IL PREMIER NEGLI USA - Migliori in fuga Adesso anche Letta (in dissenso con Palazzo Chigi) dice che Putin non va sconfitto. Oggi l’incontro alla Casa Bianca.
Alle 14, ora di Washington (le 20 in Italia), Mario Draghi avrà il bilaterale con Joe Biden al quale a Palazzo Chigi lavorano da settimane. Fin da prima dell’aggressione di Vladimir Putin all’Ucraina.
Visita che inizia non proprio sotto i più fulgidi auspici. Se nella maggioranza è tutto un distinguo, le incognite restano anche sul “format” della giornata. Nel comunicato di Palazzo Chigi si parla di “dichiarazioni” prima del bilaterale, non v’è traccia di conferenza congiunta finale. Eppure Biden e Scholz, in occasione della visita del Cancelliere tedesco a Washington, all’inizio di febbraio, la fecero. In Italia raccontano che pare dipenda dalla Casa Bianca, dalla poca voglia del presidente degli States di rispondere a domande. E lo staff di Draghi confida nella possibilità che alla fine la conferenza stampa, invece, si faccia.
Trattasi certo di poca, pochissima cosa, rispetto al tema principale in agenda, l’Ucraina. La guerra va avanti da ormai 2 mesi e mezzo, nonostante ieri fosse la fatidica data del 9 maggio, quando ci si aspettava qualche indicazione da Putin sul cessate il fuoco, mentre si temeva l’annuncio dell’escalation. Nessuna delle due cose è arrivata. Ma la visita alla Casa Bianca è un’ulteriore vicenda che non va del tutto liscia. L’ultima è stata l’annunciata visita a Kiev, che non solo non c’è stata, ma nessuno sa se ci sarà. Un’informazione data in maniera piuttosto avventata, una conferma alla stampa che non doveva arrivare, un “pasticcio” comunicativo: così spiegano anche dentro Palazzo Chigi la dinamica di un viaggio fantasma. Il viaggio che si fa è intanto quello negli States, dove Draghi ha sempre goduto di grande considerazione personale, per quanto un po’ ammaccata da quando è a capo del governo italiano. E in effetti, la sua maggioranza anche questa volta si fa notare non per il sostegno, ma per le volute differenziazioni e prese di distanza. Giuseppe Conte chiede da giorni che il premier riferisca in Parlamento sull’invio di aiuti militari e insiste sulla distinzione (in realtà complessa) tra “armi offensive” e “armi difensive”, Matteo Salvini si spinge a chiedere che il premier porti a Biden il desiderio di pace degli italiani. Mentre il segretario del Pd, Enrico Letta, ieri in un’intervista al Corriere chiariva che “l’idea di battere l’avversario non mi appartiene”, riferendosi allo Zar. Non poco, visto che lo stesso Biden aveva evocato il “regime change”. Posizione condannata subito da Letta, ma non da Draghi. Che infatti è più schierato sull’atlantismo del leader del Pd. Il quale si sta ritagliando una posizione, secondo cui prima viene l’europeismo, poi l’atlantismo. Addirittura Salvini parla delle pressioni sul “falco” Letta da parte del Pd per indurlo a cambiare posizione. Le pressioni – da Graziano Delrio in poi – per invitare il segretario a battere di più sul negoziato e a non appiattirsi sulle richieste americane, ci sono state, pur se al Nazareno giurano che non esiste giravolta. In questo clima, oggi Draghi arriva alla Casa Bianca.
Una “visita politica” la definisce chi segue il dossier, con gli States che sarebbero particolarmente interessati alla strategia per la differenziazione dell’approvvigionamento di gas alla quale sta lavorando l’Italia. D’altra parte Washington una parte di gas liquido al nostro Paese l’ha già promessa. La richiesta italiana è arrivata e non sarà reiterata più del dovuto. Draghi ribadirà anche l’importanza delle sanzioni e si dirà pronto ad appoggiare l’embargo totale del gas. Resta la spinosa questione armi, che il premier deve affrontare se vuol continuare a porsi come alleato prezioso di Biden. Con le difficoltà interne, i dettagli delle forniture restano volutamente fumosi. Tanto che il terzo decreto interministeriale non è ancora stato varato. Dovrebbe accadere al ritorno. Previo coordinamento con gli altri Paesi europei. E previo confronto con Biden.
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