Mentre Bloomberg ci comunica che la Russia sbanca con le entrate derivanti dalla vendita di gas e petrolio e piazza un +21% rispetto all'anno scorso, l'Unione Europea commissiona al discepolo Mario Draghi un "rapporto sulla competitività".
Lui si presenta con un piano di guerra che sembra scritto al Pentagono: intanto dice che bisogna semplificare la vita all’industria delle armi, poi chiede che vengano rimossi i divieti per le aziende per spalancare le porte dei finanziamenti UE compresi quelli della banca centrale europea e infine mette nero su bianco che le politiche green tutto sommato vanno bene, però per le armi bisogna chiudere non solo un occhio, bensì tutti e due.
Stiamo parlando di quel personaggio che è stato l'ideatore delle sanzioni che hanno affossato l'Europa e fatto il solletico alla Russia. Nonostante tutto ce lo ritroviamo di nuovo che gironzola per le stanze di Bruxelles ovviamente senza aver mai preso mezzo voto per presentare piani di sviluppo economici. O forse istanze di fallimento dell'UE visto che tutto ciò che tocca alla fine diventa un dramma per i cittadini.
Uno come lui, e non mi stancherò mai di dirlo, dovrebbe essere preso a pesci in faccia e accusato di alto tradimento. Altro che piani e cazzate varie! A proposito, ve lo ricordate il famoso Price Cap? Ci hanno rotto le balle per oltre un anno con questa super idea del discepolo. Adesso che la Russia, grazie a una grande economista, tale Elvira Nabiullina che vale mille mila Draghi è riuscita a vanificare sanzioni e Price Cap, miracolosamente non se ne parla più.
Però in compenso abbiamo abbiamo l'argomento del mese che ha trasformato il dibattito pubblico in un programma di Barbara D'Urso...
T.me/GiuseppeSalamone
Giuseppe Salamone
Giuseppe Salamone
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
giovedì 5 settembre 2024
Il grande ritorno del guerrafondaio. - Giuseppe Salamone
mercoledì 28 giugno 2023
Mario Draghi, Francesco Paolo Figliuolo. - Giuseppe Salamone
Sembra Giorgia Meloni, in realtà è un Mario Draghi in una versione diversa. Sulla guerra agisce esattamente allo stesso modo e sulla politica economica non ne parliamo visto che questi scappati di casa che stanno al governo, applicano un'austerità più pesante rispetto a quella imposta dai falchi dell'UE.
Evidentemente non era abbastanza, serviva un altro messaggio per sciogliere ogni dubbio, far capire che nulla è cambiato e nulla cambierà. Infatti il governo Meloni si appresta a rispolverare un nome abbastanza noto: quel genio contemporaneo del generale Figliuolo sarà nominato commissario per la ricostruzione dell’Emilia-Romagna dopo l’alluvione.
Entrano ed escono da un posto all'altro con una facilità disarmante; cambiano i governi ma i nomi restano sempre gli stessi. Chissà perché dove ci sono miliardi da maneggiare con cura, gira e rigira ci vanno sempre gli stessi. È una domanda che mi pongo quotidianamente.
Ovviamente non contano i risultati, nella nostra bellissima democrazia conta solo ed esclusivamente quell' "affidabilità" che garantisce sonni tranquilli al potere. Poi se non sei capace nemmeno di prendere una decisione senza contraddirti due secondi dopo o di saper spiegare il motivo per il quale le scelte prese, hanno prodotto risultati distastrosi, fa niente. Alla fine a piangere saranno sempre i cittadini, mica chi bazzica tra le stanze dorate.
Non c'è niente da fare, cambia tutto per non cambiare nulla. Delle volte sento dire che "la nostra democrazia ha gli anticorpi". Credo sia vero, la nostra democrazia ha gli anticorpi i quali si mettono in moto ogni qualvolta ci sia un reale pericolo di essere contagiati dalla vera democrazia. Altrimenti non si spiega come non vada più nessuno a votare. Ed effettivamente, pensandoci bene, a cosa serve votare se poi a prescindere da dove metti la croce ti ritrovi con gli stessi risultati e le stesse facce?
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Giuseppe Salamone
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sabato 16 luglio 2022
C’è vita oltre Draghi. - Marco Travaglio
Unendoci al cordoglio delle prefiche inconsolabili che strillano per la prematura dipartita di Mario Antonietta, partecipiamo alle esequie con due domandine facili facili.
1. Posto che il capo dello Stato scioglie anzitempo le Camere solo quando non c’è più una maggioranza per formare un governo, in che senso “dopo Draghi c’è solo il voto”? Con l’astensione M5S, il governo Draghi ha appena avuto la fiducia dalla maggioranza assoluta di entrambi i rami del Parlamento. Ma, siccome è capriccioso, o s’è stufato, o teme i forconi, o ha pilates, il premier s’è dimesso. Mattarella ha respinto le dimissioni e l’ha rispedito alle Camere per mercoledì. E lì l’unico rischio che non corre è non avere la fiducia: avrà quella extralarge col M5S se accoglierà le 9 proposte di Conte; o quella più ridotta, ma comunque sufficiente, con tutti gli attuali alleati senza M5S. In questo caso dovrebbe fare ciò che si fa sempre: sostituire i ministri 5Stelle e continuare a governare. Ma potrebbe pure ritentare la fuga con dimissioni irrevocabili. Però la maggioranza esisterebbe comunque, salvo che un altro partitone (la Lega?) si sfilasse: nel qual caso, fine della maggioranza e della legislatura. Ma, se nessuno a parte il M5S si sfila, non si vede perché l’addio di Draghi porti alle urne. Mattarella dovrebbe proporre un altro premier alla maggioranza e lasciar decidere al Parlamento. Se i 5Stelle sono inaffidabili e infrequentabili, che aspettano gli altri a fare un governo senza di loro? Non ci pare di aver letto nella Costituzione che l’unico italiano su 59 milioni abilitato alla premiership sia Draghi: anzi, la Carta non fa proprio nomi.
2. L’indispensabilità di Draghi nasce da bizzarre leggende metropolitane sui suoi poteri taumaturgici al governo (in 17 mesi non ha combinato quasi nulla e quel poco era sbagliato, dalla giustizia al Covid, dalla guerra al riarmo al 2% del Pil stoppato da Conte) e sui mercati (lo spread è più basso ora che s’è dimesso di quando era in carica). Ma è stata smentita da lui stesso a Natale quando, per un altro capriccio, annunciò che la sua missione era compiuta e, da “nonno al servizio delle istituzioni” (o viceversa), ambiva a traslocare al Quirinale. E tutta la stampa, che fino ad allora voleva imbullonarlo al governo in saecula saeculorum, prese a bombardarci le palle per spedirlo a tagliar nastri lassù. Tanto, per Palazzo Chigi, uno valeva uno: andava bene pure tal Daniele Franco. Conte e Salvini si opposero perché un governo-ammucchiata guidato da altri era improbabile, se non impossibile. E furono lapidati. Ora, di grazia, com’è che il nonnetto che tutti volevano sloggiare da Palazzo Chigi e imbalsamare sul Colle è l’unico italiano su 59 milioni in grado di fare il presidente del Consiglio?
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/07/16/ce-vita-oltre-draghi/6663345/
giovedì 7 luglio 2022
Qui di seguito il testo integrale del documento consegnato nelle mani del Presidente del Consiglio Mario Draghi poco fa a Palazzo Chigi. - Giuseppe Conte
Signor Presidente del Consiglio dei Ministri,
venerdì 1 luglio 2022
La coda del Drago. - Marco Travaglio
La notizia è semplice: Grillo confida a vari parlamentari, a Fico, a Conte e a De Masi che Draghi gli ha chiesto di far fuori Conte “leader inadeguato” e poi di lasciarlo solo seguendo Di Maio. Siccome c’è chi non può credere che il premier – e non uno qualunque: il Migliore – traffichi ribaltoni e scissioni nel primo partito del suo governo, Grillo mostra gli screenshot dei messaggi, ma non li fa leggere perché le cose più gravi sono state dette a voce. Conte, fin troppo signore, tace. I deputati mormorano e martedì la voce giunge all’orecchio di molti cronisti, che la censurano. Tranne la Stampa, che la pubblica tra mille distinguo, e il Fatto, che intervista De Masi. E lo trova così furioso per le condotte di Draghi e di Grillo da sentirsi obbligato a denunciarle, ora che Beppe ne ha parlato ai suoi. Le edizioni online dei due quotidiani escono a mezzanotte di martedì. Ed è allora che Palazzo Chigi apprende la notizia. Se fosse falsa (ma non si vede come potrebbe), Draghi la smentirebbe di prima mattina a Madrid, per evitare che lo scandalo monti e interferisca col vertice Nato. Invece tace, mentre Conte si dice “sconcertato per la grave interferenza”.
Dichiarazioni e tensioni si rincorrono e si alimentano per l’intera mattina e metà pomeriggio. Poco prima dell’incontro stampa di Draghi, Conte lo richiama: Draghi prova a negare, Conte risponde che si fida dei racconti fatti da Grillo a lui e agli altri. Alle 15.50 Draghi, davanti ai cronisti, perde un’altra occasione per smentire: “Ho parlato con Conte poco fa, abbiamo cominciato a chiarirci, ci risentiamo domani per vederci presto. Il governo non rischia”. Lo scandalo tracima. Alle 19 Conte va da Mattarella. Alle 20.21 anonime “fonti di Palazzo Chigi” dicono ciò che per 20 ore avrebbe potuto dire il premier mettendoci la faccia: “Mai chiesto a Grillo di rimuovere Conte”. Draghi lo ribadisce ieri in conferenza stampa, dopo che i giornaloni hanno occultato la notizia e ribaltato il rapporto aggressore-aggredito (Rep: “Assedio al governo”; Corriere: “Governo: tensione alle stelle”; Stampa: “Lite Conte-Draghi”). Poi precisa: “Non ho sentito Grillo”. Ma come: il tuo amico Beppe ti attribuisce frasi gravissime e per giunta false, e tu che lo chiami ogni due per tre non gli chiedi perché ha scatenato quel putiferio inventandosi tutto? “Mi pare – aggiunge – che Grillo abbia smentito” (invece non ha smentito un bel nulla: si è solo detto “strumentalizzato”). Chiede di vedere i messaggi a Grillo, che dovrebbe conoscere avendoli inviati lui, e che non cancellano i plurimi racconti di Grillo. Ma non risponde alla domanda del Fatto: “Lei nega di aver parlato male di Conte a Grillo?”. E non si capisce se sia più lungo il naso o la coda di paglia.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/07/01/la-coda-del-drago/6646150/
giovedì 30 giugno 2022
Così Draghi consigliò a Grillo di mollare Conte per Di Maio. - Luca De Carolis
TUTTI CONTRO TUTTI - Faida. Il capo Cinquestelle sale al Colle e denuncia: “Situazione grave”. Beppe lascia Roma: non incontra né lui né i ministri.
Di mattina, uscendo dal suo albergo a Roma con vista sui Fori, il Garante prova a mentire, forse anche a se stesso. “Volete coprire la verità con queste storielle” scandisce Beppe Grillo ai cronisti che gli chiedono conto dell’intervista di ieri di Domenico De Masi al Fatto, in cui il sociologo ha rivelato quanto raccontatogli proprio da Grillo lunedì, in un colloquio di due ore: “Mario Draghi mi ha chiesto di rimuovere Giuseppe Conte dal Movimento”.
Ma non sono proprio storielle, se l’ex premier all’ora di pranzo si dice “sconcertato dalle parole di Draghi contro di me”, e in serata sale al Colle per discuterne con Sergio Mattarella. Non sembrano esserlo, se nel pomeriggio il presidente del Consiglio da Madrid prova a rimediare. “Con Conte ci siamo parlati poco fa, abbiamo iniziato a chiarirci, ci risentiamo domani (oggi, ndr) per vederci al più presto” spiega. Poi, all’ora di cena, affida una smentita a cosiddette fonti di Palazzo Chigi: “Il presidente del Consiglio non ha mai detto o chiesto a Grillo di rimuovere Conte dal M5S”. Proprio in contemporanea, il Garante fa trapelare sull’AdnKronos la sua ira: “Vengo strumentalizzato e raccontano cazzate su me e Draghi”.
Improperi che si lascia dietro dopo essere tornato nel pomeriggio nella sua villa a Bibbona, in Toscana, schivando l’incontro con i ministri e i sottosegretari grillini. Soprattutto, senza rivedere Conte. Eppure i frequenti contatti tra l’artista e Draghi vengono confermati da vari big. E degli attacchi del premier all’avvocato, proprio Grillo aveva raccontato anche ai deputati della commissione Esteri della Camera, nelle scorse ore. Soprattutto, c’è Conte: “Grillo mi aveva riferito delle parole di Draghi contro di me”. E ancora, “ci sono state tante telefonate e tanti messaggi tra i due” filtra dal M5S. Tracce, di certe richieste. Tra cui una, raccontata al Fatto da una fonte qualificata. Secondo cui Draghi avrebbe esortato Grillo ad aderire alla scissione di Luigi Di Maio, così da portare fuori dal M5S gran parte dei parlamentari e isolare l’avvocato. Grillo l’avrebbe raccontato “a vari 5Stelle di peso”. Altre confidenze, dal fondatore che ieri riappare in Senato. “Scusate, mi squilla il telefono, è Draghi” scandisce mostrando il cellulare agli eletti del M5S. Qualcuno ci crede, pochi ridono. Gli chiedono: “Conosci i nostri nomi?”. E lui: “Spetta a Conte conoscerli”.
Si parla dell’intervista di De Masi, e il Garante si arrangia: “Certe cose le ho dette, ma non dovevano uscire”. E su Draghi? “Mi ha intortato”. Però il suo blocco per le deroghe alla regola dei due mandati ha retto. “Niente voto”, impone a Conte. Ne fa le spese Giancarlo Cancelleri, che in una conference call con i consiglieri regionali siciliani, Conte e i vicepresidenti Taverna e Ricciardi si fa da parte. Rinuncia a candidarsi alle primarie in Sicilia, anche perché i termini per presentarsi scadono stasera, e non c’era più tempo per votare su una deroga. “Ti ringraziamo per il tuo sacrificio, ora troviamo un candidato” commenta l’avvocato. Il nome ora potrebbe essere il consigliere regionale Nuccio Di Paola. Ma il tema è lo scontro tra Conte e Draghi. “Un premier tecnico non può intromettersi nella vita di forze politiche” ringhia l’avvocato. Il resto, assicurano, lo dice al premier in una telefonata. In cui Conte accusa: “Ciò che è successo è molto grave, c’è in ballo il funzionamento della democrazia”. Per p Voi da Palazzo Chigi, assieme alla Farnesina, ci avete tenuto bloccati due giorni per inserire nella risoluzione sull’Ucraina una cosa ovvia, ossia che va coinvolto il Parlamento. E tutto nei giorni della scissione del M5S”. Fino alla domanda: “Ci avete messo i bastoni tra le ruote su superbonus e inceneritore, diteci se ci volete fuori dal governo”.
È la versione dei contiani, che aggiungono: “Un incontro con Draghi? Per ora no”. Ma si precipita verso la crisi? “Conte non vuole fare un Papeete 2” dicono i suoi. Non vuole essere accostato al Matteo Salvini della crisi dell’estate 2019. Non esclude di strappare, ma è disposto a farlo solo per “motivi concreti, sui temi”. Nell’attesa, Luigi Di Maio punge: “Non si può essere responsabili solo la domenica, creando instabilità al governo negli altri giorni”. Conte invece va da Mattarella. Un’ora e mezza di colloquio in cui l’ex premier, dicono, “è andato a esporre la gravità della situazione”. Ma senza parlare di uscita dal governo.
venerdì 24 giugno 2022
Presidente Draghi, lasci stare la Russia, l'Ucraina, la Nato, la UE, la finanza e le grandi questioni internazionali! - Alessandro Cartelli
“Premetto... ho uno stipendio che potrei fregarmene altamente e farmi gli affari miei...
Ma non posso davvero stare zitto, non stavolta.
Sono andato a fare la spesa: di mio, cerco sempre di prendere roba buona; mi piace mangiare bene e se devo spendere qualcosina in più, lo faccio perché la qualità si paga.
Da settimane notavo i prezzi in aumento, ma tutto sommato erano aumenti limitati, in un certo senso anche ragionevoli.
Oggi ho visto prezzi da paura. Aumenti di un 20, 30, 40% su beni di prima e primissima necessità. Vedi il macinato della foto, passato da 8 a 13 euro in una settimana (e lo sconto è solo un modo per abituarti al prezzo nuovo, scomparso quello paghi l'intero).
Io posso permettermelo. Spenderò 20 euro in più, ma mi cambia poco del mio bilancio.
Ma chi ha uno stipendio di 1300 euro al mese, un affitto da pagare o un mutuo, le bollette, magari dei figli o una famiglia? Chi ha una pensione, magari la minima? Chi è disoccupato?
Presidente Draghi, lasci stare la Russia, l'Ucraina, la Nato, la UE, la finanza e le grandi questioni internazionali! Pensi alla povera gente, a quelli che devono decidere tra le uova o il petto di pollo, le mele o le patate, i biscotti o i bastoncini di pesce, perché possono permettersi o l'uno o l'altro.
Lei non è pagato per risolvere la guerra tra russi e ucraini, lei è pagato per risolvere i problemi degli italiani!
Inviate in regalo mortai e mitragliatrici e i nostri scolari devono portarsi a scuola la carta igienica da casa!
Credo che abbiate perso il senso della realtà.
Muovetevi a recuperarlo, prima che la gente incominci a menare le mani. Perché chi ha fame, prima o poi sbotta.”
Alessandro Cartelli
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giovedì 12 maggio 2022
Draghi vola negli Usa e resta solo. Nessuna conferenza con Biden. - Wanda Marra
IL PREMIER NEGLI USA - Migliori in fuga Adesso anche Letta (in dissenso con Palazzo Chigi) dice che Putin non va sconfitto. Oggi l’incontro alla Casa Bianca.
Alle 14, ora di Washington (le 20 in Italia), Mario Draghi avrà il bilaterale con Joe Biden al quale a Palazzo Chigi lavorano da settimane. Fin da prima dell’aggressione di Vladimir Putin all’Ucraina.
Visita che inizia non proprio sotto i più fulgidi auspici. Se nella maggioranza è tutto un distinguo, le incognite restano anche sul “format” della giornata. Nel comunicato di Palazzo Chigi si parla di “dichiarazioni” prima del bilaterale, non v’è traccia di conferenza congiunta finale. Eppure Biden e Scholz, in occasione della visita del Cancelliere tedesco a Washington, all’inizio di febbraio, la fecero. In Italia raccontano che pare dipenda dalla Casa Bianca, dalla poca voglia del presidente degli States di rispondere a domande. E lo staff di Draghi confida nella possibilità che alla fine la conferenza stampa, invece, si faccia.
Trattasi certo di poca, pochissima cosa, rispetto al tema principale in agenda, l’Ucraina. La guerra va avanti da ormai 2 mesi e mezzo, nonostante ieri fosse la fatidica data del 9 maggio, quando ci si aspettava qualche indicazione da Putin sul cessate il fuoco, mentre si temeva l’annuncio dell’escalation. Nessuna delle due cose è arrivata. Ma la visita alla Casa Bianca è un’ulteriore vicenda che non va del tutto liscia. L’ultima è stata l’annunciata visita a Kiev, che non solo non c’è stata, ma nessuno sa se ci sarà. Un’informazione data in maniera piuttosto avventata, una conferma alla stampa che non doveva arrivare, un “pasticcio” comunicativo: così spiegano anche dentro Palazzo Chigi la dinamica di un viaggio fantasma. Il viaggio che si fa è intanto quello negli States, dove Draghi ha sempre goduto di grande considerazione personale, per quanto un po’ ammaccata da quando è a capo del governo italiano. E in effetti, la sua maggioranza anche questa volta si fa notare non per il sostegno, ma per le volute differenziazioni e prese di distanza. Giuseppe Conte chiede da giorni che il premier riferisca in Parlamento sull’invio di aiuti militari e insiste sulla distinzione (in realtà complessa) tra “armi offensive” e “armi difensive”, Matteo Salvini si spinge a chiedere che il premier porti a Biden il desiderio di pace degli italiani. Mentre il segretario del Pd, Enrico Letta, ieri in un’intervista al Corriere chiariva che “l’idea di battere l’avversario non mi appartiene”, riferendosi allo Zar. Non poco, visto che lo stesso Biden aveva evocato il “regime change”. Posizione condannata subito da Letta, ma non da Draghi. Che infatti è più schierato sull’atlantismo del leader del Pd. Il quale si sta ritagliando una posizione, secondo cui prima viene l’europeismo, poi l’atlantismo. Addirittura Salvini parla delle pressioni sul “falco” Letta da parte del Pd per indurlo a cambiare posizione. Le pressioni – da Graziano Delrio in poi – per invitare il segretario a battere di più sul negoziato e a non appiattirsi sulle richieste americane, ci sono state, pur se al Nazareno giurano che non esiste giravolta. In questo clima, oggi Draghi arriva alla Casa Bianca.
Una “visita politica” la definisce chi segue il dossier, con gli States che sarebbero particolarmente interessati alla strategia per la differenziazione dell’approvvigionamento di gas alla quale sta lavorando l’Italia. D’altra parte Washington una parte di gas liquido al nostro Paese l’ha già promessa. La richiesta italiana è arrivata e non sarà reiterata più del dovuto. Draghi ribadirà anche l’importanza delle sanzioni e si dirà pronto ad appoggiare l’embargo totale del gas. Resta la spinosa questione armi, che il premier deve affrontare se vuol continuare a porsi come alleato prezioso di Biden. Con le difficoltà interne, i dettagli delle forniture restano volutamente fumosi. Tanto che il terzo decreto interministeriale non è ancora stato varato. Dovrebbe accadere al ritorno. Previo coordinamento con gli altri Paesi europei. E previo confronto con Biden.
Draghi a mani vuote. Usa: sempre più armi. - Wanda Marra
NEL COMUNICATO CONGIUNTO IL “NEGOZIATO” SPARISCE - “Biden non lo giudico”. Il premier: “Alleati con visioni diverse”. Ma non dice la sua. “Costruire la pace”. Ma non dice come. Usa: più armi che a Kabul.
Mentre Mario Draghi si stava addentrando a spiegare che “bisogna riflettere sugli obiettivi di questa guerra”, viene decretata la fine della conferenza stampa all’Ambasciata italiana a Washington. Eppure il ragionamento sull’Europa che è “l’alleato degli Usa, quindi le sue visioni non sono in contrasto ma stanno cambiando e dobbiamo parlarne” sarebbe stato effettivamente cruciale per leggere la visita del premier italiano negli States.
Ieri un Draghi visibilmente stanco ha risposto (da solo, perché la Casa Bianca non ha voluto fare una conferenza stampa congiunta) alle domande dei giornalisti italiani, raccontando i contenuti del bilaterale con il presidente degli States, Joe Biden. Più di un’ora, con gli ultimi 10 minuti di faccia a faccia. Ne aveva dato già notizia un comunicato congiunto della Casa Bianca e di Palazzo Chigi. Nel testo salta agli occhi soprattutto un’assenza: non compare la parola negoziato. Si parla di “pace” che però va ricercata “attraverso il sostegno all’Ucraina e l’imposizione alla Russia dei costi”. Nessun impegno comune per il dialogo.
Davanti alla stampa italiana, il premier mette una serie di punti fermi: non si può più considerare la Russia come “Golia” davanti a Davide. E dovranno essere gli ucraini a decidere cosa considerare vittoria. Un modo per chiarire anche che non spetta agli States decidere. Implicito, però. Perché poi alla domanda se abbia condiviso i toni di Biden (che ha evocato il “regime change”) risponde: “Non siamo venuti qui per giudicarci a vicenda”. Anche a fini interni, parlando con la stampa italiana, Draghi il negoziato lo mette sul tavolo. Genericamente, però. “Bisogna cominciare a pensare come costruire la pace”, dice, a due mesi e mezzo dall’inizio della guerra. Poi, chiarisce che anche gli Usa devono fare uno sforzo per sedersi a un tavolo e che “bisogna riattivare i contatti a tutti i livelli” (rispondendo a chi gli chiede se serve una telefonata di Biden a Putin per sbloccare la chiusura dei porti alle navi che trasportano grano).
Nelle sue parole si sente il bisogno sia di rappresentare le ragioni dell’Europa, più schierata sul negoziato rispetto agli Usa, sia di non distanziarsi troppo dall’Alleato americano. Per inciso, le affermazioni di Draghi non bastano a Giuseppe Conte, che ribadisce la richiesta al premier di riferire in Parlamento. Draghi lo farà giovedì prossimo con un’informativa (e non con un question time) su richiesta di FdI, ma comunque senza voto. Mentre il terzo decreto interministeriale per l’invio di artiglieria pesante appare imminente e quello per le missioni richieste da Biden in Ungheria e Bulgaria arriverà in Parlamento tra qualche settimana.
Sul fronte energetico, Draghi non sembra portare a casa troppe garanzie dagli States. Nessun cenno davanti alla stampa a prezzi e quantità del Gas liquido da acquistare dagli Usa per sostituire la dipendenza dal gas russo. Anche se parla della necessità di investire su rigassificatori e rinnovabili. L’ipotesi di un tetto al prezzo del gas – battaglia dell’Italia a Bruxelles – è stata “accolta con favore”, dice. Ma deve precisare: “L’Amministrazione Usa sta riflettendo più su un tetto al prezzo del petrolio, ma ne riparleremo presto”. Poi svela l’ipocrisia europea sul pagamento di gas in rubli, che si sta già facendo. C’è “una zona grigia”, con “il più grande importatore, la Germania”, che “ha già pagato in rubli e la maggior parte degli importatori di gas che hanno già aperto dei conti” con la moneta di scambio russa. Non senza aver rassicurato sul fatto che non teme l’inflazione, Draghi conclude la visita con un incontro con la speaker della Camera, Nancy Pelosi e poi all’Atlantic Council, che assegna a lui il riconoscimento di uomo politico dell’anno, mentre Claudio Descalzi, ad dell’Eni, quello di imprenditore.
giovedì 28 aprile 2022
Draghi ignora il Parlamento e tratta con Biden e Zelensky. - Luca De Carolis, Wanda Marra
IL FRONTE ITALIANO - Il premier farà visita al presidente Usa il 10 maggio: ieri ha sentito il leader ucraino. No a nuovo dl sulle armi.
Oggi il ministro della Difesa Lorenzo Guerini riferirà al Copasir sul secondo decreto interministeriale per l’invio di armi all’Ucraina. Un provvedimento di Mef, Difesa e Farnesina, che contiene una lista secretata degli aiuti per Kiev. E se dalla Difesa assicurano che è la fotocopia del primo, quel che è certo è che l’invio di artiglieria pesante (cannoni, obici, semoventi) non passerà per un voto del Parlamento. Palazzo Chigi aveva fatto filtrare la possibilità di un decreto da licenziare in Consiglio dei ministri. Ma è scomparso dal tavolo, “ammesso che ci sia mai stato”, per dirla come un’autorevole fonte di governo.
Guerini ipotizza un altro invio con nuovo decreto interministeriale. Senza un voto del Parlamento. Cartina di tornasole è la dichiarazione del dem Graziano Delrio, da sempre vicino al ministro della Difesa: “Il Parlamento ha autorizzato l’invio di armi a scopi difensivi: conoscendo la correttezza del premier e di Guerini, se ci fosse un cambiamento di prospettiva ci sarebbe una discussione in Parlamento”. Un’affermazione che adombra più di un dubbio. Draghi, peraltro, non ha al momento alcuna intenzione di riferire sul tema. Al massimo, raccontano fonti di governo, potrebbe limitarsi a rispondere in un Question time.
Ieri invece ha annunciato la sua visita negli Usa: bilaterale con Biden il 10 maggio. Sanzioni alla Russia, aiuto all’Ucraina e anche clima, al centro della visita, come fa sapere la Casa Bianca. Draghi ha chiamato Volodymyr Zelensky, ribadendo “il pieno sostegno” del governo italiano. L’altro ha ringraziato anche per l’accoglienza dei rifugiati. Si è parlato poi del “coinvolgimento dell’Italia nei futuri accordi di sicurezza dell’Ucraina”. Ovvero della possibilità che il nostro Paese sia tra i garanti della sicurezza, a negoziati avviati. I due hanno parlato anche della visita a Kiev del premier, ma su data e modalità dovranno risentirsi. Curiosa situazione, visto che il viaggio era stato annunciato da Palazzo Chigi come imminente. Intanto lì fuori c’è sempre Giuseppe Conte a chiedere di distinguere tra armi offensive e difensive. “Confine labile” come ha ammesso al Fatto il leader dei 5 Stelle, che però deve mantenere il punto politico. Per questo chiederà ancora che Draghi e Guerini riferiscano in aula sugli armamenti. “Probabilmente anche con una richiesta diretta al presidente del Consiglio” dicono dal M5S. Nell’attesa, ieri Conte ha fatto visita all’ambasciatore della Gran Bretagna a Roma, Ed Llewellyn.
Due ore di incontro, secondo i 5Stelle, chiesto dal diplomatico: perché a Londra vogliono capire dove possa arrivare l’ex premier. Di certo da ieri Conte può sentirsi più sollevato, perché ha incassato il sostegno del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. “Il faro resta l’articolo 51 della Carta dell’Onu sulla legittima difesa, per garantire la sovranità e l’integrità dell’Ucraina” ha sostenuto il 5Stelle da Strasburgo, citando quella norma su cui Conte martedì aveva impostato la sua linea: sì ad armamenti per l’autotutela, no per un’eventuale controffensiva. Distinzione “complicata”, a detta di Matteo Salvini, “perché mica c’è il missile difensivo e il missile offensivo, è soggettivo”.
Però anche il leghista ritiene che Draghi debba riferire in aula: “Sulle armi serve assolutamente un passaggio parlamentare, anzi io chiedo un incontro di tutti i leader sulla pace, perché si parla solo di razzi e missili”. Una (parziale) convergenza che infastidisce il Pd. Ma la vera partita potrebbe essere quella di un documento in cui precisare quali armi inviare. “Ora non pensiamo a mozioni o risoluzioni” sostengono dai piani alti del M5S.
Però a Un giorno da pecora ne ha parlato il vice capogruppo in Senato, Gianluca Ferrara: “Una mozione contro l’invio di armi pesanti è un’ipotesi da tenere in considerazione”. Altre voci a 5 Stelle di Palazzo Madama raccontano una versione un po’ diversa: “Sarebbe meglio una risoluzione di maggioranza, legata all’intervento di Draghi in aula”. Un testo attento alle sfumature, per scongiurare tensioni o crisi di governo. Ammesso che Draghi in Parlamento ci vada.