venerdì 30 marzo 2018

Soffiate in Consip, ancora guai per Lotti: confermate le accuse. - Marco Lillo e Valeria Pacelli

Due versioni – Luca Lotti,  fedelissimo di Matteo Renzi e deputato Pd.  – Ansa

Confronto con l’ex Ad Luigi Marroni che tira dritto: “Mi avvisò dell’inchiesta”. Il ministro indagato nega e ammette che ad agosto i due si incontrarono a Roma.

Tranquillo e documentato, il grande accusatore conferma ma precisa le sue accuse contro Luca Lotti. L’ex amministratore di Consip, Luigi Marroni, si è presentato alle 17 alla caserma dei Carabinieri del Reparto Operativo in via Inselci a Roma con un taxi. Con sé aveva una cartellina piena di documenti e mail. Riguardavano anche un incontro che interessava ai pm romani, quello in cui Lotti gli avrebbe svelato le indagini su Consip. Ieri c’era la Procura al gran completo a sentire i due protagonisti del caso, uno di fronte all’altro. Davanti al procuratore Giuseppe Pignatone, al sostituto Mario Palazzi e all’aggiunto Paolo Ielo, nel confronto teso con l’accusato, Marroni ha ricostruito l’incontro nel quale Luca Lotti – a suo dire – gli avrebbe rivelato l’esistenza delle indagini e delle intercettazioni.
Marroni era pronto a tirare fuori le mail tra le rispettive segreterie per fissare l’appuntamento ma non è stato necessario depositarle perché l’appuntamento non è stato negato nemmeno da Lotti. L’incontro c’è stato dunque ed è avvenuto a Largo Chigi, negli uffici della presidenza del consiglio. Durante l’incontro però, secondo Lotti, non si parlò dell’inchiesta napoletana su Consip.
La prima volta che Marroni fa il nome dell’ex ministro è il 20 dicembre 2016: quel giorno gli investigatori partenopei entrano negli uffici Consip perché Marroni sta facendo togliere le microspie piazzate su ordine dei pm napoletani Henry John Woodcock e Celeste Carrano. Marroni viene interrogato prima dai carabinieri del Noe e poi dai pm napoletani. Ai carabinieri dice: “Ho appreso in quattro differenti occasioni da Filippo Vannoni (presidente della fiorentina Publiacqua, ndr), dal generale Emanuele Saltalamacchia, dal presidente di Consip Luigi Ferrara e da Luca Lotti di essere intercettato”. Ferrara a detta di Marroni, gli disse di averlo saputo dall’ex Comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette. Versione che Ferrara, sentito dai pm romani, non conferma e verrà indagato per false informazioni ai pm. Marroni poi disse ancora ai carabinieri del Noe: “A luglio 2016 durante un incontro Luca Lotti mi informò che si trattava di un’indagine che era nata sul mio predecessore Domenico Casalino e che riguardava anche l’imprenditore campano Romeo. Delle intercettazioni ambientali nel mio ufficio l’ho saputo non ricordo se da Lotti o da un suo stretto collaboratore”.
Ai pm Woodcock e Carrano, nella sera del 20 dicembre 2016, aggiunge ancora: “Confermo che nel luglio 2016 l’onorevole Luca Lotti, che io conosco, mi ha detto di stare attento perché aveva appreso che vi era una indagine della Autorità Giudiziaria sull’imprenditore Romeo di Napoli e sul mio predecessore Casalino, dicendomi espressamente che erano state espletate operazioni di intercettazioni telefoniche e anche ambientali, mettendomi in guardia”.
Quel verbale di Marroni è stato precisato poi nei successivi due esami come persona informata dei fatti, davanti ai pm di Roma, a giugno 2017 e a gennaio 2018. Marroni ha confermato di essere stato avvertito da Lotti e ha tenuto fermo che Lotti gli parlò delle intercettazioni. Però non ha confermato che Lotti gli parlò precisamente di intercettazioni ambientali. Ecco spiegata la nota diffusa in serata da ambienti vicini a Lotti: “Il ministro Lotti ha ribadito la sua totale estraneità. Inoltre Marroni non ha fatto riferimento a cimici”. Anche il tempo della soffiata è stato precisato. Marroni aveva sostenuto che fosse avvenuta a luglio e aveva escluso il mese di agosto perché ricordava di essere in ferie. Però già nei due precedenti interrogatori, aiutandosi con le mail, ha datato la soffiata ai primi giorni di agosto, probabilmente il 3 agosto 2016, prima di partire per le vacanze.
Lotti ieri ha confermato l’incontro, ma ha negato di aver mai rivelato a Marroni alcunchè. La versione del ministro è la stessa del 27 dicembre 2016, quando si precipitò in Procura a Roma dopo che Il Fatto rivelò la sua inscrizione nel registro degli indagati per rivelazione di segreto e favoreggiamento: nulla sapeva Lotti e nulla poteva dire a Marroni. Versione ribadita ieri guardando in faccia il suo accusatore.
Adesso sarà la Procura di Roma a decidere chi mente, con evidenti conseguenze penali. Lotti rischia un processo per favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio. Il manager rischierebbe l’accusa di calunnia.
L’ex senatore dell’Italia dei Valori Luigi Li Gotti è il legale che gli è stato vicino in questi momenti difficili. Marroni dopo le sue dichiarazioni è rimasto testimone ma ha perso il suo posto in Consip per mano del Pd. Li Gotti commenta: “Il tentativo di farlo passare come una persona mendace è radicalmente fallito. Marroni ha confermato quanto detto all’autorità giudiziaria ed è rimasto testimone”. E questa non è una buona notizia per l’indagato Luca Lotti.

Putin è davvero colpevole? Qualcosa proprio non torna nel caso Skripal. - Marcello Foà

caso Skripal

Siamo sicuri che ad avvelenare l’ex spia Skripal e sua figlia siano stati i russi? Ecco i dubbi dall'esame attento delle notizie uscite finora. Tanti punti che non tornano.

Siamo proprio sicuri che ad avvelenare l’ex spia Skripal e sua figlia siano stati i russi? Permettetemi di avanzare più di un dubbio esaminando con attenzione le notizie uscite finora. I punti che non tornano sono questi:

Primo. Qual è il movente? Quale l’interesse per Putin? Mi spiego: tutti riconoscono al presidente russo grande sagacia nel calibrare le sue mosse. Eccelle sia nella strategia che nella tattica. Da tempo sappiamo che gli Stati Uniti (i quali trainano l’Europa) sono impegnati in un’operazione di logoramento del Cremlino volto a ottenerne un riallinamento su posizioni filoamericane, che potrà essere ottenuto con certezza solo attraverso un cambio di regime ovvero con l’uscita di scena di Putin. Siccome una rivolta colorata è inattuabile, lo scenario è quello di rendere insostenibile il peso delle sanzioni e dell’isolamento internazionale, inducendo le élite russe a ribellarsi al presidente appena rieletto.

In questo contesto, ogni pretesto viene sfruttato per innervosire o indebolire Putin. Conoscendo l’obiettivo finale, bisogna chiedersi: ma che interesse aveva il presidente russo a tentare di eliminare un’ex spia, peraltro fuori dai giochi, ricorrendo al più spettacolare dei tentativi di omicidio, l’unico che – dopo la vicenda del polonio – tutto il mondo avrebbe attribuito al Cremlino? Ne converrete: non ha senso. Diplomaticamente sarebbe stato un suicidio, perché avrebbe offerto all’Occidente lo spunto per un’ulteriore campagna antirussa, che infatti si è puntualmente verificata, fino all’ultimo atto, l’espulsione coordinata dei diplomatici, a cui l’Italia dell’uscente Gentiloni si è accodata benchè  avrebbe potuto – e proceduralmente dovuto – astenersi. No, Putin non è leader da commettere questi errori.

E veniamo al secondo punto, che riguarda il rumore mediatico e il furore delle accuse.  Non dimentichiamolo, la comunicazione è uno strumento fondamentale nell’ambito delle guerre asimmetriche (tra l’altro è il tema che tratto nel mio ultimo saggio “Gli stregoni della notizia. Atto secondo“). Quando il rumore mediatico è assordante, univoco, esasperato, le possibilità sono due: le prove sono incontrovertibili (ad esempio l’invasione irachena del Kuwait) o non lo sono ma chi accusa ha interesse a sfruttarle politicamente, il che può avvenire solo se le fonti supreme – ovvero i governi – affermano la stessa cosa e con toni talmente urlati e assoluti da inibire qualunque riflessione critica, pena il rischio di esporsi all’accusa di essere “amici del dittatore Putin”.

Se analizziamo attentamente le dichiarazioni del governo britannico, notiamo come la stessa premier May continui a dire che “è altamente probabile” che l’attentato sia stato sponsorizzato dal Cremlino. Altamente probabile non significa sicuro, perché per esserne certi bisognerebbe provare l’origine del gas, cosa che è impossibile in tempi brevi. E nel comunicato congiunto diffuso ieri da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania si ribadisce che si tratta di «agente nervino di tipo militare sviluppato dalla Russia», che farebbe parte di un gruppo di gas noto come Novichok concepito dai sovietici negli anni Settanta. Ma sviluppato non significa prodotto in Russia. Se non è stato usato questo verbo – o un sinonimo, come fabbricato – significa che gli stessi esperti britannici non hanno prove concrete a sostegno della tesi della responsabilità russa, che pertanto andrebbe considerata come un’ipotesi investigativa. Non come un verdetto. Anche la semantica, in frammenti ad alta emotività come questi, è indicatrice e dovrebbe allertare la stampa, che invece non mostra esitazioni.

Eppure di ragioni per mostrarsi più cauti ce ne sono molte. Vogliamo ricordare le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein? Ma esempi in tempi recenti non mancano.  L’isteria accusatoria di queste ore ricorda quella delle “prove incontrovertibili” del 2013, secondo cui Assad aveva sterminato col gas 1300 civili, fra cui molti bambini. Scoprimmo in seguito che a usare il gas furono i ribelli per provocare un intervento della Nato. O, sempre in Siria, nel 2017 quando Amnesty e il Dipartimento di Stato denunciarono l’esistenza di un forno crematorio in cui venivano bruciati i ribelli, rivelazione che indignò giustamente il mondo ma che venne smentita dopo un paio di settimane dallo stesso governo americano.

Sia chiaro: nessuno sa chi abbia attentato alla vita di Skipal e di sua figlia e nessuna ipotesi può essere esclusa. Ma la propaganda è davvero assordante e i precedenti, nonché l’esperienza, suggeriscono maggior cautela. E un sano scetticismo: perché Putin sarà, per la grande stampa, “cattivo” ma di certo stupido non è. 

Dal Piemonte alla Sicilia, ecco la mappa dei depositi nucleari. - Jacopo Giliberto

(Reuters)


In Italia ci sono depositi radioattivi dappertutto, dal Piemonte alla Sicilia, con una concentrazione più alta di stoccaggi di scorie nucleari nel Vercellese, nell'Alessandrino, a Milano e attorno a Roma. 
Perfino in zone densamente abitate come Milano, che ospita un vecchio reattore atomico sperimentale fra le case di Città studi e un deposito di materiali radioattivi vicino a via Mecenate. 
Sono una ventina gli stoccaggi nucleari di dimensioni più rilevanti dispersi per l'Italia, ma sono centinaia i microstoccaggi provvisori di dimensioni minime, per esempio negli ospedali e nelle acciaierie, dove in attesa del ritiro vengono depositati i materiali radioattivi che vengono prodotti dalle attività ospedaliere (come la medicina nucleare e i sistemi diagnostici) e dalle attività industriali (per esempio le radiografie industriali oppure i dispositivi contenenti elementi radioattivi come i parafulmini o i rilevatori di fumo).
Bisogna togliere questi depositi temporanei e riunire i materiali in sicurezza in un deposito unico: dopo anni di tentennamenti e di paure, il Governo uscente potrebbe finalmente rendere pubblica la carta segreta dei circa 60-70 luoghi tecnicamente adatti a ospitare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. La carta è pronta da anni ma non viene pubblicata per il timore che insorgano i cittadini che non vogliono ospitare nel futuro deposito nazionale i rifiuti atomici che oggi si trovano dispersi vicino a casa di molte altre persone. I trattati internazionali impongono all'Italia di dare una collocazione unica e sicura a 78mila metri cubi di rifiuti a bassa e media radioattività oggi distribuiti in una ventina di depositi. Ecco la mappa interattiva dei principali depositi di scorie radioattive in Italia.
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Aerosol in atmosfera per proteggere la Terra dai raggi solari.

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Suscita allarme e molte critiche un esperimento americano di inseminazione dell'atmosfera per mitigare i cambiamenti climatici.


Al via un progetto per iniettare aerosol in atmosfera, per sperimentare gli effetti di questa soluzione per ridurre l'energia che arriva dal Sole e mitigare così i cambiamenti climatici.

Negli Stati Uniti è tutto pronto per dare il via al più grande progetto di geoingegneria mai realizzato: iniettare nella stratosfera, a circa 20 km di altezza dalla superficie terrestre, una certa quantità di aerosol per studiarne l'efficacia come agente climatico per contrastare il riscaldamento globale.

Il progetto, dal costo di 20 milioni di dollari, è realizzato dalla Harvard University e prenderà il via tra poche settimane. Lo scopo è quello di verificare se è possibile raffreddare l'atmosfera utilizzando lo stesso meccanismo che si verifica in natura durante un'eruzione vulcanica. In un arco di tempo da qui al 2022 i ricercatori disperderanno piccole quantità di acqua e di carbonato di calcio e studieranno le ricadute. Se saranno riscontrati effetti positivi si avvierà una seconda fase, con l'inseminazione con ossido di alluminio o polveri di diamante. Spiega Geornot Wagner, responsabile del progetto: «Non è il primo esperimento del genere, ma sicuramente è il più completo mai realizzato».

COP21: che cosa è stato detto alla Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico. E che cosa è stato fatto.

LE CRITICHE. Non sono pochi tuttavia coloro i quali sostengono che simili operazioni possono avere conseguenze drammatiche. Tra questi Kevin Trenberth, dell’Ipcc: «La geoingegneria solare può avere gravi conseguenze, perché può interessare il ciclo del tempo metereologico e quello dell'acqua in modi che non possiamo prevedere.

Focus Extra 74, clima, cambiamenti climatici, riscaldamento globale
Vedi anche: i progetti e le tecnologie per gestire il cambiamento climatico, su Focus Extra 74 (primavera 2017). | FOCUS EXTRA
Può per esempio portare siccità e creare problemi politici tali da scatenare nuove guerre. I modelli climatici attuali non sono in grado di prevedere le ricadute e gli effetti collaterali di queste operazioni».

A sostegno delle critiche c'è anche uno studio del Met Office del 2013, che, seguendo un analogo filone di analisi, giungeva alla conclusione che le polveri sottili in stratosfera potrebbero evolvere in una siccità disastrosa in tutto il nord Africa.

Nel 1991 l'eruzione del vulcano Pinatubo (Filippine) portò a un abbassamento delle temperature globali di 0,5 gradi nell'arco di pochi mesi, mentre l’eruzione del Tambora (1815, Indonesia) provocò un “anno senza estate” in Europa, con tutte le conseguenze del caso: raccolti compromessi, fame, malattie. Le eruzioni hanno però in genere sviluppi rapidi e di durata relativamente breve, e anche in quei casi tutto tornò alla normalità nell’arco di pochi anni.

C'è infine chi sostiene - non senza buone ragioni - che ricerche di questo tipo possono rallentare la ricerca e lo sviluppo di tecnologie alternative per la produzione di energia pulita, come l'eolico e il solare nelle sue varie declinazioni, che potrebbero invece essere strategie a lungo termine migliori per mitigare i cambiamenti climatici.


L'esplosione del Monte Pinatubo nel 1991 causò una diminuzione improvvisa della temperatura terrestre. Ci vollero alcuni mesi prima che l'aerosol composto da gas e polveri precipitasse a terra.

CHI DICE SÌ. Frank Keutsch, anch'egli della Harvard University, ha sottolineato che il dispiegamento di un sistema di geoingegneria solare è «una prospettiva terrificante», che spera di non vedere mai attuato su scala significativa, e tuttavia, aggiunge, «non possiamo trascurare l'eventualità di non poterne fare a meno, ed è perciò indispensabile studiare anche questi meccanismi».

Sul fronte dei possibilisti si schiera anche Janos Pasztor, responsabile delle ricerche climatiche per le Nazioni Unite, che risponde ai critici: «Il progetto prevede la dispersione di piccole quantità di aerosol e gli sviluppi saranno tenuti sotto stretta sorveglianza dai ricercatori». Da parte loro, i ricercatori hanno sottolineato che un intervento significativo di correzione dell'andamento climatico è tecnologicamente ancora molto lontano. Oltre al fatto - affermano - che non è pensabile come soluzione al riscaldamento globale, ma appunto solo come correttivo nel caso in cui le condizioni climatiche peggiorino drasticamente.