lunedì 11 novembre 2024

Fahrenheit 2024: l’America rossa di Trump. - Loretta Beretta

 

Non è fantascienza. Trump vince nei podcast e in tutte le contee, cresce tra i ricchi e si proietta sui satelliti dell’amico Musk. Che partecipa ai vertici tra potenti. E non solo adesso. Per i Dem di tutto il mondo è urgente un’agenda. E una strategia per comunicarla.

La mappa per contee è più definitiva di quella degli Stati: la valanga rossa, dove per rossa s’intende trumpiana, è ancora più estesa e permeata di quanto non si sia già capito. Quanto profonda? I numeri dicono tanto, anche se bisognerà aspettare settimane per avere i dati del Census Bureau per un’accurata analisi demografica dei flussi. I numeri dicono che il muro blu non c’è stato e invece il successo di Donald Trump ha investito ogni strato sociale, ogni territorio, andando a prendersi Stati che sembravano in bilico, e non lo erano, e persino strappando consensi là dove alberga e si nutre il sentiment Dem, la città di New York. Nella Grande Mela, per esempio, Trump ha ottenuto il sostegno del 43% degli elettori sotto i 30 anni contro il 32% del 2020. E ha anche raddoppiato il suo sostegno tra gli elettori neri: dal 7% di quattro anni fa è passato al 16%. In tutto il paese la generazione Z è andata meno a votare – si stima un meno 16% – ma il 10% si è spostato su di lui. E non solo maschi. Tra le giovani donne, Harris si è distaccata da Trump di 24 punti, mentre Biden quattro anni fa era sopra di 35. 

Un esito elettorale che ha ribaltato l’istituto dei sondaggi e che ora mette in crisi anche la sociologia urbana, pervasa dal dubbio che la distinzione in metropoli-aree rurali non spieghi più lo spirito che scorre nelle vene del corpo elettorale. Ci sono tanti fattori che hanno trasformato la società in una moltitudine di pixel da saper leggere: c’è la demografia dei singoli territori, il peso delle minoranze nelle grandi città come appunto New York, c’è un successo crescente dello stile trumpiano tra i ricchi come tra i poveri. Ci sono contraddizioni per cui non si trova una necessaria spiegazione. In Missouri ha vinto Trump ma è passato il referendum sull’aborto. In California ha vinto Harris ma sono stati sconfitti una serie di referendum su temi sociali come la riduzione della maggioranza necessaria per approvare interventi di edilizia popolare; l’abolizione dell’impiego non retribuito (nel testo si parlava proprio di schiavitù)  dei detenuti; l’aumento del salario minimo. 

Alle 5 di mattina del 6 novembre, quando lo sgomento per i dati che arrivavano sempre più netti e nitidi, Francesco Memoli, ingegnere italiano che vive a Pittsburgh da 20 anni, spiegava, nella lunga diretta di Radio Popolare, che da quelle parti – «dove ci sono ancora tanti operai» – Trump era arrivato con la promessa di detassare gli straordinari, che sono una componente importante del sistema produttivo locale e su questo si è preso lo Stato più importante (il suo intervento qui al minuto 17). 

Di contro, il tema dell’aborto e quello del voto delle donne per una donna cavalcati da Harris non hanno fatto presa né sulle più giovani né sulle over 45. Tra le prime il voto per la candidata Dem è diminuito di sei punti percentuali rispetto a quattro anni fa, mentre è aumentato esattamente del 6% il consenso di Trump in quella fascia d’età; tra le più adulte invece il calo è stato solo di un punto percentuale.

Sono gli Stati Uniti un paese bigotto e misogino? Si è trattato di un errore di proposte politiche e di contenuti per Kamala Harris mentre Donald Trump li avrebbe azzeccati? 

Un’auto in Pennsylvania

La campagna di Trump è stata indirizzata agli uomini, aggressiva e nerboruta, perfino volgare come quando a un comizio in North Carolina la sua reazione a una voce che dal pubblico si era alzata per insinuare che la vicepresidente e candidata fosse una prostituta, lui ha risposto sorridendo: «Questo posto è fantastico». Come hanno potuto le donne, e ancor di più le più giovani, ignorare questo e altri fatti detti, urlati, scritti, agiti? 

Per forza c’è altro. La sfiducia, il risentimento, la rabbia. Roger Cohen ha scritto ieri sul NYT un editoriale che parte proprio da qui, da un avvertimento di Mikhail Gorbachev all’Ovest in giubilo per la fine della guerra fredda: «Stiamo facendo la cosa peggiore per voi: vi stiamo privando di un nemico». 

Non da ultimo, su questi e su altri sentimenti c’è la strategia comunicativa. Capillare, quella di Trump e dei suoi. Martellante e pervasiva, occupando ogni canale di trasmissione di informazioni vere, false, distorte o parziali. Non solo bot dell’internet. Cartacei foraggiati da gruppi di interessi di stampo conservatore, se non proprio di destra, e scritti da algoritmi, da anni vengono adagiati con cura sullo zerbino di ogni casa. Controllo della narrativa senza lasciare spazio vuoto. Non da adesso, ma da quando è comparso sulla scena politica e forse prima, senza far passare giorno senza una qualche sparata, un qualche segno, un graffio ma anche un buffetto. Lui e i suoi sostenitori, grandi influencer e piccoli uomini, e donne, uniti in un modo di fare, e forse di essere, imprevedibile e sempre sopra le righe. Si direbbe spontaneo.
Il cambio in corsa Biden-Harris lo aveva visto rallentare: per qualche settimana, Trump e il suo vice JD Vance erano fuori tempo, colpivano nel vuoto con un campionario di attacchi ormai superati e Harris appariva in vantaggio, più fresca, con un consenso crescente tra i big del partito e del jet set, sui media tradizionali. Adeguato il registro linguistico, la campagna Trump ha ripreso a sferrare i colpi sotto la cinta, usando gli stereotipi sessuali e razziali e abusando del politicamente scorretto che, come a scuola, conquista risate e spallucce. Nei discorsi di Trump l’obiettivo era attaccare Harris che invece è andata meno a testa d’ariete contro di lui e anzi lo ha nominato davvero poco. La spesa totale in spot tv, radio, digitali per i Democratici è stata di 5 miliardi di dollari, per i Repubblicani di 4,1. E lo Stato in cui si è concentrata una quota consistente è proprio la Pennsylvania: poco più di 1 miliardo di dollari in totale. Che è stata importante nel successo del Presidente, ma non da sola. Uno degli spot più diffusi in Tv da Harris provava a parlare alla classe media, promettendo interventi per abbassare i prezzi degli affitti e dei generi alimentari, ricordando la manifesta intenzione di Trump di tagliare le tasse alle imprese. La campagna del Tycoon invece ha investito la cifra maggiore per una pubblicità sui mezzi digitali in cui dice di voler eliminare le tasse sui sussidi e sulle mance della previdenza sociale.

Secondo l’analisi di AdImpact, i repubblicani hanno poi speso quasi 215 milioni di dollari in spot televisivi che diffamavano le persone transgender. Harris è stata accusata più volte di essere loro sostenitrice. 

Ma il martellamento di Trump, soprattutto negli ultimi giorni, è stato minuzioso e mirato al target di elettori che voleva coinvolgere: a luglio il profilo di Trump era stato riattivato su Twitch, piattaforma di Amazon, ossia di Jeff Bezos, proprietario del Washington Post che quest’anno per la prima volta da decenni non ha fatto l’endorsement (che naturalmente sarebbe andato a Harris): era stato bannato a seguito dei fatti di Capitol Hill, il 6 gennaio 2021 dopo la vittoria di Joe Biden. Ai tempi, la stessa decisione l’aveva presa Meta, che sempre a luglio ha consentito a Trump di ricomparire su Facebook e Instagram. Piccoli segnali di un consenso – o almeno di non ostilità – da parte dei proprietari delle principali piattaforme social, che così in qualche modo hanno rafforzato i mezzi di propagazione del verbo trumpiano. A parte X, quello chiaramente schierato con Trump per dichiarazione e azione del suo dominus, Elon Musk

Mentre i Dem diffondevano i video con la candidata che andava a bussare alle porte degli americani per invitarli al voto, Trump intanto entrava nella vita degli elettori dalle cuffiette dei videogiochi e dei podcast, anche di quelli meno famosi, più locali, purché con un significativo numero di followers. Alcuni di loro – Nelk Boys, Adin Ross, Theo Von, Bussin’ With The Boys – sono stati nominati a titolo di ringraziamento durante il discorso di vittoria di mercoledì mattina. L’ultimo dell’elenco era Joe Rogan, comico, il podcaster più famoso di tutti, una potenza di ascolti e visualizzazioni: una volta fervente democratico. Solo su Youtube, la sua intervista di fine ottobre a Trump ha totalizzato quasi 50 milioni di visualizzazioni. Con questi signori, seguiti prevalentemente da un pubblico maschile giovane, l’obiettivo era assicurato. Ore e ore di chiacchiere seduto davanti a un microfono, in un ecosistema amico e confortevole, riverberante, senza filtri, senza regole, senza limiti, pieno di cospirazionisti, dubbiosi, arrabbiati, soli. Come i manovali che, spiegava la radio pubblica NPR, alla fine di una giornata di polvere e fango, in autobus tornano a casa fuori dalle città, in mezzo al niente, con pochissimi soldi, tutto diventato insensatamente caro e si attaccano ai video giochi on line, dai quali spunta The Donald che promette l’America della leggenda, la terra feconda di opportunità e intanto scatena la guerra civile contro gli immigrati irregolari arrivando al cuore degli immigrati che intanto si sono regolarizzati e quindi votano per lui: semplicemente sbagliava, chi pensava che le battute sugli haitiani che mangiano i gatti o sui portoricani che sono pattumiera fossero troppo pure per i trumpiani. Una cacofonia in cui si perdono i sensi e il senso. 

La strategia democratica non ha potuto nulla. Ci si interroga ora se le primarie avrebbero potuto individuare un candidato migliore di Biden e di Harris. Se il passo indietro di Biden sia arrivato troppo tardi e ormai troppo male. Ci si chiede perché gli influencer di Trump abbiano portato voti, mentre lo star system schierato con Harris no.  

Fuori da un seggio elettorale il 5 novembre 2024.

Sarada Peri senior speechwriter di Barack Obama ha detto a Politico.com che «anche il modo in cui ascoltiamo e rispondiamo agli elettori è rifratto attraverso Trump […] Timorosi di alcuni elettori e sprezzanti di altri, non convinciamo quasi nessuno […] Le idee stantie su cui si è basato il partito sono state una reazione alla sua agenda». Will Stancil  avvocato per i diritti civili mette in evidenza il successo della «macchina della rabbia nazionale» trumpiana e invita i democratici, di cui fa parte, a «trovare un modo per fare progressi nei media moderni e strappare un maggiore controllo dell’ambiente informativo nazionale a Trump».
Perché è un errore, non attribuire il reale peso della pluralità di fonti virtuali di [mala]informazione. Donna Brazile, ex presidente del Democratic National Committee, colpita dall’esito di questa campagna ha suggerito come unica strada sia la convocazione del comitato esecutivo democratico e la condivisione di una «nuova strada da seguire». Ed è una strada che non può non passare anche da un aggiornamento di linguaggi e strumenti, una presenza sulla terra ma anche nelle reti virtuali che con i loro algoritmi segreti non sono neutrali e anzi campi di battaglia culturale su cui installare le strategie di futuro, una riconnnotazione dei confini del mondo e una redistribuzione dei pesi. 

E non è fantascienza, Elon Musk e il suo Starlink che vegliano su di noi – a ottobre 2020 il segretario alla difesa, Colin Kahl, si appellò al miliardario perché le forze armate ucraine stavano perdendo la connessione internet nei territori contesi dalla Russia e ora Musk ha preso parte alla telefonata tra Trump e Zelensky –  sono lì a dirlo. Forte e chiaro. 

Lorella Beretta è giornalista freelance. È responsabile della comunicazione di Libertà e Giustizia e curatrice di questa newsletter.


https://www.libertaegiustizia.it/2024/11/09/fahrenheit-2024/

Il tempio mortuario di Hatshepsut. - Giuseppe Kokos

 

Il tempio mortuario di Hatshepsut è uno dei templi più stupendi dell'antico Egitto, situato a Deir el-Bahari sulla riva occidentale del Nilo, vicino alla Valle dei Re in Alto Egitto. Commissionato dalla regina Hatshepsut, quinto faraone della XVIII dinastia e seconda faraone confermata nella storia, la sua costruzione iniziò nel 1479 a.C. e impiegò circa quindici anni per completarla.

Il regno di Hatshepsut è ricordato come uno dei periodi più prosperi e pacifici della storia dell'Egitto. Il tempio, dedicato sia al dio Amon che alla stessa Hatshepsut, presenta tre terrazze stratificate che si alzano 29,5 metri (97 piedi) e include piloni, corti, una sala ipostilo, una corte solare, una cappella e un santuario.

Lunghe rampe collegano le terrazze, che un tempo erano circondate da rigogliosi giardini con piante esotiche come incenso e mirra. Allineato con l'alba del solstizio d'inverno, il tempio incorpora un meccanismo unico per la scatola luminosa, che permette alla luce solare di viaggiare lungo l'asse centrale del tempio, illuminando prima il dio Amon-Ra, poi la figura inginocchiata di Thutmose III e infine il dio del Nilo Hapi. 

https://www.facebook.com/photo/?fbid=8800783189982034&set=gm.3038330976322291&idorvanity=118855021603249

La pace in Ucraina. - Tommaso Merlo

 

Mentre Biden sta scegliendo il suo epitaffio, Trump ha afferrato la cornetta per parlare di pace in Ucraina. Ha chiamato anche Putin che si è detto disponibile a discuterne. Wow. Fino a ieri Putin veniva descritto come un mostro sanguinario con cui era impossibile trattare. E chiunque proponeva di negoziare veniva apostrofato come un ingenuo o addirittura un traditore della patria continentale. Con gli statisti europei che strillavano in coro di principi inderogabili e promettevano nuove armi fino alla vittoria. Contrordine! Il nuovo padrone americano e quindi della Nato non ha più intenzione di buttar via neanche un dollaro in Ucraina e con la Russia punta ad avere buoni rapporti. Nessuna ragione ideologica, Trump non è un pacifista, ma da uomo d’affari non va oltre le guerre commerciali e da narcisista patologico non va oltre le guerre personali. Meglio di niente. Sta di fatto che l’inversione a u di Trump sta generando il panico nei palazzi europei. I funzionari della Nato nascondono i mitragliatori sotto le scrivanie, politicanti e tecnocrati rispolverano la bandiera arcobaleno e promettono fiori nei cannoni mentre la stampa al guinzaglio fa i salti mortali per aggiornare la propaganda. Devono riuscire a rimangiarsi tutto senza perdere la faccia in modo da salvare la carriera. Un bel casino. Anche perché Trump non solo vuole la pace in Ucraina ma pare sia intenzionato a levare pure le tende dall’Europa. Alla notizia le lobby delle armi hanno stappato le bottiglie migliori e fatto il trenino, finisce la cuccagna in Ucraina e ne inizia un’altra ancora più ricca. Quella del riamo, prima la scusa era la Russia, adesso che i marines non ci fanno più da balia. Va riarmata l’Europa fino ai denti. Perché come hanno insegnato gli Stati Uniti al mondo, più siamo armati, più siamo sicuri e più viviamo in pace noi e gli altri. Già, come no. Quanto alla lezione dell’Europa che si è massacrata a vicenda per secoli per poi trovare la pace unendosi, chissenefrega. Non rende ed è passata di moda. Ma come prima cosa va chiusa la pratica Ucraina siglando la pace con la Russia e passando a fare soldi con la ricostruzione, passaggio complesso. Putin sta vincendo e quindi anche giustamente le condizioni le vorrà dettare lui. Non certo Zelensky e i tecnocrati europei dalle ossa rotte. Putin ha speso una fortuna per una guerra che non voleva e molti russi ci hanno lasciato le penne tra le trincee di fango ucraine, non può chiedere sacrifici, prevalere e poi cedere come se nulla fosse. Più realistico che raggiunga i suoi noti obiettivi nel Donbass, cacci gli ucraini dal Kursk e poi negozi la resa. Alla fine è una guerra tra loro, noi siamo solo i fornitori di benzina da buttare sul fuoco. L’intervento di Trump può essere molto utile a lasciare Zelensky a secco costringendolo a mollare l’osso, e a livello Nato stoppare le mire espansionistiche verso est, vera ragione del conflitto. Trump ha proposto di rimandare l’adesione dell’Ucraina di 20 anni e visto che molti protagonisti nel frattempo ci lasceranno, non è una cattiva idea. Cambiando i galli, cambia il pollaio. E nel frattempo Mosca potrebbe tornare ad essere magicamente amica. Trump ha detto a Zelensky che la Crimea la rivedrà giusto in cartolina e alla fine sarà già tanto se l’Ucraina manterrà uno sbocco sul Mar Nero per fare il bagnetto d’estate. Davvero una notevole inversione a u. A Washington e quindi in Europa. Dopo anni di autolesionismo energico e quindi economico, dopo anni di propaganda bellicista antirussa, dopo anni di immensi sprechi di risorse pubbliche, dopo anni di morti e distruzione, si ritornerà presto attorno ad un tavolo. Con l’unica differenza che nel frattempo l’Ucraina ma anche l’Europa sono in ginocchio mentre Putin sta vivendo una nuova primavera. I responsabili di tale disastro cercheranno di riciclarsi anche spingendo per il riarmo così magari la prossima guerra la combattiamo in prima persona invece che per procura. Armi sempre più devastanti, nuove generazioni da cannone, esercito continentale. In modo da vivere sicuri senza renderci conto che siamo noi i peggiori nemici di noi stessi. In modo da vivere in pace, facendo la guerra.

C’è un tunnel cosmico vicino a noi: potrebbe collegare intere galassie. - Gianluca Riccio

 

Un tunnel cosmico si nasconde vicino al Sistema Solare. La scoperta rivela una possibile rete di collegamenti interstellari.

l nostro Sistema Solare ha un vicino di casa davvero particolare. Gli astronomi hanno appena scoperto un tunnel cosmico che si estende per centinaia di anni luce nella struttura di gas caldo che ci circonda, nota come Bolla Locale1. Una scoperta che potrebbe rivelarsi solo la punta dell’iceberg di una rete galattica ben più vasta. Il telescopio eROSITA, il primo osservatorio a raggi X completamente al di fuori dell’atmosfera terrestre, ha rivelato l’esistenza di questo tunnel, che si estende verso la costellazione del Centauro.

L’origine della bolla.

La Bolla Locale non è una scoperta recente. Gli astronomi la conoscono da oltre cinquant’anni, quando fu proposta per spiegare la presenza di radiazione di fondo a raggi X. Si ritiene che si sia formata circa quattordici milioni di anni fa, quando una serie di supernove spazzò via tutto il materiale interstellare nelle vicinanze, creando una cavità del diametro di circa 1.000 anni luce.

Le nuove scoperte.

Il dottor Michael Freyberg del Max Planck Institute for Extraterrestrial Physics ha evidenziato come questa struttura si distingua nettamente grazie alla sensibilità superiore di eROSITA. Il tunnel cosmico mostra un gradiente di temperatura attraverso tutta la sua lunghezza, con la regione settentrionale notevolmente più calda di quella meridionale.

Ciò che non sapevamo era l’esistenza di un tunnel interstellare verso il Centauro, che scava un varco nel mezzo interstellare più freddo.

La scoperta più intrigante, come detto, è che questo tunnel potrebbe essere parte di una rete molto più vasta. Gli autori dello studio, pubblicato su Astronomy & Astrophysics (ve lo linko qui), suggeriscono che potrebbe far parte di un’intera rete interstellare che attraversa la Via Lattea.

C’è un nesso tra questo tunnel cosmico e la cosiddetta “Onda di Radcliffe”?

L’Onda di Radcliffe, scoperta nel 2020, è una struttura gassosa coerente nella Via Lattea che si estende per circa 8.800 anni luce e contiene numerose regioni di formazione stellare. Questa struttura ondulata, che oscilla attraverso lo spazio-tempo, rappresenta un’importante scoperta nella nostra comprensione dell’ambiente galattico locale. In modo simile, il recente rilevamento di un “tunnel interstellare” nella Bolla Locale Calda aggiunge un nuovo tassello a questo quadro complesso. Entrambe queste strutture, l’Onda di Radcliffe e il tunnel cosmico, suggeriscono che il nostro vicinato galattico sia molto più dinamico e interconnesso di quanto si pensasse in precedenza, rivelando una rete di strutture su larga scala che potrebbero influenzare la formazione stellare e l’evoluzione della nostra galassia.

Tunnel cosmico, le implicazioni future.

Le differenze di temperatura osservate suggeriscono che potrebbero esserci state supernove più recenti che hanno espanso la bolla e riscaldato il suo materiale, forse negli ultimi milioni di anni. Una scoperta che non solo arricchisce la nostra comprensione del vicinato cosmico, ma apre nuove prospettive sulle strutture che collegano le diverse regioni della nostra galassia. Questa scoperta potrebbe essere solo l’inizio di una nuova comprensione della struttura della nostra galassia e dei misteriosi corridoi che la attraversano.

  1. Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Bolla_Locale ↩︎
Gianluca Riccio, direttore creativo di Melancia adv, copywriter e giornalista. Fa parte di Italian Institute for the Future, World Future Society e H+. Dal 2006 dirige Futuroprossimo.it , la risorsa italiana di Futurologia. È partner di Forwardto - Studi e competenze per scenari futuri.