venerdì 19 febbraio 2021

Disobbedienza. Il quesito era al buio, ci vorrebbe l’obiezione di coscienza. - Gianni Barbacetto

 

L’obbedienza non è una virtù, di certo non nei momenti di grandi cambiamenti, non nelle svolte radicali, non in questo caso unico al mondo di Governissimo in nome della pandemia. Molti parlamentari del Movimento 5 Stelle hanno disobbedito alle regole interne, non votando la fiducia al governo Draghi decisa dal voto sulla piattaforma Rousseau, e secondo le regole dovrebbero essere espulsi. Ma il quesito su cui si è votato non era proprio un esempio di limpidezza. E soprattutto è stato posto prima di poter verificare i nomi dei ministri politici (e che nomi!) e l’inconsistenza della Grande Promessa, il superministero della Transizione ecologica, che poi superministero non è e che sarà gestito da un Recalcati della scienza che non riusciva neppure a spendere i soldi che il governo aveva assegnato al suo Istituto italiano di tecnologia. Come si fa, allora, a cacciare dal Movimento quelli che sono rimasti coerenti con la promessa “mai al governo con lo Psiconano” e che proprio non ce l’hanno fatta a dire sì alla Grande Ammucchiata? Hanno disobbedito alle regole, d’accordo, ma forse lo statuto del Movimento dovrebbe introdurre almeno la possibilità dell’obiezione di coscienza.




Diciamo, piuttosto, che all'interno del movimento ci sono molti malesseri dovuti alle ferree regole poste inizialmente ed applicate alla lettera. Io credo che bisognerebbe revisionare dette regole ed adeguarsi, senza compromettersi, alle evoluzioni dovute alle novità che si vanno verificando nel tempo. In altri termini, visto il campo minato nel quale ci si trova a doversi muovere, bisognerebbe smussare, rendere meno rigide alcune regole. I malumori esistenti potrebbero anche essere il risultato di regole estremistiche ed antidemocratiche.
cetta.

Cassazione, la sentenza Cavallo spunta le armi al pm sull’uso delle intercettazioni. - Francesco Curcio*

 

Per i Supremi Giudici se si svolgono legittimamente delle intercettazioni  per un certo reato e nel corso delle intercettazioni stesse ne emerge uno nuovo, non si potrà procedere.

Le intercettazioni, la loro utilizzazione sia processuale che mediatica, i presupposti che le giustificano sono state oggetto, negli ultimi anni, di ampi dibattiti, sia fra operatori del diritto, che sui mezzi d’informazione ed a livello politico. Infine sono state oggetto di riforme legislative. L’attenzione per tale materia ha un serio fondamento, poiché lo svolgimento delle intercettazioni, la loro utilizzazione processuale e la loro conoscenza pubblica, involvono, in una società moderna, fondamentali interessi e diritti: quello dello Stato, di accertare i reati e punire chi ne è responsabile, quelli delle persone coinvolte nelle intercettazioni, che hanno diritto a che il sacrificio della loro riservatezza sia contenuto nei limiti indispensabili all’accertamento dei reati, infine quello dell’opinione pubblica di conoscere i comportamenti devianti, soprattutto di chi è investito di responsabilità politiche, economiche, mediatiche. Ciò per esercitare in modo consapevole i diritti di critica, controllo ed infine di voto. Alla politica spetta trovare un punto di equilibrio fra queste confliggenti esigenze.

Obiettivo: attaccare le indagini.

Tuttavia, di frequente, l’interesse manifestato sul tema delle intercettazioni è apparso strumentale. L’impressione è che spesso le polemiche, più che puntare a trovare un giusto punto di equilibrio fra esigenze d’indagine, di riservatezza e d’informazione, avevano piuttosto un altro bersaglio, quello di attaccare le indagini, di volta in volta, ritenute scomode. Delegittimare lo strumento – assai efficace – delle intercettazioni per delegittimare gli esiti delle indagini. E’ sotto gli occhi di tutti che molti politici ed opinion makers – non tutti, ovviamente – hanno sollevato il problema solo quando toccava qualcuno che gli era vicino, non quando, invece, era coinvolto un cittadino comune sottoposto ad indagine (un rapinatore, un sequestratore, uno spacciatore, della cui riservatezza, evidentemente, questi polemisti non sembrano essere interessati). Del resto non appare casuale, in proposito, il fatto che polemizzavano e polemizzano sull’uso “eccessivo” delle intercettazioni, gli stessi che, anni prima – quando le potenzialità tecnologiche dell’epoca non consentivano, come oggi, una utilizzazione efficace di tale strumento – con la stessa verve, polemizzavano su di un altro strumento d’indagine: i collaboratori di Giustizia. La cantilena dell’epoca era: quella Procura, quel PM fa un uso disinvolto (era “disinvolto” il termine) dei pentiti. Dipinti, a priori, da questi maitre a penser, come un pericolo peggiore dei mafiosi in servizio permanente effettivo, in realtà, semplicemente, e avrebbero attaccato – a prescindere, avrebbe detto Totò – qualsiasi strumento, anche le fotografie a raggi infrarossi, se avessero, ad esempio, immortalato qualche politico con un mafioso.

Il compito del giusto processo.

Certo, la libera stampa deve pazientemente ed ogni volta chiarire (e questo stempererebbe le polemiche) che né i pentiti, né le intercettazioni sono, in sé, la prova esaustiva ed indiscutibile del reato e che compito del processo, è proprio quello di vagliare le risultanze di questi mezzi di prova – assolutamente indispensabili per avviare gran parte delle indagini di rilievo – al fine di verificare l’effettivo rilievo del loro contenuto. E così, non vi è dubbio, che le accuse mosse da un pentito possono essere inesatte, e, quindi, devono essere riscontrate da altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità; la conversazione intercettata potrebbe essere stata male interpretata da chi l’ha ascoltata oppure potrebbe corrispondere ad una vanteria, ad una millanteria di chi l’ha pronunciata ed allora bisogna verificare se quel fatto di cui parlano le persone intercettate è realmente successo e come è successo. Ma questo è fisiologico ed attiene, non al fatto se sia giusto o meno, legittimo o meno, utilizzare le intercettazioni (o i pentiti), ma, piuttosto, riguarda la stessa funzione del processo che serve a vagliare le prove.

L’equilibrio attuale.

Avvicinandoci ulteriormente al tema delle intercettazioni, va, ancora, osservato che, allo stato, la normativa vigente, come modificata dalle leggi degli ultimi due anni, perfettibile come tutte le cose umane, rappresenta, a nostro avviso, il punto di equilibrio più avanzato in materia, fra le diverse esigenze. E’ previsto, ovviamente, che sia possibile intercettare solo per reati gravi (con pena prevista da cinque anni in su) solo se siano acquisiti elementi di prova (gravi per tutti i reati, o solo sufficienti per terrorismo, mafia e corruzione) e solo se necessario o indispensabile per le indagini. Soprattutto sono quattro, per sintesi, le grandi novità della nuova normativa in materia.

1.è stato regolamentato l’uso del cd trojan secondo standard equilibrati ed in casi ben delineati;
2.i reati di corruzione (e simili) sono stati equiparati ai reati di mafia e terrorismo per consentire, anche in presenza di questi gravi reati, un uso “agevolato” delle intercettazioni;
3.è stata prevista, a tutela della riservatezza, una blindatura – cioè una impossibilità assoluta – di utilizzare e quindi pubblicare conversazioni che avendo ad oggetto vicende di natura privata o cd sensibili (relativi alle opinioni politiche, orientamenti sessuali, ecc) di chi è intercettato, non sono rilevanti per ricostruire i reati oggetto del processo;
4.è stato dato ampio spazio alla difesa degli indagati per individuare le conversazioni rilevanti ai fini della ricostruzione dei fatti.

La rivoluzione della sentenza Cavallo.

Tuttavia, di recente, proprio mentre era in corso la tribolata riforma delle intercettazioni, una sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del Gennaio 2020 denominata Cavallo (dal nome dell’indagato ricorrente) ha affrontato una delle questioni più importanti sull’utilizzazione delle intercettazioni, ponendo PPMM e Giudici di fronte ad un nuovo orientamento (che seppure non vincolante ha un enorme peso nella pratica) che cambia e cambierà in modo radicale il corso e l’esito di moltissimi procedimenti, anche di grande importanza, che, prima della sentenza Cavallo, avrebbero avuto un certo esito, ma che, dopo la stessa, sembrano destinati, almeno in parte, a naufragare con il crollo delle accuse.

Il legislatore, dopo l’adozione di questa decisione della Cassazione, per la verità, ha tentato, un mese dopo, di arginarne le conseguenze, ma per una imperfezione (forse non voluta) del testo normativo, non vi è riuscito poiché, per tutti i processi nati prima dell’entrata in vigore della legge in questione (che è la legge nr 7 del 28.2.2020, entrata in vigore il 1.9.2020) valgono e continuano a valere i principi fissati dalla sentenza Cavallo.

Ma quali sono questi nuovi principi stabiliti dalla Cassazione?

Cerchiamo di spiegarlo in modo piano e semplice partendo da alcuni principi base del nostro sistema processuale; i fini giuristi storceranno la bocca, ma è necessario per chi non ha dimestichezza con le norme processuali.

L’utilizzabilità della prova e le garanzie per l’indagato

Nel nostro ordinamento è sempre valsa una regola fondamentale: quando si emette un qualsiasi provvedimento teso ad acquisire una prova ciò che è importante è che quell’atto, nel momento in cui viene adottato, sia legittimo, cioè rispetti tutti requisiti e le garanzie previste dalla legge. Se non li si rispetta i risultati di quell’atto non potranno, giustamente, essere utilizzati nel processo. Faccio un esempio: quando il PM interroga un indagato, il codice vuole che ne dia avviso al suo difensore affinché questi possa partecipare all’interrogatorio. Se il PM non avvisa il difensore dell’interrogatorio e se questi comunque non vi presenzia, tutto quello che dirà l’indagato in assenza del suo avvocato, sarà inutilizzabile, in primo luogo contro lui stesso. Anche se confesserà i fatti che gli sono contestati ed anche se questi fatti sono gravissimi (omicidi, violenze sessuali, ecc) non se ne potrà tenere conto.

Egualmente, se il PM emetterà un decreto di ispezione e questo sarà illegittimo perché non motivato o privo della indicazione dei reati per cui si procede o perché non seguito dall’avviso al difensore affinché possa partecipare alla ispezione stessa, anche se nel corso dell’ispezione saranno trovate fondamentali tracce del reato, non se ne potrà tenere conto, non potranno usarsi contro l’indagato.

Sono regole ferree poste a tutela e garanzia di chi è sotto processo e che, in qualche misura, hanno il benefico effetto di costringere i Giudici e i PPM a rispettare le regole del gioco senza cercare scorciatoie.

L’estensione del principio per ulteriori reati.

Tuttavia, la nostra tradizione giuridica e normativa, al fianco ed insieme a questo principio di garanzia, ne ha sempre riconosciuto un altro: una volta che l’atto che tende ad acquisire una prova è legittimo e risponde ai requisiti di legge, tutte le prove che, in conseguenza di questo atto, si acquisiscono, sono utilizzabili, anche se riguardano reati diversi da quelli per cui si procedeva. Ci spieghiamo con un esempio: interrogo Tizio nei cui confronti procedo per spaccio di stupefacenti, gli faccio un regolare invito a comparire e ne do’ avviso come per legge al difensore che presenzia all’interrogatorio. Tizio nel corso dell’interrogatorio non solo confessa di avere spacciato droga, ma anche di avere rubato nell’appartamento del suo vicino di casa per comprare la droga. Nel nostro sistema processuale posso utilizzare questa sua confessione anche per dimostrare la responsabilità dell’imputato per il furto in appartamento. E ciò anche se nel momento in cui avevo disposto l’interrogatorio non procedevo per quel reato. Ancora: dispongo in modo legittimo una perquisizione nei confronti di un soggetto indiziato di rapina. Durante la perquisizione trovo però una stamperia di banconote false. Pacifico, e nessuno si è mai sognato di sostenere il contrario, che il PM possa procedere nei confronti dell’indiziato di rapina anche per la detenzione e fabbricazione delle banconote false anche se questo reato non era contemplato nel decreto di perquisizione.

L’equilibrio tra le garanzie processuali e il senso comune della giustizia.

Questi principi, da sempre accettati nel nostro sistema, sono un ragionevole punto di equilibrio, fra garanzie processuali (il provvedimento che dispone la ricerca della prova deve essere legittimo e rispettoso della garanzie individuali, altrimenti le prove acquisite non valgono) ed un valore che spesso viene, ingiustamente, trascurato: il senso comune della giustizia, che vuole che non posso girare la testa dall’altra parte, fare finta che quella stamperia e quelle banconote false non c’erano, solo perché non avevo previsto che ci fossero. Così come non posso fare finta che lo spacciatore non ha confessato di avere rubato nell’appartamento del vicino, anche se l’interrogatorio era stato disposto per procedere in ordine ad un altro fatto.

La sentenza Cavallo e la rottura dell’equilibrio.

Ecco, a nostro sommesso avviso, la Sentenza Cavallo, al di là delle obbiezioni di carattere tecnico che pure gli sono state mosse (ma che tuttavia non è questa la sede per trattare) ha rotto, nella materia delle intercettazioni, questo equilibrio fra rispetto delle forme e senso di giustizia, che, non solo, come appena visto, governa il nostro ordinamento in casi del tutto analoghi, ma che, a nostro avviso, nella applicazione della legge, va sempre perseguito: la giustizia si rende per rispondere alle esigenze degli uomini e non per rispettare teoremi giuridici.

Nel concreto, la Sentenza Cavallo – semplifico per rendere comprensibile la questione – afferma che, se io svolgo legittimamente delle intercettazioni (ricorrendone i presupposti e rispettando le norme di legge) per un certo reato (ad esempio un traffico di rifiuti) e nel corso delle intercettazioni stesse emerge che uno dei trafficanti ha indotto illecitamente una lontana parente anziana e mentalmente debole, a donargli tutti i suoi beni, non potrò procedere per questo nuovo reato (circonvenzione d’incapace) né potrò sequestrare i beni e restituirli alla poveretta, perché quel reato non era originariamente contemplato nel decreto d’intercettazione che autorizzava le attività. Si tratta di casi frequentissimi.

L’incidenza su migliaia di reati.

Migliaia di reati diversi da quelli originariamente previsti sono emersi ed emergono nel corso delle intercettazioni e la Cassazione (salva una serie di eccezioni per i reati gravissimi, ma non per la corruzione, ad esempio, e salvo che non ricorrano certi particolari presupposti) stabilisce che, a fini di prova, quelle conversazioni è come se non ci fossero.

Come si vede, questo principio affermato autorevolmente dalla Cassazione in materia d’intercettazioni, sembra però non in sintonia, se non in antitesi, con quello che, come abbiamo visto, governa l’utilizzazione di tutti gli altri mezzi istruttori, talora anche più invasivi (quali ad esempio le perquisizioni), laddove si acquisiscano prove di reati diversi da quelli per cui si procede.

Dunque, al di là dei tecnicismi (mai, peraltro, come in questo caso controvertibili) nel caso di cui parliamo, il principio affermato dai Supremi Giudici, non sembra rafforzare la fiducia dei cittadini nella giurisdizione, poiché, alla sua stregua, la Giustizia appare vieppiù un abracadabra misterioso, così distante dalla realtà vera ed effettiva, da ignorare, con i suoi tecnicismi, anche i reati che le capita da accertare rispettando tutte le forme e le garanzie di legge.

A quale diritto riferisce la sentenza Cavallo?

Il processo serve ad accertare i fatti rispettando i diritti inviolabili dell’individuo. Per questo deve essere garantita la difesa in tutte le fasi e gradi del giudizio, per questo le accuse formulate devono essere chiare e circostanziate, per questo la difesa ha il diritto di contro-esaminare i testi di accusa e proporre ricorso contro le decisioni che ritiene ingiuste. Ma non ci è chiaro, e probabilmente non è chiaro a molti, a quale diritto dell’uomo corrisponda la pretesa che vengano ignorate prove acquisite nel corso di attività legittime disposte dall’Autorità Giudiziaria.

La legge deve essere uguale per tutti.

Si dice, però, nel dibattito pubblico, da parte di chi polemizza ogni qual volta una indagine tocca certi livelli, che la Sentenza Cavallo impedisce la prassi incivile delle intercettazioni a strascico praticata dai pubblici ministeri. Bisogna darne atto, l’invettiva è ben studiata, è immaginifica e suggestiva e suggerisce nell’ascoltatore l’idea di un PM / pescatore di frodo che si industria all’infinito a sminuzzare, triturare, scandagliare la vita privata altrui fino a che non trova qualcosa. Essa, però, descrive una realtà che non esiste. E non tiene conto di un dato di fatto banale: le intercettazioni richieste dal PM sono, in primo luogo, autorizzate da un Giudice solo se ricorrano i presupposti di legge. Ma soprattutto l’autorizzazione vale solo per un limitato periodo di tempo (molto ridotto, da 15 gg a 40 gg) prorogabile solo se permangono i presupposti delle intercettazioni, vale a dire solo se le intercettazioni svolte hanno prodotto un qualche risultato rilevante. Altrimenti non possono essere prorogate, ma si interrompono. Niente “strascico” quindi. Già ora la legge prevede intercettazioni mirate e puntuali, che durano fino a che le stesse consentono di acquisire elementi di prova utili. Ma non solo. Quelle intercettazioni, sulla base della normativa ora vigente, che eventualmente non avessero prodotto prove di reati, non solo non possono, ovviamente, essere utilizzate nel processo, ma neppure divulgate. La verità, ancora una volta, è che si tratta di polemiche spesso strumentali, fatte sempre in favore dei soliti noti e che, al fondo, hanno di mira, un principio fondamentale, senza il quale amministrare giustizia diviene solo un atto di prepotenza, quello per cui la legge deve essere eguale per tutti.

*Procuratore Capo di Potenza

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/18/cassazione-la-sentenza-cavallo-spunta-le-armi-al-pm-sulluso-delle-intercettazioni/6103226/

Amenità.

 



Governo Draghi | “Né grillino né renziano, resto un anno e poi me ne vado”: intervista a Cingolani. - Luca De Carolis

 

Il colloquio - Il ministro della Transizione ecologica difende il suo istituto: “Un’eccellenza, 5S ricreduti. Il Recovery? Base buona.”

L’uomo su cui Beppe Grillo ha puntato quasi tutto non porta la cravatta e se lo chiami superministro fa una smorfia: “Ma no, che senso ha?”. Eppure Roberto Cingolani, milanese di 59 anni, fisico, farà proprio il ministro alla Transizione ecologica. Cioè dovrà muovere quel dicastero posto come condizione da Grillo a Mario Draghi per dire sì al suo governo. Anche se i dissidenti a 5Stelle, quelli che hanno votato no sulla piattaforma Rousseau, ne contestano l’esistenza: “Il superministero non c’è, rivotiamo”. Cingolani però c’è di sicuro, in una stanza dentro la Camera. E parte dall’urgenza: “Io sono qui innanzitutto per scrivere il Programma nazionale di riforme per il Recovery Plan, ho otto settimane. Ci lavorerò di base con cinque persone, ma ovviamente sentirò tutti gli enti che devo sentire. Dobbiamo lavorare come se dovessimo vincere un premio”. D’accordo, ma il testo che ha trovato è da rifare? “C’è un’ottima base da cui partire. Ma dobbiamo lavorare, la scadenza del 30 aprile è a un passo”.

Deve avere fretta l’ex direttore scientifico dell’Istituto italiano di tecnologia di Genova, già ospite della Leopolda di Matteo Renzi, ora il primo nome nella lista di Beppe Grillo. Lei è così bravo a mutare bandiera, ministro? Cingolani si sistema sulla poltrona: “Io sono un non politico. Semplicemente, andavo dove mi chiamavano per spiegare cosa facesse l’Iit. Sono stato anche alla scuola di politica del centrodestra. Prima di accusarmi di essere un grillino e un renziano mi hanno dato del bossiano e mi hanno tacciato di essere un uomo di Giulio Tremonti, perché è lui ad aver voluto l’Istituto”. Però la Leopolda, lei capisce… “So che alcuni 5Stelle me lo stanno rinfacciando, ma quando tre anni fa ero andato a Ivrea al Sum di Davide Casaleggio, su sua richiesta, quello andava bene?”.

Cingolani, lei avrebbe fatto tutto senza sponsor, senza aiutini? “Sì, esattamente. Su di me e l’Iit hanno fatto 22 interrogazioni parlamentari, la prima nel 2009. Tutte finite nel nulla. Io l’ho diretto per tre mandati: la rivista Nature l’ha inserito tra i 25 migliori enti di ricerca del mondo, avevamo costi bassi e stipendi alti, e i risultati sono stati riconosciuti da tutti i board internazionali”. Va bene, ma Grillo? “Si è presentato qualche anno fa in istituto e ha esordito così: “Ti abbiamo scansionato, sei pulito”. I grillini erano convinti che fossi il Diavolo. Vennero in dieci a vedere cosa facevamo. Dovevano restare un’ora e mezza, se ne sono andati all’ora di cena. Si guardavano attorno e vedevano ragazzi di ogni parte del mondo”. Quindi lei è passato in quota M5S… “Io non sono di nessuno, ma trovo che i 5Stelle abbiano avuto il coraggio di cambiare idea su di me. Grillo l’ho rivisto solo qualche giorno fa”. Ma il suo nome a Draghi l’ha fatto lui…”. Mi hanno avvertito il giorno prima, di venerdì sera. Avevo un ottimo posto da dirigente in Leonardo, ma mi hanno spiegato che ‘l’Italia viene prima di tutto’. Ho accettato, tanto resto un anno, un anno e mezzo, poi me ne vado”. Ma prima cosa vorrebbe fare? Lo sa che all’estero questo ministero alla Transizione non ha funzionato granché, vero?”. Cingolani annuisce: “È vero. Ma il problema del clima non è verticale, non si affronta con un singolo ministero. Serve un disegno poliedrico, come ha detto Draghi. Quindi c’entrano il Mise, l’Innovazione, la Pubblica amministrazione”. Però il gioco dovrebbe condurlo lei. Che deleghe avrà il suo dicastero? Il ministro si risistema sulla poltrona: “Ne stanno ancora discutendo”. Che ha trovato nel ministero dell’Ambiente? Pausa, sorso d’acqua, risposta: “Finora si è esternalizzato troppo. Io voglio lasciare a chi verrà dopo di me una macchina che sappia gestire i soldi e i progetti”.

Ecco: ma lei, i soldi come li gestiva? Quando era presidente dell’Iit ha assegnato fondi per 3,5 milioni al Laboratorio di nanotecnologie di Lecce , diretto dalla sua prima moglie. Cingolani si sistema gli occhiali, ma non s’infuria: “Io non rispondo mai, ma a passare da disonesto non ci sto. La storia è un’altra: agli inizi dell’Iit, quando era nel triennio in cui lo stavamo costruendo, dovevamo partire con dei progetti. Li elaborai io, ma a valutarli è stato un Comitato scientifico internazionale, che poi ha girato i suoi giudizi al Cda dell’istituto. E a firmare tutto è stato il direttore generale. Poi quei soldi non sono andati a quella che era già la mia ex moglie, perché al tempo eravamo già divorziati. Erano risorse destinate al laboratorio, punto”. Ma lei era il direttore scientifico dell’Iit… “Il progetto era sulle nanotecnologie, e i centri attrezzati erano a Lecce e alla Normale di Pisa. Si figuri se dovevo favorire qualcuno”. Cingolani si alza. “Devo fare la seconda riunione sul Pnr, ho un sacco di lavoro. Ma come facevo a dire di no?”. Fuori la Camera, il voto di fiducia. “Ma tanto io resterò per quanto serve” sorride.

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Dibba, Lezzi, Morra e Casaleggio: guerra per prendersi il M5S. - Paola Zanca

 

Espulsi quelli del No.

Ad andare via, a fare la scissione, non ci pensano neanche. Perché il Movimento, l’originale, sono loro. Lo ripetono allo sfinimento, i “big” finiti nel calderone dei 15 espulsi ieri, dopo aver votato no alla fiducia al governo Draghi. Barbara Lezzi e Nicola Morra soprattutto, ma anche Vilma Moronese, Matteo Mantero: colonne dei 5 Stelle, i primi a entrare in Parlamento nel 2013, gli “amici di Beppe Grillo”, come si chiamavano una volta: solo che loro lo erano davvero. E pure Elio Lannutti, uno dei pochi che poteva ancora vantare il filo diretto con Genova. Ma adesso lui, il Garante che ha scelto di fidarsi dell’ex capo della Bce, li chiama “marziani” e dice che il M5S non è più quella roba lì. Così, mentre il suo blog seguiva in diretta l’arrivo su Marte del “rover” della Nasa chiamato Perseverance, a 470 milioni di chilometri di distanza, nell’aula di Montecitorio un’altra pattuglia di 16 eletti Cinque Stelle voltava le spalle alla “sfida” in cui il grosso del partito ha deciso di imbarcarsi.

Anche loro votano “no”, incuranti dell’“avvertimento” che è arrivato ieri mattina con l’espulsione di chi – secondo lo Statuto M5S e il regolamento del gruppo – non ha rispettato l’esito della votazione su Rousseau, finita 60 a 40 per chi sceglieva di turarsi il naso. Ma Morra, Lezzi e gli altri non vogliono accettare il verdetto: lo considerano illegittimo, perché è firmato da quel Vito Crimi che non sarebbe più in carica come reggente; contestano il quesito su cui era basata la consultazione (si parlava di un super-ministero che non è nato); ritengono che il vincolo riguardi il voto di fiducia a un presidente del Consiglio incaricato dal Movimento. Credono, insomma, che dire no a Draghi e all’ingresso in una maggioranza dove siede anche Silvio Berlusconi, sia assolutamente in linea con i principi che dovrebbero muovere l’azione dei portavoce 5Stelle in Parlamento. E dalla loro hanno Davide Casaleggio, il primo a dire – subito contraddetto dal Garante – che la reggenza di Crimi sia bella che finita. E pure Alessandro Di Battista, che da qualche giorno “non parla più a nome del Movimento”, ma parla, eccome, e si mette alla guida dell’opposizione.

Per la loro battaglia in tribunale, si sono rivolti a Lorenzo Borrè, lo storico avvocato dei dissidenti grillini, che da anni segue le cause di quelli che – anche Lezzi, Morra &C. – hanno ripetutamente cacciato via per le ragioni più varie, tra cui i voti in dissenso rispetto alle indicazioni del gruppo. Lo ricordano, quelli che ieri hanno detto sì, pur controvoglia: “Molti di noi si sono adeguati, c’è gente che ha pianto in aula! Sapevamo che questa roba non sarebbe stata indolore, ma le regole sono sempre valse per tutti e abbiamo sempre ripetuto quel che diceva Gianroberto: ‘Ogni volta che deroghi a una regola praticamente la cancelli’”. Il proverbio grillino, va detto, ormai suona parecchio datato: è il paradosso del Movimento che ora si ritrova a cacciare chi fa quello che tutti si aspettavano facesse. Ma è evidente che in questa partita, oltre al fortissimo richiamo di Grillo, ha giocato anche quella forma di “assuefazione” al potere, costruita nei 30 mesi passati al governo e riassumibile così: “Si stanno scannando per chi deve fare il sottosegretario, figurati se pensano ai ricorsi contro le espulsioni”.

La verità è che sperano che se ne vadano e sognano l’irrilevanza a cui verrebbero condannati una volta persa la vetrina Cinque Stelle. Ma solo qualcuno – vedi Mattia Crucioli – crede che la strada del nuovo gruppo sia quella da percorrere. Certo, si è studiata anche quella (c’è il simbolo “in sonno” dell’Italia dei Valori) ma nessuno sta lavorando in quella direzione: restare dentro, questo è l’obiettivo. Per potersi godere da vicino l’effetto che farà vedere gli altri costretti ad ammettere di aver sbagliato. Lezzi addirittura annuncia di volersi candidare a uno dei posti previsti dal nuovo organo collegiale che guiderà il Movimento. Sempre che a quel punto sia rimasto qualcosa da guidare.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/19/dibba-lezzi-morra-e-casaleggio-guerra-per-prendersi-il-m5s/6106535/

Movimento 5Sedie. - Marco Travaglio

 

Spunti per il nuovo spettacolo di Grillo. Belìn, c’era una volta un comico che capiva tutto prima degli altri. Tipo che la politica era marcia, la finanza anche peggio e la stampa teneva il sacco a entrambe. Così cominciò a informare la gente nei suoi show (chi ci andava scoprì che la Parmalat era fallita ben prima della Consob e dei pm). E fondò il Movimento 5 Stelle: tutti risero, poi piansero, poi passarono agli insulti, ai corteggiamenti e infine alle alleanze. E gli “scappati di casa”, in tre anni, trovarono un premier più che degno e portarono a casa quasi tutte le loro bandiere prima che il Matteo maior e il Matteo minor buttassero giù i loro due governi per liberarsi di loro. Nel momento del massimo trionfo, anziché rendersi prezioso e vendere cara la pelle, Grillo sbarellò. Scambiò per “grillino” Draghi, che a suo tempo chiamava “Dracula” e voleva “processare per Mps”. E spinse i grillini quelli veri ad arrenderglisi senza condizioni, in nome di un superministero-supercazzola alla Transizione Ecologica che doveva inglobare Ambiente e Sviluppo economico. Su quella promessa fece votare gli iscritti con un quesito che diceva mirabilie del Sì, nulla del No e non prevedeva l’astensione. Quelli si fidarono di lui, unico ammesso al cospetto di SuperMario, e dissero Sì al 60%. Poi scoprirono che era una battuta (quella di Draghi): il superministero era mini, per giunta diretto da un renziano per giunta indicato da Grillo; e il Mise, lungi dallo scomparire, passava semplicemente da Patuanelli a Giorgetti, noto ambientalista padano (vedi trivelle, Tav, Terzo Valico e altre colate di cemento).

Molti iscritti gabbati chiesero di rivotare, ma furono narcotizzati con altre supercazzole: “i ragazzi del 2099”, “la sonda Perseverance atterra su Marte e la Perseveranza atterra alla Camera”, “i Grillini non sono più marziani”. E i loro “portavoce” andarono al patibolo fornendo la corda al boia e dandogli pure la mancia. Donarono sangue e organi all’ex Dracula, che li liquidò con quattro perline colorate (Esteri, Agricoltura, Giovani, Rapporti col Parlamento), trattandoli peggio dei partiti con metà o un quarto dei seggi. I parlamentari coerenti col giuramento fatto agli elettori “mai con B.” votarono contro o si astennero, ma, anziché essere rispettati come minoranza interna, furono espulsi da chi era andato al governo con B. (già “testa d’asfalto”, “psiconano”, “psicopedonano”), col Matteo maior (già “pugnalatore dell’Italia da mandare a lavorare a calci”) e col Matteo minor (già “ebetino” e “minorato morale”). “Belìn”, ridacchiò il comico, “è il mondo alla rovescia! È come se Ario, Lutero e fra’ Dolcino avessero scomunicato il Papa! Lo dicevo io che ne resterà uno solo: io!”. Applausi. The end.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/19/movimento-5sedie/6106532/

Perseverance su Marte, la sonda della Nasa “ammarta”. L’emozione degli scienziati e la prima foto con un tweet: “Hello, world”.

Quella di Perseverance è un'impresa più importante di quanto si pensi. Appena il 40% dei veicoli che finora hanno tentato di posarsi sul suolo marziano ha infatti raggiunto l’obiettivo.

Un momento atteso da mesi. L’ammartaggio della sonda Perseverance sul suolo del Pianeta rosso. Un’emozione enorme e qualche lacrima per gli scienziati della Nasa ricevere, a sette minuti dall’atterraggio, da Marte il segnale che era andato tutto liscio. Ora la sonda e il mini elicottero Ingenuity potranno cominciare la loro missione: andare a cercare la vita in uno dei luoghi più suggestivi del pianeta, il cratere Jazero, il bacino di un antichissimo lago che potrebbe conservare tracce di vita passata. Dal Pianeta rosso sono già arrivate le prime immagini.

 

La missione Mars 2020 della Nasa è questa. Quella di Perseverance è un’impresa più importante di quanto si pensi. Appena il 40% dei veicoli che finora hanno tentato di posarsi sul suolo marziano ha infatti raggiunto l’obiettivo. Il cratere che la sonda dovrà esplorare si è formato miliardi di anni fa, forse in conseguenza dell’impatto di un asteroide, poi riempito d’acqua ed è diventato un lago profondo circa 500 metri, per poi diventare arido quando il clima su Marte è cambiato.

Perseverance è diventato il quinto rover della Nasa a muovere le sue ruote su Marte, dopo il Sojourner arrivato nel 1997 con la missione Mars Pathfinder e che funzionò meno di tre mesi, i rover gemelli Spirit e Opportunity, della missione Mars Exploration Rover arrivati nel gennaio 2014 e attivi rispettivamente per sei e quasi 15 anni, Curiosity, arrivato con la missione Mars Science Laboratory il 6 agosto 2012 e ancora attivo. Lanciata il 30 giugno 2020, la missione Mars 2020 del Jet Propulsion Laboratory della Nasa ha percorso quasi 3,9 milioni di chilometri in poco più sette mesi ed è la terza a raggiungere Marte nell’arco di dieci giorni, dopo la missione Hope degli Emirati Arabi e la Tianwen-1 della Cina. Delle tre missioni è però la prima a rilasciare un rover sul suolo marziano, considerando che l’altra missione programmata per farlo, la Tianwen-1, lo farà solo in maggio.

Per due anni il rover setaccerà il suolo per raccogliere i primi campioni destinati a essere portati sulla Terra. La missione Mars 2020 segna infatti l’avvio del programma Mars Sample Return (Msr), di Nasa e Agenzia Spaziale Europea (Esa) e al quale l’industria italiana contribuisce con il gruppo Leonardo. I campioni raccolti da Perseverance, grazie a un trapano installato, saranno inseriti in contenitori e depositati in luoghi precisi; il recupero è affidato alla missione prevista nel 2026 e nel 2031 un’altra missione dovrà portarli a Terra. Perseverance possiede un intero set di strumenti scientifici nuovi – dai microfoni, che ci permetteranno per la prima volta di ascoltare i suoni di Marte, al primo elicottero marziano, Ingenuity – tra cui uno strumento italiano: il microriflettore LaRA (Laser Retroreflector Array), realizzato dall’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) per conto dell’Agenzia Spaziale Italiana. LaRA consentirà di aggiungere tasselli importanti alla conoscenza della struttura interna del pianeta. A bordo del rover anche alcuni dispositivi dimostrativi, le cui tecnologie sono state ideate nella prospettiva della futura esplorazione umana di Marte.

"Cercheremo tracce di vita su Marte e il rover Perseverance sarà capace di cercare queste tracce. Il mio ruolo sarà aiutare nell’interpretazione dei dati degli strumenti a bordo del rover e di comprendere se ci sono i ‘segnali’ di vita” dice la ricercatrice Teresa Fornaro dell’Inaf di Firenze, una dei tredici “Mars 2020 participating scientists” nel mondo. Parlando nel corso della diretta di RaiNews24 per l’ammartaggio Fornaro ha spiegato che “è molto plausibile che si siano sviluppate forme di vita unicellulari su Marte come avvenuto, durante lo stesso periodo, sulla Terra. Non ci aspettiamo che queste forme di vita si siano evolute come accaduto sulla Terra perché Marte si è rapidamente spento e la radiazione ha spazzato via tutto. Non ci aspettiamo che la vita si sia evoluta su Marte – ha spiegato ancora Fornaro- ma che ci siano stati microrganismi unicellulari potrebbe essere e noi ci aspettiamo di trovare queste tracce”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/02/18/perseverance-su-marte-la-sonda-nasa-ammarta-lemozione-degli-scienziati-della-nasa/6106480/