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martedì 31 ottobre 2023

Misteriose sfere trovate in una roccia vecchia di 3 miliardi di anni. - Lucia Petrone

Le sfere di Klerksdorp, trovate all’interno di depositi di pirofillite estratti in Sud Africa, sono strane. 
Assomigliano a piccole e antiche palline da cricket, con linee simili a cuciture attorno al centro, è facile capire perché sono diventate oggetto di teorie cospirative che coinvolgono alieni e antiche civiltà dimenticate.

In articoli degli anni ’80 si ipotizzava che fossero realizzate da “una civiltà superiore, una civiltà pre-diluviana di cui non sappiamo praticamente nulla”, mentre lo stesso curatore del museo affermò che le sfere ruotavano da sole mentre erano bloccate. in una vetrina “priva di vibrazioni”. Gli pseudo-scienziati affermavano che le sfere potevano essere solo fabbricate, nonostante fossero state trovate in rocce vecchie di 3 miliardi di anni , mentre anche gli pseudo-scienziati credevano che fossero la prova della presenza di alieni . Le affermazioni sulle sfere attirarono l’attenzione del geologo Bruce Cairncross nel 2006 , il quale scrisse di essere stato divertito da un articolo che le descriveva come “sfere misteriose”, e dalla scelta di un programma di far esaminare le pietre da un sensitivo, dichiarandole essere i resti di un’antica astronave. Cairncross ha offerto una spiegazione razionale per le sfere, trovate in una formazione geologica conosciuta come Dominion Group. L’edificio è costituito da conglomerato, con strati di lava vulcanica che si sono depositati sulla parte superiore. Dopo molta pressione e calore, gli strati di roccia vulcanica divennero pirofillite, l’involucro in cui furono ritrovate le sfere di Klerksdorp. Le sfere sono conosciute come concrezioni: oggetti sferici, ellittici o oblati costituiti da minerali diversi dalla roccia ospite, e sono abbastanza comuni, con migliaia di esemplari trovati in tutto il mondo. Si trovano spesso in rocce a grana fine, come la pirofillite, poiché consente il movimento dell’acqua. “Si formano per precipitazione da una soluzione acquosa e sono costituiti da minerali cristallizzati nella roccia ospite“, ha spiegato Cairncross . Sono sferiche poiché si formano attorno a un minuscolo granello di minerale in una soluzione contenente ferro, calcio e altri elementi. “Poiché la roccia ospite è strutturata uniformemente tutt’intorno, la crescita della concrezione avviene, senza restrizioni in tutte le direzioni, come una sfera tridimensionale a 360 gradi”, scrive Cairncross, aggiungendo che se il liquido si muove o la roccia che lo circonda non ha la stessa consistenza in tutte le direzioni, la forma può risultare distorta.

Le linee attraverso le sfere sono causate dalle impronte della roccia ospite, che è stata costruita a strati per molto, molto tempo, lasciando l’effetto stratificato. Nel frattempo, il mistero del perché la sfera presumibilmente girava “da sola” è stato spiegato dal curatore del Museo Klerksdorp, da cui le sfere prendono il nome. “Alcuni anni fa ho rimesso la palla nella sua posizione originale (su un ripiano di vetro) durante la visita di un giornalista e lui ha cercato di farne una sensazione”, ha spiegato il signor R. Marx. “È del tutto naturale che ruoti un po’ poiché è rotondo e abbiamo molti terremoti a causa delle attività di estrazione (dell’oro)”.

https://www.scienzenotizie.it/2023/10/30/misteriose-sfere-trovate-in-una-roccia-vecchia-di-3-miliardi-di-anni-1572457?fbclid=IwAR2VxRqFYWDTygFmMX3ADOvoVBcQsht_XnBPyvXxSeor-MKdHT7FasvSnRE

domenica 31 ottobre 2021

Frode sui dividendi, così si è aperto un buco da 150 miliardi nelle casse pubbliche europee. - Giulio Rubino e Angelo Mincuzzi

 

Il costo di 20 anni di “dividend washing”, tra elusione ed evasione fiscale. Inchiesta internazionale di giornalisti di 15 paesi e dell’Università di Mannheim

Le frodi sui dividendi azionari hanno causato un ammanco fiscale di 150 miliardi di euro in 20 anni in dieci paesi dell’Unione europea, più la Svizzera e gli Stati Uniti, 13 miliardi dei quali solo in Italia. Messi in fila uno dietro l’altro 150 miliardi di euro in biglietti da cento fanno il giro della terra più di cinque volte. Sono più della spesa sanitaria italiana del 2021 (127 miliardi). Sono pari ai soldi che gli Stati riusciranno a recuperare grazie all'introduzione della tassa minima globale del 15% sulle multinazionali. E sono uguali ai fondi che i paesi dell’Unione europea hanno destinato alle politiche sociali nei loro Piani nazionali per la ripresa e la resilienza. 

Il danno globale delle frodi.

CumEx Files 2.0, un’indagine congiunta di 15 media di 15 paesi europei (per l’Italia Il Sole 24 Ore), americani, australiani, asiatici e africani, coordinati dalla redazione tedesca no-profit CORRECTIV, ha provato a stimare per la prima volta il danno globale causato alle amministrazioni fiscali di dodici paesi dalle operazioni di dividend washing negli ultimi vent'anni (transazioni chiamate tecnicamente “cum-cum” e “cum-ex”). 

La stima è stata realizzata grazie alle analisi svolte dagli esperti dell’università di Mannheim, in Germania, proprio mentre nei tribunali di mezza Europa sono in pieno svolgimento i processi contro alcune delle più importanti frodi sui dividendi degli ultimi anni. 

Inchiesta internazionale.

I CumExFiles, alla base dell'inchiesta alla quale ha lavorato un consorzio di 30 giornalisti, contengono circa 200mila pagine di documenti. Includono rapporti di indagine di varie autorità, verbali di interrogatori di testimoni chiave e di indagati, documenti bancari interni, email, trascrizioni di telefonate intercettate. I documenti provengono da varie fughe di notizie. Le testate che hanno partecipato all’indagine sono Profil (Austria), De Tidj (Belgio), Le Monde (Francia), Ndr e CORRECTIV (Germania), Il Sole 24 Ore (Italia), Reporter (Lussemburgo), Follow the Money (Olanda), El Confidencial (Spagna), Svt (Svezia), Bbc (Regno Unito), Nbc (Usa), Irish Times (Irlanda), Abc (Australia), amaBhugane (Sud Africa) e Tansa (Giappone). 

Grazie al supporto del team del professor Christoph Spengel, docente di diritto tributario all’università di Mannheim, il consorzio di giornalisti ha potuto realizzare almeno una stima parziale dei danni causati da questo tipo di operazioni al fisco europeo (e in parte degli Stati Uniti). La cifra totale è impressionante: oltre 150 miliardi di euro in un periodo di vent’anni, dal 2000 al 2020. Il numero tiene conto sia di operazioni di tipo “cum-cum” che di tipo “cum-ex”, e per l’Italia la valutazione dei soldi che mancano all’appello del fisco arriva a poco più di 13 miliardi di euro. 

Simili perdite di entrate fiscali hanno conseguenze difficili da comprendere, come difficili sono da immaginare 13 miliardi di euro e tutto quello che possono significare in termini sociali e politici. Basti pensare all’aspro dibattito politico sul rifinanziamento al reddito di cittadinanza, che, nel 2021, è di circa 200 milioni di euro. Con le tasse perdute per operazioni di dividend washing lo si potrebbe rifinanziare per 65 anni.

Le magie dell’ottimizzazione fiscale.

“Ottimizzazione fiscale” è un modo elegante, usato dai professionisti del settore, per dire “come pagare meno tasse”. Il concetto, più che legittimo anche se forse piuttosto alieno alla maggior parte dei cittadini comuni, va via via complicandosi man mano che il soggetto da “ottimizzare” diventa più grande, ricco e attivo economicamente sul piano internazionale. Per i grandi studi di diritto tributario internazionale, oltre ad essere una delle principali fonti di reddito, è diventato qualcosa fra un rompicapo e un’ossessione, un puzzle da risolvere nel modo migliore possibile stirando ogni legge e convenzione fin quasi al punto di rottura per ridurre le tasse dei propri clienti, a volte arrivando al di là dei limiti della legge stessa. 

Infatti la complessità delle leggi fiscali, ma soprattutto il modo in cui queste interagiscono fra loro in ambito internazionale, tra convenzioni e accordi bilaterali fra Stati, dà vita ad un amplissima zona grigia, dove le regole sono spesso tutt’altro che chiare. 

Non c’è da stupirsi quindi se una delle più grandi frodi fiscali mai scoperte, il cosiddetto scandalo ”cum-ex” che permette di eludere, e in alcuni casi anche di farsi rimborsare illecitamente, le tasse sui dividendi azionari, sia ancora nella fase del dibattimento in molteplici procedimenti penali aperti nei tribunali di mezza Europa, in particolare in Germania, Danimarca e Olanda. 

I sistemi di dividend washing.

Il sistema “cum-ex” è infatti stato scoperto dalle autorità già dal 2012 in Germania, anche se le operazioni di questo tipo sarebbero cominciate fin dal 2001. Questo schema fiscale, fra l'altro, è solo un tipo, il più aggressivo, di una grande varietà di meccanismi di dividend washing, la cui tipologia più semplice, definita “cum-cum” dagli investigatori tedeschi, è stata praticata e, a detta di diversi attori del mondo finanziario, è ancora praticata, in tutto il mondo con profitti eccezionali. 

Il meccanismo base delle operazioni di dividend washing è abbastanza semplice, anche se può apparire molto complesso. Invece di incassare un dividendo, un’azienda, un trader o un investitore, può vendere le azioni di sua proprietà a un soggetto terzo calcolando nel prezzo di vendita il dividendo ancora “in maturazione” dentro quelle azioni. 

Per chi vende si genera quindi una plusvalenza, che è esente da tassazione, mentre chi compra (e incassa il dividendo), può rivendere le azioni a chi le ha originariamente cedute a un prezzo inferiore a quello di acquisto, cioè al valore delle azioni vuote del dividendo, subendo una perdita, una minusvalenza che però è fiscalmente deducibile. 

Una legge del 2005 dovrebbe arginare queste operazioni, dato che la minusvalenza non è più integralmente deducibile, ma deve essere ridotta della quota non imponibile del dividendo incassato (che per le società di capitali è del 95%). 

Questo cambiamento però non ha arginato il problema, tanto che a seguito della pubblicazione della prima inchiesta “CumEx Files”, realizzata nel 2018 da questo stesso team, l’Esma (l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati) ha inviato un questionario a tutti gli Stati membri per valutare i potenziali rischi a cui è esposta l’Unione europea a causa di operazioni di questo tipo. 

Per l’Italia ha risposto la Consob (la Commissione nazionale per le società e la Borsa), che pur segnalando che non dovrebbero esistere scappatoie legali che permettano le forme più aggressive di dividend washing (del tipo “cum-ex”), ha aggiunto che le azioni di aziende italiane potrebbero essere bersaglio di sistemi del tipo “cum-cum”. 

Infatti, essendo la tassazione sui dividendi molto diversa a seconda del soggetto che le possiede (se è una società di capitali, se è residente in Italia o all’estero) e grazie alle convenzioni contro le doppie imposizioni, c’è sempre modo di spostare i pacchetti azionari da un soggetto A che dovrebbe pagare una tassa più alta a un soggetto B che è esente, o che paga una somma significativamente minore. 

I trasferimenti di azioni.

Se il trasferimento è fatto poco prima del giorno dello stacco del dividendo, il soggetto B incassa il dividendo, e ritrasferisce poi al soggetto A le stesse azioni. B viene compensato da A per il “servizio” e il gioco è fatto. Consob, nella sua risposta a Esma, non nega neanche la possibilità che banche o altri tipi di intermediari italiani si prestino a realizzare simili operazioni (anche dei tipi più aggressivi) in altri paesi europei e non. 

Per quanto possa già sembrare una cifra colossale - si tratta dell’equivalente di un quinto dell’intero fondo Next Generation Ue messo in campo per contrastare la crisi dovuta alla pandemia - i 150 miliardi di euro di danni erariali sono una stima estremamente conservativa. 

La somma infatti comprende solo i paesi per i quali è stato possibile accertare, grazie alle ricerche dei giornalisti che hanno collaborato all’inchiesta, che effettivamente operazioni di questo tipo sono tecnicamente possibili. 

Per il periodo dal 2000 al 2020 si sono considerate Italia, Germania, Austria, Spagna, Olanda, Belgio, Francia e Lussemburgo. La Svizzera e gli Stati Uniti sono stati conteggiati solo fino al 2008, quando secondo le ricerche il fenomeno dovrebbe essere stato bloccato dalle autorità. 

Considerando che secondo gli attuali sistemi di tassazione i soggetti più incentivati a iniziare operazioni di tipo “cum-cum” sono quelli residenti all’estero, che non possono teoricamente beneficiare della tassazione estremamente bassa prevista per le società di capitali italiane (è tassato solo il 5% del dividendo, per una tassa totale intorno al 1,2%), l’università di Mannheim ha voluto mantenersi su cifre conservative. Ha così stimato che solo il 50% delle azioni possedute all’estero passino per un processo di dividend washing anche se, almeno per Francia e Germania, ci sono ragioni di credere che quasi il 100% delle azioni possedute da soggetti esteri passino per un processo del tipo “cum-cum”. 

Con queste premesse, e analizzando tutti i dividendi pagati sui principali indici dei 12 paesi in esame, si arriva alla cifra di 150 miliardi di euro. Nel dettaglio: per le operazioni di tipo “cum-cum” le perdite di gettito arrivano a quasi 141 miliardi di euro, i paesi più colpiti sono Francia (33 miliardi persi), Germania (28) e Olanda (26). L'Italia è al quinto posto, con 13,2 miliardi mancanti. I restanti dieci miliardi vengono dalle operazioni di tipo “cum-ex”, che sono state finora accertate solo in alcuni paesi: Germania, Francia, Belgio e Danimarca. 

La “corsa all’oro”.

La differenza fondamentale fra le operazioni dette “cum-cum” e le “cum-ex” sta nel fatto che le prime si configurano come una sorta di elusione (o evasione, anche qui diversi paesi interpretano la legge in modo diverso) mentre le seconde, fin dalla loro scoperta, sono sempre state percepite come delle frodi vere e proprie, nonostante le accorate difese dei principali indagati. 

Le operazioni “cum-ex”, fino al 2012, si basavano sul fatto che, in alcuni sistemi fiscali europei, la tassa sui dividendi è trattenuta all’origine, ma assieme al dividendo netto il proprietario delle azioni riceve, se ne ha diritto, anche un certificato che dà diritto al rimborso della tassa stessa. 

I trader però hanno scoperto che, se le azioni in questione si trovavano sotto un contratto di opzione o “short sale” durante il giorno del pagamento del dividendo, il certificato di rimborso arrivava sia al proprietario originale delle azioni sia a quello che le aveva opzionate. 

Di fatto, a un singolo dividendo pagato con una singola imposta trattenuta corrispondevano due certificati di rimborso, entrambi esigibili. La scoperta deve aver fatto aprire parecchie bottiglie di champagne, perché molto rapidamente la vicenda si è complicata sempre di più. I trader hanno testato il sistema e accertato che non dovevano limitarsi a soli due certificati ottenuti per ogni azione, perché le opzioni sul singolo pacchetto azionario possono essere multiple, e in alcuni casi la stessa tassa è stata “rimborsata” fino a dieci volte a dieci soggetti diversi. 

«Era un po’ come cercare l’oro - aveva dichiarato al giornale investigativo italiano Irpi il whistleblower Benjamin Frey, che aveva collaborato nel 2018 alla prima inchiesta “cum-ex” files -, a volte funziona, a volte no». 

Il paradosso è che nonostante l’idea di vedersi la stessa tassa rimborsata più volte sia intuitivamente palesemente illegale, i principali accusati ai vari processi in corso in Europa continuano a difendere il loro operato, e solo nel 2020 sono arrivate le prime, timide, condanne. 

I processi in Germania e nel Nord Europa.

In Germania ci sono almeno tre processi in corso, presso i tribunali di Colonia, Francoforte e Monaco. Solo a Colonia ci sono oltre 700 indagati. Altri importanti processi sono aperti in Danimarca, Olanda, Belgio. 

Uno dei principali accusati, indagato sia in Germania che in Danimarca, Belgio e Lussemburgo, è il trader britannico, basato a Dubai, Sanjay Shah. Il “cowboy” lo chiamavano, per l’aggressività delle operazioni che metteva in piedi e i grandi rischi che era disposto a correre. Shah, tramite il fondo Solo Capital da lui creato, ha gestito enormi operazioni di “cum-ex” in Danimarca, rastrellando 800 milioni di euro a ogni passaggio. In pochissimo tempo è diventato miliardario e oggi vive sulla Palm Island di Dubai. I giornalisti di Panorama, programma investigativo della tv pubblica tedesca Adr e partner di questa inchiesta, l'hanno raggiunto nella sua casa degli Emirati Arabi e hanno potuto parlare con lui della sua situazione legale. 

Shah è ricercato in diverse giurisdizioni e non può lasciare gli Emirati per paura di essere messo in custodia cautelare ma, almeno dalle sue parole, non sembra troppo preoccupato: «Non credo di aver fatto nulla di sbagliato - dice -, sono convinto che in un anno o due sarò fuori da questa situazione, e ho intenzione di rimettermi in affari appena possibile». 

Dal suo punto di vista, ha solo tratto vantaggio da un loophole, una scappatoia legale, che non sta a lui chiudere. «Contribuenti tedeschi e danesi sono infuriati che i loro soldi siano finiti a me? Perché non pretendono che il loro governo cambi la legge allora? Per come la vedo io si, è un peccato, ma non prendetevela con me. Le mie operazioni erano perfettamente legali e legittime. Parlando della Danimarca [la giurisdizione che lo cerca più aggressivamente, ndr] perché mai altrimenti il fisco danese avrebbe pagato rimborsi [a Shah e agli altri trader coinvolti, ndr] per anni e anni? Solo dalla mia azienda hanno ricevuto oltre tremila richieste di rimborso, e mai se ne sono preoccupati». 

Secondo Shah non sarebbe stato difficile impedire le operazioni di tipo “cum-ex” con semplici cambi di leggi, e a dire il vero l'associazione delle banche tedesche già nel 2007 aveva segnalato il rischio dei doppi rimborsi fiscali al suo ministero delle Finanze, ma il Governo aveva scelto di ignorare l’avvertimento. 

Le prime condanne.

La procuratrice di Colonia, Anne Brorhilker, che guida il principale processo in Germania contro queste operazioni, ha un punto di vista molto diverso però: «Certo, possono [gli imputati, ndr] razionalizzare la cosa quanto vogliono, convincersi che era tutto legittimo se li fa sentire meglio quando si svegliano al mattino per andare al lavoro - dice in un’intervista a Panorama - ma il loro obiettivo era sempre quello di rastrellare più denaro possibile da queste operazioni fiscali». 

Brorhilker sottolinea che, considerando che diversi paesi hanno posto un freno a queste operazioni in tempi diversi, i trader hanno semplicemente continuato a farle dove era possibile e dove il rischio di essere scoperti era più basso. «La mentalità non è troppo diversa da quella di un taccheggiatore - spiega -. Perché fermarsi se non mi notano? E dove non ci sono telecamere, la è dove agire». 

Nel frattempo a partire dal 2020, sono cominciate ad arrivare le prime sentenze, tutte a favore dell’accusa. A marzo 2020 Martin Shields e Nicholas Diable, due ex banchieri inglesi accusati in Germania, sono stati condannati a una pena sospesa solo perché il tribunale ha riconosciuto la loro intensa collaborazione con la procura, e nello stesso procedimento la banca di Amburgo Mm Warburg ha subito un sequestro di 176 milioni di euro. 

Lo scorso giugno, un ex impiegato della stessa banca Warburg non è stato così fortunato. È stato infatti il primo banchiere a essere mandato in galera per operazioni di tipo “cum-ex”, ben cinque anni e mezzo di carcere. Ancor più importante per l’andamento di tutti i processi ancora in corso, sempre lo scorso giugno la Corte suprema federale tedesca, analizzando l’appello di Shields e Diable, ha dichiarato che le operazioni di tipo “cum-ex” sono “una sfacciata frode fiscale” e un palese furto dalle casse dello Stato. 

Qualcosa si muove, dunque, in Europa. E anche in Italia le autorità fiscali investigative potrebbero già aver acceso un faro sul turbolento mondo delle frodi “cum-ex”. 

*****

Le parole chiave.

Dividendo: quella parte di utile che viene distribuito (normalmente una volta all’anno, ma ci sono eccezioni) da una società ai suoi azionisti. 

Dividend Washing: operazioni di “lavaggio” che consentono di ridurre o eludere del tutto la tassazione sui dividendi azionari. Sono anche dette operazioni di “dividend arbitrage” o “dividend trading”. 

Cum-Ex: una categoria particolare di dividend washing. Prende il nome dal latino “con” (cum) e “senza” (ex), ad indicare il trading di azioni con e senza il dividendo connesso. Sono operazioni molto complesse che permettono di farsi rimborsare più volte la stessa tassa pagata una volta sola. 

Cum-Cum: è un termine più generico che racchiude diversi tipi di operazioni di dividend washing, caratterizzate da un meccanismo simile a quello di cum-ex, ma che porta solo a un elusione (totale o parziale) della tassa sui dividendi senza rimborsi multipli. 

Plusvalenza: è il profitto derivato dalla vendita di un bene il cui valore è cresciuto durante il periodo per il quale è stato posseduto. Può riferirsi a beni tangibili (una casa, un attività) o intangibili, come appunto azioni di società quotate in borsa. 

Minusvalenza: è la differenza fra un prezzo di acquisto più alto e uno di vendita più basso per un bene, differenza che normalmente rappresenta una perdita per chi vende. Al contrario di altri tipi di perdite, sono a volte deducibili. 

https://24plus.ilsole24ore.com/art/frode-dividendi-cosi-si-e-aperto-buco-150-miliardi-casse-pubbliche-europee-AEJ0SJr

venerdì 27 agosto 2021

Università: un miliardo del Pnrr in regalo ai privati. - Alessandro Bonetti

 

La soluzione sul modello dell’housing sociale.

Perdersi nelle centinaia di pagine del Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) e dei suoi allegati è molto facile e molte scelte del governo, pur assai rilevanti, rischiano di finire in secondo piano nel dibattito pubblico: è passata quasi inosservata, ad esempio, la riforma degli alloggi per gli studenti universitari e invece siamo, di fatto, di fronte a un vero e proprio regalo agli immobiliaristi.

Prima, però, facciamo un passo indietro. Il Covid ha costretto molti cosiddetti “fuorisede” ad abbandonare la città dove studiavano e ancora oggi le incognite restano tante. Certo, il prezzo degli affitti sembra essere leggermente sceso (-2,5%), ma sul ritorno in presenza delle lezioni pesa la mancanza di un’organizzazione condivisa e ben ragionata. Le criticità emerse con la pandemia si sono innestate su problemi strutturali, come i ritardi nell’assegnazione dei posti letto e le disomogeneità fra regioni. La scarsità degli alloggi disponibili fa sì che negli studentati viva solo il 5% degli universitari italiani, contro una media europea del 17% (dati Eurostudent).

In questo contesto di disagio, la versione definitiva del Pnrr prevede lo stanziamento di 960 milioni di euro per la residenzialità studentesca. L’obiettivo? Portare i posti per gli studenti fuorisede dagli attuali 40 mila a oltre 100 mila entro il 2026.

Come raggiungere questo traguardo? Eccoci giunti al punto cruciale: la revisione della legge 338/2000 e del decreto legislativo 68/2012 sulla realizzazione degli alloggi studenteschi. La riforma prevede “l’apertura della partecipazione al finanziamento anche a investitori privati, o partenariati pubblico-privati” e una lunga serie di altre concessioni ai signori del mattone.

Innanzitutto il governo sosterrà la “sostenibilità degli investimenti privati” con un regime di tassazione agevolato (“simile a quello applicato per l’edilizia sociale”). Poi, i nuovi alloggi potranno essere utilizzati dai gestori in modo “flessibile”. In altre parole, quando non serviranno a ospitare studenti, potranno essere affittati a terzi. Non solo: saranno ammorbiditi anche i requisiti sugli spazi comuni minimi. In cambio, i gestori dovranno soltanto provvedere a camere singole “meglio attrezzate”.

Infine, la ciliegina sulla torta. Il ministero dell’Università e della Ricerca coprirà in anticipo (!) ai privati gli “oneri corrispondenti ai primi tre anni di gestione delle strutture”. In sintesi, il governo riempirà generosamente di soldi pubblici le tasche dei costruttori privati, nella speranza che ciò possa triplicare gli alloggi studenteschi disponibili in Italia. Questa misura, che il Pnrr definisce una “architettura innovativa e originale”, nel migliore dei casi sarà un pasto gratis per gli immobiliaristi. Nel peggiore, non scalfirà il problema dei posti letto. In ogni caso, il percorso legislativo è stato avviato, dato che alcune delle modifiche previste dal Pnrr sono già state inserite nel recente decreto Semplificazioni.

Fra i diretti interessati (ossia gli studenti) inizia a serpeggiare qualche malumore. Giovanni Sotgiu, coordinatore dell’Unione degli Universitari, dice al Fatto: “L’intervento previsto nel Pnrr per aumentare i posti letto nelle residenze universitarie va nella direzione giusta, ma è sicuramente ancora insufficiente se si guarda al numero totale di immatricolazioni e lo si rapporta alla percentuale di beneficiari di posti letto”. Per Sotgiu l’aumento della soglia di cofinanziamento statale è positivo, ma “è necessario che i fondi raddoppino e si lavori sugli standard di qualità degli alloggi, oltre che sul numero”.

Non sono solo queste le preoccupazioni degli universitari. Sotgiu sottolinea che “la possibilità di cofinanziamento da parte dei privati, in un ambito determinante per l’accesso all’università pubblica di tante studentesse e tanti studenti, rischia di conferire una discrezionalità sui criteri di accesso alle residenze – come è già accaduto a Venezia – che può facilmente rivelarsi limitante ed escludente, ampliando le già note disuguaglianze territoriali”. Che fare, allora? “Stato e Regioni dovrebbero stanziare la quantità di finanziamenti sufficienti a coprire in toto il fabbisogno di posti alloggio, così da non dover subordinare i criteri di accesso agli interessi dei privati”.

Non c’è da nascondersi dietro un dito: la torta degli affitti studenteschi fa gola a molti. Nel settore alcuni si stanno già muovendo. Un esempio? Dopo i Giochi di Milano-Cortina del 2026, il villaggio olimpico diventerà in parte uno studentato, di cui si occuperà la Coima sgr dello sviluppatore Manfredi Catella, che gestisce 27 fondi immobiliari e vale 8,4 miliardi di euro di investimenti.

Invece di realizzare un massiccio piano di residenzialità pubblica, nel Pnrr si è insomma deciso di supportare (e garantire) gli investimenti privati. Il diritto allo studio, così, rischia di passare in secondo piano. Su un punto cruciale della vita universitaria, che avrà un impatto su migliaia di giovani, il governo sembra aver rinunciato a intervenire con decisione e coraggio.

ILFQ

Chi ha deciso che io debbo pagare anche le università private? E chi ha deciso che, se voglio mandare mio figlio a studiare nelle università private debbo pagare retta, vitto e alloggio?
Lo hanno deciso gli stessi che approfitteranno, come sempre hanno fatto di tutto, tanto pago io per agevolare loro??
Dimenticavo, abbiamo Draghi a presiedere il Consiglio dei Ministri...
c.

domenica 15 agosto 2021

Recovery, all'Italia i primi 24,9 miliardi. Draghi: 'E' responsabilità verso il nostro futuro e verso l'Europa'.

 

Come anticipo del 13% sui 191,5 miliardi dell'ammontare totale. Gentiloni: 'occasione irripetibile'. Hahn: 'esborso in tempi record'. Von der Leyen: con primi fondi parte la ripresa'.

La Commissione europea ha versato 24,9 miliardi all'Italia, come anticipo del 13% sui 191,5 miliardi dell'ammontare totale del Recovery per il Paese, fino al 2026. I 24,9 miliardi sono composti per 8,957 mld da aiuti a fondo perduto (pari al 13% dei 68,9mld di sovvenzioni previste) e 15,937mld di prestiti (il 13% di 122,6mld). I pagamenti del rimanente 87% affluiranno in base al completamento dei target fissati.

Il 37% del piano per la ripresa e la resilienza italiano va in riforme ed investimenti per garantire la transizione verde, mentre il 25% della dotazione complessiva sosterrà gli obiettivi per la digitalizzazione. In particolare la Commissione europea nella sua nota ricorda che a garanzia della transizione verde, con 32,1 miliardi di euro, più regioni saranno integrate nella rete ferroviaria ad alta velocità e saranno completati i corridoi ferroviari merci.

Sarà potenziato il trasporto locale sostenibile attraverso l'estensione di piste ciclabili, metropolitane, tram e autobus a emissioni zero, compresa la costruzione di stazioni di ricarica elettrica in tutto il Paese e punti di rifornimento di idrogeno per il trasporto stradale e ferroviario.

A sostegno della trasformazione digitale, 13,4 miliardi di euro saranno investiti, tra l'altro, nella promozione delle tecnologie digitali per le imprese, con un regime di credito d'imposta volto a sostenere e accelerare la loro trasformazione. Quanto al rafforzamento della resilienza economica e sociale: 26 miliardi di euro andranno anche ad aumentare l'offerta di strutture per l'infanzia, a riformare la professione degli insegnanti, migliorare le politiche attive del mercato del lavoro e la partecipazione delle donne e dei giovani al mercato del lavoro, rafforzando la formazione professionale.

Altri 3,7 miliardi di euro verranno destinati a riformare e modernizzare il pubblico impiego, a rafforzare la capacità amministrativa e riformare e digitalizzare i tribunali civili e penali per ridurre la durata dei procedimenti giudiziari. Ulteriori investimenti e riforme rafforzeranno il contesto imprenditoriale migliorando gli appalti pubblici ei servizi pubblici locali, riducendo i ritardi di pagamento ed eliminando gli ostacoli alla concorrenza.

"L'Italia beneficia maggiormente dei fondi del programma Next Generation Eu. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è stato approvato dalla Commissione europea il 22 giugno e oggi arrivano le prime risorse, corrispondenti a una tranche iniziale di 24,9 miliardi di euro. L'Italia è uno dei primi Paesi a ricevere tale prefinanziamento". Lo dichiara il premier Mario Draghi. "L'assegnazione di queste ingenti risorse richiama tutti noi al senso di responsabilità nei confronti degli impegni presi verso noi stessi, verso il nostro futuro e verso l'Europa", sottolinea il premier.

"Vogliamo una ripresa duratura, equa e sostenibile: dobbiamo perciò spendere in maniera efficiente e onesta", dice il presidente del Consiglio Mario Draghi. "L'Italia è uno dei primi Paesi a ricevere tale prefinanziamento" del Recovery. "Questo deve incoraggiarci a proseguire sul percorso di riforme tracciato e approvato dal Parlamento quattro mesi fa a larga maggioranza. Nei primi sei mesi di governo, il Parlamento ha approvato la governance del Piano, le riforme della Pubblica amministrazione e degli appalti e importanti semplificazioni normative. Il Governo presenterà, in coerenza con il Piano, la riforma della concorrenza e la delega per la riforma del fisco".  

"NextGenerationEU è un'opportunità storica per investire sulla forza dell'Italia", ha commentato il commissario europeo, Paolo Gentiloni, in occasione dell'esborso della prima rata del Recovery all'Italia. "Il prefinanziamento odierno è un primo, concreto e tangibile passo per avviare gli investimenti e le riforme che l'Italia si è impegnata a portare avanti. È un'occasione irripetibile per l'Italia per rilanciare l'economia e costruire un futuro sostenibile per le prossime generazioni", afferma in una nota.

"L'intensa collaborazione con l'Italia e la solida preparazione all'interno della Commissione europea ci hanno permesso di erogare i fondi in tempi record", ha detto il commissario europeo al Bilancio, Johannes Hahn. "Ciò dimostra - prosegue il commissario - che con le risorse raccolte saremo in grado di soddisfare rapidamente le esigenze di prefinanziamento di tutti gli Stati membri, dando loro la spinta iniziale nell'attuazione dei numerosi progetti verdi e digitali inclusi nei loro piani nazionali".

"La prima erogazione di fondi nell'ambito di NextGenerationEU all'Italia avvia una ripresa duratura del Paese", secondo la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. "L'Ue è stata pienamente solidale con voi durante tutta la crisi. Resteremo al vostro fianco fino all'arrivo di giorni più luminosi. Il vostro piano di rilancio, Italia Domani, mostra il livello di ambizione necessario per fare del Paese un motore di crescita per l'intera Europa. Perché un'Europa forte ha bisogno di un'Italia forte", aggiunge.

Il PNRR "rappresenta una grande opportunità per l'Italia, per i suoi cittadini e le sue imprese. Tutte le istituzioni devono cooperare per il proficuo utilizzo delle risorse del Piano, a beneficio delle generazioni future. Lasciare in eredità un Paese migliore: questo è l'impegno che il Governo intende portare avanti attraverso la collaborazione e il confronto con tutte le parti interessate", scrive il Mef. "Il Ministero è in prima linea, accanto alle amministrazioni, per affrontare al meglio questa sfida; adotterà tutte le misure necessarie per assicurare il raggiungimento degli obiettivi nei tempi previsti".

ANSA

Non ho ancora capito se Draghi è ingenuo o ci fa...
Fidarsi delle persone delle quali si è circondato non lo porterà a raggiungere l'obiettivo di spendere "onestamente" i soldi del recovery...
c.

giovedì 29 ottobre 2020

Borsa: l'Europa brucia 230 miliardi, Milano 17,6 mld.

 

Giornata nera per Piazza Affari (-4%)

Il crollo delle Borse europee, in scia al proliferare dei lockdown nel Vecchio Continente, è costato ai mercati azionari circa 230 miliardi di euro di capitalizzazione, calcolata sulla base delle perdite subite dall'indice paneuropeo Dj Stoxx 600. A Piazza Affari il tonfo del Ftse Mib si è tradotto in 17,6 miliardi di valore azionario andato in fumo.

Giornata nera per Piazza Affari (-4%), come per le altre principali Borse europee e in linea coi cali a Wall Street, con la paura delle ripercussioni della seconda ondata di Covid. A Milano il listino principale ha chiuso tutto in rosso, tranne che per Saipem (+1,1%), nonostante i conti e mentre punta al tunnel sullo Stretto. In calo gli altri petroliferi, da Eni (-3,5%) a Tenaris (-3%), col greggio che precipita (wti -6%) a 37,2 dollari al barile.
    Lo spread è salito a 139 punti e le banche hanno ceduto, da Bper (-7,2%) a Intesa (-4,8%), Banco Bpm (-4,1%) e Unicredit (-3,9%). Giù Mediobanca (-4,97%) nel giorno dell'assemblea per l'elezione del Cda. Male Pirelli (-7%), perso il ricorso Ue sul "cartello nei cavi". Tra i titoli più penalizzati Buzzi (-6,4%), Enel (-6%), come Amplifon, quest'ultima pur coi dati del trimestre in ripresa. In rosso Fca (-3,8%) nonostante i conti sopra le attese, giù Exor (-5,6%). Nel lusso forte perdita per Moncler (-5,6%). Male Tim (-4,4%), Poste (-4,2%). Meno peggio Diasorin (-1,2%) e Fineco (-1,3%). (ANSA).

https://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2020/10/28/borsa-covid-spaventa-milano-4-giu-banche-crolla-bper_db53e026-2d64-4dbb-9a40-fedde29b6ff6.html

Quando leggo queste notizie, mi si accende un campanellino nella testa... 230 miliardi non sono stati bruciati materialmente, quindi...?
L'unica risposta che mi frulla in mente è che non esistevano realmente, ma solo in una stima basata sul.... nulla!
Non sono neanche transitati da una tasca all'altra!
Semplicemente: non esistevano.
Questo fanno le borse affari.
Producono ricchezze basate sul nulla, sul plus valore di un prodotto che, pur non avendo subito alcuna modifica materiale, acquista maggior valore con i tagli degli stipendi, degli straordinari, tagli del personale, della sicurezza sul lavoro... operati dall'azienda produttrice quotata in borsa.
Tutte operazioni discutibilissime che tendono a gonfiare il prezzo delle azioni a beneficio di chi le detiene.
Tutto qui.
Quando gli incantesimi svaniscono, svanisce anche il plus valore basato sull'incantesimo.
PS: non per niente la chiamano "Piazza Affari" a cui aggiungerei l'aggettivo "Sporchi".
Quindi, a conti fatti, se si bruciano miliardi di plus valore del niente è come se non fosse successo niente per chi non ha "azioni" ma ne subisce le "azioni".
C.

giovedì 15 ottobre 2020

Giganti del web, 46 miliardi di tasse non pagate.

 

Nel 2015-2019 i giganti del web e del software (WebSoft) hanno più che raddoppiato il fatturato a un ritmo 10 volte superiore a quello delle grandi aziende manifatturiere. L'anno passato il fatturato dei primi 25 colossi ha toccato quota 1.014 miliardi in un mercato sempre più concentrato e dominato da nomi americani e cinesi: i primi tre, Amazon, Alphabet (Google) e Microsoft, hanno fatto circa la metà dei ricavi con Amazon che da sola ne rappresenta un quarto (249,7 miliardi). Secondo uno studio del'Area Studi di Mediobanca sono aumentati anche utili, forza lavoro e valore di Borsa. E l'emergenza sanitaria non ha frenato la loro corsa neanche quest'anno, anzi in molti casi l'ha aiutata

Circa la metà dell'utile ante imposte dei giganti del web e del software - continua la ricerca - è tassato in Paesi fiscalità agevolata, come l'Irlanda e Singapore ma pure Usa e Cina, con un conseguente risparmio fiscale di oltre 46 miliardi nel quinquennio 2015-2019. Secondo l'Area studi di Mediobanca il tax rate è pari al 16,4%, al di sotto di quello teorico al 22,2%. Da qui la spinta gli utili 25 big del comparto quasi tutti americani e cinesi, guidati da Amazon, Google e Microsoft, che hanno visto il fatturato aggregato superare nel 2019 i mille miliardi di euro e aumentare anche la forza lavoro e il loro valore di Borsa. L'emergenza sanitaria legata al Covid non ha frenato la loro corsa neanche quest'anno, anzi in molti casi l'ha aiutata.

I giganti del web e del software operano in Italia tramite controllate presenti in gran parte nelle province lombarde di Milano e Monza Brianza. L'aggregato 2019 delle filiali italiane, passate in rassegna dall'Area Studi di Mediobanca, ha un fatturato di oltre 3,3 miliardi (pari allo 0,3% del totale delle aziende web e software a livello mondiale) e occupa oltre 11mila unità (0,5% del totale) ,oltre mille in più rispetto al 2018. L'anno scorso hanno versato al fisco italiano circa 70 milioni, per un'aliquota fiscale effettiva del 32,1%. 

(foto ANSA)

https://www.ansa.it/sito/notizie/tecnologia/tlc/2020/10/14/giganti-del-web-46-miliardi-di-tasse-non-pagate_5775f4cc-0a33-44fc-8fc7-e23c3309bcee.html

domenica 14 giugno 2020

Italia 90, l’eredità del Mondiale trent’anni dopo: ecomostri, stazioni ferroviarie mai completate e stadi fatiscenti – Le storie. - Lorenzo Vendemiale

Italia 90, l’eredità del Mondiale trent’anni dopo: ecomostri, stazioni ferroviarie mai completate e stadi fatiscenti – Le storie

La grande occasione persa della competizione iridata, costata oltre 7mila miliardi di lire, lascia ancora oggi le sue cicatrici, da Nord a Sud. A Roma la stazione Farneto non è mai nata, Vigna Clara è ora alla fase del collaudo e Ostiense è diventata la sede di Eataly. A Napoli restano i misteri della Ltr, a Milano l'ecomostro Hotel Mundial è stato abbattuto come lo stadio Delle Alpi a Torino, a Bari il futuro del San Nicola è un'incognita. Ecco le loro storie.
Gli occhi spiritati di Schillaci per un rigore non dato. La serpentina di Baggio contro la Cecoslovacchia. Le feste in piazza dopo le vittorie azzurre. Notti magiche prima della serata tragica. Napoli divisa. Maradona e Caniggia e Goycochea. Poi l’uscita sbagliata di Zenga e la delusione, forse la più grande di sempre, per l’eliminazione in semifinale. Sono le immagini di copertina di un ipotetico libro dal retrogusto amaro. Titolo possibile: ‘Mondiali Italia ’90, storia di un’occasione persa’. Perché l’eredità del torneo non si misura con il misero terzo posto della nazionale di Vicini. Il flop fu soprattutto organizzativo: tra costi esplosi e ritardi, le opere realizzate (almeno quelle che non sono state abbattute) erano e restano l’emblema dello spreco. Eppure fu un’edizione epocale, anche e soprattutto dal punto di vista sociale e geopolitico. A trent’anni esatti da allora, raccontiamo – a modo nostro – l’Italia, l’Europa e il mondo di quei giorni. Le storie, i protagonisti, gli aneddoti. Di ciò che era, di cosa è restato. (p.g.c.)
Stazioni mai entrate in funzione, ecomostri di cemento, stadi disgraziati. Ilfattoquotidiano.it ha raccontato la grande occasione perduta dei Mondiali di Italia ’90, costati oltre 7mila miliardi di lire, tra sprechi, ritardi e progetti scriteriati. Ma non è vero che di quella stagione non resta più nulla: da Roma a Milano, da Nord a Sud, in giro per il Paese ancora oggi si possono vedere ruderi e incompiute di quel Mondiale. Queste sono le loro storie.
Farneto, Vigna Clara, Ostiense: sono le tre stazioni mondiali praticamente mai aperte, tre progetti scellerati costati allo Stato complessivamente oltre 400 miliardi di euro. La loro storia è tragicomica, farebbe ridere se non ci fosse da piangere. Partiamo dalla stazione Farneto: distante meno di un chilometro dall’Olimpico, doveva essere l’hub finale del trasporto dei tifosi allo stadio. Peccato che, nonostante i 15 miliardi di lire spesi, fosse completamente inadatta: chi l’aveva progettata, non aveva pensato che quel breve tratto di centinaia di metri correva in realtà su una strada buia, pericolosa e ad alta percorrenza, non il massimo per il transito di migliaia di tifosi in piena notte. Per non parlare delle misure sbagliate del tunnel: solo dopo averlo completato, ci si accorse che non c’era spazio sia per i treni che per la banchina. Per inserire il marciapiede fu eliminato uno dei due binari. Alla fine aprì per un paio di settimane, ci passarono appena 12 convogli, poi fu richiusa per sempre. Finita al centro di inchieste, è stata occupata per anni da gruppi di estrema destra, poi sgomberata nel 2015.
La sua storia si intreccia con quella di Vigna Clara, stazione di testa dello stesso collegamento, che di miliardi ne costò circa 80: attivata in occasione dell’inaugurazione dei Mondiali (ma ancora incompiuta), chiusa al termine della manifestazione, fu posta sotto sequestro nel 1993 nell’ambito di un’indagine su presunte irregolarità della pubblica amministrazione nella realizzazione del collegamento. I reati ipotizzati erano abuso e omissione di atti d’ufficio, gli imputati finirono tutti prosciolti. Nonostante tutto, la linea sarebbe stata preziosa per unire su ferro Roma Nord a Roma Sud e così nel corso degli anni si è parlato più volte di recuperarla, con diversi progetti che sono partiti e puntualmente si sono arenati. L’ultimo, che prevede il collegamento tra Vigna Clara e Valle Aurelia, avanza faticosamente proprio nelle ultime settimane sembra arrivata alla fase conclusiva, quella del collaudo. Chissà che non sia la volta buona.
Quanto all’Air Terminal di Ostiense, terminal aeroportuale che avrebbe dovuto portare a Fiumicino, ambizioso progetto firmato dagli architetti Lafuente e Sanrocchi, è costato appena 350 miliardi di lire. I calcoli di afflusso però erano sbagliati: i passeggeri erano troppo pochi, i negozi chiusero uno dopo l’altro, l’impianto accumulava perdite e fu abbandonato. Si trasformò prima in un ricovero per senza tetto, poi ci volevano fare un centro commerciale, quindi di nuovo una stazione, alla fine oggi è diventata la sede di Eataly.
Sotto viale Augusto che ce sta?”. È uno dei più grandi scandali di Italia ’90, tanto da diventare una canzone di Edoardo Bennato, che col suo alter-ego blues, Joe Sarnataro, negli anni Novanta cantava i misteri della Ltr. La famosa “Linea tranviaria rapida”, o metro leggera che dir si voglia, che avrebbe dovuto portare i tifosi al San Paolo attraversando viale Augusto. Le stazioni furono costruite, la linea mai inaugurata. A pochi mesi dal torneo, ci si accorse che la stazione di Piedigrotta era una specie di pozzo profondo trenta metri, da cui i passeggeri avrebbero dovuto emergere superando cinque piani di scale di ferro, 121 gradini, senza ascensore. Si decise di ovviare con un ingresso alternativo, qualche centinaio di metri più avanti, ma la talpa Hydroshield, che stava scavando la galleria, fu inghiottita dal terreno. Alla domanda di Bennato, ancora non si è avuta risposta.
Sette piani, 300 camere, 180mila metri cubi di cemento: questo avrebbe dovuto essere l’imponente progetto dell’Hotel Mundial, l’enorme albergo nella periferia sud-est di Milano, costato 10 miliardi di lire. Si sono disputati ben cinque mondiali di calcio senza che abbia mai aperto. Collocato tra i Comuni di Milano e Ponte Lambro, immerso in una grande area verde, a due passi dallo svincolo di autostrada e tangenziale, avrebbe dovuto essere il quartier generale dei tifosi in arrivo da ogni parte del pianeta. Di tifosi in realtà non se ne videro così tanti, ma soprattutto l’hotel non era pronto: passato il torneo e ogni barlume di utilità, il progetto fu abbandonato a se stesso. È rimasto l’ecomostr, ed è arrivato presto anche il degrado, lo spaccio, le occupazioni abusive. Negli anni si sono sprecate anche le proposte di riqualificazione: carcere, polo sanitario, caserma, residenze universitarie. Tutte naufragate. Alla fine l’enorme scheletro di cemento fu abbattuto nel 2012, sotto la giunta Pisapia.
Bello era bello, non c’è che dire. Lo sarebbe ancora, se soltanto non cadesse a pezzi. Lo stadio San Nicola di Bari è forse il simbolo perfetto degli strani mondiali di Italia ’90, perché ne racchiude al contempo la magia e gli errori, la bellezza e gli sprechi. Costato 153 miliardi di lire, firmato dal grande Renzo Piano, fu uno dei centri nevralgici del torneo, con la finale per il terzo posto degli azzurri contro l’Inghilterra, amara consolazione del sogno mondiale infranto. Un anno dopo avrebbe ospitato addirittura la finale di Coppa Campioni vinta ai rigori dalla Stella Rossa contro l’Olympique Marsiglia. Due anni di gloria non sono bastati a fermarne l’inesorabile declino. Costruito nella periferia ovest della città, anzi proprio nel nulla, si è trasformata pian piano in una cattedrale nel deserto: sui desolati terreni circostanti si sono ciclicamente rinnovati una serie di appetiti immobiliari, mai però concretizzati insieme alla valorizzazione dell’impianto. Un po’ come la squadra locale, l’“astronave” non è mai riuscita a decollare veramente e si è ridotta in avaria: 13 dei 24 teloni in teflon, simbolo dello stadio, si sono staccati uno dopo l’altro, così alla fine l’amministrazione si è decisa a rimuoverli tutti. Soltanto di recente il Comune del sindaco Antonio Decaro ha approvato un primo, piccolo progetto di restyling, con la sostituzione di migliaia di seggiolini. E ha affidato per 5 anni l’impianto al nuovo Bari di De Laurentiis. Il futuro, però, resta un’incognita.
Al Delle Alpi è come giocare sempre fuori casa”. Con questa frase l’avvocato Agnelli sentenziò la condanna a morte dello stadio Delle Alpi, il più grande errore di Italia ‘90, almeno sotto il profilo dell’impiantistica sportiva. 160 miliardi di lire, con il rincaro più alto di tutta la manifestazione (+214% sul preventivo), per uno stadio durato appena 16 anni: inaugurato nel ’90, fu chiuso nel 2006 e abbattuto nel 2009. Fra queste due date c’è la storia di uno stadio disgraziato, troppo grande per le reali esigenze della città (eccessivi 69mila posti), pure scomodo per l’enorme pista di atletica pretesa dal Coni e quasi mai utilizzata, sempre mezzo vuoto, costoso e poco redditizio. Un disastro, insomma. Ad averne segnato il destino non furono solo i suoi difetti, ma anche gli interessi economici dei club, Juventus e Torino, che speravano di avere qualcosa di meglio e per questo gli dichiararono guerra, arrivando anche a minacciare il Comune di lasciare la città. Ed è così che a inizio Anni Duemila ci fu la svolta, con lo zampino di un altro grande evento sportivo, i Giochi di Torino 2006: con l’occasione delle Olimpiadi, si arrivò all’accordo per cui il Delle Alpi, insieme alla famosa area della Continassa, fu assegnato per 99 anni alla Juventus al prezzo estremamente vantaggioso di 25 milioni di euro. Sulle ceneri del vecchio impianto sarebbe sorto lo Juventus Stadium, diventato uno dei segreti del successo bianconero. Col senno di poi, si può dire che in fondo il Delle Alpi è stata una benedizione, almeno per la Juve.
Fossero solo queste le cattedrali nel deserto probabilmente volute e costruite dai riciclatori di denaro proveniente da operazioni che non hanno alcun sentore di legalità.
L'italiano è così corrotto, anche a livelli istituzionali, che temo sarà sempre più difficile tornale alla normalità.
Troppa corruzione, troppa smania di apparire, troppa voglia di arricchire e presto, ...
Siamo senza speranza. c.