mercoledì 17 febbraio 2021

I geologi insorgono: «Giù le mani dall'Uomo di Altamura. È lì da 150mila anni.»

 

No alla rimozione, anche solo parziale, dello scheletro di Ciccillo.

BARI - No alla rimozione, anche solo parziale, dello scheletro dell’Uomo di Altamura dalla Grotta di Lamalunga. Il Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali dell’Università di Bari Aldo Moro, il Parco Nazionale dell’Altra Murgia e la Società Italiana di Geologia Ambientale si appongono a questa ipotesi «che sarebbe stata 'giustificatà - dicono - dalla necessità di salvaguardare il reperto, in quanto esposto a degrado nella sua attuale collocazione».

Secondo le tre organizzazioni, «stupisce che si torni a parlare di estrazione dell’intero reperto fossile dell’Homo neanderthalensis, o almeno della rimozione del cranio, dalla sua sede naturale, in cui è stato scoperto e ben conservato per 150mila anni. Il merito della conservazione - spiegano - va proprio alle particolari condizioni ambientali in cui l’Uomo di Altamura si è fossilizzato: le grotte carsiche, infatti, per le loro caratteristiche chimiche, fisiche e micro-ambientali, vengono considerate tra i più preziosi archivi geologici del pianeta Terra per gli studi che permettono la ricostruzione dei climi e degli ambienti del passato. Ciò dimostra che lo studio del reperto non può prescindere dall’analisi integrata degli altri dati che in quella grotta e nei suoi dintorni sono preservati».

«Qualunque ipotesi di rimozione, parziale o addirittura totale, appare a nostro avviso assolutamente ingiustificata, anche a causa dell’elevatissimo rischio di distruzione e perdita irreversibile del reperto stesso» dichiarano Giuseppe Mastronuzzi, direttore del Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali dell’Università Aldo Moro di Bari, Francesco Tarantini, presidente del Parco Nazionale dell’Altra Murgia, e Antonello Fiore, presidente della Società Italiana di Geologia Ambientale.

https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/newsweek/1280138/i-geologi-insorgono-giu-le-mani-dall-uomo-di-altamura-e-li-da-150mila-anni.html?fbclid=IwAR0SQB_MFYcR0u9GyrIEv-8-8eufHfqKuFUkGQhNp4tqOk7NbR4Cn_ICP5Q#.YC0FO6l-y1M.facebook

L’umanizzazione di Supermario detto il messia. - Antonio Padellaro

 

Spassoso come sempre, Gian Antonio Stella ci delizia sulla prima pagina del Corriere della Sera con un’antologia degli “elogi (di troppo) al potere”, da Garibaldi ai giorni nostri, e con l’appello “salvate il soldato Draghi” quasi soffocato dagli “osanna” e dai “salamelecchi”. Un grande benvenuto tra noi visto e considerato che sul tema “Santo subito” il Fatto è prodigo di citazioni, un paio tratte dal Corriere che, causa la natura bastarda di questa rubrica, il meschino gestore è andato subito a sbirciare.

Per carità, niente di paragonabile ai busti di De Nicola e De Gasperi che in un corridoio di Montecitorio “sorridono pensando a Draghi”, o al Draghi di Città della Pieve che “al bar in piazzetta si siede sempre vicino alle piante per non farsi riconoscere” (capolavori di cui non citeremo le fonti in quanto patrimonio dell’umanità). Invece, riguardo al Corriere, come non apprezzare l’eleganza del titolo: “Pasquino e le partite di calcio in America: Draghi era riflessivo anche in campo”, quando nell’articolo il politologo, con scarso tatto, lo definisce “poco scattante, troppo riflessivo, riluttante a ostacolare gli avversari” (non proprio un Maradona, insomma). Nell’improvviso bagno di realtà della stampa italiana, di cui non possiamo non compiacerci, spicca il titolo del Foglio: “Non fate di Draghi il nuovo messia”, che rappresenta un responsabile passo indietro rispetto al Draghi che cammina sulle acque sfogliando la miracolosa Agenda Draghi.

Lungi da noi il bieco pensiero che nella vulgata dei giornali adoranti l’umanizzazione di colui che si è reincarnato a palazzo Chigi avvenga soltanto dopo che quel figuro del predecessore si è finalmente tolto dalle scatole. No, “il premier non è qui per salvare l’Italia, ma per permettere all’Italia di salvarsi da se stessa”, leggiamo nell’editoriale fogliesco: magistrale doppio salto carpiato che ricorda il chiedete cosa potete fare voi per il vostro paese, ovvero per SuperMario, di kennediana memoria. Sottoscriviamo, a patto che dopo averci un po’ deluso con i ministri che non sembrano tutti “di alto profilo”, oggi in Parlamento il premier pronunci, come leggiamo, un discorso breve ma di “ampio respiro”. E che sia soprattutto provvisto di una “visione”. Quando c’era Conte ci avete sbomballato che era privo di visione e adesso alla visione no non ci rinuncio.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/17/lumanizzazione-di-supermario-detto-il-messia/6103699/

Atterraggio brusco. - Marco Travaglio

 

Siamo vicini con le preghiere ai tanti “colleghi” che, all’annuncio di Draghi, si erano inumiditi le lingue e gli slip vaticinando la Palingenesi dei Competenti, la Rivoluzione di Quelli Bravi, il Regno di Saturno e ora si ritrovano un po’ a secco, un tantino più asciutti, a ritrarre di un palmo le lingue e a dire che sarà dura, non bisogna aspettarsi granché, SuperMario mica ha la bacchetta magica e cara grazia se farà “due o tre riforme” per poi ascendere al Colle fra un anno. La lista dei ministri, le prime risse fra i medesimi, le nomine dei “nuovi” burocrati e prossimamente i sottosegretari promettono bene. Chi oracolava di Mes, fine della dittatura sanitaria, dei Dpcm e del Sussidistan, licenziamenti liberi, rivincita del privato sul pubblico e più vaccini per tutti in totale discontinuità dai dilettanti-incompetenti-scappati di casa-mediocri di prima si sta rassegnando alla continuità e presto, in cuor suo, ammetterà alla luce del dopo che prima era difficile fare meglio. Due settimane di ubriacatura e siamo già tornati sulla terraferma.

Vuol dire che Draghi non è bravo, competente, prestigioso? No, anzi. Significa che i superman, i tecnici super partes, gli uomini soli al comando, i salvatori della patria e i migliori esistono solo nella fantapolitica. Basta vedere di chi si sta circondando Draghi, complice la sua scarsa conoscenza della politica e dell’amministrazione: tre o quattro pezzi pregiati di Bankitalia, di Confindustria, delle accademie e delle burocrazie, e poi i peggiori cascami delle vecchie lobby che han fatto solo disastri, dal pescoso laghetto Cassese a Cl alle terrazze romane e milanesi. Queste cose nessuno dovrebbe saperle meglio di noi italiani, che di governi tecnici ne abbiamo già avuti tre – Ciampi, Dini e Monti –, regolarmente passati dagli altari alla polvere nel giro di pochi mesi. Ma siamo un popolo che dimentica tutto e non impara mai nulla: nessuna meraviglia, specie nella confusione del mondo ai tempi del Covid. Ciò che stupisce è che non ricordino e non capiscano nulla coloro che la storia, o almeno la cronaca, dovrebbero conoscerla: i giornalisti e gli intellettuali. Prigionieri della loro cupidigia di servilismo e ingannati dalle bugie che raccontano agli altri, hanno perso un’altra occasione, l’ennesima, per azzeccarne una. Infatti continuano a ripetere il mantra della “crisi di sistema” e del “fallimento della politica”. E fingono di dimenticare che Conte è caduto per mano di un irresponsabile sfasciacarrozze che non tollerava i successi della politica e del sistema incarnati da un governo che aveva ben guidato l’Italia nell’anno più terribile del Dopoguerra e, a lasciarlo fare, avrebbe consolidato un nuovo centrosinistra competitivo.

È per i suoi successi, non per i suoi errori, che è caduto il governo Conte, che stava ricostruendo la politica e il sistema già falliti anni addietro. Ma questo i trombettieri dei giornaloni non potevano né possono riconoscerlo, perché i loro padroni quella nuova politica imperniata su legalità, trasparenza, allergia alle lobby, politiche sociali e ambientali non l’accettavano. Tantomeno con 250 miliardi di Recovery e fondi di Coesione Ue all’orizzonte. Terrorizzati nel 2018 dalla vittoria di M5S e Lega e dalla scomparsa dei propri manutengoli e burattini, han preso a demonizzare i nuovi venuti e poi a tentare di comprarli e cooptarli. Nel 2019 ci sono riusciti con la Lega. Ma, quando già pregustavano le elezioni e il ritorno a tavola, han dovuto fare i conti con Conte, che è riuscito nell’ardua impresa di mettere insieme M5S e un Pd parzialmente derenzizzato e di formare una squadra di governo che univa i pezzi meno sputtanati dell’establishment ai marziani grillini e anche alla gente nuova della sinistra (i Provenzano, Amendola, Speranza). Anziché impazzire, la maionese è piaciuta: il premier e il suo governo avevano indici di gradimento molto superiori alla somma dei giallorosa. Perché i risultati, al netto degli errori, si vedevano: una gestione della pandemia più efficace che nel resto dell’Ue, i 209 miliardi del Recovery, la campagna vaccinale, altre misure come il cashback, l’ecobonus 110%, il blocco della prescrizione, le manette agli evasori ecc. Altro che fallimento degl’incompetenti, altro che crisi di sistema.

In barba a chi confonde le cause con gli effetti, il fallimento del sistema c’era già stato: nel 2011, quando morì miseramente il berlusconismo; nel 2013, quando finirono tragicamente i tecnici montiani e il Pd che se li era accollati per ordine di Napolitano; nel 2018, quando il popolo bocciò le tre ammucchiate demo-forziste di Letta, R. e Gentiloni benedette dal Colle per tener fuori i marziani e votò in massa per i due partiti rimasti fuori: M5S e Lega. Dopo ogni embrassons-nous di establishment, tecnica o politica che sia, vincono sempre quelli che le élite non riescono a comprendere e demonizzano-esorcizzano come “populisti”: dopo Ciampi, B.; dopo Monti, i 5Stelle; dopo il napolitan-renzismo, ancora il M5S più Salvini. E ora, dopo Draghi, è molto probabile un derby fra i due leader che se ne tengono a distanza: Meloni e Conte (se gioca bene le sue carte). Sempreché la gente non scambi per novità i codini dell’Ancien Régime di ritorno, che non possono essere la soluzione perché sono il problema. Gli italiani, diceva Flaiano, “vogliono la rivoluzione, ma preferiscono fare le barricate coi mobili degli altri”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/17/atterraggio-brusco/6103672/

Nasce il gruppo giallorosa e il federatore sarà Conte. - Luca De Carolis

 

Maggioranza - Pd, M5S e Leu provano a fare squadra contro i due Matteo, l’ex premier benedice l’operazione.

Uniti, innanzitutto per non farsi uccidere dal Matteo Renzi che quello voleva, demolire i giallorosa. Ma anche per pesare nel governo Draghi, dove la Lega già sgomita e urla. Fino all’obiettivo più a medio termine, ridare una casa politica a Giuseppe Conte, che tornerà a fare il professore, certo, ma che vuole restare in gioco, come mastice della coalizione.

Varie ragioni per formare l’intergruppo di Pd, M5S e Leu, nato ieri proprio nel Senato dove oggi Mario Draghi chiederà e otterrà la fiducia. Una novità che ha ricevuto subito la benedizione dell’ormai presidente del Consiglio Conte: “Le forze che hanno già proficuamente lavorato insieme devono nutrire la loro visione con proposte concrete e traiettorie riformatrici, per affinare una condivisione di intenti e di obiettivi”. Bisogna cementare l’alleanza, teorizza il professore, anche perché “è il modo migliore per affrontare il voto di fiducia in Parlamento”. Necessario per marcare una differenza politica nel governo del tutti dentro, e utile anche a recuperare qualche grillino di rito contiano, tentato dal dire no.

Di certo però oggi, innanzitutto a palazzo Madama, si consumerà l’ennesima frana nei 5Stelle. Dieci, 12 senatori, stando alle ultime stime, diranno di no, e altri potrebbero non presentarsi o astenersi. E una decina di voti contrari sono attesi anche alla Camera. Alcuni grillini decideranno solo oggi cosa fare, ma pare che siano già pronti simbolo e sigla per un nuovo gruppo dei dissidenti a palazzo Madama. “Hanno anche contattato qualche ex della comunicazione del M5S” sussurra un senatore. Siamo già alle prove di scissione, almeno a livello parlamentare. Intanto però c’è l’intergruppo. E sempre a lui si torna, a Conte. “Partendo dall’esperienza positiva del governo Conte II – scrivono i capigruppo di Pd, 5Stelle e Leu – il gruppo vuole promuovere iniziative comuni sull’emergenza sanitaria, economica e sociale, fino alla transizione ecologica”. Sillabe scritte dopo una riunione dei capigruppo ieri pomeriggio, a palazzo Madama.

E nei corridoi c’era anche il segretario particolare dell’ex premier, a conferma che Conte era assolutamente favorevole all’operazione. “Il suo primo obiettivo resta preservare la coalizione” conferma un grillino di peso. Un tema di cui l’avvocato ha parlato ieri per un’ora anche con Goffredo Bettini, il dem che aveva tentato ogni via per tenerlo a palazzo Chigi. “La telefonata non ha correlazione con la nascita dell’intergruppo” assicurano. Ma di certo Bettini resta convinto che l’ex premier sia indispensabile per tenere assieme i giallorosa. Nonostante la ferita infertagli da Renzi, raccontata così dal segretario dem Nicola Zingaretti a Cartabianca: “Renzi ha scelto di abbattere il Conte bis per destrutturare quel modello politico”. Un modello che i 5Stelle e Leu vorrebbero a tutti i costi tenere in piedi. E può essere un’istanza anche per i dem, per i quali l’intergruppo servirà prima di tutto come argine a Salvini. Zingaretti ha anche incontrato il leader del Carroccio, pur di sminare il terreno. Ma Salvini è sempre se stesso, e già ieri a L’aria che tira lo ha ricordato così: “L’euro irreversibile? Solo la morte lo è”. Parole che non stupiranno gli ex alleati del M5S, dove però pensano ad altro. Magari a come non esplodere, visto che per chi dirà no a Draghi la sanzione è già chiara: espulsione.

Ma alcuni dissidenti sono pronti a impugnare anche in sede legale l’eventuale decisione, perché “il quesito su Rousseau era sbagliato e comunque la fiducia da Statuto è obbligatoria solo se il presidente incaricato è del M5S”. Potrebbe finire a carte bollate, mentre l’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede avverte: “La mia fiducia non sarà in bianco, e questo deve essere chiaro se vogliamo recuperare un peso politico che si è eccessivamente ridimensionato”. Frasi che sono il termometro, della febbre a 5Stelle.

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