venerdì 17 ottobre 2025

I MONOLITI IMPOSSIBILI.

 

Quello che vedete nella foto, è probabilmente il più grande monolito artificiale presente sulla Terra. Ha una lunghezza di circa 19,60 metri, e pesa 1.650 tonnellate. Si trova a Baalbek, in Libano, ed esiste almeno dai tempi dei Romani, se non da molto prima (si parla anche di 5.000 anni fa, ma non esistono date certe). Le dimensioni e il peso di questo “mostro” lasciano senza parola gli ingegneri del nostro tempo. E si chiedono come abbiano fatto i loro “colleghi” di migliaia di anni fa a realizzare e trasportare qualcosa di simile.

La cosa ancora più sorprendente è che quel monolite non è un caso unico in quella zona. Nelle vicinanze si trova il cosiddetto “Tempio di Giove”. La parte superiore del tempio è sicuramente romana, su questo non ci sono dubbi. Ma il tempio romano sorge su di una “base” costruita con pietre gigantesche. Si tratta di 27 blocchi giganteschi di pietra calcarea alla base. Tre di loro, dal peso di 1.000 tonnellate ciascuno, sono noti come “Thriliton”, e sono una specie di “cintura” che racchiude tutti i blocchi. Questa costruzione ci dice che per i costruttori, intagliare e spostare blocchi superiori a 1.000 tonnellate non era affatto proibitivo. Evidentemente sapevano come farlo, senza che questo creasse grossi problemi.

Le leggende di Baalbek, in modo allegorico, ci dicono che anche i popoli del lontano passato sapevano che in quella zona avvenivano cose “non comuni”. Riguardo a Baalbek ci sono molte leggende: secondo alcuni antichissimi manoscritti arabi ara appartenuta a Nimrod, leggendario re babilonese citato dalla Bibbia, che dopo il diluvio ordinò che venisse ricostruita e la ricostruzione venne affidata ai Giganti. Altri testi antichi la fanno risalire a Caino, che la fondò 133 anni dopo la creazione dell’uomo, ed anche in questo caso vengono citati i Giganti, che secondo la tradizione la popolarono. Caino edificò Baalbek per trovare scampo dalla furia di Yahewh.

È probabile che gli antichi abitanti di quella zona usarono le figure allegoriche come Caino, i Giganti, Yahweh, per descrivere cose che non riuscivano a capire. E anche noi oggi facciamo molta fatica a capire come sia possibile che semplici esseri umani usavano come “mattoni” (e non come obelischi, come facevano ad esempio i Romani), dei “mostri” di 1650 tonnellate. Perché avevano bisogno di fare una cosa simile? In che modo li spostavano con una cera facilita? Come li intagliavano con tanta precisione?

Sono in tanti a credere, ormai, che in diverse zone della Terra, tra cui il bacino del Mediterraneo, esistevano civiltà antiche, che sono state cancellate probabilmente da cambiamenti climatici. La città di Nan Madol, la Grande Piramide, Gunung Padang, probabilmente sono tra questi. E ci lasciano senza fiato. Anche i “monoliti colossali” di Baalbek appartengono a questa lista?

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HOMO RELOADED – 75.000 ANNI DI STORIA NASCOSTA

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Ingegneria antisismica di migliaia di anni fa,

 

Pochi sanno che alcune civiltà del passato avevano sviluppato un sistema di costruzione fortemente antisismico, capace di fare oscillare gli edifici senza però farli crollare. Per esempio, a Sacsayhuamán (Perù), la fortezza ciclopica sopra Cusco è famosa per i suoi massi enormi, alcuni dei quali pesano diverse decine di tonnellate. Molti di questi massi sono tenuti insieme da graffe metalliche. Questi pezzi di metallo a forma di “doppia T” erano inseriti come “cerniera” che teneva insieme un blocco di roccia con i blocchi vicini. Tutti insieme costruivano un sistema “a rete” che tenevano fermo il tutto. I fori per le graffe sono ancora chiaramente visibili.

Per creare queste graffe venivano usati vari metalli, tra cui rame, bronzo e talvolta anche argento e oro per le costruzioni più importanti. Queste graffe non erano solo di rinforzo, ma servivano anche come elementi decorativi. Avevano spesso una forma a "I", "T" o "U". Queste graffe di metallo che tenevano insieme i blocchi compaiono anche a Ollantaytambo (Perù). Nel Tempio del Sole si possono vedere i fori delle graffe asportate. A Machu Picchu (Perù), molti edifici, specialmente quelli di alta qualità, utilizzavano questo sistema.

Come funzionava il sistema antisismico? Per i terremoti leggeri, il peso delle rocce e la loro posizione asimmetrica, o a “puzzle”, era sufficiente a far resistere gli edifici. Se il terremoto era ancora più forte e i blocchi iniziavano a spostarsi tra loro, le graffe di metallo li tenevano insieme, impedendo loro di cadere dalla loro posizione. Queste graffe erano presenti specialmente nei blocchi di roccia presente nelle fondamenta. In questo modo anche se l’edificio poteva subire danni limitati, gli era impedito di crollare.

Questa tecnica ha avuto talmente successo, che si è tramutata in un vero metodo di costruzione quasi “universale” per le civiltà del passato. Ad Angkor Wat (Cambogia), Il tempio più famoso presenta fori per graffe di ferro, utilizzate per unire i pesanti blocchi di arenaria. Nel palazzo di Cnosso (Creta). le fondamenta e gli elementi strutturali utilizzavano graffe a coda di rondine per collegare i blocchi di pietra. Il tempio di Apollo a Didyma (Turchia), uno dei più grandi templi del mondo antico, utilizzava graffe per unire i colossali blocchi. Nel Colosseo (Roma), le graffe furono utilizzate per unire i grandi blocchi di travertino. Purtroppo, la maggior parte di queste graffe è stata asportata nel Medioevo e nel Rinascimento, quando il ferro e il piombo divennero materiali preziosi da riciclare, lasciando le caratteristiche cavità vuote visibili ancora oggi.

Vedere come ingegneri e costruttori di migliaia di anni fa, sparsi in giro per il mondo, costruivano i loro edifici con validissimi criteri antisismici, crea davvero stupore. Se non fosse stato per l’avarizia dei popoli successivi, che in molti casi hanno “smantellato” questi edifici, sarebbero restati intatti fino ai nostri giorni, e in molti casi perfettamente funzionanti. Inoltre, questa è una ulteriore testimonianza che in qualche modo le conoscenze tecnologiche “viaggiavano” da una parte all’altra del mondo, anche oltre gli oceani. Cosa permetteva di avere “contatti” da una parte all’altra dell’oceano?

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PRIMA DI NOI C’ERA QUALCUNO.

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I GEOLOGI SCOPRONO LA PRIMA PROVA DIRETTA DELL'ESISTENZA DI UNA PROTO-TERRA 4,5 MILIARDI DI ANNI FA.

 

Un team internazionale guidato dal MIT ha rilevato un'anomalia dell'isotopo del potassio nelle rocce profonde sopravvissute all'impatto catastrofico che ha formato la Luna, rivelando per la prima volta la composizione chimica del pianeta primordiale.

Nelle profondità della Terra, nascosto in alcune delle rocce più antiche e profonde del pianeta, giace un segreto vecchio di 4,5 miliardi di anni. Gli scienziati del Massachusetts Institute of Technology (MIT), in collaborazione con istituzioni negli Stati Uniti, in Cina e in Svizzera, hanno finalmente svelato questo enigma: l'identificazione chimica di materiali incontaminati provenienti dalla proto -Terra , l'embrione planetario che esisteva prima che una colossale collisione lo trasformasse per sempre e desse origine al mondo in cui viviamo oggi. I risultati di questa ricerca, che riscriverà i capitoli iniziali della formazione planetaria, sono pubblicati sulla rivista Nature Geosciences.
Durante l'infanzia del Sistema Solare, un disco turbolento di gas e polvere cosmici iniziò a fondersi, formando i primi meteoriti che, attraverso successive fusioni e accrescimenti, formarono i nuclei dei pianeti, inclusa la proto-Terra. Questo pianeta primitivo era probabilmente un mondo infernale , roccioso e ricoperto da un oceano di magma. Il suo destino cambiò irrevocabilmente meno di 100 milioni di anni dopo la sua gestazione, quando un oggetto delle dimensioni di Marte, soprannominato Theia , lo colpì. Questo evento, noto come il "Grande Impatto", vaporizzò, fuse e mescolò completamente le viscere del giovane pianeta, alterandone la chimica interna così profondamente che si ipotizzò che ogni traccia del materiale originale fosse stata cancellata, diluita nel risultante crogiolo globale.
La ricerca persistente del team del MIT dimostra ora che questa ipotesi era errata. I ricercatori hanno isolato una firma chimica distintiva – un'anomalia nel rapporto degli isotopi di potassio – presente in antiche rocce della Groenlandia, del Canada e nella lava del mantello profondo espulsa dai vulcani delle Hawaii. Questo squilibrio isotopico, una lieve ma misurabile carenza dell'isotopo potassio-40, è estraneo alla composizione della stragrande maggioranza dei materiali che compongono la Terra oggi. Il team ha concluso, dopo approfondite modellazioni e simulazioni, che questo segnale anomalo non poteva essere generato da processi geologici successivi o da un noto bombardamento di meteoriti; la sua origine deve essere più antica.
"Questa è forse la prima prova diretta che i materiali pre-Terra si sono conservati ", afferma la professoressa Nicole Nie, professoressa associata di Scienze della Terra e Planetarie presso il MIT e autrice senior dello studio. " Stiamo osservando un frammento dell'antica Terra, risalente addirittura a prima del massiccio impatto", afferma Nie. "Questo è notevole perché ci aspettavamo che questa firma primordiale fosse stata lentamente cancellata nel corso dell'evoluzione del pianeta " .
La scoperta si basa su un precedente lavoro dello stesso gruppo, pubblicato nel 2023, in cui è stata analizzata la composizione isotopica del potassio in un'ampia gamma di meteoriti. Gli isotopi sono varianti dello stesso elemento che hanno lo stesso numero di protoni ma un diverso numero di neutroni. Nel caso del potassio, tre isotopi sono presenti in natura: potassio-39, potassio-40 e potassio-41. In quasi tutti i campioni terrestri, potassio-39 e potassio-41 sono nettamente dominanti, mentre il potassio-40 è presente in proporzioni minuscole.
Nelle loro precedenti ricerche, Nie e i suoi colleghi avevano scoperto che alcuni meteoriti presentavano squilibri in questi rapporti, anomalie che li distinguevano dalla composizione standard della Terra. Questo rendeva il potassio un potenziale tracciante chimico, uno strumento per tracciare i mattoni originali del nostro pianeta. Se una roccia terrestre mostrasse un'anomalia simile, ciò costituirebbe una forte indicazione che il suo materiale fosse sfuggito all'omogeneizzazione planetaria .
Guidato da questa ipotesi, il team si è messo alla ricerca di questa firma all'interno della Terra stessa. Ha analizzato rocce provenienti da alcune delle più antiche formazioni conservate nella crosta terrestre, in Groenlandia e Canada, e anche campioni di lava hawaiana, che fungono da capsule del tempo quando emergono dalle profondità del mantello, lo strato roccioso spesso 2.900 chilometri che si estende sotto la crosta.
La procedura analitica fu meticolosa: disciolsero i campioni in polvere in acido, isolarono il potassio dagli altri elementi e utilizzarono uno spettrometro di massa ad alta precisione per misurare il rapporto di ciascuno dei tre isotopi. I risultati furono conclusivi: le rocce più antiche e le lave profonde mostravano una carenza costante di potassio-40. Si trattava di un segnale sottile, paragonabile al rilevamento di un singolo granello di sabbia di colore leggermente diverso in un secchio pieno, ma reale e ripetibile.
La presenza di questa anomalia indicava che questi materiali erano, secondo le parole di Nie, costruiti in modo diverso rispetto al resto del pianeta. La domanda cruciale era se potessero effettivamente essere relitti della Proto-Terra. Per rispondere a questa domanda, il team ha eseguito complesse simulazioni al computer. Hanno ipotizzato che la Proto-Terra fosse originariamente composta da materiali con la stessa carenza di potassio-40 . Hanno quindi modellato come il grande impatto e i successivi impatti meteoritici, le cui composizioni sono note grazie alla collezione globale di meteoriti, avrebbero alterato chimicamente questo materiale primordiale, arricchendolo progressivamente di potassio-40 fino a raggiungere la composizione isotopica oggi predominante.
I modelli hanno confermato l'ipotesi. Le simulazioni hanno mostrato che la miscelazione e l'elaborazione geologica nel corso di eoni avrebbero trasformato il materiale carente di potassio-40 nella composizione standard moderna. I resti rinvenuti in Groenlandia, Canada e Hawaii, tuttavia, erano sfuggiti a questo processo di omogeneizzazione, conservandosi in sacche chimicamente isolate all'interno del mantello terrestre per miliardi di anni .
Un'ulteriore scoperta aggiunge un ulteriore strato di mistero all'origine della Terra . La specifica firma isotopica trovata in queste rocce profonde non corrisponde esattamente a quella di nessun meteorite analizzato finora. Ciò implica che gli specifici elementi costitutivi che hanno formato la proto-Terra – quelli con questa particolare carenza di potassio-40 – non sono ancora stati scoperti o non esistono più come corpi indipendenti nel sistema solare.
Gli scienziati hanno cercato per decenni di comprendere la composizione chimica originaria della Terra combinando le composizioni di diversi gruppi di meteoriti , spiega Nie. Ma il nostro studio dimostra che l'attuale inventario dei meteoriti è incompleto e che c'è ancora molto da scoprire sull'origine ultima del nostro pianeta . La scoperta fornisce il primo sguardo diretto alla composizione della Terra pre-terrestre e ridefinisce la ricerca futura, segnalando che la ricetta completa della Terra attende ancora di essere decifrata nelle più remote regioni del sistema solare o nelle profondità inaccessibili del nostro mondo.
FONTI
Istituto di tecnologia del Massachusetts
Wang, D., Nie, N.X., Peters, B.J. et al . Evidenza isotopica del potassio-40 di una componente pre-impatto gigante esistente del mantello terrestre . Nat. Geosci. (2025)

Un nuovo farmaco fa regredire i tumori. Successo su modelli animali, ecco lo studio. Arianna Bordi

 

Una notizia che scuote il panorama oncologico: un farmaco di ultimissima generazione, concepito per agire come un cecchino, colpendo unicamente le cellule malate, ha conseguito successi clamorosi nei saggi preclinici.

Scopriamo di più.


I dettagli dello studio.

L'eccezionale scoperta è il risultato di una sinergia globale che ha visto uniti giganti della ricerca come il Children’s Hospital di Philadelphia, l’Università di Pittsburgh e l'eccellenza italiana rappresentata dall’Università di Bologna e l’Irccs Policlinico di Sant’Orsola.

risultati della ricerca sono sbalorditivi: si parla di una completa regressione del tumore in modelli animali e non solo per rari tumori pediatrici come il neuroblastoma e il rabdomiosarcoma, ma anche per il tumore del colon, una delle neoplasie più diffuse.

Il cuore di questa innovazione risiede in un trattamento appartenente alla categoria degli anticorpi-coniugati, i veri "farmaci intelligenti" perché combinano la mira laser di un anticorpo, capace di riconoscere il bersaglio, con la forza distruttiva di molecole chemioterapiche; in pratica la "bomba" chimica viene veicolata esclusivamente verso le cellule cancerose, garantendo l'integrità dei tessuti sani.


Un approfondimento sul farmaco.

L'architettura del farmaco, denominato Cdx0239-Pbd, è stata studiata per intercettare un recettore chiave,  ossia Alk (Anaplastic lymphoma kinase), una bandiera rossa sulla superficie di molte cellule tumorali, mentre risulta praticamente invisibile nei tessuti normali.

La storia di questa scoperta parte da lontano: “Nel 2020, quando insieme a Martina Mazzeschi, ricercatrice all'Irccs Policlinico Sant’Orsola, abbiamo iniziato a concentrarci sull’identificazione dell’Alk (Anaplastic Lymphoma Kinase)”, racconta Lauriola.

Dunque, un recettore che si è rivelato il "tallone d'Achille" ideale: si trova in abbondanza sulle cellule di tumori pediatrici rari e in alcuni sottotipi di tumore del colon, ma è quasi assente nei tessuti sani.

“Le nostre analisi confermano che Alk è un target molto promettente anche nel tumore del colon”, aggiunge Martina Mazzeschi, ricercatrice all’Irccs Policlinico di Sant’Orsola. “Se nel neuroblastoma era già noto, ora vediamo un’espressione significativa anche in alcuni sottotipi di carcinoma colorettale”.

Il meccanismo è implacabile: l'anticorpo-coniugato si aggancia ad Alk, scarica la sua molecola tossica all'interno della cellula maligna, decretandone la morte: nei modelli testati, infatti, il tumore non solo è scomparso totalmente, ma non ha mostrato segni di recidiva dopo la fine della cura.


Dalla ricerca alla speranza clinica.

Dalla collaborazione con il laboratorio del Children’s Hospital di Philadelphia, che aveva già sviluppato un anticorpo-coniugato per le neoplasie infantili, il team italiano ha portato la sua competenza: “Il nostro contributo è stato proprio quello di utilizzare lo stesso farmaco ma su modelli di cancro al colon”, una neoplasia con circa 50.000 nuovi casi annui, la seconda per incidenza in Italia.

I risultati ottenuti sono risolutivi: “Nei modelli animali la totalità dei tumori è scomparsa dopo il trattamento”. Ora, dunque, l’impegno è focalizzato sull'ottimizzazione per avviare la sperimentazione clinica sull'uomo, un passaggio che Lauriola auspica possa avvenire rapidamente, soprattutto negli Stati Uniti.

La soddisfazione è grande: “Il farmaco rappresenta un passo avanti significativo verso terapie personalizzate: siamo al lavoro per ampliare il numero di tumori solidi che possono essere trattati, mitigando allo stesso tempo i meccanismi di resistenza all’azione del farmaco.”

“Questi risultati aprono la strada a terapie di nuova generazione, più efficaci e meno tossiche”, spiega con entusiasmo Mattia Lauriola, professoressa di Istologia all'Alma Mater e coautrice dello studio. “L’obiettivo è sostituire, quando possibile, la chemioterapia tradizionale con una “chemioterapia di precisione”.

L'ottimismo è palpabile tra i ricercatori: questa strategia mira a diventare una risorsa fondamentale contro una vasta gamma di neoplasie, inclusi i devastanti tumori pediatrici e il colon-retto, prospettando un futuro di terapie mirate, finalmente meno invasive e significativamente più risolutive.

https://www.pazienti.it/news-di-salute/un-nuovo-farmaco-fa-regredire-i-tumori-successo-su-modelli-animali-ecco-lo-studio-16102025

E una fettina di culo. - Marco Travaglio FQ 17/10/25

 

Bisogna ringraziarli, questi pazzi scatenati che chiamiamo Ue, perché confessano senza neppure accorgersene: 𝟲.𝟴𝟬𝟬 𝒎𝒊𝒍𝒊𝒂𝒓𝒅𝒊 𝒊𝒏 𝟭𝟬 𝒂𝒏𝒏𝒊 𝒑𝒆𝒓 𝒍𝒆 𝒂𝒓𝒎𝒊 (1.500 l’anno per ogni europeo, bimbi compresi). E tutti ai piedi di Zelensky che ci chiede “il 2,5% del vostro Pil per un totale di 60 miliardi nel 2026” (e una fettina di culo vicino all’osso no?) per continuare a perdere la guerra. Fino a un mese fa si davano il cambio nel segnalare ogni giorno terribili sconfinamenti di droni senza vittime né danni, promettendo indagini per dimostrare che erano russi e che l’attacco di Putin era finalmente partito. Poi i servizi polacchi rivelarono che l’unica casa polacca danneggiata dal terribile attacco dei droni pseudorussi l’aveva bombardata un missile polacco. E, dopo 20 giorni di avvistamenti quotidiani, i droni scomparvero dai cieli. E con essi le indagini per dimostrare che erano russi. Tanto ormai avevano ottenuto il loro duplice scopo. 1) Spaventare i popoli europei e far loro ingoiare le leggi di Bilancio dei 27 governi, con decine di miliardi rubati al Welfare per comprare armi, perlopiù Usa. 2) Giustificare il “Muro di droni” inventato da Von der Leyen, Kallas, Kubilius e altri svalvolati per ingrassare le industrie belliche soprattutto tedesche e salvare le altre distrutte dalle autosanzioni Ue.
Il guaio è che la gente continua a schifare il riarmo da 800 miliardi contro nemici immaginari. Così Ursula gli cambia nome per la terza volta: da “ReArm Europe” a “Prontezza 2030” (un ossimoro) a “Preservare la Pace” (con più armi: altro ossimoro). Il prossimo sarà “Diversamente Disarmo” o “Sex Bomb”. Intanto i partiti del riarmo continuano a perdere milioni di voti, aggrappandosi al Lecornu di turno, e quelli anti-riarmo (incredibilmente di destra) a guadagnarne. E ci mancherebbe che non accadesse. Mettetevi nei panni di un polacco che legge l’intervista a Rep del suo vicepremier Radek Sikorski: siccome l’Europa non ha più nemmeno gli occhi per piangere, deve devolvere “45-50 miliardi all’anno a Kiev per i prossimi tre anni”. Cioè la guerra deve continuare fino al 2028, tanto si sa come andrà a finire: “La Russia ha perso la guerra di Crimea nel XIX secolo e quella col Giappone nel 1905”, quindi perderà anche in Ucraina dove avanza da tre anni. Avendo studiato la storia su Tiramolla, gli sfugge la fine fatta da Napoleone e Hitler, quando Mosca non aveva ancora neppure le atomiche. La Merkel ci mette in guardia dai corresponsabili della guerra russo-ucraina: Polonia e Baltici. Tre anni e mezzo fa, in combutta con Biden e Johnson, usarono Kiev per attirare Mosca nella guerra. Ora, siccome l’hanno persa, ci riprovano usando l’intera Europa. Cioè noi.

𝑸𝒖𝒂𝒏𝒅𝒐 𝒄𝒊 𝒅𝒆𝒄𝒊𝒅𝒊𝒂𝒎𝒐 𝒂 𝒇𝒂𝒓𝒍𝒂 𝒇𝒊𝒏𝒊𝒕𝒂 𝒄𝒐𝒏 𝒒𝒖𝒆𝒔𝒕𝒊 𝒅𝒆𝒎𝒆𝒏𝒕𝒊?