martedì 13 novembre 2018

Crisi di astinenza da crescita.- Miguel Martinez



Seguo la straordinaria manifestazione che si è svolta ieri a Torino a favore del TAV.
Alla testa di tutto, c’è la Confindustria:
“Confindustria ribadisce “con forza l’assoluta necessità di completare i lavori della Tav”. E annuncia “che proprio a Torino convocherà un Consiglio generale straordinario allargato alla partecipazione dei Presidenti di tutte le Associazioni Territoriali d’Italia per protestare insieme contro una scelta, il blocco degli investimenti, che mortifica l’economia e l’occupazione del Paese”.”
Leggo su Repubblica la composizione, invece, della piazza:
“Il sit-in è stato promosso dall’associazione “Sì Torino va avanti” e da “Sì lavoro”, legata a Mino Giachino, ex sottosegretario ai Trasporti del governo Berlusconi, che ha lanciato una petizione online arrivata a più di 65mila sottoscrizioni. Hanno aderito il Partito democratico, i moderati, Forza Italia e anche la Lega, nonostante il partito di Matteo Salvini governi insieme al Movimento 5 Stelle che intende bloccare i cantieri e ha annunciato l’analisi costi benefici per l’alta velocità.
In piazza anche i Radicali e Fratelli d’Italia, che raccolgono firme per due referendum.”
Casa Pound, che è ovviamente fortemente schierata dalla parte delle Opere che Fanno Grande l’Italia, all’ultimo momento ha deciso di non scendere direttamente in piazza,
«Pur condividendo le legittime proteste degli amici del No Ztl non intendiamo manifestare formalmente con il Partito Democratico e il circuito di poteri forti che la sinistra rappresenta».
Mettiamo da parte per un momento i pareri sul valore o sul pericolo dell’opera in sé, e partiamo dalla parolina che meno vi avrà colpiti: “gli amici del No Ztl”.
Non è solo in Oltrarno che le cose piccole permettono di cogliere la chiave di quelle grandi: no Ztl, cioè i commercianti che sotto l’egida di Casa Pound si stanno battendo perché il flusso di auto nel centro della città non si fermi nemmeno per un istante.
Auto prodotte con frammenti provenienti da tutto il mondo, che trasformano il petrolio ricavato dai deserti arabi in veleno per i nostri polmoni e in gas serra e tutto il resto. Va da sé che i No Ztl si battono soprattutto su Facebook regalando i propri profili al signor Zuckerberg, quindi tranquilli, non sono antisemiti.
Benzina e sottoprodotti portano un momentaneo sollievo alla crisi, che somiglia piuttosto a una crisi di astinenza. E certamente hanno ragione i piccoli commercianti a sentirsi addosso il fiato della morte addosso.
Però tutta la sciarada di ieri diventa più comprensibile, se partiamo da questo concetto: la crisi da astinenza da crescitaE’ chiaramente il motivo della scelta della Confindustria, ma anche di tutte le piccole realtà a scendere, giù giù fino ai Fratelli d’Italia.
Insomma, stiamo parlando qui di politica vera e non solo di politica spettacolo, per questo si mescolano tra di loro i giocatori delle varie squadre.
Apriamo una parentesi.
Nel 1936, Daniel Guérin scrisse Fascisme et gran capital, pubblicato in italiano come Fascismo e gran capitale dall’amico Roberto Massari.
Guérin, osservando da vicino la nascita del fascismo e del nazismo, aveva osato fare ciò che oggi i furbi evitano accuratamente di fare: dare una definizione falsificabile di fascismo.
Con molti esempi calzanti, Guérin diceva che gli imprenditori dell‘industria pesante, in particolare metalmeccanica, godevano di un enorme potere, strettamente legato agli appalti statali, perché dallo Stato ricavavano sia le infrastrutture che gran parte delle loro commesse.
Dallo Stato l’industria pesante aveva ottenuto la più Grande Opera Inutile e Imposta di tutti i tempi, la prima guerra mondiale.
Dall’altra parte, c’era l’industria leggera (segnatamente quella tessile della Toscana, che lui evidentemente conosceva bene), che non aveva bisogno di Grandi Opere, ma di traffici internazionali; era molto meno dirigista, non era legata allo Stato; e cercava di mediare nello scontro con i lavoratori.
Con la fine della pacchia (cioè della Grande Strage), l’industria pesante si trovava in una crisi paurosa: quando non c’è più da ammazzare, non ti comprano più le bombe.
A lungo termine, la soluzione più semplice sarebbe stata quella geniale adottata dagli Stati Uniti nel 1945: “facciamo altri ottant’anni di guerra, ovunque sia!”
Ma nel 1919, gli operai – che avevano goduto di una piccola pacchia anche loro – pretesero di avere il controllo sul luogo dove passavano la maggior parte delle loro vite da svegli.
Fu a quel punto che la Confindustria decise di finanziare lo squadrismo fascista.
Ma siccome la crisi si faceva dura, si aggregarono anche l’industria leggera, e tutto il mondo agrario.
Questa analisi del fascismo, a ottant’anni di distanza, presenta diversi problemi.
Intanto Guérin era un latino, e all’epoca solo anglosassoni e germanici intuivano qualcosa del vero problema del mondo, la catastrofe ecologica in preparazione.
Poi, esiste oggi una “industria pesante” e una “industria leggera” in Italia?
Come facciamo a distinguere capitali che girano vorticosamente per il pianeta su computer, e definirli “italiani” o “americani” o magari “nigeriani”?
In un mondo di anziani, esistono reduci ventenni fuori di testa per aver passato tre anni di vita e morte in trincea?
Esistono operai che rivendicano il controllo della fabbrica in cui lavorano?
E se nel 2018 cerchi l’olio di ricino, vai su Amazon e trovi questo:
Insomma, si fa presto a dire che stanno tornando i fascisti.
Ma fatta la tara a tutto ciò, la Confindustria esiste ancora; la crisi c’è; la crescita bisogna farla lo stesso; i lavoratori vanno flessibilizzati, globalizzati, delocalizzati, automatizzati; e almeno in Toscana, i padroni delle terre che producono il vino e i palazzi che ospitano i turisti sono i pronipoti degli stessi conti e marchesi che qui inventarono il fascismo.
Abbiamo finito di scherzare, quando si deve decidere sul serio, arrivano i produttori e decidono loro come bisogna fare.
E il momento tremendo arriva, quando compare anche il No Ztl, quando tutti i piccoli disperati spaventati dalla crisi si aggregano, e i profitti di pochi diventano la furia di tanti.
Con la differenza che gli squadristi del 1920 si limitavano a bastonare contadini e operai. Questa nuova furia crescista che non picchia nessuno e usa l’olio di ricino solo per abbellirsi le ciglia, è diretta contro la sopravvivenza della vita sull’unico pianeta che abbiamo.
Immaginatevi questa gente che si agita per un’ipotetica linea ferroviaria, il giorno che qualcuno minaccia di privarla della plastica usa e getta.
E mi dicono che Marte è proprio bruttino.
Fonte: comedonchisciotte del 10/11/2018

Grazie del pensiero. - Marco Travaglio

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Ogni tanto riceviamo lezioni di diritto dagli “amici” di Repubblica. Càpita, per carità: le polemiche vanno e vengono. Noi però siamo sfortunati: non riusciamo mai a capire dove avremmo sbagliato.

Di solito funziona così: noi scriviamo che Repubblica dice il falso e Repubblica, nel vano tentativo di dimostrare di aver detto il vero, scrive un altro falso. Sarà perché noi abbiamo il brutto vizio di documentarci e di parlare solo di cose che conosciamo.

Ora, per dire, Luca Bottura – che abbiamo conosciuto in altri tempi come “umorista” autore di varietà tv e mai abbiamo incontrato in una procura o in un tribunale, ergo non lo sospettavamo esperto di inchieste e processi – ci spiega i casi Consip e Raggi.

E parte subito col piede giusto: “Il padre di Renzi è stato assolto”. Invece purtroppo è indagato per traffico di influenze illecite (e per altre vicende inquisito per bancarotta fraudolenta e imputato per false fatturazioni) e il pm ne ha chiesto al gip l’archiviazione (non ancora concessa), dopo averlo definito “non credibile” e “largamente inattendibile” sull’incontro con l’imprenditore Alfredo Romeo. È un po’ come se un professore di astronomia, alla prima lezione, premettesse: “Sia chiaro, il Sole gira attorno alla Terra”. Anche gli studenti più digiuni in materia sospetterebbero che sia un impostore.

Tornando al nostro giurista per caso, cogliamo fior da fiore.
1) “Il padre di Renzi è stato assolto”
(falso: richiesta di archiviazione).

2) “Ma, siccome quel che scriveva Travaglio era accaduto davvero, è colpevole”
(falso: mai scritto che sia colpevole; abbiamo riportato le frasi dei pm che lo sbugiardano e alcune circostanze ignorate o trascurate nella richiesta di archiviazione).

3) “Virginia Raggi è stata assolta” (vero).

4) Ma “quel che hanno scritto i giornali era vero” (falso).
La Raggi era imputata di falso ideologico per una risposta a una domanda dell’Anac sul ruolo di Raffaele Marra, capo del Personale, nella nomina del fratello Renato (graduato dei Vigili) a dirigente del Turismo: un ruolo, scrisse la sindaca, soltanto “compilativo” di una decisione assunta da lei con il competente assessore Meloni. Poi si scoprì, da alcune chat, che Raffaele suggerì a Meloni di prendere Renato al Turismo (lui peraltro lo nega, nel processo per abuso d’ufficio: deciderà il giudice). E Meloni, che aveva già lavorato con Renato, ne fu felice. Su quest’unico punto verteva tutto il processo: la Raggi sapeva o no che Marra aveva messo lo zampino, quando scrisse che aveva svolto un ruolo “compilativo”? Secondo i pm, sì: cioè la sindaca mentì sapendo di mentire.
Secondo i difensori, no: scrisse all’Anac ciò che risultava a lei, ignara di riunioni in altri uffici e in sua assenza, peraltro su un “interpello” per la rotazione di tutti e 200 i dirigenti del Campidoglio, non solo di Renato. Il giudice ha dato ragione a lei: e non perché “manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova” (art. 530 comma 2), ma perché “il fatto non costituisce reato” (art. 530 comma 1). Cioè perché la Raggi non sapeva ciò che i pm l’accusavano di avere consapevolmente taciuto. Dunque non ha mentito, anzi ha detto quanto risultava a lei: all’Anac, ai pm e al tribunale. Punto. Assolta con formula piena.

Bottura sostiene che la Raggi è “il peggior sindaco/a di Roma di sempre”: liberissimo di preferirle Alemanno e gli altri galantuomini che spalancarono il Campidoglio a Buzzi, Carminati & C.

Ma, non sapendo nulla di questo come di nessun altro processo, il nostro giureconsulto sostiene che negli ultimi 2 anni e mezzo i giornali han fatto solo “cronaca giudiziaria spicciola”. E molto si duole perché ho riepilogato le balle più grosse dei giornali.

Repubblica, per esempio, riuscì a scrivere che: le inchieste sulla Raggi erano il “mesto déjà vu di una stagione lontana, quella della Milano di Mani Pulite” (falso: Mani Pulite si occupava di tangenti e appalti, l’inchiesta Raggi di una lettera all’Anac);

“Salvatore Romeo ha un legame privato, privatissimo con la Raggi, in pieno conflitto d’interesse” (dunque la Raggi era l’amante di Romeo, oltreché di altri; a questo si riferisce Di Battista quando, ricordando quanti l’hanno dipinta come una puttana, restituisce l’insulto a loro, non a tutta la categoria);

“Quelle polizze potrebbero avere un’origine non privata, ma politica”, “il rebus della provenienza dei fondi”, “soldi di chi? Per garantirsi quale ritorno?”, “tesoretti segreti e ricatti” per “garantire un serbatoio di voti a destra” (non è mai esistita alcun’indagine sulle polizze di Romeo che ipotizzasse fondi occulti, tesoretti segreti o compravendite di voti, anzi la Procura dichiarò subito le polizze “prive di rilevanza penale”;

quella, dunque, non era cronaca giudiziaria spicciola, ma linciaggio organizzato a base di menzogne costruite a tavolino: gli unici veri falsi materiali visti in quel processo).

Alla fine, dopo aver inanellato una collezione di balle da Guinness, il Bottura si avventura in un ardito parallelo fra 25 anni di assalti di B. alla libera stampa, dall’editto bulgaro ai conflitti d’interessi editorial-televisivi, e gl’insulti di Di Maio&C. ai falsari del caso Raggi. E spiega che, diversamente da oggi, “a quei tempi eravamo tutti insieme da questa parte della barricata”.
Però – minaccia – se le nuove SS verranno a prendermi, “noi saremo lì a difenderti”.

Non so dove fosse lui ai tempi di B., ma so dov’era Repubblica.
Nel 2008, quando B. tornò al governo e osai ricordare in tv i rapporti del neopresidente del Senato Schifani con alcuni mafiosi, fui attaccato da tutto il centrodestra, da mezzo centrosinistra e Repubblica mi “difese” schierandosi con Schifani e insinuando che mi facessi pagare le ferie dalla mafia.

Quindi grazie del pensiero, ma per la mia difesa preferisco fare da solo.
Come se avessi accettato.

Fonte: ilfattoquotidiano del 13 novembre del 2018

Intascava soldi dall'imputato La Consulta boccia il Csm: «Quel giudice è da cacciare». - Luca Fazzo



I colleghi provano a salvare il magistrato che andava licenziato. Stop della Corte Costituzionale.

Va a sbattere contro la Corte Costituzionale uno dei tentativi più arditi del Consiglio superiore della magistratura di salvare la poltrona a una toga scoperta a prendere soldi.

Che nel giudicare le colpe dei giudici al Csm siano inclini al garantismo è cosa risaputa: di magistrati assolti, o puniti blandamente, nonostante prove granitiche sono piene le cronache di questi anni. Ma nel caso di Luisanna Figliola, giudice preliminare a Roma e oggi pm a Napoli, sembrava che non ci fosse scampo: la legge prevedeva per lei come unica sanzione possibile la destituzione, ovvero il licenziamento. Il Csm ha ritenuto che l'obbligo di sfilare la toga alla collega violasse addirittura la Costituzione, e si è rivolto alla Corte Costituzionale perché cancellasse la norma. Ricevendone in risposta una brusca bocciatura. Se un magistrato si fa pagare da un imputato, non può continuare a fare il magistrato: sembra una ovvietà, ma per farla digerire al Csm c'è voluta la Consulta.
La Figliolia è un magistrato maturo e di grande esperienza, con alle spalle processi importanti nella Capitale (compreso quello alle nuove Brigate Rosse) e con un passato di militante in una delle correnti della magistratura. Ma questo rende ancora più grave quanto avviene tra lei e Vittorio Cecchi Gori, il produttore cinematografico finito in dissesto.

La sentenza della Corte Costituzionale riassume così le colpe: alla Figliolia «è contestato di avere ottenuto da un imprenditore, che sapeva essere indagato presso il proprio ufficio di appartenenza per il delitto di bancarotta fraudolenta, vantaggi indiretti (consistenti nel conferimento al proprio coniuge di un contratto per un corrispettivo mensile di 100.000 euro) e diretti (costituiti da numerosi soggiorni in lussuose abitazioni, viaggi in aereo privato, una borsa del valore di 700 euro e una festa di compleanno del valore di 2.056 euro)». Più colorito il contesto dei rapporti tra i due come li ha raccontati, nel processo alla Figliolia, l'ex fidanzata di Cecchi Gori, Mara Meis: secondo cui la giudice avrebbe imposto al produttore oltre ai servigi del marito anche la presenza di una maga, grazie alla quale l'uomo poteva dialogare con la madre morta.
La Figliolia è stata assolta in sede penale, perché non si è dimostrato quali favori - a parte i dialoghi con l'Oltretomba - fornisse a Cecchi Gori in cambio dei soldi. La cacciata però sembrava inevitabile. Il Csm, nel luglio 2017, prova a salvarla. Ma la Consulta, con la sentenza depositata ieri, va giù dura: se l'obiettivo deve essere «restaurare la fiducia dei consociati nell'indipendenza, correttezza e imparzialità del sistema giudiziario», allora «una reazione ferma contro l'illecito disciplinare può effettivamente contribuire all'obiettivo delineato (...) non essendo affatto scontato che esso possa essere conseguito mediante una sanzione più mite». E il licenziamento lascia alla Figliolia «la possibilità di intraprendere altra professione, con il solo limite del divieto di continuare a esercitare la funzione giurisdizionale».
Fonte: ilgiornale del 13/11/3018