Nella rete degli strozzini sono finiti soprattutto antiquari, fra la Sicilia e Roma. L'indagine della Guardia di finanza ha fatto scattare un sequestro di beni per 500 mila euro, sigilli a un ristorante.
I suoi complici lo chiamavano “succhiasangue”. Salvatore Cillari, fratello di un boss all'ergastolo, era uno spietato usuraio, imponeva tassi di interesse fino al 140 per cento annuo. Stanotte, è stato arrestato dai finanzieri del nucleo di polizia economico finanziaria di Palermo, ai domiciliari sono finiti il figlio Gabriele e altre due persone, Matteo Reina e Giovanni Cannatella. Un quinto indagato, Achille Cuccia, ha il divieto di dimora a Palermo. Le indagini coordinate dal procuratore aggiunto Sergio Demontis e dalla sostituta Federica Paiola hanno svelato un vasto giro di usura fra la Sicilia e Roma. Fra le vittime, anche il conduttore radiofonico Marco Baldini, che già altre volte era finito nelle grinfie degli strozzini. Dalle intercettazioni è emerso che nel giugno 2018 doveva dare ancora 60 mila euro a Cillari.
Le intercettazioni.
Sono drammatiche le conversazioni captate dalla Finanza: “Ora domenica parte – un complice raccontava l’ultima chiamata di Cillari a Baldini – ci ha telefonato… vedi che sto salendo, ti sto venendo a rompere le corna”. Nelle intercettazioni sono finite anche le telefonate fra l’usuraio e il conduttore. “Sti soldi, com’è finita Marco? Manco una lira”, diceva lo strozzino. Era il gennaio 2017. “Domani ci vediamo, stai tranquillo”, rispondeva Baldini. Tre mesi dopo, i toni di Cillari erano più pesanti: “Mi dai sempre delle notizie, poi sempre mi lasci in asso”. E ancora: “Tu dici che dovevi prendere i soldi, sono passati sette mesi, non prendi nulla. Marco io so solo una cosa, ti ho fatto solo del bene a te… Lo sai quanto ti voglio bene e quanto ti ho aiutato”. Nel giugno 2018, una nuova telefonata dell’usuraio: “Ora basta, sono passati anni. Ora basta Marco. Mercoledì sono a Roma e ci sto fino a venerdì”. Cillari, che ha 63 anni, aveva sempre modi alquanto sbrigativi. E, soprattutto, tante frequentazioni, anche con esponenti della criminalità organizzata. Il gip Marco Gaeta parla di "contiguità" con esponenti del mandamento mafioso di Porta Nuova, "favoriti dal rapporto con il fratello Gioacchino", ritenuto un killer di Cosa nostra.
Il riciclaggio.
I proventi del giro di usura sarebbero stati riciclati dal figlio di Cillari, Gabriele, che negli ultimi anni era diventato uno dei protagonisti della movida palermitana: aveva aperto un locale all’interno del mercato del Capo, l’Acerba osteria dinamica, a metà fra galleria d’arte e ristorante. Adesso, l’attività è sotto sequestro. Sigilli anche a due immobili, conti correnti e una moto.
Dice il generale Antonio Quintavalle Cecere, il comandante provinciale della Guardia di finanza di Palermo: “Purtroppo, dispiace registrare che le vittime non sono state collaborative con gli investigatori, nonostante le pressanti intimidazioni e minacce subite dagli usurai. Ribadisco ancora una volta che l’unico modo per uscire dalla morsa dell’usura, così come dell’estorsione, è denunciare questi criminali”.
Le vittime di Cillari sono soprattutto antiquari, come Cannatella, ritenuto il referente del gruppo nella Capitale. Gli usurai puntavano a nuovi affari. Cercavano di trarre il massimo di profitto dalla crisi economica dovuta all’emergenza Covid. “I rischi di usura sono sensibilmente aumentati – spiega il colonnello Gianluca Angelini, il comandante del nucleo di polizia economico finanziaria di Palermo – per questo, l’impegno investigativo è costante per contrastare ogni tentativo della criminalità di strumentalizzare le difficoltà di famiglie e imprese per ottenere ulteriori profitti illeciti”.
La Repubblica