giovedì 13 novembre 2025

L’impatto economico della giustizia (e della sua riforma). - Carlo Cottarelli

 

La riforma costituzionale della giustizia punta a separare le carriere dei magistrati e a estrarre i membri dei CSM. Non ridurrà la lentezza dei processi, principale problema economico e civile dell’Italia, ma mira a depoliticizzare e aumentare credibilità e imparzialità.

Uno dei temi che terrà occupata l’opinione pubblica nei prossimi mesi è la riforma costituzionale della giustizia tra i cui elementi principali ci sono la separazione delle carriere tra magistratura giudicante (i giudici) e magistratura requirente (i pubblici ministeri) e l’estrazione dei membri dei due consigli superiori della magistratura. Il buon funzionamento della giustizia è molto importante, anche dal punto di vista economico. È una buona riforma?

Dal punto di vista economico il principale problema della giustizia italiana resta la sua lentezza. Dieci anni fa, Berlusconi, come documentato da un filmato che ancora potete trovare su Youtube, minacciò i giocatori del Milan di sospendere i pagamenti degli stipendi, visto il loro scarso impegno. Concluse: “Fatemi causa: sapete quanto dura un processo civile in Italia? Otto anni”. Aveva ragione: quella era la durata media dei processi civili che arrivavano al terzo grado di giudizio (Corte di cassazione). Le cose sono migliorate da allora, anche perché il PNRR ci vincola a ridurre del 40% la durata dei processi civili. Ma nel 2024 eravamo ancora ben sopra i cinque anni. Come ci pone questo dato rispetto all’estero? La Spagna sta intorno ai tre anni e la Germania a meno di due anni. Quindi il divario si è ridotto, ma non tanto da rendere irrilevante questo fattore nella scelta di dove condurre l’attività di impresa. E quanto ci vuole a risolvere una controversia giudiziaria è ovviamente un fattore molto importante nel decidere in quale parte d’Europa o del mondo investire.

Ora, non credo che la riforma della giustizia potrà ridurre la durata dei processi. Non era questo il suo scopo. Non ho grosse obiezioni a questa riforma. Non penso che la separazione delle carriere sia di importanza critica per il buon funzionamento della giustizia, visto, comunque, lo sparuto numero di magistrati che passano da una carriera all’altra. Ma non penso neanche che la separazione possa creare problemi. La questione della separazione è diventata ormai una battagli di bandiera per destra e sinistra. L’estrazione dei membri dei consigli superiori della magistratura mi appare più importante. Ed è una riforma ragionevole, essendo volta a “decorrentizzare” e depoliticizzare la magistratura, cosa del tutto necessaria per aumentarne credibilità e imparzialità. Fra l’altro io stesso avevo suggerito la separazione dele carriere e la estrazione dei membri dei consigli superiori nel 2021 quando avevo coordinato il Comitato Scientifico Programma per l'Italia, proponendo anche riforme in campo della giustizia. Qualcuno teme che la riforma possa subordinare il potere giudiziario a quello esecutivo, ma, onestamente, non ho ancora trovato una semplice e chiara spiegazione del perché questo potrebbe avvenire a seguito delle riforme proposte.

Il problema è casomai che la riforma rischia di impegnare energie politiche da entrambi i lati dello schieramento su un tema che, dal punto di vista economico, non è fondamentale. Ma allora sarebbe meglio, visto che la riforma è stata ormai approvata, evitare un referendum e concentrarsi, sempre per entrambi i lati dello schieramento, sulla questione della lentezza della giustizia, che resta la principale. E non soltanto per l’economia. In un Paese come il nostro, al centro dell’Europa e del mondo avanzato, non si può tollerare di avere processi, sia nell’area civile sia in quella penale, di durata biblica. L’articolo 111 della Costituzione richiede che i processi abbiano ragionevole durata. Mi sembra un imperativo fondamentale per un Paese civile.

https://tg24.sky.it/politica/2025/11/12/riforma-giustizia-separazione-carriere-csm?intcmp=nl_editorial_insider_null

Oggi come 10 anni fa, viaggio nella vita giudiziaria di Totò Cuffaro. - Fulvio Viviano

 

Una nuova indagine della dda di Palermo punta, ancora una volta, i riflettori sull’intreccio tra politica e sanità. Su interessi di denaro, nomine da fare, posti da assegnare, concorsi da truccare. E anche questa volta dentro, ci sono tra gli indagati imprenditori, politici, esponenti delle forze dell’ordine. E poi c’è lui, di nuovo lui: Totò, detto “Vasa Vasa”.

13 dicembre del 2015. Totò Cuffaro lasciava il carcere romano di Rebibbia dove aveva trascorso gi ultimi 4 anni e 11 mesi da recluso. Condannato a sette anni per favoreggiamento dopo un processo iniziato a Palermo nel febbraio del 2005. Un’indagine della dda del capoluogo siciliano che puntava a fare luce sull’intreccio tra mafia, politica e sanità. Appalti da gestire e pilotare, nomine ai vertici della sanità pubblica, tariffari da rivedere per riempire le tasche di imprenditori collusi e contigui a cosa nostra. Talpe nelle forze dell’ordine che avvertono gli indagati. E, al centro di tutto, c’era Totò Cuffaro che all’epoca dei fatti era presidente della Regione Siciliana. Il governatore, dello “Totò vasa vasa (bacia bacia ndr)” per la sua caratteristica principale: baciare sulla guancia praticamente tutti i suoi interlocutori.

Un processo lungo, una indagine complessa fatta di migliaia di intercettazioni telefoniche ed ambientali. Rapporti ricostruiti. Accuse pesanti che, alla fine, si trasformano in una condanna a sette anni per favoreggiamento nei confronti di Totò Cuffaro che, dopo la conferma della Cassazione, si presenta alla porta carraia di Rebibbia che lascia prima di Natale di dieci anni fa.

Intervistato nei giorni successivi alla scarcerazione dice di non voler più fare più politica, quantomeno attiva, per dedicarsi al volontariato e ad una missione in Africa. In Burundi per la precisione. Aiutare gli atri diventa, almeno a parole, il suo unico obiettivo. Ma quando viene “riabilitato” in tutto e per tutto, la svolta. Entra nella Nuova Democrazia Cristiana fino a diventarne il nuovo segretario nazionale. Il Burundi diventa un ricordo.

Adesso dobbiamo fare un salto nel tempo. In avanti di dieci anni.

4 novembre del 2025. Una nuova indagine della dda di Palermo punta, ancora una volta, i riflettori sull’intreccio tra politica e sanità. Su interessi di denaro, nomine da fare, posti da assegnare, concorsi da truccare. E anche questa volta dentro, ci sono tra gli indagati imprenditori, politici, esponenti delle forze dell’ordine. E poi c’è lui, di nuovo lui: Totò “Vasa Vasa”.

Per i magistrati della dda, guidati da Maurizio De Lucia, l’ex presidente della regione, nonostante la condanna scontata per favoreggiamento, sarebbe tornato a fare quello che sa fare meglio: gestire il potere, creare clientele, pilotare nomine e gestire il consenso politico. Pensava di non essere intercettato in casa Cuffaro, per il quale la procura ha chiesto gli arresti domiciliari assieme ad altre 16 persone (tra loro c’è anche il deputato di Noi Moderati, Saverio Romano). Era convinto di essere al sicuro. Ma le precauzioni non erano mai troppe. A tutti quelli che lo andavano a trovare in casa chiedeva di lascare in un’altra stanza i telefoni cellulari. Le microspie però erano state ben piazzate. Lì ed in tutti gli altri luoghi che l’ex governatore usava per i suoi incontri. Così come intercettate erano tutte le utenze cellulari in suo uso.

Leggendo le intercettazioni sembra di fare un passo indietro nel passato. Di nuovo si parla di gestione appalti nella sanità, di nuovo di nomine da pilotare, di persone da mettere in un posto piuttosto che in un altro sulla base del consenso politico cha hanno portato e possono ancora portare per il futuro. Un futuro che potrebbe, o forse avrebbe potuto, vedere di nuovo Cuffaro tra i candidati della politica regionale. E ancora esponenti delle forze dell’ordine, un carabiniere ed un poliziotto, che passano informazioni all’ex presidente della regione sulle indagini della procura. Insomma, un dejà vu. E nemmeno dei più imprevedibili.

Adesso, alla luce di questa nuova indagine, quasi fotocopia di quella che lo portò in carcere, Totò Cuffaro ha lasciato i suoi incarichi nella Nuova Democrazia Cristiana. Si è dimesso da segretario nazionale. Il suo coinvolgimento in questa nuova inchiesta della procura scuote anche il governo guidato da Renato Schifani e che ha avuto l’appoggio elettorale di Cuffaro e del suo partito. Il rimpasto della giunta è alle porte.

Intanto “Vasa Vasa” attende che arrivi il 14 novembre giorni in cui varcherà di nuovo la soglia del tribunale di Palermo da indagato per rispondere alle domande del Gip che poi dovrà decidere del futuro dell’ex governatore per il quale la procura ha chiesto l’arresto. Ancora una volta.

https://tg24.sky.it/cronaca/2025/11/12/toto-cuffaro-storia-giudiziaria.

A PROPOSITO DI BORSELLINO di Marco Travaglio .

 

Quando sbagliamo, diversamente dai bufalari che raccontano volutamente una ventina di balle al giorno, ci scusiamo con i lettori. E lo facciamo oggi per aver preso per buone due citazioni sbagliate di Falcone e Borsellino, riprese da pubblicazioni scritte e online.
La frase di Falcone pro carriere separate purché il pm non passi sotto l’esecutivo rispecchia il suo pensiero ripetuto varie volte, ma non è tratta da un’intervista del ’92 a Repubblica.
Anche quella di Borsellino fotografa il suo pensiero fermamente contrario alla separazione delle carriere, ma non è tratta da un’intervista del ’90 a Samarcanda.
Fine delle scuse e una domanda:
ma questi magliari di destra che infestano giornali e web con la deduzione
“Borsellino quel giorno non parlò da Santoro, dunque era per le carriere separate” chi credono di fregare?
La loro fortuna è che allora non c’erano gli smartphone.
Sennò verrebbero inondati di filmati di Borsellino contro le carriere separate.
Grazie al cielo alcuni suoi interventi sono stati pubblicati da libri e riviste.
L’11.12.1987, parlando a Marsala su “Il ruolo del pm con il nuovo codice”, Borsellino definì la figura del pm
“la più gravosa ma insieme la più esaltante nel nuovo processo… perché principalmente a essa è affidato il concreto attuarsi di quei principi di civiltà giuridica che col sistema accusatorio si vogliono introdurre. E le ricorrenti tentazioni del potere politico, quali ne siano le motivazioni, di mortificare obiettivamente i magistrati del Pm, prefigurandone il distacco dall’ordine giudiziario, anche attraverso il primo passo della definitiva separazione delle carriere, non incoraggiano certo i ‘giudici’ – ché tali tutti sentono di essere – a indirizzare verso gli uffici di Procura le loro aspirazioni”.
Quindi, tutti, requirenti e giudicanti, si sentono “giudici” e devono restare un unico ordine giudiziario.
Il 16.3.1987, in un convegno a Mazara del Vallo, Borsellino contestò chi voleva, come fa ora Nordio, sottrarre i giudizi disciplinari al Csm:
“La repressione disciplinare degli organi di autogoverno (Csm) è molto più incisiva ed efficace di quanto si creda e si sostenga da chi spesso mira all’altro non confessato scopo di attentare all’autonomia e indipendenza della magistratura, asserendo l’inidoneità e insufficienza di tale specie di sanzione”.
Anche per questo Msi, An e FdI si opposero sempre a separare le carriere.
Il 25.2.2004 un giudice della corrente MI (come Borsellino) ricordò in tv ad Augias:
“Borsellino divenne procuratore a Marsala dopo essere stato giudice istruttore e giudice civile. Probabilmente in alcune indagini di mafia queste competenze gli sono servite”.
Sapete chi era? Alfredo Mantovano,
oggi sottosegretario a Palazzo Chigi.
Vostro onore, non ho altre domande.