quando ho visto sbarcare al molo Favaloro circa 400 ragazzine per lo più nigeriane - erano quasi le 2 di notte - un brivido mi ha azzannato la schiena.
Erano infreddolite, quasi tutte scalze, spaesate. «È quello che penso?», chiesi a Paola ma lei era al telefono, in modalità viva-voce.
Ascoltai quella telefonata. «Sono arrivate adesso», disse Paola. Stava parlando con un amico siciliano che si occupa proprio dei minori sbarcati.
«Quante sono?», chiese l'amico. «Assai», rispose Paola. Inspirò con forza e aggiunse: «Hanno dodici, tredici, quattordici anni». All'altro capo, un silenzio di piombo. Poi, una sola parola: «Minchia». Non ci fu bisogno di aggiungere altro. La telefonata si concluse così. Lo avevamo capito tutti, su quel molo: erano merce. È la legge della domanda e dell'offerta. Era partita dall'Europa una richiesta di carne da marciapiede ed ecco un carico di ragazzine sui gommoni. Le ragazzine sul molo, confuse, si stringevano alla coperta termica e attendevano che capitasse loro ciò che sarebbe stato. C'era freddo quella notte di febbraio a Lampedusa.
Quando si pensa a quanto sta accadendo oggi sul Mediterraneo, bisogna sempre tenere presente che quasi la totalità delle donne sono vittime di abusi sessuali nei carceri libici. Sono le visite ginecologiche ricevute dai nostri medici a dircelo, oltre alle evidenti ferite e mutilazioni di cui sono state vittime. Anche le bambine sono vittime di violenza sessuale. L'enorme quantità di ragazze incinte sui barconi è la stimmate del ripetuto stupro subito: la gravidanza, in un certo senso, le salva, perché la donna incinta si stupra con minore regolarità, allora viene messa sul barcone e la si affida al mare, ìdda e la sua pancia. Il dottor Bartolo me lo disse senza mezzi termini: «Manco all'armàli ci fanno i cose che fanno a i fimmini». Manco agli animali.
Accade oggi, appena dall'altra parte del mare.
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Un giorno che c'era vintazzo di scippare le balate d'in terra, mi trovavo a casa di mio nanno Peppino e stavo dietro il finestrone con la nasca appuiata al vetro.
Mi piaceva perché col vintazzo il vetro tremava tutto e mi piaceva questa cosa che io sentivo come una scossa leggera sulla nasca.
Mentre succedeva questo mi misi a pensare che il vento forte si porta una poco di cose: le foglie degli alberi, i canali dei tetti, qualche alberello sano sano, la rina del deserto e della spiaggia di Mondello ma pure quella di Fondachello che è fatta di pietruzze.
E poi volano cappelli, paraqqui, sottane delle femmine.
A quei tempi, infatti, si usavano le gonne lunghe ma scampanate e non c'erano ancora i collant. Così se arrivava un colpo di vento queste gonne si alzavano e uno ci poteva guardale le cosce alle signorine con le quasette dei seta con la riga e il reggicalze.
Cosa di andarsi a chiudere subito nel cabinetto se uno aveva circaquasi 10/11 anni.
Fu allora che mi domandavi se per caso il vento, oltre che alle cose, si portava pure i pensieri e ci domandai a mio nonno.
E ti pareva che lui non lo sapeva?
Prima di rispondermi andò a guardare fuori attraverso le scalette delle persiane chiuse poi andò nella sua poltrona preferita e si mise a contrastare con cuscino prima di sedermi e prendermi, come al solito, sulle ginocchia. Solo ora capisco che tutta quella pupiata gli serviva per prendere tempo e decidere che cosa mi doveva contare, come mi doveva rapire e portarmi nel suo mondo di fantasia. Mio nanno ci riusciva sempre.
“Picciriddu mio – mi spiegò – dipende da che pensieri sono. Perché se sono pensieri pesanti è difficile che il vento se li può portare perché stanno attaccati a noi come la gramigna che è un'erba maligna. E' difficile che il vento riesce a sollevare il pensiero di uno ce ci è molto un amico, tanto per dire, opure che ha perso il lavoro, opure che si sente di avere una malattia grave. Quelli sono pensieri che diventano meglio dei fratelli gemelli, meglio delle cozze”.
“Ma se i pensieri sono leggeri allora il vento se li porta in cielo dove c'è un castello troppo bellissimo fatto da un architetto pacioccone, un poco pazzo ma simpatico, Questo castello è fatto di aria e serve proprio a ospitare i pensieri leggeri, una specie di scuola dove questi pensieri possono abitare insieme e passare la iurnata a giocare. Così capita che c'è il pensiero della voglia di primavera dopo l'inverno, quello che, senza che nemmeno te ne accorgi, ti fa guardare spesso il cielo per vedere se stanno arrivano le rondini. O quello che ti fa passare sempre sotto il finestrone di quella ragazzina che ti piace assai, quella che tu dici che siete fidanzati. Ma lei ancora non lo sa. O quelli della mamma che la sera ti viene a rimboccare le coperte e ti dà un bacio, o quelli di un vecchio bacucco di nonno che ti cunta i cunti”.
“Nel castello dei pensieri leggeri, tutti questi pensieri fanno il girotondo, giocano a acchiana u patri cu tutti i so figghi, opure a Bella e Niente con le monete fatte di nuvole. E a una certa ora arriva una specie di slitta fatta pure lei di nuvole e arrivano le cose di mangiare. Ma che cosa mangiano i pensieri leggeri?”
“Io lo so, nonno. Lo so”.
“Sentiamo se lo sai per vero...”
“I pensieri leggeri mangiano una cosa dolcissima che si chiama speranza. Ed è l'unica cosa che li fa crescere belli e forti. Non è così nonno?”
“E bravo a me niputi. Ma allora i tuoi pensieri leggeri, quelli che se li porta il vento, tu li devi combinare come un aquilone così hanno un filo che li tiene collegati con te. Ma se si perdono non ti preoccupare. I pensieri leggeri sono sempre belli, dolci, amici e buoni”.
Naturalmente, castello a parte, aveva ragione lui. Di cui se domani avete pensieri leggeri, lasciateli al vento che ci sarà e sarà ancora bello robusto e settentrionale. Ma non porta nuvolo perché la pressione si alza e le temperature massime sono in salita. Di cui la giornata sarà ventosa ma buona. Per esempio potete fare lo stenning, Nel frattempo nel castello in cielo ci sarà una grande festa dove siete tutti immitati. Tante belle cose. Ventose.
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