giovedì 24 giugno 2021

I segreti del Conticidio, da oggi il nuovo libro di Marco Travaglio. L’estratto – Nel 2019 la Lega sapeva: “Renzi lo farà cadere” (audio). - Marco Travaglio (29.5.2021)

 

Il colloquio riservato tra il banchiere e l’ex leader Ds. E l’audio del leghista Grimoldi 1 mese dopo il Conte-2.

21 ottobre 2019, interno giorno. Siamo a Milano, nella Sala Commissioni del “Pirellone”, sede del Consiglio regionale della Lombardia. Paolo Grimoldi, deputato della Lega, segretario della Lega Lombarda e fedelissimo di Salvini, riunisce un gruppo di consiglieri regionali del partito e li aggiorna sulla situazione politica nazionale. Non sa che in quella sala tutte le conversazioni sono registrate. Il Carroccio ha perso il potere da due mesi e mezzo, dopo la crisi del Papeete e la nascita del Conte-2, propiziata paradossalmente proprio da Renzi. Il governo giallorosa ha giurato il 5 settembre.

Ma già il 17, dodici giorni dopo, il Rignanese ha mollato il Pd con una quarantina di parlamentari e si è fatto un partitino tutto suo, per ricominciare a manovrare contro il suo governo. Vuole rovesciarlo a fine anno, subito dopo la legge di Bilancio. E con chi fa sponda? Proprio con il Matteo leghista, grazie anche alla mediazione del paraninfo Denis Verdini, il plurimputato ex capatàz forzista in procinto di finire in galera, direttore editoriale del gruppo Angelucci, quasi suocero di Salvini (la figlia Francesca è la fidanzata di Matteo), nonché conterraneo e amico di Renzi fin dai tempi in cui questi era sindaco di Firenze, nonché coimputato di Tiziano Renzi nel processo Consip per traffico di influenze e turbativa d’asta.

I segreti del Conticidio - L'AUDIO
Volume 90%
 
I due Matteo s’incontrano, si parlano in gran segreto e mettono a punto il timing dell’agguato a Conte per l’inizio del 2020, mentre in pubblico fingono di attaccarsi un giorno sì e l’altro pure. Il 15 ottobre Renzi sfida addirittura Salvini a Porta a Porta e l’altro accetta: 90 minuti di botte da orbi arbitrati da Bruno Vespa.

Ma è tutta scena. Che cosa bolle davvero nel loro pentolone lo rivela l’onorevole Grimoldi ai consiglieri leghisti esattamente sei giorni dopo: “Che cosa volevo dirvi di politicamente rilevante? Che riteniamo che Conte abbia i giorni contati. Questo non vuol dire che riusciremo ad andare a votare come vogliamo. Ma molto probabilmente, dopo la legge di Stabilità, Renzi in testa ma non solo Renzi andranno a batter cassa per avere ulteriori spazi politici”.

Sono informazioni riservate, di cui non c’è traccia sui giornali. Il governo è nato da un mese e mezzo e nessuno immagina che, al netto di qualche scaramuccia fra 5 Stelle e Pd da una parte e Iv dall’altra sulle tasse “green”, sia già agli sgoccioli. Evidentemente Grimoldi ha saputo tutto da Salvini o dai pochi altri ammessi al suo inner circle. Il deputato spiega il movente che spinge Renzi a liberarsi del premier: “Molto probabilmente Conte verrà sacrificato sull’altare degli interessi di chi tiene in piedi questo governo e vuole avere spazio politico, cosa che non mi dispiace assolutamente, anzi, però tant’è”.

In pratica Renzi – forte del controllo ferreo sui gruppi parlamentari del Pd, dove il neosegretario Nicola Zingaretti è in minoranza – prima sventa le elezioni anticipate con il Conte-2; e poi lavora per affossarlo e creare un altro governo, con un premier diverso (meno popolare e meno “grillino”) e una coalizione di larghe intese che gli consenta di giocare di sponda con gli amici di Forza Italia e della Lega. Un disegno che ha subito condiviso con Salvini: altrimenti Grimoldi non lo conoscerebbe fin nei minimi dettagli. Eccoli.

“Che cosa vogliono fare? È ovvio che Renzi, dall’alto del suo 3, 4 o 5 per cento, nonostante riesca a occupare mediaticamente ampi spazi, vuole rappresentare quell’area di persone normali… (mormorii in sala: qualcuno fa notare che a fregare la Lega è stato proprio Renzi, ndr). Sì, Renzi nemico numero 1! Però all’interno di questa maggioranza non gli riesce difficile cercare di apparire come quello più normale. Se gli altri parlano dei pesci rossi, di dare il carcere se sbagli una fattura, di mettere la tassa sulle merendine o sulle bibite zuccherate, nel momento in cui lui fa una battaglia normale per dire che vuole difendere le partite Iva e non vuole aumentare le tasse, sembra un genio all’interno di questa maggioranza”.

Altro che nemico numero 1: Renzi è la sponda ideale per la Lega, per esempio contro le tasse “green” che tanto allarmano Confindustria e i padroni padani. Lui sì che, nell’ottica leghista, è “normale”. E poi è un ottimo piede di porco per scardinare il governo. La Lega non otterrà le elezioni anticipate, ma il taxi Rignano-1 lo riporterà al potere. Ancora Grimoldi: “Zingaretti è in seria difficoltà, perché i gruppi parlamentari del Pd sono rimasti tali semplicemente perché Renzi gli ha detto di rimanere nel Pd. A cominciare dal capogruppo al Senato (Andrea Marcucci, ndr), ma anche alla Camera ne abbiamo diversi. Questi… lui l’ha già detto, lo abbiamo sentito ieri (incomprensibile, ndr)… non fa segreto che da qui alla fine dell’anno i gruppi di Italia Viva aumenteranno ampiamente: lui adesso sta cercando di fare campagna acquisti in Forza Italia e nei 5 Stelle. Col nuovo anno ne farà tornare all’ovile non pochi invece dal Pd, che sono lì momentaneamente congelati”.

Quindi Renzi ha detto a Salvini di tenersi pronto, perché a gennaio richiamerà le sue quinte colonne parcheggiate nel Pd, a partire dal capogruppo al Senato Marcucci, e sferrerà l’offensiva finale: “Si giocherà la partita per mettere un presidente del Consiglio quantomeno che a lui vada bene, e ovviamente si giocherà la partita per il presidente della Repubblica”.

Così la Lega non solo potrà rimettere piede al governo, uscendo dall’astinenza da potere cui l’ha condannata l’improvvida crisi del Papeete, ma parteciperà anche alla scelta del nuovo capo dello Stato. Che, grazie a Renzi, non sarà più appannaggio della maggioranza giallorosa a trazione 5 Stelle. Ma di una grande ammucchiata a trazione centrodestra. Poi ci si mette di mezzo il Covid-19, il piano dei due Matteo viene congelato e il Conticidio accantonato per cause di forza maggiore. Ma è solo rinviato di un anno.

Voi capite, cari lettori, quanto è difficile credere che il Conte-2 sia caduto da solo perché aveva fallito, visto che i due Matteo avevano già deciso di pugnalarlo appena nato nella culla?

ILFQ

Recovery plan: cosa si aspetta Bruxelles dall’Italia in cambio dei 190 miliardi. - Beda Romano

 

Il NextGenerationEU prevede esborsi sulla base dei risultati ottenuti, non dei progetti di spesa.

È un pacchetto di riforme e investimenti a dir poco impegnativo quello approvato martedì 22 giugno dalla Commissione europea chiamata a dare il suo benestare al piano italiano di rilancio economico. Oltre a una quota di prefinanziamento di 25 miliardi di euro attesa già in luglio, il paese sarà chiamato a una marcia forzata, con una serie di impegni nella seconda parte dell'anno ed esborsi pari a un totale di oltre 20 miliardi di euro in sussidi e prestiti.

Concretamente, l'esecutivo comunitario ha approvato una decisione attuativa che deve essere ora fatta propria dal Consiglio entro un mese, per poi entrare ufficialmente in vigore. Il piano preparato dal governo Draghi e approvato da Bruxelles prevede 190 misure, di cui 58 riforme e 132 investimenti. In tutto è composto da 525 pietre miliari e obiettivi specifici. A differenza della politica di coesione, il NextGenerationEU prevede esborsi sulla base dei risultati ottenuti, non dei progetti di spesa.

Progetto senza precedenti.

Quest'ultimo è un pilastro nella storia comunitaria. Per la prima volta, i Ventisette hanno dato mandato alla Commissione di raccogliere denaro sui mercati (750 miliardi di euro) da distribuire ai paesi membri in modo da rilanciare l'economia dopo la pandemia virale. «Il piano dell’Italia darà un impulso strutturale alla crescita economica e aiuterà a ridurre le differenze sociali e regionali», ha commentato il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis.

Dal nuovo Fondo per la Ripresa, l'Italia ha diritto ad ottenere quasi 70 miliardi di euro in sussidi e oltre 120 miliardi di euro in prestiti. Il 37,5% del denaro sarà speso in ambito ambientale, il 25,1% nella transizione digitale.

Fondi a tappe.

Presentando il pacchetto qui a Bruxelles, funzionari comunitari hanno precisato che il 40% del denaro andrà al Sud Italia, da qui al 2026. La quota di prefinanziamento del 13% del totale tra sussidi e prestiti verrà versata possibilmente già in luglio.Questa quota vale per l'Italia poco meno di 25 miliardi di euro (ossia 9 miliardi di sussidi e 15,9 miliardi di prestiti). Verrà quindi successivamente formalmente allocata pro rata lungo tutto il periodo (2021-2026) entro il quale il Fondo distribuirà denaro. Oltre alla quota di prefinanziamento, nel corso del secondo semestre del 2021 l'Italia dovrebbe ricevere altri 10 miliardi di euro in sussidi e altri 11 miliardi di prestiti sulla base di 51 pietre miliari, ossia progetti o riforme.

Gli investimenti verdi.

In campo ambientale, il piano approvato dalla Commissione europea prevede 12,1 miliardi nell'efficienza energetica degli immobili; 32,1 miliardi nella mobilità sostenibile; 18 miliardi nell'energia rinnovabile; 3,6 miliardi nelle reti intelligenti. Sul fronte dei trasporti, il governo italiano si è impegnato nel modernizzare 38 stazioni ferroviarie, nel costruire 365 chilometri di piste ciclabili e oltre 500 chilometri di rete ferroviaria ad alta velocità.

E quelli nel digitale.

In campo digitale, gli investimenti più importanti sono nella digitalizzazione della pubblica amministrazione (6,1 miliardi di euro), nella rete 5G (6,7 miliardi di euro) e nella modernizzazione della giustizia. Quest'ultima riforma deve essere approvata entro fine anno. Prevede obiettivi temporali per ridurre la durate dei processi, un investimento nella digitalizzazione (pari a 1,0 miliardo di euro) e riforme per rendere il sistema giudiziario più efficiente (2,3 miliardi di euro).

Gli interventi in campo sociale.

Infine, nel campo sociale, il piano approvato da Bruxelles ambisce a investire 15,6 miliardi nella sanità, nella telemedicina e nelle case di riposo. Altri 26 miliardi di euro dovrebbero andare all'istruzione – dagli asili all'università – e nel mercato del lavoro. Infine, 13,2 miliardi di euro dovrebbero essere investiti nella coesione sociale e regionale, in particolare nelle regioni meridionali. L'Italia è tra i paesi dove la disoccupazione è tra le più elevate. Sempre secondo l'esecutivo comunitario, i soli investimenti previsti dal NextGenerationEU dovrebbero contribuire all'aumento del prodotto interno lordo italiano per un totale di 1,5-2,5% entro il 2026. La stima della Commissione europea esclude tuttavia le riforme economiche che potrebbero anch'esse aiutare a rendere più dinamico il paese. Il governo italiano appare essere in generale più ottimista della Commissione in questo frangente.

IlSole24Ore

Incapace. L’insulto ripetuto migliaia di volte per offendere, per colpire personalmente l’avversario. - Virginia Raggi

 

Me lo hanno ripetuto i politici di professione che, codardamente, di fronte ad una querela poi usano lo scudo dell’immunità parlamentare; me lo hanno urlato i Casamonica quando ho abbattuto le loro villette abusive dopo 30 anni di silenzio e collusione del vecchio sistema; me lo dice normalmente chi non ha argomentazioni.

Questa mattina al coro si è unito anche il giornale di Caltagirone: non una critica ma il solito insulto personale: fiumi di parole inutili, coperte da un titolone a effetto. Perché la cosa importante sono i titoli….
Proprio tre anni fa, il giornale di una parte dei romani titolò a tutta pagina su una presunta inchiesta nei miei confronti a Civitavecchia. Era il giorno del voto per le elezioni comunali: in questi giorni, i giornali festeggiano tre anni da quel titolo a orologeria.
La notizia era ovviamente destituita di fondamento ma non ci fu lo stesso titolo a tutta pagina per chiedere scusa ai lettori e alla sottoscritta.
Le critiche sono sempre giuste e servono a migliorarsi ma se fatte in buona fede. E, permettetemi, il dubbio c’è. I problemi a Roma hanno radici profonde. Io affronto le difficoltà e provo a superarle. La mia colpa, e ne vado fiera, è non essermi mai seduta nei vecchi salotti impolverati del potere.
Io preferisco le periferie delle persone come me, quelle degradate e abbandonate dove l’amministrazione finora non era mai stata presente.
Non sono scesa a patti con i potenti ma difendo la mia città sempre e comunque.
Altro che incapace. Io sono determinata.
Determinata a cambiare la mia città, a dare voce a chi non l'ha mai avuta e a lottare per chi è sempre stato abbandonato e disprezzato da quei “capaci” che hanno azzannato Roma e l'hanno messa in ginocchio.
Nessuno ha detto che sarebbe stato facile. Ma che avremmo invertito la rotta. E lo stiamo facendo.
Lentamente stiamo abbattendo quel muro di ipocrisia che per anni ha coperto il malaffare e la corruzione della capitale d'Italia.
Ma perché nessuno mai ha abbattuto le villette dei Casamonica chiudendo gli occhi di fronte all’illegalità?
Perché nessuno si è indignato quando hanno dato alle fiamme uno dei quattro impianti che gestiva il 25% dei rifiuti di Roma?
Perché fino all’arrivo di questa amministrazione non è mai stato imposto un contratto a Cerroni per la raccolta dei rifiuti?
Perché tutti hanno taciuto quando Atac con “parentopoli” assumeva gli “amici degli amici” indebitandosi per oltre un miliardo di euro?
Perché nessuno ha mai mostrato le strade nuove che abbiamo rifatto in questi tre anni?
Perché nessuno ha mai parlato della nostra lotta agli ‘scrocconi’, quelli che occupano abusivamente e senza titolo le case popolari impedendo alle persone che ne hanno bisogno di usufruire di un proprio diritto?
Perché nessuno ha mai fatto riferimento alle oltre 1.200 case popolari che questa Amministrazione ha assegnato ai più fragili?
Perché nessuno ha mai voluto raccontare le centinaia di milioni di euro stanziati per le politiche sociali e per le attività rivolte alle persone con disabilità (come il trasporto a loro dedicato il cui stanziamento annuale è stato raddoppiato), cosa mai fatta prima?
Perché nessuno ha mai detto qualcosa quando per decenni non è stata fatta la manutenzione alle linee della metropolitana o non sono stati acquistati gli autobus?
Perché hanno aperto i campi rom e lucrato sulla pelle degli abitanti degli stessi campi e dei quartieri vicini?
Forse tutto questo faceva comodo a qualcuno. Io mi oppongo e mi sono opposta a questo sistema.
Altro che incapace. Sono determinata, ancora più determinata di prima. Roma la difenderò a spada tratta perché la amo.

Virginia Raggi su FB

Favori ai politici, maxi-inchiesta in Sicilia. Così Girgenti Acque finanziava Miccichè. - Saul Caia

 

Hotel, viaggi e persino i biglietti per la finale di Champions League del maggio 2017 a Cardiff tra Juventus e Real Madrid. A beneficiarne era Gianfranco Miccichè, presidente dell’Assemblea regionale siciliana, pupillo di Silvio Berlusconi e uomo di punta di Forza Italia nell’isola, sotto accusa per finanziamento illecito al partito nell’ordinanza emessa ieri dalla Procura di Agrigento che ha portato a otto arresti. A pagare era la Girgenti Acque, concessionaria del servizio idrico di Agrigento, presieduta da Marco Campione. Per gli inquirenti, l’imprenditore si sarebbe mosso con “grande abilità e spregiudicatezza”, tessendo rapporti con “politici anche di livello nazionale” e sarebbe il promotore dell’associazione per delinquere tra 84 persone che avrebbero commesso reati contro la Pubblica amministrazione.

Tra questi, artifici contabili per occultare irregolarità economiche, assenza di depurazione delle acque, truffe nelle tariffe. Ma anche assunzioni segnalate da “politici e funzionari pubblici”, tra cui Angelo Alfano (non indagato), padre dell’ex ministro Angelino Alfano, che avrebbe chiesto a Campione di assumere persone a lui vicine. Girgenti Acque finanziò con 5 mila euro la campagna di Miccichè per le Regionali 2017, che ne raccolse altri 20 mila da Campione Industries (riconducibile a Campione) e 25 mila da Hydrotecne, società collegata alla Girgenti.

L’ultima somma però non risulta iscritta a bilancio, da qui l’accusa di finanziamento illecito. Nell’indagine è finito pure il deputato di Italia Viva, Francesco Scoma, all’epoca in Forza Italia e mandatario della campagna elettorale di Miccichè (nella foto LaPresse): per gli inquirenti avrebbe attestato un contributo di 5 mila euro, ma in realtà erano 8 mila. Miccichè, scrivono i magistrati, avrebbe “tentato di ricambiare” i favori della Girgenti Acque facendo “di tutto per candidare Campione alla Camera” nel 2018. Ma durante la stesura delle liste emersero le indagini su Campione. “Un po’ di difficoltà ci sono, ma non per il Collegio, che è libero, e non so chi metterci se non metto te”, diceva Miccichè al telefono a Campione, al quale spiegava che “gli alleati” non erano disposti a “fare tutta la campagna elettorale sugli impresentabili”. La candidatura di Campione poi saltò. Tra gli indagati anche Giovanni Pitruzzella, ex presidente dell’Antitrust e oggi avvocato generale della Corte di giustizia Ue.

ILFQ.

“Se Grillo non è d’accordo mi ritiro, senza fare partiti”. - Luca De Carolis e Paola Zanca

 

In Senato aveva programmato da giorni un incontro con la candidata giallorosa in Calabria, Maria Antonietta Ventura. Ma Giuseppe Conte ha “colto l’occasione” per incontrare anche i senatori dei 5 Stelle, divisi per commissione, e per confrontarsi con loro sulla faticosa gestazione del nuovo Movimento, che – dopo il divorzio da Davide Casaleggio – ora sta cercando la strada della convivenza pacifica con l’ingombrante fondatore in partenza da Genova. Ha voluto giocare d’anticipo, l’ex premier aspirante capo: perché oggi, a Roma, arriverà Beppe Grillo per incontrare tutti gli eletti M5S. Ha scelto di venire di persona, non di scrivere un post sul blog. E se l’incontro “in presenza”, da una parte, garantisce di essere meno tranchant di qualunque messaggio dato in pasto alla Rete, dall’altro – per il leader in pectore – sarebbe stato un rischio troppo alto lasciare solo a lui la possibilità di “arringare” i gruppi sulle novità dello Statuto. Perché va bene che i rapporti sono “cordiali” e che “nessuna guerra è in corso” – come ha ripetuto ieri Conte ai senatori – ma è pur sempre un rapporto impari quello che vede contrapposti lui, arrivato al vertice del Movimento soltanto tre anni fa, e “Beppe” che di fatto è colui che tutti devono sempre ringraziare se stanno dove stanno.

Il richiamo della foresta, insomma, Conte ha provato a fermarlo sul nascere, anche incontrando un ristretto gruppo di deputati, ieri sera. E ha chiarito per prima cosa a tutti che non ha intenzione di mettere in piedi liste, che non ha nessun partito nel cassetto, consapevole che la “minaccia” che era circolata nei giorni scorsi poteva finire solo per irritare gli eletti che stanno aspettando il suo arrivo. “Il mio progetto è qui – ha spiegato a Palazzo Madama – non ci penso proprio a fare altro: ma io sono venuto per cambiare e il garante deve essere convinto, altrimenti faccio un passo indietro”. E cambiamento significa, nello specifico, rivedere il rapporto tra capo politico e garante, ovvero tra lui e Grillo. Una convivenza “senza accavallamenti”, ha spiegato, “altrimenti non potrei accettare”. Torna a ventilare il passo indietro, l’ex premier, per chiarire a tutti qual è la posta in gioco. “È necessaria una separazione delle filiere – è il senso del suo ragionamento – Al capo politico spetta la titolarità della linea politica, il garante sarà invece il custode dei valori”. Tutti, nel Movimento, sono consapevoli che il “totem” di Grillo non si possa toccare e che sia necessario preservare “una collocazione che lo rappresenti”: “È la nostra storia – ripetono – Giuseppe deve capirlo”. Ma è lo stesso Conte, raccontano, ad avere ben chiaro il concetto. Al punto che, nel nuovo statuto, sarebbe mantenuto intatto il potere di revoca del capo politico che è attualmente nelle mani del garante. Ma ammette pure che “i desideri sono tanti”, che è un modo per dire che – nella trattativa – Grillo avrebbe alzato la posta un po’ troppo in alto, a partire dai poteri sulla comunicazione che avrebbe voluto avocare a sé.

La mediazione, secondo Conte e i suoi fedelissimi, si troverà. Già ieri, i due si sono sentiti al telefono. Ma molto dipenderà dai toni del faccia a faccia che “Beppe” avrà con deputati e senatori oggi pomeriggio. “Se viene, ci vedremo sicuramente”, ha detto l’ex premier: vada come vada, comunque oggi qualcosa si chiude.

ILFQ

Un bivacco di turiboli. - Marco Travaglio

 

In attesa del ritorno delle pagine estive del Fatto col cruciverba politico e gli altri giochi, ve ne propongo uno irresistibile: tradurre in italiano i titoli dei giornaloni. Per azzeccare la risposta esatta, basta rovesciarli. L’altroieri Repubblica titolava “Draghi e Merkel, intesa sui migranti”. Ovviamente il titolo andava letto così: “Draghi e Merkel, nessuna intesa sui migranti” (a parte gli altri 8 miliardi regalati a Erdogan, che evidentemente ha smesso di essere un “dittatore”). Ieri il Corriere apriva sull’anatema vaticano: “Legge Zan, interviene Draghi”. Ma il titolo andava letto così: “Legge Zan, non interviene Draghi”. Infatti l’altroieri, alla domanda di un giornalista sfuggito al controllo dei suoi portavoce, il premier aveva evitato di rispondere, promettendo che l’avrebbe fatto l’indomani in Parlamento. Cioè ieri (sei giorni dopo aver saputo la cosa). Quindi, al massimo, il titolo avrebbe dovuto essere: “Legge Zan, interverrà Draghi”.

Ieri in effetti Draghi è intervenuto alla Camera. Ma, oltre a dimenticarsi il nome del premier che ha procurato all’Italia i miliardi del Recovery, s’è scordato di rispondere al Vaticano (l’unica carica dello Stato a farlo è stato il presidente della Camera Roberto Fico: “Il Parlamento è sovrano e non accetta ingerenze”). Anche perché tutti i parlamentari, di maggioranza e di cosiddetta opposizione, erano talmente impegnati a leccarlo whatever it takes da dimenticarsi di sollevare la questione. Dimenticarsi si fa per dire, visto che da Palazzo Chigi avevano raccomandato loro di astenersene. Cioè di rinunciare alla loro unica ragione di esistenza in vita: il controllo sul governo. E l’aula sorda e grigia, spontaneamente ridottasi a bivacco di manipoli, anzi di turiboli, ha prontamente obbedito, evitando di disturbare il manovratore. Con la sola eccezione di Fratoianni, che ha stigmatizzato il silenzio del premier. Draghi, non potendolo più fare alla Camera, gli ha replicato al Senato, ma solo per dire che “lo Stato è laico” (ma va?) e “il governo non entra nel merito della discussione, è il momento del Parlamento” (ma il Concordato è fra governi). Resta da capire che le paghiamo a fare, quelle 945 pecore belanti, se non hanno nemmeno il coraggio di fare una domanda al capo del governo. E dire che, fino a cinque mesi fa, strillavano come ossessi su Mes, rimpasto, prescrizione, governance del Pnrr, cybersicurezza, servizi segreti, Reddito di cittadinanza: le stesse questioni su cui ora tacciono e acconsentono. Ieri era il quarto anniversario della morte di Stefano Rodotà e per un attimo abbiamo rimpianto di non poter sentire la sua voce sul ddl Zan, sul Vaticano e su questo bel regimetto. Ma poi abbiamo concluso che è meglio così: almeno lui s’è risparmiato questo spettacolo penoso.

ILFQ

Ddl Zan, Draghi: 'L'Italia è uno Stato laico, rispettate tutte le garanzie'.

 

'Le Camere sono libere di discutere' dice Draghi. La Santa Sede ha chiesto "informalmente" al governo di modificare il disegno di legge contro l'omofobia. Letta: "Pronti al dialogo sui nodi". Ostellari: "Sediamoci per confronto".


Durante la replica in Senato il premier Mario Draghi  sgombra il campo dagli equivoci sul ddl Zan. ' " L'Italia è uno stato laico.  Il Parlamento è certamente libero di discutere e non solo.

Il nostro ordinamento contiene tutte garanzie per rispettare gli impegni internazionali tra cui il concordato. Ci sono controlli preventivi nelle commissioni parlamentari. Ci sono controlli successivi nella Corte costituzionale". Lo ha detto il premier Mario Draghi nella replica al Senato. "Il governo non entra nel merito della discussione. Questo è il momento del Parlamento, non è il momento del governo". Lo dice il premier Mario Draghi nella replica in Aula al Senato sul ddl Zan.

"La segreteria di Stato rileva che alcuni contenuti dell'iniziativa legislativa" del ddl Zan, "particolarmente nella parte in cui si stabilisce la criminalizzazione delle condotte discriminatorie per motivi 'fondati sul sesso, sul genere, sull'orientamento sessuale, sull'identità di genere' - avrebbero l'effetto di incidere negativamente sulle libertà assicurate alla Chiesa cattolica e ai suoi fedeli dal vigente regime concordatario". E' quanto si legge nella nota verbale indirizzata il 17 giugno dalla segreteria di Stato vaticana all'ambasciata d'Italia presso la Santa sede, che l'ANSA ha potuto visionare. "Ci sono espressioni della Sacra Scrittura e delle tradizioni ecclesiastiche del magistero autentico del Papa e dei vescovi, che considerano la differenza sessuale, secondo una prospettiva antropologica che la Chiesa cattolica non ritiene disponibile perché derivata dalla stessa Rivelazione divina". E' quanto si legge nella nota verbale sul ddl Zan indirizzata il 17 giugno dalla segreteria di Stato vaticana all'ambasciata d'Italia presso la Santa sede. "Tale prospettiva - prosegue la nota verbale - è infatti garantita dall'Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica italiana di Revisione del concordato lateranense, sottoscritto il 18 febbraio 1984'". 

Qualcuno lo vede come un intervento a gamba tesa, altri come una occasione per riaprire il dialogo tra i vari fronti opposti sulla questione. La Santa Sede ha ufficialmente chiesto al governo italiano di ripensare, "rimodulare" è la parola usata Oltretevere, il ddl Zan perché, così com'è ora, potrebbe configurare una violazione del Concordato, mettendo a rischio "la piena libertà" della Chiesa cattolica. Un appunto che mons. Richard Gallagher, il diplomatico vaticano che tiene i rapporti con gli Stati, ha fatto pervenire sul tavolo del ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Il premier Mario Draghi interverrà sulla questione domani. "Sarò in Parlamento tutto il giorno, mi aspetto che me lo chiedano e risponderò in maniera ben più strutturata di oggi. E' una domanda importante", ha assicurato rispondendo ai giornalisti. Un commento arriva anche dalla Presidente Ue Ursula von der Leyen: "I Trattati europei proteggono la dignità di ogni singolo essere umano e proteggono la libertà di parola, tra altri valori. E portare questi valori in equilibrio è un lavoro quotidiano nella nostra Ue", ha detto pur non entrando nella diatriba tutta italiana.

"Il Parlamento è sovrano, i parlamentari decidono in modo indipendente quello che vogliono votare. Il Ddl Zan è già passato alla Camera e adesso e' in Senato, noi come Parlamento non accettiamo ingerenze. Il Parlamento e' sovrano e tale rimane sempre", ha detto il presidente della Camera Roberto Fico ad Agorà su Raitre.

La maggioranza giallo-rossa difende a spada tratta la legge, da M5s al Pd. Il segretario Enrico Letta però lascia anche uno spiraglio al confronto: "Siamo pronti a guardare i nodi giuridici, siamo disponibili al dialogo, ma sosteniamo l'impianto della legge che è una legge di civiltà". Letta con il Pd vuole vedere approvata la legge, lo conferma anche oggi, e da una parte avrebbe attivato canali 'diplomatici' con il Vaticano per disinnescare il contenzioso, ma dall'altra si è subito confrontato con Di Maio. Italia Viva, che ha sempre auspicato un confronto più ampio, oggi, per bocca di Ettore Rosato, manda un segnale: "Proviamo ad ascoltarle queste obiezioni di merito che sono arrivate, non solo dal mondo cattolico". E anche dal fronte della Lega arrivano parole nella direzione di una apertura al confronto, senza il muro contro muro: "Sul ddl Zan io sono pronto a incontrare Letta, anche domani", dice Matteo Salvini. Una convergenza che fa scrivere ad Avvenire, il quotidiano dei vescovi: "Dal dibattito sul Concordato lo spunto per il dialogo". Quello che aveva chiesto il presidente della Cei, il card. Gualtiero Bassetti, anche sfidando l'anima più conservatrice della Chiesa italiana che ha fatto del ddl Zan un totem da abbattere. Sta di fatto, comunque, che è la prima volta che il Vaticano sfodera l' 'arma' del Concordato per chiedere la revisione di una legge italiana. La preoccupazione è che la libertà di espressione venga compressa dalle nuove norme e che "non si possa più svolgere liberamente l'azione pastorale, educativa, sociale".

Ma il pensiero del Papa è anche per quelle scuole cattoliche per i quali i genitori pagano una retta e che invece si dovrebbero 'adeguare' a nuovi eventi e programmi legati, sì, all'omofobia e anche al gender e ad una concezione della famiglia che non coincide con la dottrina della Chiesa. "Certamente c'è preoccupazione nella Santa Sede", ha confermato il card. Joseph Farrell, Prefetto del Dicastero per i Laici e la Famiglia. Sul piede di guerra le associazioni Lgbt: "Il tentativo esplicito e brutale è quello di sottrarre al Parlamento il dibattito sulla legge e trasformare la questione in una crisi diplomatica, mettendola nella mani del Governo Draghi per far si che tutto venga congelato", denuncia l'Arcigay. Franco Grillini, ex parlamentare e storico esponente del movimento gay italiano, chiede invece di "abolire definitivamente" proprio il Concordato, "questo retaggio fascista. La pretesa vaticana di dettare legge all'Italia interferendo con la sua attività legislativa è irricevibile".

"La questione è molto semplice, il ddl Zan da oggi non è più solo una questione parlamentare ma governativa". Una fonte dell'esecutivo, al termine di una giornata a dir poco tesa dentro e fuori la politica, descrive così il delicatissimo compito che, da qui alle prossime ore, il premier Mario Draghi avrà di fronte a sé. Il capo del governo, parlando alle Camere, non entrerà comunque "in tackle" su un tema che per lui, si ragiona in ambienti parlamentari della maggioranza, era e resta parlamentare. Fonti di primo piano della maggioranza spiegano che il suo sarà un intervento più che altro "procedurale" accompagnato da un sostanziale appello per una condivisione parlamentare più ampia e meditata. Fonti di Palazzo Chigi interpellate al riguardo non entrano nel merito chiarendo che il premier sta approfondendo la questione e si esprimerà parlando alle Camere dopo aver fatto tutte le valutazioni. Quella di Draghi, insomma, sarà un'iniziativa morbida.

Il premier non vuole e non può andare oltre, si rileva sempre in ambienti di maggioranza, soprattutto parlando da un "palco" come quello delle comunicazioni del presidente del Consiglio alle Camere prima del Consiglio europeo. Spetta ai partiti di maggioranza trovare la giusta quadra per portare avanti una legge che è di iniziativa parlamentare. Certo, nel governo un timore c'è: quello dell'impugnazione del Concordato da parte della Santa Sede una volta che il ddl Zan diventerà legge.

E il rischio, spiegano fonti parlamentari di rango, è che la protesta della segreteria di Stato abbia radicalizzato le posizioni di chi vuole la legge al più presto. La protesta da Oltretevere è stata consegnata all'ambasciata italiana presso la Santa Sede e gli uffici diplomatici l'hanno a loro volta inviata al Quirinale. Si tratta di una nota verbale, che nel linguaggio delle feluche è una forma di corrispondenza tra ambasciate o tra una missione diplomatica stabilita in uno Stato accreditatario e il ministero degli Esteri dello Stato medesimo. E' redatta in terza persona e non è firmata. E di prassi non viene diffusa ai media, cosa che nella maggioranza ha seminato il sospetto di una "manina" che abbia disvelato la nota. Che arriva come un fulmine a ciel sereno nel giorno in cui, da Cinecittà, Draghi e Ursula von Der Leyen celebrano il sì dell'Ue al Recovery italiano. In realtà, come dimostra l'articolata replica della presidente della commissione Ue ad una domanda sul tema in conferenza stampa allo studio 10, von der Leyen era ampiamente a conoscenza della protesta vaticana. E, nella sua risposta, usa una formula che, concettualmente, Draghi potrebbe "girare" alle forze parlamentari: quella di trovare un equilibrio tra la tutela della diversità e quella della libertà di parola, entrambi valori protetti dai Trattati Europei. Del resto, in Ue, le tematiche Lgbt non sono meno foriere di polemiche e chissà che non sfiorino anche il prossimo Consiglio.

Lo dimostra il no dell'Uefa allo "stadio arcobaleno" proposto dal sindaco di Monaco di Baviera per la partita Germania-Ungheria. O l'iniziativa di 13 Paesi Ue contro la legge ungherese anti Lgbtiq, alla quale solo in serata si aggiunge l'Italia. In Parlamento il rischio è che l'intervento vaticano "affossi" il ddl Zan. Una modifica in versione soft di alcune sue parti - come quella sulla partecipazione delle scuole a iniziative contro l'omofobia - sarebbe nell'ordine delle cose. E l'intesa a non vedersi all'orizzonte. La maggioranza è spaccata ma anche all'interno dei partiti emergono divisioni, a cominciare dal Pd, dove Enrico Letta è costretto a mediare tra le sensibilità dei cattolici e quelle più vicine all'attivismo Lgbtq. Anche negli M5S - schierato finora al fianco del Pd per la legge - potrebbero emergere divisioni, visti anche i cordiali e stretti rapporti che, nel suo premierato, Giuseppe Conte ha intessuto con la Chiesa. Del resto, basterebbe ricordare cosa accadde per la legge sulle unioni civili del maggio 2016, approvata dopo mesi e mesi di tensione tra i partiti della maggioranza di Matteo Renzi e all'interno degli stessi Dem. Sono passati 5 anni e 4 governi e queste tematiche, nella politica italiana, restano esplosive.

ANSA