Mentre siamo costretti ad ascoltare menzogne su menzogne da questo governo del presidente Meloni in merito al #Superbonus e al #Redditodicittadinanza, perfettamente in linea col predecessore Mario Draghi, vi propongo ancora una volta la verità.
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
giovedì 24 novembre 2022
CORRUZIONE E EVASIONE: ECCO COSA PESA SULLE CASSE DELLO STATO. - Giorgio Fede
domenica 31 ottobre 2021
Frode sui dividendi, così si è aperto un buco da 150 miliardi nelle casse pubbliche europee. - Giulio Rubino e Angelo Mincuzzi
Il costo di 20 anni di “dividend washing”, tra elusione ed evasione fiscale. Inchiesta internazionale di giornalisti di 15 paesi e dell’Università di Mannheim
Il danno globale delle frodi.
CumEx Files 2.0, un’indagine congiunta di 15 media di 15 paesi europei
(per l’Italia Il Sole 24 Ore), americani, australiani, asiatici e africani,
coordinati dalla redazione tedesca no-profit CORRECTIV, ha provato a stimare
per la prima volta il danno globale causato alle amministrazioni fiscali di
dodici paesi dalle operazioni di dividend washing negli ultimi vent'anni
(transazioni chiamate tecnicamente “cum-cum” e “cum-ex”).
La stima è stata realizzata grazie alle analisi svolte dagli esperti
dell’università di Mannheim, in Germania, proprio mentre nei tribunali di mezza
Europa sono in pieno svolgimento i processi contro alcune delle più importanti
frodi sui dividendi degli ultimi anni.
Inchiesta internazionale.
I CumExFiles, alla base dell'inchiesta alla quale ha lavorato un consorzio
di 30 giornalisti, contengono circa 200mila pagine di documenti. Includono
rapporti di indagine di varie autorità, verbali di interrogatori di testimoni
chiave e di indagati, documenti bancari interni, email, trascrizioni di
telefonate intercettate. I documenti provengono da varie fughe di notizie. Le
testate che hanno partecipato all’indagine sono Profil (Austria), De Tidj
(Belgio), Le Monde (Francia), Ndr e CORRECTIV (Germania), Il Sole 24 Ore (Italia),
Reporter (Lussemburgo), Follow the Money (Olanda), El Confidencial (Spagna),
Svt (Svezia), Bbc (Regno Unito), Nbc (Usa), Irish Times (Irlanda), Abc
(Australia), amaBhugane (Sud Africa) e Tansa (Giappone).
Grazie al supporto del team del professor Christoph Spengel, docente di
diritto tributario all’università di Mannheim, il consorzio di giornalisti ha
potuto realizzare almeno una stima parziale dei danni causati da questo tipo di
operazioni al fisco europeo (e in parte degli Stati Uniti). La cifra totale è
impressionante: oltre 150 miliardi di euro in un periodo di vent’anni, dal 2000
al 2020. Il numero tiene conto sia di operazioni di tipo “cum-cum” che di tipo
“cum-ex”, e per l’Italia la valutazione dei soldi che mancano all’appello del
fisco arriva a poco più di 13 miliardi di euro.
Simili perdite di entrate fiscali hanno conseguenze difficili da
comprendere, come difficili sono da immaginare 13 miliardi di euro e tutto
quello che possono significare in termini sociali e politici. Basti pensare
all’aspro dibattito politico sul rifinanziamento al reddito di cittadinanza,
che, nel 2021, è di circa 200 milioni di euro. Con le tasse perdute per
operazioni di dividend washing lo si potrebbe rifinanziare per 65 anni.
Le magie dell’ottimizzazione fiscale.
“Ottimizzazione fiscale” è un modo elegante, usato dai professionisti del
settore, per dire “come pagare meno tasse”. Il concetto, più che legittimo
anche se forse piuttosto alieno alla maggior parte dei cittadini comuni, va via
via complicandosi man mano che il soggetto da “ottimizzare” diventa più grande,
ricco e attivo economicamente sul piano internazionale. Per i grandi studi di
diritto tributario internazionale, oltre ad essere una delle principali fonti
di reddito, è diventato qualcosa fra un rompicapo e un’ossessione, un puzzle da
risolvere nel modo migliore possibile stirando ogni legge e convenzione fin
quasi al punto di rottura per ridurre le tasse dei propri clienti, a volte
arrivando al di là dei limiti della legge stessa.
Infatti la complessità delle leggi fiscali, ma soprattutto il modo in cui
queste interagiscono fra loro in ambito internazionale, tra convenzioni e
accordi bilaterali fra Stati, dà vita ad un amplissima zona grigia, dove le
regole sono spesso tutt’altro che chiare.
Non c’è da stupirsi quindi se una delle più grandi frodi fiscali mai
scoperte, il cosiddetto scandalo ”cum-ex” che permette di eludere, e in alcuni
casi anche di farsi rimborsare illecitamente, le tasse sui dividendi azionari,
sia ancora nella fase del dibattimento in molteplici procedimenti penali aperti
nei tribunali di mezza Europa, in particolare in Germania, Danimarca e Olanda.
I sistemi di dividend washing.
Il sistema “cum-ex” è infatti stato scoperto dalle autorità già dal 2012
in Germania, anche se le operazioni di questo tipo sarebbero cominciate fin dal
2001. Questo schema fiscale, fra l'altro, è solo un tipo, il più aggressivo, di
una grande varietà di meccanismi di dividend washing, la cui tipologia più
semplice, definita “cum-cum” dagli investigatori tedeschi, è stata praticata e,
a detta di diversi attori del mondo finanziario, è ancora praticata, in tutto
il mondo con profitti eccezionali.
Il meccanismo base delle operazioni di dividend washing è abbastanza
semplice, anche se può apparire molto complesso. Invece di incassare un
dividendo, un’azienda, un trader o un investitore, può vendere le azioni di sua
proprietà a un soggetto terzo calcolando nel prezzo di vendita il dividendo
ancora “in maturazione” dentro quelle azioni.
Per chi vende si genera quindi una plusvalenza, che è esente da
tassazione, mentre chi compra (e incassa il dividendo), può rivendere le azioni
a chi le ha originariamente cedute a un prezzo inferiore a quello di acquisto, cioè
al valore delle azioni vuote del dividendo, subendo una perdita, una
minusvalenza che però è fiscalmente deducibile.
Una legge del 2005 dovrebbe arginare queste operazioni, dato che la
minusvalenza non è più integralmente deducibile, ma deve essere ridotta della
quota non imponibile del dividendo incassato (che per le società di capitali è
del 95%).
Questo cambiamento però non ha arginato il problema, tanto che a seguito
della pubblicazione della prima inchiesta “CumEx Files”, realizzata nel 2018 da
questo stesso team, l’Esma (l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei
mercati) ha inviato un questionario a tutti gli Stati membri per valutare i
potenziali rischi a cui è esposta l’Unione europea a causa di operazioni di
questo tipo.
Per l’Italia ha risposto la Consob (la Commissione nazionale per le
società e la Borsa), che pur segnalando che non dovrebbero esistere scappatoie
legali che permettano le forme più aggressive di dividend washing (del tipo
“cum-ex”), ha aggiunto che le azioni di aziende italiane potrebbero essere
bersaglio di sistemi del tipo “cum-cum”.
Infatti, essendo la tassazione sui dividendi molto diversa a seconda del
soggetto che le possiede (se è una società di capitali, se è residente in Italia
o all’estero) e grazie alle convenzioni contro le doppie imposizioni, c’è
sempre modo di spostare i pacchetti azionari da un soggetto A che dovrebbe
pagare una tassa più alta a un soggetto B che è esente, o che paga una somma
significativamente minore.
I trasferimenti di azioni.
Se il trasferimento è fatto poco prima del giorno dello stacco del
dividendo, il soggetto B incassa il dividendo, e ritrasferisce poi al soggetto
A le stesse azioni. B viene compensato da A per il “servizio” e il gioco è
fatto. Consob, nella sua risposta a Esma, non nega neanche la possibilità che
banche o altri tipi di intermediari italiani si prestino a realizzare simili
operazioni (anche dei tipi più aggressivi) in altri paesi europei e non.
Per quanto possa già sembrare una cifra colossale - si tratta
dell’equivalente di un quinto dell’intero fondo Next Generation Ue messo in
campo per contrastare la crisi dovuta alla pandemia - i 150 miliardi di euro di
danni erariali sono una stima estremamente conservativa.
La somma infatti comprende solo i paesi per i quali è stato possibile
accertare, grazie alle ricerche dei giornalisti che hanno collaborato
all’inchiesta, che effettivamente operazioni di questo tipo sono tecnicamente
possibili.
Per il periodo dal 2000 al 2020 si sono considerate Italia, Germania,
Austria, Spagna, Olanda, Belgio, Francia e Lussemburgo. La Svizzera e gli Stati
Uniti sono stati conteggiati solo fino al 2008, quando secondo le ricerche il
fenomeno dovrebbe essere stato bloccato dalle autorità.
Considerando che secondo gli attuali sistemi di tassazione i soggetti più
incentivati a iniziare operazioni di tipo “cum-cum” sono quelli residenti
all’estero, che non possono teoricamente beneficiare della tassazione
estremamente bassa prevista per le società di capitali italiane (è tassato solo
il 5% del dividendo, per una tassa totale intorno al 1,2%), l’università di
Mannheim ha voluto mantenersi su cifre conservative. Ha così stimato che solo
il 50% delle azioni possedute all’estero passino per un processo di dividend
washing anche se, almeno per Francia e Germania, ci sono ragioni di credere che
quasi il 100% delle azioni possedute da soggetti esteri passino per un processo
del tipo “cum-cum”.
Con queste premesse, e analizzando tutti i dividendi pagati sui principali
indici dei 12 paesi in esame, si arriva alla cifra di 150 miliardi di euro. Nel
dettaglio: per le operazioni di tipo “cum-cum” le perdite di gettito arrivano a
quasi 141 miliardi di euro, i paesi più colpiti sono Francia (33 miliardi
persi), Germania (28) e Olanda (26). L'Italia è al quinto posto, con 13,2
miliardi mancanti. I restanti dieci miliardi vengono dalle operazioni di tipo
“cum-ex”, che sono state finora accertate solo in alcuni paesi: Germania,
Francia, Belgio e Danimarca.
La “corsa all’oro”.
La differenza fondamentale fra le operazioni dette “cum-cum” e le “cum-ex”
sta nel fatto che le prime si configurano come una sorta di elusione (o
evasione, anche qui diversi paesi interpretano la legge in modo diverso) mentre
le seconde, fin dalla loro scoperta, sono sempre state percepite come delle
frodi vere e proprie, nonostante le accorate difese dei principali indagati.
Le operazioni “cum-ex”, fino al 2012, si basavano sul fatto che, in alcuni
sistemi fiscali europei, la tassa sui dividendi è trattenuta all’origine, ma
assieme al dividendo netto il proprietario delle azioni riceve, se ne ha
diritto, anche un certificato che dà diritto al rimborso della tassa stessa.
I trader però hanno scoperto che, se le azioni in questione si trovavano sotto
un contratto di opzione o “short sale” durante il giorno del pagamento del
dividendo, il certificato di rimborso arrivava sia al proprietario originale
delle azioni sia a quello che le aveva opzionate.
Di fatto, a un singolo dividendo pagato con una singola imposta trattenuta
corrispondevano due certificati di rimborso, entrambi esigibili. La scoperta
deve aver fatto aprire parecchie bottiglie di champagne, perché molto
rapidamente la vicenda si è complicata sempre di più. I trader hanno testato il
sistema e accertato che non dovevano limitarsi a soli due certificati ottenuti
per ogni azione, perché le opzioni sul singolo pacchetto azionario possono
essere multiple, e in alcuni casi la stessa tassa è stata “rimborsata” fino a
dieci volte a dieci soggetti diversi.
«Era un po’ come cercare l’oro - aveva dichiarato al giornale
investigativo italiano Irpi il whistleblower Benjamin Frey, che aveva
collaborato nel 2018 alla prima inchiesta “cum-ex” files -, a volte funziona, a
volte no».
Il paradosso è che nonostante l’idea di vedersi la stessa tassa rimborsata
più volte sia intuitivamente palesemente illegale, i principali accusati ai
vari processi in corso in Europa continuano a difendere il loro operato, e solo
nel 2020 sono arrivate le prime, timide, condanne.
I processi in Germania e nel Nord Europa.
In Germania ci sono almeno tre processi in corso, presso i tribunali di
Colonia, Francoforte e Monaco. Solo a Colonia ci sono oltre 700 indagati. Altri
importanti processi sono aperti in Danimarca, Olanda, Belgio.
Uno dei principali accusati, indagato sia in Germania che in Danimarca,
Belgio e Lussemburgo, è il trader britannico, basato a Dubai, Sanjay Shah. Il
“cowboy” lo chiamavano, per l’aggressività delle operazioni che metteva in
piedi e i grandi rischi che era disposto a correre. Shah, tramite il fondo Solo
Capital da lui creato, ha gestito enormi operazioni di “cum-ex” in Danimarca,
rastrellando 800 milioni di euro a ogni passaggio. In pochissimo tempo è
diventato miliardario e oggi vive sulla Palm Island di Dubai. I giornalisti di
Panorama, programma investigativo della tv pubblica tedesca Adr e partner di
questa inchiesta, l'hanno raggiunto nella sua casa degli Emirati Arabi e hanno
potuto parlare con lui della sua situazione legale.
Shah è ricercato in diverse giurisdizioni e non può lasciare gli Emirati
per paura di essere messo in custodia cautelare ma, almeno dalle sue parole,
non sembra troppo preoccupato: «Non credo di aver fatto nulla di sbagliato -
dice -, sono convinto che in un anno o due sarò fuori da questa situazione, e
ho intenzione di rimettermi in affari appena possibile».
Dal suo punto di vista, ha solo tratto vantaggio da un loophole, una
scappatoia legale, che non sta a lui chiudere. «Contribuenti tedeschi e danesi
sono infuriati che i loro soldi siano finiti a me? Perché non pretendono che il
loro governo cambi la legge allora? Per come la vedo io si, è un peccato, ma
non prendetevela con me. Le mie operazioni erano perfettamente legali e
legittime. Parlando della Danimarca [la giurisdizione che lo cerca più
aggressivamente, ndr] perché mai altrimenti il fisco danese avrebbe pagato
rimborsi [a Shah e agli altri trader coinvolti, ndr] per anni e anni? Solo
dalla mia azienda hanno ricevuto oltre tremila richieste di rimborso, e mai se
ne sono preoccupati».
Secondo Shah non sarebbe stato difficile impedire le operazioni di tipo
“cum-ex” con semplici cambi di leggi, e a dire il vero l'associazione delle
banche tedesche già nel 2007 aveva segnalato il rischio dei doppi rimborsi
fiscali al suo ministero delle Finanze, ma il Governo aveva scelto di ignorare
l’avvertimento.
Le prime condanne.
La procuratrice di Colonia, Anne Brorhilker, che guida il principale
processo in Germania contro queste operazioni, ha un punto di vista molto
diverso però: «Certo, possono [gli imputati, ndr] razionalizzare la cosa quanto
vogliono, convincersi che era tutto legittimo se li fa sentire meglio quando si
svegliano al mattino per andare al lavoro - dice in un’intervista a Panorama -
ma il loro obiettivo era sempre quello di rastrellare più denaro possibile da
queste operazioni fiscali».
Brorhilker sottolinea che, considerando che diversi paesi hanno posto un
freno a queste operazioni in tempi diversi, i trader hanno semplicemente
continuato a farle dove era possibile e dove il rischio di essere scoperti era
più basso. «La mentalità non è troppo diversa da quella di un taccheggiatore -
spiega -. Perché fermarsi se non mi notano? E dove non ci sono telecamere, la è
dove agire».
Nel frattempo a partire dal 2020, sono cominciate ad arrivare le prime
sentenze, tutte a favore dell’accusa. A marzo 2020 Martin Shields e Nicholas
Diable, due ex banchieri inglesi accusati in Germania, sono stati condannati a
una pena sospesa solo perché il tribunale ha riconosciuto la loro intensa
collaborazione con la procura, e nello stesso procedimento la banca di Amburgo
Mm Warburg ha subito un sequestro di 176 milioni di euro.
Lo scorso giugno, un ex impiegato della stessa banca Warburg non è stato
così fortunato. È stato infatti il primo banchiere a essere mandato in galera
per operazioni di tipo “cum-ex”, ben cinque anni e mezzo di carcere. Ancor più
importante per l’andamento di tutti i processi ancora in corso, sempre lo
scorso giugno la Corte suprema federale tedesca, analizzando l’appello di
Shields e Diable, ha dichiarato che le operazioni di tipo “cum-ex” sono “una
sfacciata frode fiscale” e un palese furto dalle casse dello Stato.
Qualcosa si muove, dunque, in Europa. E anche in Italia le autorità
fiscali investigative potrebbero già aver acceso un faro sul turbolento mondo
delle frodi “cum-ex”.
*****
Le parole chiave.
Dividendo: quella parte di utile che viene distribuito (normalmente una
volta all’anno, ma ci sono eccezioni) da una società ai suoi azionisti.
Dividend Washing: operazioni di “lavaggio” che consentono di ridurre o
eludere del tutto la tassazione sui dividendi azionari. Sono anche dette
operazioni di “dividend arbitrage” o “dividend trading”.
Cum-Ex: una categoria particolare di dividend washing. Prende il nome dal
latino “con” (cum) e “senza” (ex), ad indicare il trading di azioni con e senza
il dividendo connesso. Sono operazioni molto complesse che permettono di farsi
rimborsare più volte la stessa tassa pagata una volta sola.
Cum-Cum: è un termine più generico che racchiude diversi tipi di
operazioni di dividend washing, caratterizzate da un meccanismo simile a quello
di cum-ex, ma che porta solo a un elusione (totale o parziale) della tassa sui
dividendi senza rimborsi multipli.
Plusvalenza: è il profitto derivato dalla vendita di un bene il cui valore
è cresciuto durante il periodo per il quale è stato posseduto. Può riferirsi a
beni tangibili (una casa, un attività) o intangibili, come appunto azioni di
società quotate in borsa.
Minusvalenza: è la differenza fra un prezzo di acquisto più alto e uno di
vendita più basso per un bene, differenza che normalmente rappresenta una
perdita per chi vende. Al contrario di altri tipi di perdite, sono a volte
deducibili.
sabato 2 ottobre 2021
Così la fattura elettronica sta riducendo l’evasione Iva. - Marco Mobili e Giovanni Parente
(Illustrazione di Giorgio De Marinis)
L’effetto della fatturazione elettronica e dello split payment spingono il recupero dell’imposta oltre il 6%. Per la prima volta nel 2019 il sommerso risulta in discesa sotto i 100 miliardi.
L’evasione Iva per la prima volta scende sotto la soglia del 20 per cento. Il che vuol dire che nella decennale lotta al sommerso si restringe la forbice tra l’Iva dovuta e l’imposta effettivamente incassata dall’Erario. Nella «Relazione sull’economia non osservata e l’evasione fiscale e contributiva» del 2021 allegata alla Nota di aggiornamento del Def approvata mercoledì 29 settembre dal Consiglio dei ministri, i tecnici evidenziano dunque una netta riduzione della propensione all’evasione e non solo dell’imposta più evasa dagli italiani, ma di tutte le principali tasse che gravano su cittadini e imprese.
Nelle tasche degli evasori 81 miliardi.
Va detto subito, comunque, che anche se sull’Iva il Fisco recupera sulle mancate entrate un buon 6% tra il 2018 e il 2019, l’Erario lascia ancora nelle tasche degli evasori, tra mancate dichiarazioni e omessi versamenti, qualcosa come 80,6 miliardi, considerando anche la Tasi. E non è finita. Il dato 2019, come si legge nella relazione disponibile sul sito del Mef, è ancora parziale e dovrà essere aggiornato il prossimo mese di novembre così come indicato nel Pnrr.
Al calcolo dell’evasione mancano all’appello, infatti, i dati del sommerso contributivo e del mancato gettito dell’Irpef per i lavoratori dipendenti ma “irregolari”. Due valori che alla luce dell’andamento dell’evasione degli anni precedenti fanno alzare l’asticella del tax gap complessivo relativo al 2019 di almeno altri 15 miliardi.
Se questi dati saranno confermati per la prima volta l’evasione fiscale in Italia è destinata a scendere sotto i 100 miliardi di euro attestandosi su circa 95 miliardi complessivi tra tasse e contributi. In sostanza si tratta di una sensibile riduzione di circa 14 miliardi rispetto ai 109 stimati nella relazione sull’evasione del 2020.
Lotta al sommerso senza fine.
Nella lotta al sommerso c’è ancora molto da fare. Se l’evasione Iva si riduce lo stesso non si può dire per le imposte dirette sui redditi da lavoro autonomo e d’impresa dove la propensione al gap nel 2019 aumenta del 2,4% per l’Irpef e di 1,4 punti percentuali per l’Ires. C’è anche poi la componente accise dove l’evasione è cresciuta di altri 2 punti.
La fuga dall’Irpef di oltre 1,7 milioni di piccole imprese e professionisti passati nel regime forfettario e in quello dei contribuenti minimi pesano sulle mancate entrate dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. Come si legge nelle relazioni allegate alla Nadef la base imponibile dei contribuenti in flat tax al 15% (o addirittura al 5% per le start up) ha ormai oltrepassato i 21 miliardi.
A parziale spiegazione dell’aumento della propensione all’evasione i tecnici ricordano che la presentazione delle dichiarazioni dei redditi relative al 2019 è caduto nel pieno della pandemia che questo può aver influenzato il comportamento dei contribuenti.
Riduzione del tax gap consolidata.
La riduzione del tax gap Iva, comunque, è frutto di una tendenza consolidata negli ultimi anni soprattutto grazie agli strumenti di contrasto all’evasione messi in campo dall’amministrazione finanziaria. Il primo su tutti è lo split payment che tra il 2017 e il 2018, al netto dello stock dei crediti d’imposta da restituire ai contribuenti, ha ridotto l’evasione Iva di 2,3 miliardi.
Nel biennio successivo, poi, si è registrata una forte propensione all’adempimento spontaneo e questo grazie soprattutto alla fatturazione elettronica inizialmente introdotta per i fornitori della Pa e successivamente, nel 2019, estesa a tutti i contribuenti Iva. Un processo che ha consentito, secondo le stime del Mef un recupero di gettito di altri 3,5 miliardi, pari a una riduzione del gap non dichiarato di circa 2,4 punti percentuali.
La spinta di questi strumenti, per altro in alcuni casi come quello dello split payment soggetti a nuova autorizzazione comunitaria, potrebbe però essere destinata ad esaurirsi nei prossimi anni. A meno che il Governo non riesca, come ha più volte dichiarato, a utilizzare l’enorme mole di dati ricavati con la digitalizzazioni delle fatture sia in entrata sia in uscita, per incrociare le informazioni acquisite e monitorare così la rischiosità dei contribuenti aumentando contestualmente la loro propensione all’adempimento spontaneo.
I limiti imposti dal Gdpr.
Un passaggio chiave, quest’ultimo, legato soprattutto al superamento dei limiti imposti dalla privacy e alla piena adozione del regolamento comunitario Gdpr in tema di trattamento dei dati personali. In questo senso la delega fiscale, che potrebbe arrivare in Consiglio dei ministri la prossima settimana come ha annunciato nelle ultime ore il presidente del Consiglio Mario Draghi, potrebbe contenere uno specifico principio da attuare in tal senso.
Anche perché l’incrocio delle informazioni potrebbe servire sempre di più in fase preventiva, per accompagnare i contribuenti all’adempimento spontaneo e ottenere così risultati quasi in tempo reale in termini di recupero del gettito. Un’operazione «win win» rispetto alle logiche del passato che puntavano prevalentemente sulla repressione ex post e la cui rendicontazione avveniva a distanza di tempo.
IlSole24Ore
venerdì 6 agosto 2021
Lotta all’evasione, ecco dove colpirà il fisco. - Marco Mobili e Giovanni Parente
Guardia di Finanza e agenzia delle Entrate rivedono insieme gli indici di rischio per contrastare frodi e illeciti tributari. Bloccate compensazioni indebite per 1,2 miliardi di euro.
Il rapporto di collaborazione si è ulteriormente consolidato durante la pandemia: l’amministrazione finanziaria si è concentrata sempre più sui contribuenti ad alta pericolosità fiscale e, in particolare, verso le frodi, l’utilizzo indebito di crediti d’imposta (ad esempio, il bonus per ricerca e sviluppo) e di altre agevolazioni, come quelle per fronteggiare il Covid.
«Queste analisi di rischio, condotte a livello centrale, consentono alle unità operative sul territorio di orientare l’attività in modo “chirurgico” e con modalità istruttorie adeguatamente calibrate al profilo di rischio dei contribuenti selezionati», sottolinea Giuseppe Arbore, capo del III reparto Operazioni del Comando generale delle Fiamme gialle. «Non di rado, costituiscono l’input anche per indagini di polizia giudiziaria riguardanti non solo i reati tributari ma anche altri fenomeni di illegalità collegati, come il riciclaggio e l’indebita percezione di finanziamenti pubblici». Ma vediamo nel dettaglio.
Indebite compensazioni.
Un primo filone di analisi (anche a tutela dei saldi di finanza pubblica) ha riguardato l’utilizzo in compensazione di debiti tributari e previdenziali con crediti d’imposta inesistenti a seguito di atti di accollo del debito, come pure la compilazione di deleghe di pagamento con un importo dovuto pari a pochi centesimi di euro. Proprio per arginare gli illeciti, il collegato fiscale alla manovra di bilancio 2020 (Dl 124/2019) ha vietato la compensazione intersoggettiva dei crediti tributari tramite l’accollo prevedendo che i versamenti effettuati in violazione di questa previsione normativa si considerano non avvenuti a tutti gli effetti di legge. Ha inoltre previsto che le compensazioni dei crediti maturati a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2019 devono transitare obbligatoriamente sui canali telematici gestiti dall’Agenzia. Questo ha consentito finora di bloccare l’utilizzo in compensazione di oltre 1,2 miliardi di euro di crediti fittizi.
Boom dei crediti d’imposta per ricerca.
Un discorso a parte va fatto sulla crescita esponenziale di crediti d’imposta per ricerca e sviluppo nei modelli di pagamento. Tale circostanza, da un lato, può essere spiegata da dinamiche fisiologiche, legate al legittimo utilizzo del credito a fronte di effettivi investimenti agevolabili, dall’altro, può essere attribuita alla diffusione di fenomeni evasivi e fraudolenti di varia natura, spesso ideati da società di consulenza e da pseudo-organismi di ricerca che forniscono documentazione solo formalmente corretta, la relativa certificazione e anche l’assistenza nella fase contenziosa.
Su queste premesse, il settore contrasto illeciti dell’Agenzia ha recentemente realizzato un’analisi di rischio, condivisa con la GdF, sui contribuenti che hanno utilizzato in compensazione crediti d’imposta per ricerca e sviluppo nei periodi d’imposta dal 2016 al 2021 e che risultano connotati da rilevanti indici di anomalia (ad esempio ricerca e sviluppo difficilmente compatibile con l’attività economica dichiarata, con la struttura organizzativa dell’impresa, con l’assenza di costi per l’attività interna nei bilanci depositati o negli anni precedenti all’istituzione del credito d’imposta, eccetera). Come spiega al Sole 24 Ore, Paolo Valerio Barbantini, vicedirettore e capo della divisione Contribuenti delle Entrate, «sono state selezionate circa 4mila posizioni caratterizzate da un elevato profilo di rischiosità su cui sono in corso i necessari approfondimenti degli uffici dell’Agenzia e della Guardia di Finanza».
Commercio elettronico.
Nel mirino di GdF ed Entrate è finito anche il boom registrato dall’e-commerce nel pieno della pandemia. L’incrocio dei dati commerciali comunicati all’Agenzia sui fornitori per i soggetti passivi (residenti o meno), che gestiscono interfacce elettroniche per facilitare le vendite a distanza di beni importati o di beni nella Ue tra fornitori e acquirenti, insieme ad altri dati acquisiti dalle Fiamme gialle dai principali gestori delle piattaforme, ha consentito di avviare un’analisi di rischio dedicata, rivolta sia ai soggetti passivi residenti che ai contribuenti che si sono identificati in Italia.
Vigilanza anche sui contribuenti che, pur con volumi di vendita molto rilevanti, non hanno presentato dichiarazioni dei redditi e Iva, conseguendo così un indebito vantaggio a danno degli operatori tradizionali.
Lettere di compliance.
Le analisi congiunte guardano anche i soggetti destinatari delle comunicazioni per l’adempimento spontaneo che non hanno giustificato anomalie comunicate o non hanno modificato il loro comportamento a seguito dell’invito dell’Agenzia. Particolare attenzione ai contribuenti rimasti inerti dopo le lettere di compliance fondate sulle informazioni relative ai redditi esteri arrivati grazie al Common reporting standard (Crs), o sui dati della fatturazione elettronica obbligatoria e dei corrispettivi telematici, che - come ricorda Barbantini - «sono di fondamentale importanza per le attività di controllo, in quanto consentono, oltre all’attività di promozione della compliance e la prevenzione dei fenomeni evasivi, l’immediato confronto con i dati dichiarativi permettendo di avviare, in presenza di anomalie, istruttorie più approfondite».
Contributi a fondo perduto.
Non solo lotta all’evasione ma anche tutela della spesa pubblica. Con un protocollo d’intesa sottoscritto nel novembre 2020, sono state sviluppate analisi del rischio mirate sul diritto di accesso ai contributi a fondo perduto erogati con i provvedimenti emergenziali. I criteri di rischio, ad esempio, si riferiscono alla verifica della condizione dei ricavi (se prevista), della corretta indicazione della percentuale del contributo in base alla dimensione del richiedente, della congruità dell’importo delle operazioni 2019 e 2020, della ricorrenza dei firmatari e della presenza di eventuali indici di frode fiscale a loro carico.
Illustrazione di Giorgio De Marinis /
Il Sole 24 Ore
mercoledì 4 agosto 2021
Lotta all’evasione, ecco dove colpirà il fisco. - Marco Mobili e Giovanni Parente
Falsi crediti, fuga di capitali all’estero, commercio elettronico, aiuti Covid e compliance. Si possono sintetizzare così le nuove rotte dell’evasione su cui Guardia di Finanza e agenzia delle Entrate hanno concentrato una revisione congiunta delle analisi di rischio. A chiedere di intensificare il coordinamento e la complementarietà tra le componenti dell’amministrazione finanziaria è l’atto di indirizzo per gli obiettivi di politica fiscale 2021-2023, anticipato dal Sole 24 Ore e diramato dal ministro dell’Economia, Daniele Franco.
L’ANDAMENTO DELLE COMPENSAZIONI
I crediti compensati nel modello F24. Importi in milioni di euro
Il rapporto di collaborazione si è ulteriormente consolidato durante la pandemia: l’amministrazione finanziaria si è concentrata sempre più sui contribuenti ad alta pericolosità fiscale e, in particolare, verso le frodi, l’utilizzo indebito di crediti d’imposta (ad esempio, il bonus per ricerca e sviluppo) e di altre agevolazioni, come quelle per fronteggiare il Covid.
«Queste analisi di rischio, condotte a livello centrale, consentono alle unità operative sul territorio di orientare l’attività in modo “chirurgico” e con modalità istruttorie adeguatamente calibrate al profilo di rischio dei contribuenti selezionati», sottolinea Giuseppe Arbore, capo del III reparto Operazioni del Comando generale delle Fiamme gialle. «Non di rado, costituiscono l’input anche per indagini di polizia giudiziaria riguardanti non solo i reati tributari ma anche altri fenomeni di illegalità collegati, come il riciclaggio e l’indebita percezione di finanziamenti pubblici». Ma vediamo nel dettaglio.
Indebite compensazioni.
Un primo filone di analisi (anche a tutela dei saldi di finanza pubblica) ha riguardato l’utilizzo in compensazione di debiti tributari e previdenziali con crediti d’imposta inesistenti a seguito di atti di accollo del debito, come pure la compilazione di deleghe di pagamento con un importo dovuto pari a pochi centesimi di euro. Proprio per arginare gli illeciti, il collegato fiscale alla manovra di bilancio 2020 (Dl 124/2019) ha vietato la compensazione intersoggettiva dei crediti tributari tramite l’accollo prevedendo che i versamenti effettuati in violazione di questa previsione normativa si considerano non avvenuti a tutti gli effetti di legge. Ha inoltre previsto che le compensazioni dei crediti maturati a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2019 devono transitare obbligatoriamente sui canali telematici gestiti dall’Agenzia. Questo ha consentito finora di bloccare l’utilizzo in compensazione di oltre 1,2 miliardi di euro di crediti fittizi.
Boom dei crediti d’imposta per ricerca.
Un discorso a parte va fatto sulla crescita esponenziale di crediti d’imposta per ricerca e sviluppo nei modelli di pagamento. Tale circostanza, da un lato, può essere spiegata da dinamiche fisiologiche, legate al legittimo utilizzo del credito a fronte di effettivi investimenti agevolabili, dall’altro, può essere attribuita alla diffusione di fenomeni evasivi e fraudolenti di varia natura, spesso ideati da società di consulenza e da pseudo-organismi di ricerca che forniscono documentazione solo formalmente corretta, la relativa certificazione e anche l’assistenza nella fase contenziosa.
Su queste premesse, il settore contrasto illeciti dell’Agenzia ha recentemente realizzato un’analisi di rischio, condivisa con la GdF, sui contribuenti che hanno utilizzato in compensazione crediti d’imposta per ricerca e sviluppo nei periodi d’imposta dal 2016 al 2021 e che risultano connotati da rilevanti indici di anomalia (ad esempio ricerca e sviluppo difficilmente compatibile con l’attività economica dichiarata, con la struttura organizzativa dell’impresa, con l’assenza di costi per l’attività interna nei bilanci depositati o negli anni precedenti all’istituzione del credito d’imposta, eccetera). Come spiega al Sole 24 Ore, Paolo Valerio Barbantini, vicedirettore e capo della divisione Contribuenti delle Entrate, «sono state selezionate circa 4mila posizioni caratterizzate da un elevato profilo di rischiosità su cui sono in corso i necessari approfondimenti degli uffici dell’Agenzia e della Guardia di Finanza».
Commercio elettronico.
Nel mirino di GdF ed Entrate è finito anche il boom registrato dall’e-commerce nel pieno della pandemia. L’incrocio dei dati commerciali comunicati all’Agenzia sui fornitori per i soggetti passivi (residenti o meno), che gestiscono interfacce elettroniche per facilitare le vendite a distanza di beni importati o di beni nella Ue tra fornitori e acquirenti, insieme ad altri dati acquisiti dalle Fiamme gialle dai principali gestori delle piattaforme, ha consentito di avviare un’analisi di rischio dedicata, rivolta sia ai soggetti passivi residenti che ai contribuenti che si sono identificati in Italia.
Vigilanza anche sui contribuenti che, pur con volumi di vendita molto rilevanti, non hanno presentato dichiarazioni dei redditi e Iva, conseguendo così un indebito vantaggio a danno degli operatori tradizionali.
Lettere di compliance.
Le analisi congiunte guardano anche i soggetti destinatari delle comunicazioni per l’adempimento spontaneo che non hanno giustificato anomalie comunicate o non hanno modificato il loro comportamento a seguito dell’invito dell’Agenzia. Particolare attenzione ai contribuenti rimasti inerti dopo le lettere di compliance fondate sulle informazioni relative ai redditi esteri arrivati grazie al Common reporting standard (Crs), o sui dati della fatturazione elettronica obbligatoria e dei corrispettivi telematici, che - come ricorda Barbantini - «sono di fondamentale importanza per le attività di controllo, in quanto consentono, oltre all’attività di promozione della compliance e la prevenzione dei fenomeni evasivi, l’immediato confronto con i dati dichiarativi permettendo di avviare, in presenza di anomalie, istruttorie più approfondite».
Contributi a fondo perduto
Non solo lotta all’evasione ma anche tutela della spesa pubblica. Con un protocollo d’intesa sottoscritto nel novembre 2020, sono state sviluppate analisi del rischio mirate sul diritto di accesso ai contributi a fondo perduto erogati con i provvedimenti emergenziali. I criteri di rischio, ad esempio, si riferiscono alla verifica della condizione dei ricavi (se prevista), della corretta indicazione della percentuale del contributo in base alla dimensione del richiedente, della congruità dell’importo delle operazioni 2019 e 2020, della ricorrenza dei firmatari e della presenza di eventuali indici di frode fiscale a loro carico.
Illustrazione di Giorgio De Marinis / Il Sole 24 Ore
IlSole24Ore
venerdì 2 aprile 2021
“Basta debolezze con gli evasori!” 15 anni di balle politiche e condoni. - Primo Di Nicola, Antonio Pitoni e Ilaria Proietti
In libreria - Esce oggi “Parassiti - Ladri e complici: così gli italiani evadono (da sempre) il fisco”.
Esce oggi in libreria Parassiti – Ladri e complici: così gli italiani evadono (da sempre) il fisco”, il libro di Primo Di Nicola, Antonio Pitoni e Ilaria Proietti edito da Paper First.
Promettono, promettono ma sono tutti uguali. Dalle cariatidi della Prima Repubblica agli ultimi salvatori della Patria. Ugualmente compiacenti con gli evasori fiscali. Da Luigi Preti a Mario Draghi. “Basterà spingere un bottone e avremo i nomi degli evasori”, aveva giurato, agli inizi degli anni Settanta, l’allora ministro socialdemocratico delle Finanze, Preti, lanciando l’avveniristico Progetto Athena, il rivoluzionario embrione dell’anagrafe tributaria, rivelatasi poi un fiasco completo. La stessa guerra totale dichiarata, mezzo secolo dopo, dall’attuale presidente del Consiglio Draghi il 17 febbraio 2021 al Senato, promettendo “un rinnovato e rafforzato impegno nell’azione di contrasto all’evasione fiscale”. Impegno smentito appena un mese dopo con l’ennesimo condono a favore dei furboni del fisco. E questa volta senza neanche nasconderlo: “Sì, è un condono…”, ha ammesso l’ex capo della Bce.
Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere di fronte ai numeri della grande vergogna: 107,2 miliardi di euro di evasione – 95,9 di mancate entrate tributarie e 11,3 di mancate entrate contributive – stando all’ultima relazione della Commissione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva. Tutto in perfetta linea con le dichiarazioni e proclami di capi di governo, ministri e presunti leader che si sono spesi in promesse roboanti salvo poi calare le braghe di fronte ai milioni di evasori i cui voti, evidentemente, fanno gola a tutti. Ecco qualche esempio delle tante balle rintracciabili negli annali parlamentari e sui giornali solo degli ultimi quindici anni.
Stabilità vo’ cercando: “Dobbiamo proporre una politica fiscale stabile, accompagnata da un rafforzamento della lotta all’evasione…”. Francesco Rutelli, 16 maggio 2005, vicepresidente del Consiglio dal 2006 al 2008.
Più o meno: “Venendo meno le una tantum e la stagione dei condoni, l’attenzione si sposterà alla lotta all’evasione…”. Domenico Siniscalco, ministro dell’Economia, 20 maggio 2005.
La Lega vede nero: “Abbiamo un ampio margine se ci impegniamo nella lotta all’evasione fiscale…”. Roberto Maroni, ministro del Lavoro, 26 maggio 2005.
Regole prima di tutto: “Rispettare le regole e fare una vera lotta all’evasione fiscale…”. Vincenzo Visco, 2 giugno 2005, pluriministro delle Finanze.
Feroci, miei Prodi: “Lotta feroce all’evasione e far emergere il sommerso”. Romano Prodi, 5 luglio 2005, due volte presidente del Consiglio.
Quel fenomeno del Cav: “L’evasione fiscale sarà una priorità per il governo”. Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio, 15 luglio 2005.
Chez Giulio: “L’evasione è mal contrastata. Si combatte abbassando le aliquote”. Giulio Tremonti, pluriministro dell’Economia, 8 novembre 2006.
Re Giorgio va alla guerra: “Basta debolezze nella lotta all’evasione”. Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica, 22 agosto 2011.
Mari e Monti: “Io penso che l’Italia si trova in difficoltà soprattutto a causa dell’evasione fiscale: siamo in uno stato di guerra…”. Mario Monti, presidente del Consiglio, 18 agosto 2012.
All’ultimo respiro: “La lotta senza quartiere all’evasione proseguirà e lo faremo con interventi di più lungo respiro”. Enrico Letta, presidente del Consiglio, 11 luglio 2013.
L’evasione secondo Matteo: “Meno si parla, più si agisce e più siamo seri”. Matteo Renzi, presidente del Consiglio, 7 giugno 2014.
Meloni, presente!: “Se volete veramente combattere l’evasione, be’, allora andate a farlo dove sta davvero”. Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia 20 ottobre 2019.
La resa di Conte: “La politica non ha il coraggio di affrontare di petto la questione dell’evasione”. Giuseppe Conte, presidente del Consiglio, 16 ottobre 2019.
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