Porto della nebbia, quando nulla si muoveva che non fosse voluto dal potente al governo in quel momento. Alla giustizia degli Armadi della vergogna, degli insabbiamenti, delle stragi senza colpevoli, dei silenzi di Stato. Tutto questo in Italia lo abbiamo già avuto.

Anche per questo, perché siamo convinti che senza l’autonomia vera della magistratura non ci sia uguaglianza dei cittadini, noi siamo contro la riforma del governo e le leggi ad personam che in queste ore la maggioranza si affretta ad approvare in Parlamento.

- Un dubbio: chi assicura i magistrati?

http://www.libertaegiustizia.it/2011/03/28/noi-con-lanm/



Redditi dei parlamentari, B in un anno raddoppia.



Non solo si conferma il più ricco tra i politici, ma in un anno ha quasi raddoppiato il proprio reddito. Il presidente del Consiglio ha dichiarato 40.897.004 euro rispetto ai 23.057.981 dell’anno precedente. A leggere le dichiarazioni patrimoniali dei deputati relative al 2009, oggi consultabili a Montecitorio, le possibili “classifiche” sono infinite. Tra i presidenti dei due rami del parlamento,Gianfranco Fini e Renato Schifani, è il secondo ad avere un reddito superiore. La seconda carica dello Stato ha dichiarato 229.918 euro contro gli 186.563 euro della terza carica. Mentre tra gli avvocati difensori del premier Niccolò Ghedini e Piero Longo, è il titolare del “mavalà” a vincere dichiarando 1.297.118 euro contro i 530.847 di Longo. Balza all’occhio, fra l’altro, la posizione del ministro dell’Economia. Giulio Tremonti ha dichiarato redditi pari a 301.918 euro, in netto aumento rispetto all’anno precedente quando, grazie a una serie di detrazioni fiscali, aveva denunciato 39.672 euro.

Stupiscono anche i redditi dei non eletti Guido Bertolaso e Daniela Santanché. L’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alla Protezione Civile ha dichiarato un reddito imponibile di 860.195 euro. Santanché, invece, 642.517 euro.

Paperon de Paperoni Silvio Berlusconi nelle dichiarazioni dei redditi figura come “separato”, non risultano nuovi acquisti di auto, barche o di partecipazioni in società. Ha venduto una comproprietà al 50% di un appartamento a Milano. Tra i beni immobili a lui intestati risultano due appartamenti in uso abitazione a Milano, due box e altri tre appartamenti nella stessa città, dove ha in comproprietà anche altri due immobili. Inoltre è iscritto nella dichiarazione dei redditi un immobile nel Comune di Lesa, in provincia di Novara. Compaiono le proprietà nell’isola di Antigua: un terreno, un immobile e un altro terreno acquistato il 13 marzo 2009. Infine, tre depositi di gestione patrimoniale presso la banca popolare di Sondrio, il Monte dei Paschi di Siena e la Banca Arner Italia spa.

Escluso il premier, il più ricco in Consiglio dei ministri è il titolare della Difesa, Ignazio La Russa, che nel 2010 ha dichiarato un reddito imponibile per il 2009 di 374.461 euro. La Russa tiene dietro anche il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, con i suoi 301.918 euro. E’ testa a testa, poi, tra Tremonti e Renato Brunetta, che dichiara 300.894 euro. Mentre il più “povero” tra i ministri è il veneto Giancarlo Galan, con i suoi 149.938 euro. Tra le curiosità, si segnala il Guardasigilli Angelino Alfano, che dichiara 168.318 euro e allega la dichiarazione dei redditi della moglie, Tiziana Miceli, che guadagna più di lui, con i suoi 229.074 euro. Il primo dei leghisti è Roberto Calderoli, solo tredicesimo con 174.850 euro.

La classifica dei ministri, dunque, in ordine decrescente, vede dopo La Russa, Tremonti e Brunetta, il titolare della Sanità, Ferruccio Fazio (256.811 euro), seguito da Franco Frattini(237.219 euro), il neoministro Francesco Saverio Romano (236.295 euro) e Stefania Prestigiacomo (222.911 euro).

Sotto la soglia dei 200 mila, tutti gli altri ministri. A partire da Sandro Bondi, che però da una settimana ha lasciato la carica (dichiara 184.591 euro). Seguono Altero Matteoli (183.648 euro), Raffaele Fitto (179.787 euro), Mariastella Gelmini (176.981 euro), Roberto Calderoli (174.850 euro), Michela Vittoria Brambilla (173.818 euro), Maurizio Sacconi (172.394 euro), Gianfranco Rotondi (172.061 euro).

Nella metà bassa della classifica il ministro dell’Interno Roberto Maroni (170.711 euro), seguito da Elio Vito (169.432 euro), Angelino Alfano (168.318 euro), Umberto Bossi (167.957 euro), Giorgia Meloni (165.941 euro), Mara Carfagna, che risulta dunque essere la più “povera” tra le ministre (165.849 euro). Chiudono la classifica il vice ministro leghista Roberto Castelli (164.358 euro), il ministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani (161.911 euro) e il neoministro della Cultura Giancarlo Galan (149.938 euro).



Processo Mediatrade, Berlusconi in aula.


La procura revoca tutti i permessi concessi alla stampa per seguire l'udienza. Tafferugli tra sostenitori del premier e contestatori

Dopo otto anni Silvio Berlusconi si è presentato in aula questa mattina per il processo Mediatrade. Il ritorno era stato annunciato da giorni. E gli uomini del Pdl avevano chiamato all’adunata i sostenitori per manifestare a favore del premier. Ma ne sono arrivati un centinaio in tutto, 49 in tutto verso le 9 e 30, quando il premier è arrivato in tribunale. L’udienza, una semplice udienza tecnica, è stata rinviata al prossimo 4 aprile, due giorni prima dell’inizio di un altro processo, quello per il caso Ruby.

Mario Mantovani, coordinatore regionale lombardo del partito, da solo ha inviato 600 sms: ”Ho spedito circa 600 sms a militanti del Pdl lombardo, simpatizzanti, rappresentanti di lista. Il messaggio era questo: domani il presidente Berlusconi è a Milano. Mostriamogli, come sempre, il nostro affetto. I magistrati spesso esagerano con la persecuzione politica, ce l’hanno palesemente con il nostro grandissimo presidente del Consiglio”, sostiene Mantovani in un’intervista al Corriere della Sera. Mantovani ha riferito di aver parlato con il premier. “Mi ha detto di essere molto sereno, molto tranquillo”. Secondo il coordinatore del Pdl, Berlusconi sarebbe ottimista. “Abbiamo chiuso 28 processi su 31 – ha detto – ce la faremo anche questa volta. (Questi risultati, ndr) sono una grande dimostrazione di onestà, serietà e rispetto delle leggi del Paese”.

Anche Daniela Santanché si è adoperata. Mentre i giornali vicini al Cavaliere hanno pubblicizzato il passaggio di Berlusconi in aula. Tutti i quotidiani hanno scritto della presenza del premier in aula descrivendolo come un evento. Non a caso la zona del tribunale di Milano stamani era presidiata da oltre trecento uomini delle forze dell’ordine. L’area totalmente blindata. A giornalisti, fotografi e cameramen che avevano richiesto e ottenuto il permesso (consueto e scontato) di entrare a palazzo di Giustizia, è stato revocato con un provvedimento ad hoc dell’avvocato Generale adottato il 26 marzo, appena due giorni fa: appena si è saputo che il premier si sarebbe presentato. Non solo quindi accesso vietato a chiunque ma all’interno del palazzo sono state adottate altre misure cautelative per il premier: piantonati tutti gli accessi e gli ascensori, oscurati i vetri dell’ufficio.

Prima di andare in tribunale però il premier era già intervenuto telefonicamente a Canale 5 per dire che il dibattimento di oggi “rientra come quelli precedenti in un tentativo che viene fatto per cercare di eliminare il maggiore ostacolo che la sinistra ha nella conquista del potere. Sono accuse infondate e ridicole”. Quindi un classico del suo repertorio: “Il comunismo in Italia non è mai cambiato”. Poi l’attacco ai magistrati che costruiscono processi ”sul nulla, nessuno dei fatti su cui indaga la procura di Milano è vero. L’ho giurato sui miei figli e sui miei nipoti”. L’obiettivo dei giudici e della sinistra, osserva il Cavaliere, “è tenere sotto la spada di Damocle il presidente del Consiglio perché è un avversario politico”.

Poi, fuori dal palazzo di Giustizia, Berlusconi ha rilasciato alcune battute dal predellino dell’automobile. “Tutto bene, sarò in aula il 4 aprile” si è limitato a dire. E alla domanda se pensa di poter essere danneggiato dal caso Ruby Berlusconi ha risposto laconico: “Questo è un altro processo”.

Fuori da Palazzo di Giustizia intanto, si erano registrati momenti di tensione: alcuni sostenitori del premier si sono scontrati con alcuni contestatori del Pdl. Uno di questi si è posto di fronte ai sostenitori del Pdl e prima ha gradito “ladri”, poi ha mimato il gesto delle manette ai polsi. Uno dei sostenitori del premier gli si è avvicinato spintonandolo e un’altra ha usato una bandiera come mazza per allontanarlo. Altri si sono posti fra i due per dividerli fino a quando non è intervenuta la Digos che ha portato via il contestatore. Dall’altra parte del marciapiede ci sono alcuni militanti dell’Italia dei Valori che hanno esposto uno striscione con su scritto: “Bentornato. Dentro ti stanno aspettando”.

Nel processo Mediatrade, Berlusconi è indagato insieme ad altre 11 persone, tra cui il figlio Pier Silvio, il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri e il produttore americano Frank Farouk Agrama. Il premier è accusato di frode fiscale fino al 2009 e di appropriazione indebita fino al 2006 per presunte irregolarità nella compravendita dei diritti televisivi.

Il processo entrerà nel vivo, la prossima settimana, quando il pm De Pasquale chiederà il rinvio a giudizio per il presidente del consiglio, il quale sempre questa mattina al direttore di LiberoBelpietro ha detto: “Io questo Frank Agrama l’ho conosciuto negli anni Ottanta e poi non l’ho più visto. In Mediaset non mi sono mai occupato dei diritti televisivi, è un fatto che dal ’94 mi sono allontanato dalle aziende per dedicarmi al Paese. Non c’è stato un solo dollaro che sia passato a me da parte di questo Agrama”.

In aula era presente anche Marco Bava, titolare di una sola azione Mediaset per un valore di 8 euro, per chiedere di costituirsi parte civile nel procedimento in cui Silvio Berlusconi è accusato di appropriazione indebita e frode fiscale.

Al termine dell’udienza preliminare Mediatrade, quattro difensori di Silvio Berlusconi, gli avvocati Giorgio Perroni, Filippo Dinacci, Piero Longo e Niccolo’ Ghedini, hanno incontrato il giudice Giulia Turri, la presidente del collegio chiamato a giudicarlo nel processo Ruby. Nessuna dichiarazione da parte dei legali sul tema oggetto dell’incontro. Ghedini ha preannunciato che domani depositera’ la lista dei testimoni del processo che partira’ il 6 aprile. Intanto, i legali dello studio Pensa, che assistono la giovane marocchina, stanno valutando se costituirsi parte civile.



I lunedì dell'imputato Berlusconi - Marco Travaglio

Maroni "a casa i tunisini, ma non i libici" Una solidarietà a prova di petrolio.


Il Ministro dell'Interno parla di "rimpatri forzosi" per i migranti che provengono dalla Tunisia.

Roberto Maroni
“Con la Tunisia non siamo sotto ricatto come con la Libia per il petrolio. Sono loro a dipendere da noi, soprattutto nel settore turistico quindi, se non cesseranno gli sbarchi, si provvederà arimpatri forzosi". E’ categorico il ministro dell'Interno Roberto Maroni in un'intervista al Corriere della Sera , spiegando che “se i somali e gli eritrei non possono essere rimpatriati perché scappano dalla guerra, questo non può valere per i tunisini.”


Porte aperte, quindi, ai libici e non ai tunisini, come dichiara il titolare del Viminale invitando le regioni ad accogliere le possibili ondate di profughi. Solidarietà e accoglienza dunque, ma guardando prima il passaporto. “La Tunisia aveva promesso un impegno immediato per fermare flussi migratori, ma le barche continuano ad arrivare - contina il titolare del Viminale - In questa situazione i rimpatri forzosi sembrano essere l'unica strada possibile”.

Il Ministro leghista, inoltre, reputa l'impegno dell'Italia nella guerra libica un errore. “L'unica soluzione è quella diplomatica proposta da Franco Frattini in accordo con la Germania, se si vuole uscire da un pantano che può rivelarsi molto pericoloso.”

Michela Brambilla

In ballo quindi c'è soprattutto il petrolio. I libici lo hanno e sono bene accetti. I tunisini invece è meglio si affidino ad Allah. Ma la situazione attuale interessa anche il settore turistico. Almeno secondo il Ministro del Turismo Michela Vittoria Brambilla in un'intervista a Il Giornale: “prima vengono le esigenze del turismo italiano e dei nostri operatori - tuona orgogliosa - I continui sbarchi clandestini di tunisini verso l'Italia stanno danneggiando il nostro turismo e, in particolare, quello dell'isola di Lampedusa dove la stagione vale almeno 50 milioni di euro”. Pensiero condiviso da tutto l’esecutivo.

La Brambilla aggiunge che secondo i suoi calcoli "quest'anno si avranno 800 mila turisti giapponesi in meno". Dimenticando forse che inGiappone al momento hanno ben altro a cui pensare. Ma il ministro al Turismo propone anche un piano straordinario di sostegno per l'isola per recuperare la perdita subita in seguito alle cancellazioni delle prenotazioni di questi ultimi giorni. Il piano prevede, inoltre, di allungare la stagione fino all'autunno. In pratica il ministero cercherà d’intervenire anche sulle condizioni metereologiche.

Di Piera Farinella e Grazia La Paglia

http://www.iquadernidelora.it/articolo.php?id=81



Lampedusa scoppia: è rischio epidemie Lombardo vuole " tendopoli in Padania"


Oggi gli ispettori sanitari della Regione arriveranno sull'isola, dove le condizioni sanitarie si fanno sempre più critiche. Stasera sbarcherà anche l'assessore alla Sanità Massimo Russo. Lombardo, già da ieri a Lampedusa, polemizza a distanza col Ministro dell'Interno Maroni.

Raffaele LombardoSono oltre 6.500 i tunisini sbarcati negli ultimi giorni a Lampedusa. A breve dovrebbe attraccare anche un barcone con oltre 300 libici. L'imbarcazione ha lanciato un SOS nelle scorse ore e al momento dovrebbe trovarsi ancora nelle acque libiche. Proprio oggi arriveranno anche gli ispettori sanitari della Regione per verificare lo condizioni dei centri d'accoglienza e dei punti più critici dell'isola. Nonostante la disponibilità dei cittadini lampedusani infatti, le condizioni igieniche iniziano ad essere delicate. Negli sterminati accampamenti inizia ad essere alto l'allarme epidemia.

Stasera sbarcherà sull'isola anche l'assessore regionale alla SanitàMassimo Russo, che stamattina ha fatto visita, facendosi precedere addirittura da un comunicato stampa, alla giovane mamma Feketre Alemu e al suo bimbo Yeabsera, ricoverati presso la struttura ospedaliera di Villa Sofia. "Mi auguro che il governo nazionale comprenda appieno la gravità della situazione e sostenga in maniera concreta e fattiva questo enorme sforzo" ha dichiarato l'assessore alla Sanità. Gli dà man forte il Governatore Raffaele Lombardo che è a Lampedusa già da ieri sera: “Il grido di dolore di Lampedusa è il grido di dolore di tutta la Sicilia, che pretende rispetto ed efficienza per sé, il proprio territorio e per la propria gente, oltre che per i migranti poveri disperati che devono essere assistiti in modo civile”.

Lombardo, come già nei giorni scorsi, ha anche chiamato in causa l'esecutivo nazionale, reo di essere stato assente dalla situazione lampedusana. Ma il Ministro dell'Interno Roberto Maroni, che sulla gestione dei migranti ha delineato una sua precisa strategia (leggi l'articolo), la pensa in modo diverso arrivando a definire l'operato di Lombardo come "una ridicola sceneggiata". Lombardo ha immediatamente risposto all'attacco del titolare del Viminale, con una bordata senza pari. "Voglio vedere tendopoli di immigrati anche in Val Padana" ha esclamato il Governatore siciliano. L'idea che i migranti possano essere sistemati in strutture diverse dalle tendopoli non sembra quindi sfiorare nessun esponente politico.

http://www.iquadernidelora.it/articolo.php?id=82


Berlusconi oggi in aula, tribunale blindato: "Non mi sono mai occupato di diritti tv".



Milano - (Adnkronos) - Il presidente del Consiglio torna a palazzo di giustizia dopo 8 anni: è accusato di frode fiscale e appropriazione indebita nel processo Mediatrade. A 'Mattino cinque' di Belpietro: "Accuse non solo infondate ma anche ridicole". E sottolinea: "Solo in Italia per la Consulta premier a processo"

Milano, 28 mar. (Adnkronos) - Tribunale di Milano blindato, questa mattina, in vista dell'arrivo di Silvio Berlusconi all'udienza preliminare sui diritti tv dove è accusato di frode fiscale e appropriazione indebita.

Per l'arrivo del premier, che torna a palazzo di giustizia dopo 8 anni, sono state previste misure straordinarie: ingente presenza delle forze dell'ordine dentro e fuori il palazzo e corridoi del settimo piano, l'ala riservata agli uffici dei gip e gup, per ora off limits a giornalisti e fotografi.

Alcune decine di sostenitori del premier stanno già manifestando davanti al Palazzo di giustizia di Milano. "Silvio devi resistere resistere resistere" e "La politica nei seggi elettorali e non nei tribunali", questi alcuni dei cartelli esposti dai militanti del Pdl.

"E' un fatto confermato da tutti i testimoni che io, nella mia azienda, in Mediaset, non mi sono mai occupato dell'acquisto di diritti televisivied è un fatto, confermato da tutti i testimoni, che dal gennaio del '94, quando sono sceso in campo nella politica e mi sono dimesso da ogni carica, mi sono allontanato dalle aziende che avevo fondato per dedicarmi solo ed esclusivamente al Paese", ha intanto affermato il Cavaliere intervistato da Maurizio Belpietro a 'La Telefonata' su 'Mattino cinque', spiegando in modo dettagliato tutta la vicenda che lo vede imputato nel processo Mediatrade. "Io - ha ribadito il presidente del Consiglio - non mi ero occupato di diritti televisivi nemmeno prima, perché i diritti televisivi venivano acquistati da una sezione di Mediaset che aveva dei bravissimi manager a capo e che passavano all'ufficio acquisti le loro richieste per gli acquisti di film e di telefilm sul mercato americano".

"Si tratta di accuse - ha detto ancora il premier - che sono non solo infondate ma anche ridicole. I fatti risalgono alla prima metà degli anni Novanta, si tratta dell'acquisto da parte di Mediaset dei film e dei telefilm prodotti dalla Paramount, che invece che essere fatti direttamente da Mediaset passavano attraverso un imprenditore americano che aveva degli ottimi rapporti con la Paramount e il suo presidente e aveva avuto un'esclusiva delle produzioni Paramount per l'Europa". "Io Frank Agrama l'ho conosciuto due tre volte negli anni Ottanta e poi non l'ho più visto. Anche le indagini hanno dimostrato che tutti gli utili che questo intermediario ha fatto vendendo i suoi diritti sono stati rintracciati in conti intestati a lui. Non c'è stato nessun dollaro che sia passato a me attraverso questo Agrama".

La scelta di presentarsi in Tribunale questa mattina, sottolinea poi, "è conseguente a quella incredibile sentenza della Corte costituzionale che ha deciso che in Italia, soltanto in Italia, un presidente del Consiglio, che si deve occupare dei problemi del Paese, possa essere sottoposto a processo, distogliendo la sua testa, la sua attenzione e il suo tempo dall'incarico e dalla responsabilità pubblica". "In tutti gli altri Paesi civili - ha affermato ancora il capo dell'esecutivo - succede che i processi si sospendono, il presidente del Consiglio svolge il suo incarico, alla fine del suo incarico i processi ritornano fuori e continuano contro di lui. E' accaduto recentemente ad esempio per il presidente Chirac in Francia". Berlusconi ha poi annunciato che si recherà alle udienze "a cui potrò presentarmi, cercando di non sospendere mai i processi".

"Bisogna continuare a tenere sotto una spada di Damocle giudiziaria e mediatica il nemico ideologico e politico che è Silvio Berlusconi, che è l'ostacolo che impedisce alla sinistra di raggiungere il potere. Purtroppo il comunismo in Italia non si è mai arreso e non è mai cambiato - ha proseguito Berlusconi -c'è ancora chi usa il codice penale come uno strumento di lotta ideologica e pensa che la parte politicizzata della magistratura possa usare qualsiasi mezzo per annientare l'avversario che è vittorioso nelle elezioni e forte nel consenso popolare". "Io sono l'uomo più imputato dell'universo e della storia - ha detto ancora il premier - perché sono state 2.564 le udienze contro di me e contro il mio gruppo. Quella di stamattina ci risulta essere la 2.565/ma udienza, quindi sono più di mille i magistrati che si sono occupati di me senza aver mai conseguito alcun successo e continuano, sapendo bene di non poter arrivare ad una condanna, ma mettendomi sui giornali di tutto il mondo e gettando fango su di me e sulle mie aziende e naturalmente facendomi perdere un mare di tempo e un mare di soldi".



Mafia e Lombardia, le radici del tabù.


La lite Vendola-Formigoni è solo il caso più recente ma non sarà l'ultimo: parlare di criminalità organizzata al Nord è sempre stato considerato proibito. Eppure già negli anni 70 le cosche avevano trasferito parte dei loro interessi nella capitale morale d'Italia.

Lombardia, mafiosa e omertosa. Tre parole che ribaltano decenni di senso comune e mostrano un’Italia capovolta. Soprattutto se a dirle è il presidente di una regione del Sud, Nichi Vendola, al presidente di una regione del Nord, Roberto Formigoni. La reazione di quest’ultimo è stata scomposta: Vendola è «sotto effetto di sostanze», e poi «come mai non è in galera» per lo scandalo della sanità pugliese? (vedi http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/03/25/vendola-formigoni-il-primo-lombardia-regione-ultramafiosa-laltro-e-un-miserabile/99994/).

Il sindaco di Milano Letizia Moratti ha ribattuto con lo stile che predilige, quello delle formule generiche e vacue: «Vendola deve occuparsi della sua regione, viene in un posto che non conosce e insulta una regione che è la prima d’Italia nel contribuire a creare per tutto il Paese opportunità di lavoro e produzione di ricchezza». E naturalmente «tutte le istituzioni, che ringrazio di cuore, sono estremamente vigili» (http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/politica/2011/26-marzo-2011/continua-disputa-vendola-formigonila-mafia-ha-attaccato-nostro-lavoro–190312103014.shtml).

Passata la buriana, però, sia Moratti che Formigoni hanno optato per un mezzo passo indietro ed entrambi hanno rilasciato qualche timida ammissione a mezzo stampa (lettera e intervista sulCorriere della Sera di oggi). Il messaggio grosso modo è lo stesso, per dirla con le parole di Formigoni: “Basta liti, combattiamo insieme la mafia”. Che quindi c’è anche a Milano, se ne ricava. Più timida Moratti, che dopo la polemica con Vendola decide di rispondere alla lettera del procuratore Pignatone, pubblicata sempre dal Corriere un paio di giorni prima. Il procuratore di Reggio Calabria, magistrato di punta nella lotta alla ‘ndrangheta, aveva scritto una lettera alCorrierone per scuotere il Nord dal suo preoccupante torpore: «La repressione non basta. È necessaria la reazione della società civile, con tutte le sue articolazioni, ognuna delle quali può svolgere un ruolo prezioso, innanzi tutto agendo secondo le regole e contrastando il silenzio e l’omertà».

Ecco allora che sotto il titolo “Guardia alta contro la ‘ndrangheta” sfila la lista degli interventi adottati dal Comune, ma soprattutto un invito al governatore della Puglia: “Deve e può essere (quella contro la criminalità, ndr.) una battaglia senza barriere ideologiche e ostracismi politici, perché sono sicura che tutti [...] vogliamo mantenere Milano fedele alla più autentica tradizione di e vocazione di lavoro e solidarietà, capacità di iniziativa e onestà [...]. Per questo chiedo a chi lancia accuse pretestuose e infamanti contro la Lombardia solo per ragioni elettorali di fare un passo indietro”.

Certo che Vendola è in campagna elettorale per il suo candidato Giuliano Pisapia, che sfiderà la Moratti alle amministrative di maggio, ma due comparsate sui mezzi di informazione non bastano ad annullare il punto centrale della sua invettiva: in Lombardia la parola mafia è sempre stata un tabù, soprattutto per i governanti. Come a Corleone, ma Corleone degli anni Cinquanta, non quella di adesso che di mafia discute pubblicamente.

E’ un vero e proprio negazionismo che ha radici lontane. La mafia era una «favola» per il sindaco socialista Paolo Pillitteri, che poi si vedrà scoppiare tra le mani lo scandalo Duomo Connection e gli intrecci pericolosi tra Cosa nostra e Palazzo Marino.

Vent’anni dopo Letizia Moratti negherà l’esistenza di una «criminalità mafiosa» a Milano, vedendo al massimo una generica (tanto per cambiare) «criminalità organizzata». Era il 23 gennaio 2010, sette mesi dopo l’operazione Crimine-Infinto porta in carcere 160 presunti affiliati alla ‘ndrangheta milanese e lombarda. Quei criminali «organizzati» di cui parla la Moratti, guarda un po’, risultano strettamente legati alle cosche calabresi e spesso portano i cognomi di famiglie di rispetto.

E che dire dello strano caso del prefetto Gian Valerio Lombardi, che durante la visita della Commissione parlamentare antimafia fa filtrare il messaggio che a Milano «la mafia non esiste», ma nello stesso istante consegna ai commissari un’allarmante relazione riservata in cui sottolinea la penetrazione dei clan nell’economia legale «grazie a consolidati rapporti con il mondo bancario, finanziario e istituzionale»? E’ lo stesso prefetto che affossa l’istituzione di unaCommissione antimafia al Comune di Milano, con l’entusiastica adesione del centrodestra tutto – Pdl, Lega, Udc, Lista Moratti – che pure ne aveva votato l’istituzione all’unanimità. Tabù.

La mafia a Milano e in Lombardia c’è, e c’è da almeno sessant’anni, dato che i primi boss di Cosa nostra e ‘ndrangheta salirono al Nord all’epoca in cui nascevano la Rai Tv e il festival di Sanremo.Luciano Liggio è stato arrestato nel 1974 in via Ripamonti, dove viveva con la compagna e il figlio. Michele Sindona e Roberto Calvi erano perfettamente inseriti nel «salotto buono» dell’economia e della finanza, prima di finire male, mentre al funerale di Giorgio Ambrosoli non si presentarono né autorità né «vip». I colletti bianchi del narcotraffico legati allo «stalliere» di Arcore Vittorio Mangano avevano uffici di copertura in via Larga, a due passi dal Duomo.

Nei primi anni Novanta la Direzione distrettuale antimafia di Milano portò in carcere circa duemila boss e soldati della ’ndrangheta, di Cosa nostra, della camorra, della Sacra corona unita, tutti stabilmente insediati al Nord.

Formigoni e la Moratti forse non hanno studiato la storia. Ma, come accusa Vendola, sono stati muti anche di fronte alla cronaca. Protagonisti di una politica dove si dichiara e si polemizza su tutto, fino allo sfinimento, si sono tenuti lontani il più possibile dalla parola tabù.

Ecco un elenco – inevitabilmente parziale e sparso – delle occasioni in cui avrebbero dovuto dire qualcosa di più o di diverso.

Alla vigilia del Natale 2010, Pietrogino Pezzano è stato nominato direttore generale della Asl numero uno della provincia di Milano, pochi mesi dopo che erano emerse le sue strette frequentazioni con i presunti boss della ‘ndrangheta di Desio. Nomina avvallata e difesa dallo stesso Formigoni.

Proprio a Desio, il 26 novembre 2010, si registra il primo caso lombardo di una giunta comunale caduta per mafia. Dopo mesi di agonia, la maggioranza Pdl-Lega non ha retto ai contraccolpi dell’inchiesta Crimine-Infinito e delle pesanti collusioni politico-amministrative che ha fatto emergere.

Il 13 luglio 2010, l’inchiesta Crimine-Infinito svela diversi contatti tra ‘ndrangheta e politica. Il direttore della Asl di Pavia, Carlo Chiriaco, finisce in carcere per associazione mafiosa. Dall’inchiesta emerge tra l’altro che si dà da fare per fabbricare prove false in favore di Rosanna Gariboldi, moglie del parlamentare del Pdl Giancarlo Abelli, vicinissimo a Formigoni.

L’assessore regionale all’ambiente Massimo Ponzoni, altro fedelissimo di Formigoni, pur non indagato è definito dagli inquirenti «parte del capitale sociale» dell’organizzazione mafiosa.

Giulio Giuseppe Lampada, imprenditore legato al clan Valle sotto accusa per associazione mafiosa e usura, era ospite alla festa elettorale di Letizia Moratti per la vittoria del 2006, grazie ai buoni uffici di un paio di consiglieri comunali del Pdl.

La recente operazione Caposaldo svela un capillare sistema di estorsioni gestito, secondo l’accusa, dallo storico clan ‘ndranghetistico dei Flachi. A Milano pagano il pizzo famosi locali notturni, parcheggiatori abusivi, venditori ambulanti di panini. In perfetta sinergia con lo spaccio di coca. Paolo Martino, boss reggino di prima grandezza, parla di appalti in tono assai confidenziale con Luca Giuliante, tesoriere del Pdl e primo avvocato di Ruby nello scandalo dei festini di Arcore.

Intorno all’aeroporto di Malpensa, a Lonate Pozzolo e in altri centri del varesotto, decine di imprenditori lombardi hanno subito per anni estorsioni, violenze e minacce da parte del clan di origine crotonese dei Filippelli, secondo un’indagine condotta dalla direzione distrettuale antimafia di Milano. Nessuno di loro ha mai trovato il coraggio di denunciare. Il relativo processo sta per concludersi a Busto Arsizio.

L’11 giugno 2010 diversi esponenti del clan Barbaro-Papalia sono stati condannati in primo grado per associazione mafiosa, con l’accusa di aver conquistato, con il timore che il loro nome incuteva, il monopolio di un’attività economica lecita: il movimento terra nei cantieri edili dell’hinterland sudovest di Milano. Gran parte dei testimoni convocati in aula hanno fatto scena muta o sono stati reticenti.

Indagini successive hanno evocato l’esistenza di un sistema centralizzato grazie al quale la ’ndrangheta si spartisce le commesse in varie parti della Lombardia, capoluogo compreso. E scarica abusivamente rifiuti tossici e pericolosi.

Da almeno vent’anni si susseguono operazioni antimafia all’Ortomercato di Milano, struttura di proprietà comunale attraverso la Sogemi. L’ultima, del 2007, ha smascherato un traffico internazionale di cocaina gestito dal clan Morabito di Africo, con tanto di night club aperto in un locale della Sogemi.

Negli ultimi anni in Lombardia ci sono stati una quindicina di omicidi di mafia e si registrano centinaia di casi di minacce e intimidazioni, soprattutto ai danni di imprenditori e commercianti, che raramente vengono denunciati. La sola indagine Crimine-Infinito riporta 130 incendi dolosi e 70 episodi di intimidazione in quattro anni.

Nei giorni scorsi in un campo Bernate Ticino, tra Milano e Novara, è stato scoperto un «cimitero della ‘ndrangheta», con due corpi di presunte vittime di lupara bianca, sotterrati insieme a resti di maiali macellati clandestinamente.

La Lombardia è la quarta regione italiana per beni immobili confiscati alle mafie: 762, di cui 173 a Milano città. Le aziende tolte ai clan sono 195.

Non è seguito dibattito.