La rivelazione è così sconvolgente da lasciare sbigottito persino il nuovo Ad di Autostrade per l’Italia, Roberto Tomasi, l’uomo chiamato per salvare una nave in mezzo alla tempesta: “Quindi lui avrebbe forzato anche i voti sul Polcevera? Ma davvero? Non ci posso credere…”.
È il 12 dicembre 2019. È passato un anno e mezzo dal crollo del ponte Morandi, e tre mesi dalle prime misure cautelari che hanno svelato il sistema di falsi report con cui veniva sottostimato il degrado dei viadotti di mezza Italia, per posticipare le spese in manutenzione. Eppure, fino a questo momento, nemmeno i vertici della società sospettavano che la situazione fosse così grave. Ovvero che i falsi avessero riguardato anche il viadotto caduto, e quindi potessero essere messe in relazione con la morte di 43 persone. Il “lui” a cui si riferisce Tomasi è Michele Donferri Mitelli, ex capo delle manutenzioni di Aspi, fedelissimo dell’ex Ad, Giovanni Castellucci. “Certo che è molto interessante – commenta Tomasi, al telefono con il capo dell’ufficio legale di Aspi Amedeo Gagliardi – Per gli inquirenti, intendo”. Gagliardi è stato incaricato di leggere le carte depositate. Tra di esse ci sono le registrazioni effettuate nel 2017 (un anno prima del crollo) da alcuni dirigenti Spea, società incaricata del monitoraggio delle infrastrutture, come forma di autotutela: “Ce n’è una molto dura – dice Gagliardi – una conversazione tra lui e il progettista De Angelis… tu devi fa’ così… se il numero non te torna devi… perché nel 2002 la Pila 11… l’ammaloramento non dev’esse troppo forte… Insomma, fanno tutto un ragionamento sul Polcevera”. Emanuele De Angelis era il responsabile del progetto di retrofitting del Morandi che per i pm Aspi presentò al Mit con dati edulcorati.
Ieri il gip Angela Nutini ha accolto nel processo oltre 400 intercettazioni , escludendo quelle che coinvolgono i difensori della società.
Aldo Braca è il titolare della Bsp Pharmaceuticals dove si produce l'anticorpale della Eli Lilly che finisce in tutto il mondo fuorché in Italia, dove non è autorizzato. "I ritardi sui vaccini aumentano la richiesta globale , l'Italia si muova ora o rischia che l'intera produzione venga opzionata”. Aifa non emanato un bando di studio per la ricerca che potrebbe impiegare mesi. Il dg delle malattie infettive del San Martino Bassetti: "Non ha nessuno senso e poi anche Il problema etico: perché dovrei dare un placebo ai malati quando c'è la terapia per guarirli?”
“Anche io ho dei parenti che si son presi il Covid sa? Ma ho anche mille dipendenti che controllo tutte le mattine e tanti si sono ammalati fuori di qui, rischiando la vita. Dal mio impianto esce il farmaco che può guarirli subito. Sa che mi succede se lo porto fuori da questo cancello? Succede che mi arrestano, perché in Italia non è autorizzato”. Aldo Braca è il titolare della Bsp Pharmaceuticals di Latina, azienda divenuta celebre nell’era Covid perché da lì partono i camion refrigerati che portano gli anticorpi monoclonali della Eli Lilly in tutto il mondo fuorché in Italia, dove l’Aifa non li ha autorizzati. Gli ultimi studi pubblicati confermano una riduzione del rischio di morte del 70% e tuttavia le fiale da Latina vanno in Francia per l’etichettatura e poi negli ospedali di Stati Uniti, Canada, Israele, Germania, Inghilterra e Ungheria. Non in quelli italiani. “Non ci dormo la notte, da quando ho iniziato a mandare via il prodotto. Mi fa incazzare non una, ma dieci volte. Lo scriva pure questo. Ma la prego, aggiunga: l’Italia deve darsi una mossa”.
All’imprenditore non era sembrato solo un affare, quando ha contratto l’obbligazione con la multinazionale di Indianapolis per 100mila dosi di Bamlanivimab al mese, uno dei due soli trattamenti autorizzati al mondo contro il Covid. “Era settembre – racconta – gli ospedali stavano esplodendo di nuovo. Ho subito chiesto alla Lilly “ma in Italia il prodotto ci sarà vero?”, e loro mi hanno risposto “certamente lo offriremo, poi è il ministero che decide ma noi lo proporremo”. Il resto ormai è storia.
L’Agenzia del Farmaco, che dal ministero dipende, non ha autorizzato la sperimentazione, neppure quando le fiale erano state offerte gratuitamente a questo scopo su iniziativa del virologo Guido Silvestri che da allora non si da pace. Da Atlanta chiede che si faccia chiarezza su chi, a Roma, ha la responsabilità del ritardo nell’accesso alla terapia e delle vite che potevano salvare. Eccesso di prudenza e burocrazia, inconfessabili conflitti di interesse in capo ai decisori pubblici, non s’è mai capito. Fatto sta che allo sconcerto di pochi è poi seguita la rabbia di molti. Ma nessuno, nel frattempo, si preoccupa dell’approvvigionamento. “Coi vaccini ritardano sale la domanda globale di anticorpi – avverte Braca – . Ho ancora capacità produttiva ma dopo Trump l’amministrazione Biden ha subito opzionato altri due milioni di dosi, ora la Germania. Lilly ha messo un booking molto alto, sma se non ci muoviamo presto l’intera produzione sarà opzionata”.
Il regolatore pubblico non ha fretta. Solo 21 gennaio l’Aifa ha emanato un “bando per lo studio randomizzato” sugli anticorpi monoclonali. A strapparlo, con la forza di un leone, è stato il presidente Giorgio Palù, altra anima inquieta per questa vicenda che sembra aver smarrito da tempo il “razionale scientifico”, posto che gli studi di fase 3 hanno confermato l’efficacia degli anticorpi e altri paesi europei, Germania in testa, hanno iniziato a rifornire gli ospedali senza aspettare autorizzazioni dall’Europa. La scadenza del 21 febbraio è stato subito posticipata al 15: “per le molte richieste di arrivate da diversi ricercatori di avere più tempo per costruire e presentare la loro proposta di studio”, fa sapere l’Aifa. Dunque, l’agenzia che per mesi ha ignorato la sperimentazione adducendo problemi regolatori e dubbi sull’efficacia, scopre ora che c’è la fila per usarli ma non per impelagarsi in studi ridondanti.
Allo “studio” si è affacciato il San Martino di Genova. Matteo Bassetti, è il direttore delle malattie infettive. “Quando ho letto il bando mi sono cadute le braccia. Non ha alcun senso proporre ora un protocollo di studio su farmaci la cui efficacia è dimostrata da dati validati di Fase III, già utilizzati come terapia da altri Paesi come la Germania. Con 500 morti al giorno noi che facciamo? Aspettiamo i risultati dello studio che potrebbe – stando al protocollo Aifa – durare fino a 12 mesi?”. La sperimentazione (tardiva) pone anche un problema di natura etica di cui pochi si preoccupano. “Come potrò chiedere a pazienti malati di accettare da volontari il placebo se il farmaco che li guarisce c’è già?”. Anziché perder tempo, conclude Bassetti, si avvi un programma allargato ad uso compassionevole. “Da medici, più della ricerca, una cosa ci interessa: che arrivino terapie che possano salvare la vita ai pazienti. Non tra sei mesi, ora”.
Per chi ancora non se ne fosse accorto, il mondo è cambiato. Per sempre. L’emergenza sanitaria in corso da oltre un anno ha segnato la fine delle nostre vecchie democrazie costituzionali e l’inizio di quello che il filosofo Giorgio Agamben definisce “il nuovo paradigma di biosicurezza”.
La normalità come la conoscevamo prima del Covid non tornerà più. È ora di abbandonare le vane illusioni e metterci definitivamente una pietra sopra. E se non volete credere a me, credete almeno al Massachussets Institute of Technology Review, che queste cose le diceva già lo scorso marzo: “Non torneremo alla normalità”, titolava la prestigiosa rivista, “Il distanziamento sociale rimarrà in vigore per molto più di qualche settimana. Sconvolgerà il nostro modo di vivere, sotto alcuni aspetti per sempre.” Quelle previsioni della prima ora si sono poi rivelate spaventosamente profetiche. Guardate ad esempio il grafico sulla curva epidemiologica del virus e ditemi se non è spiaccicato alla realtà: Fonte: Imperial College Covid-19 Response Team — 16 marzo 2020
Si dirà che ora abbiamo il vaccino, e che una volta immunizzato il popolo col siero portentoso l’ostinato virus sarà infine sconfitto. Ma attenzione a gridare vittoria troppo presto. Un op-ed pubblicato su Bloomberg la settimana scorsa chiedeva quanto efficaci siano davvero i vaccini in relazione alle varianti, e se non dovremmo piuttosto “prepararci ad una pandemia permanente” in cui “ci toccherà vaccinarci presumibilmente un paio di volte all’anno contro l’ultima variante in circolazione”, senza però “mai raggiungere l’immunità di gregge.”
E se anche il Covid dovesse scomparire, gli scienziati ci avvertono che siamo ormai entrati nell’“Era delle Pandemie”, e che al Covid ne seguiranno altre. E se anche gli scienziati si sbagliassero sulle pandemie, ci saranno comunque altre emergenze da affrontare, una su tutte l’emergenza climatica. Un report pubblicato su Nature lo scorso mese, ad esempio, sosteneva che “il mondo abbia bisogno dell’equivalente di un lockdown pandemico ogni due anni per raggiungere gli obiettivi di Parigi sulle emissioni di gas serra”. Insomma, di qualunque emergenza si tratti, possiamo star certi che non domiremo più sonni tranquilli.
L’instaurarsi di uno stato di emergenza permanente ha diversi effetti, spiega Agamben, primo fra tutti la sospensione dello stato di diritto e delle garanzie costituzionali. Una sospensione che rischia di essere definitiva, perchè se l’eccezione da eccezione diventa la regola, allora l’emergenza non è più emergenza, ma appunto una “nuova normalità”. Questo, come aveva già notato Walter Benjamin nel 1942, è uno dei sintomi tipici del passaggio da democrazia a totalitarismo. Agamben non è il solo ad essere allarmato dalla tendenza in atto: secondo diversi osservatori sui diritti civili la pandemia è stata usata dai governi di tutto il mondo come scusa per limitare le libertà personali e minare la democrazia, mentre alcuni accademici hanno sottolineato come essa abbia “innescato una deriva politica autoritaria”, provocando “abusi governativi ed amministrativi” ed accentrando il potere decisionale “fino alla sospensione di un efficace controllo democratico.”
Ma se di totalitarismo si tratta, di quale totalitarismo stiamo parlando? Se in passato lo stato d’emergenza veniva proclamato soprattutto in tempo di guerra (ancora oggi questo è l’unico caso previsto dalla costituzione italiana), le emergenze del ventunesimo secolo sembrano avere un carattere di tipo prevalentemente diverso. Ad attentare alla sicurezza generale sono oggi patogeni di origine (pseudo?) naturale, o cataclismi sempre naturali seppur provocati in larga parte proprio dalle scriteriate attività umane. Anche se in futuro dovessero scoppiare nuove guerre, difficilmente saranno combattute da grandi eserciti al fronte: più facile immaginare l’uso di armi batteriologiche, oppure climatiche, o al massimo atomiche. Ad ogni modo a farla da padrone non saranno più grandi uomini politici o generali, ma scienziati ed ingegneri. Meno giunte militari insomma, e più comitati tecnici-scientifici.
Il “nuovo paradigma di biosicurezza” infatti è un paradigma essenzialmente tecnocratico. La parola “tecnocrazia” deriva dal greco techne (tecnica) + kratos (potere) e significa letteralmente “potere della tecnica”. Il termine fu coniato nel 1919 dall’ingegnere americano W.H. Smyth e venne reso celebre negli anni trenta da un altro ingegnere americano, Howard Scott, con l’attuale significato di “sistema di governo basato su decisioni prese da tecnici”. Il movimento dei Tecnocrati, di cui Scott fu uno dei fautori, non prese il potere, ma l’ideologia tecnocratica continuò a diffondersi nella classe dirigente occidentale, tanto che il presidente Eisenhower, nel suo celebre messaggio di commiato del 1961, mise in guardia non solo dal “complesso industriale-militare”, ma anche “dal pericolo che le politiche di governo possano diventare ostaggio di una élite scientifico-tecnologica”.
Il processo di tecnicizzazione degli apparati amministrativi dello stato è quindi in corso da molto tempo, e la crisi attuale non è che l’ultima tappa. Michel Foucault (1976) faceva risalire questo processo al diciassettesimo secolo, quando lo sviluppo delle scienze positive permise per la prima volta di considerare le popolazioni umane da un punto di vista meramente biologico, e cioè come masse animali infuenzate dai processi vitali quali nascita, morte, riproduzione, malattia, etc. e come tali bisognose di essere gestite, regolate e controllate. Secondo Foucault questo diede il via allo sviluppo di tutta una serie di “tecniche volte ad ottenere la soggiogazione dei corpi ed il controllo delle popolazioni, segnando l’inizio di un epoca di “biopotere”.”
Oggi, secondo Agamben, questa “medicalizzazione della vita” che era andata crescendo a dismisura negli ultimi decenni (vedi anche Ivan Illich, 1976), ha raggiunto infine l’apoteosi: essa è diventata “permanente e onnipervasiva”, invadendo e stravolgendo ogni aspetto della vita umana. La medicina pare diventata una vera e propria religione, con tanto di dogmi (il “consenso scientifico”), sacerdoti (virologi e affini) e rituali (mascherine, sanificazione delle mani, saluti al gomito, etc.). Anche in questo caso i timori di Agamben non sono solo la stravaganza di un vecchio filosofo, come vorrebbe qualche critico astioso: nientemeno che Richard Horton, caporedattore di The Lancet, la più importante rivista medica al mondo,lo scorso dicembre ha parlato esplicitamente di “democrazie che diventano tecnocrazie”, “presa degli scienziati che va stringendosi attorno al collo dei governi” e “scienza che fin troppo facilmente viene corrotta in scientismo”.
Uno dei tratti più eclatanti dell’emergenza in corso è stato l’espansione senza precedenti degli apparati di sorveglianza. Secondo alcuni studiosi, questi nuovi sistemi (dalle app di tracciamento all’imminente passaporto vaccinale) sono da considerarsi a tutti gli effetti come forme di “biosorveglianza” che integrano tecniche di sorveglianza sanitaria a tecniche basate sui big data che fino ad oggi erano state riservate alle agenzie di sicurezza nazionale. Esemplare a riguardo è il caso di Israele, dove il governo ha immediatamente rinconvertito un database segreto che tracciava i movimenti di ogni cittadino per fini di anti-terrorismo ad un sistema di monitoraggio per contagi da Covid-19.
Anche qui il terreno era stato preparato con cura negli anni precedenti. Le popolazioni sono state abituate ad una graduale “digitalizzazione” e “algoritmizzazione” dell’esistenza, con le scienze informatiche ad assumere un ruolo sempre più decisivo “nell’influenzare, formare e guidare i nostri comportamenti”. Il professor Steffen Mau spiega come attraverso le innumerevoli app di auto-monitoraggio per la salute o lo sport “gli individui si siano abituati a cedere immense quantità di dati” personali, e a farlo divertendosi. “In altre parole, siamo stati addestrati a godere della nostra stessa datificazione”. Ebbene oggi, col pretesto della pandemia, questo tipo di misure volontarie sono di colpo diventate obbligatorie. L’intera infrastruttura tecno-digitale che ci circonda, dai telefoni cellulari agli elettrodomestici, dalle automobili alle telecamere smart alle antenne wifi, sarà d’ora in avanti integrata in un’unica, grande rete di sorveglianza. Questa forma di controllo sociale ubiquo ricorda molto il “panopticon” di Foucault (1975), dove la sensazione di essere sotto sorveglianza continua trasforma gli individui stessi in agenti della sorveglianza, e finisce per fargli rispettare le normative e convenzioni vigenti anche quando non sono effettivamente sorvegliati. La partecipazione attiva della popolazione negli apparati disciplinari dello stato li rende così ancora più efficaci e pervasivi.
È facile prevedere come i nuovi sistemi di sorveglianza resteranno operativi anche molto tempo dopo il termine della pandemia. Essi potranno servire per tenere sott’occhio la popolazione ed anticipare così l’emergere di pandemie future. E potranno anche essere utilizzati in altri campi, come ad esempio quello della prevenzione del crimine. Il nuovo paradigma di biosicurezza punta infatti sull’anticipazione dei problemi, attraverso innovative tecniche di previsione algoritmica rese possibili dall’applicazione dell’intelligenza artificiale. Il concetto di “precrimine”, fino ad oggi appannaggio dei racconti fantascientifici alla “Minority Report”, sembra sempre più destinato a diventare realtà.
Questi sviluppi non dovrebbero sorprenderci. Essi non sono che il risultato prevedibile di un lungo processo di tecnicizzazione e razionalizzazione della società iniziato secoli orsono. Il sociologo Jacques Ellul lo aveva capito chiaramente già nel lontano 1954: “Le tecniche di polizia, che vanno sviluppandosi assai rapidamente, hanno come sbocco inevitabile la trasformazione dell’intera società in un campo di concentramento … Per essere sicuri di arrestare i criminali, sarà necessario che tutti siano sorvegliati. Sarà necessario sapere esattamente le inclinazioni di ciascun cittadino, le sue relazioni, i suoi passatempi, etc. … La polizia dovrà adoprarsi al fine di anticipare e prevenire il crimine, affinché ogni intervento diventi superfluo. Questo risultato puó essere raggiunto in due modi: primo, attraverso una sorveglianza continua … secondo, creando una clima di conformismo sociale”.
E Zbigniew Brzezinski, una delle personalità più influenti nella politica USA del dopoguerra, gli faceva eco nel 1968:
“Presto sarà possibile stabilire un controllo quasi continuo su ogni cittadino e tenere files aggiornati che contengano perfino i dettagli più personali sulla salute e sul comportamento di ogni persona, oltre alle informazioni di base. Questi files saranno oggetto di tracciatura istantanea ad opera delle autorità.
I rapidi tempi di cambiamento incentiveranno inoltre soluzioni volte ad anticipare gli eventi e a pianificarli prima che accadano. Il potere sará nelle mani di coloro che controllano le informazioni, e che possono correlarle piú rapidamente. Le istituzioni attuali, adibite ad un tipo di gestione post-crisi, saranno progressivamente sostituite da istuzioni orientate ad una gestione pre-crisi, il cui compito sarà di individuare con anticipo le crisi emergenti e di sviluppare programmi per affrontarle.”
Ancora più inquietante è il fatto che nell’ultimo anno i cosiddetti governi democratici non si siano limitati ad espandere i sistemi di sorveglianza, ma abbiano anche intrapreso forme estreme di censura del dibattito pubblico e di manipolazione dell’informazione. Questa almeno è la conclusione raggiunta da uno studio pubblicato sul Journal of Human Rights. Gli autori parlano di una pericolosa tendenza alla “criminalizzazione della misinformazione”, con decine di paesi che hanno approvato misure volte a punire penalmente la pubblicazione di notizie false, molti dei quali col carcere. Di rimando, un altro studio pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health, ha trovato che durante l’emergenza Covid-19 gli stati abbiano collaborato con i mass media nel creare deliberatamente un clima di panico generalizzato, provocando ansia e “scatenando fenomeni di isteria collettiva”.
L’uso massiccio delle propaganda, spiegava Ellul, è incompatibile con la democrazia. Essa “distrugge la facoltá di discernimento del cittadino. In una vera democrazia, tutto si basa sulla critica consapevole e sul libero arbitrio … La propaganda invece tende sempre al totalitarismo.” La capacità critica degli individui viene soppressa e sostituita da una irremovibile convinzione collettiva di essere nel giusto. Questa convinzione diventa sacra, tanto che le persone perdono la capacità di dubitarne e anche solo discutere di alcuni argomenti diventa tabù. Chi osa farlo viene considerato alla stregua di un traditore della patria. Che oggi siamo giunti a quel punto lo dimostrano gli appellativi rivolti ai no-vax da parte di una nutrita schiera di personaggi pubblici: si va dai “disertori”, ai “terroristi” nemici dello stato, all’equivalente di quei soldati “imboscati … che a suo tempo … venivano fucilati sul posto”.
Ellul notava infine un’incompatibilità radicale tra l’essere umano e la tecnica. Essa infatti, con la sua pretesa di razionalizzare ogni campo dove sia applicata, tende a ridurre ogni cosa alla sola dimensione logica, escludendo via via ogni spontaneità e creatività personale per sostituirla con operazioni standardizzate. Questo porta necessariamente ad una progressiva spersonalizzazione e disumanizzazione del mondo. Non solo, dice Ellul:
“La tecnica richiede prevedibilità e, per di più, esattezza nella previsione. È necessario quindi che la tecnica prevalga sull’essere umano. Per la tecnica, questa è una questione di vita o di morte. La tecnica deve ridurre l’uomo ad un animale tecnico, il re degli schiavi della tecnica. […] [Essa] persegue il completo rifacimento della vita e della struttura del vivente perché sono pieni di imperfezioni. Poiché l’ereditarietà è piena di imprevisti, la tecnica vuole sopprimerla in modo da creare il tipo di uomo necessario al suo ideale di società. […] Le tecniche applicate all’uomo dovranno quindi risultare nel completo condizionamento del comportamento umano. Esse dovranno assimilare l’uomo nel complesso “uomo-macchina”, la formula del futuro. Nell’accoppiamento tra uomo e macchina, una entità radicalmente nuova prenderà la luce.”
In queste parole troviamo incapsulata tutta l’ideologia eugenetica e transumanista. A detta di molti, il transumanesimo può definirsi come la “religione di Silicon Valley”, e quindi come il culto esclusivo di quella ristretta casta di tecnocrati che conoscono i segreti della tecnica e sanno dove andrà a finire. Uno dei suoi profeti, il director of Engineering di Google Ray Kurzweil, ha da tempo pronosticato che nel giro di un paio di decenni l’uomo biologico si fonderà con le macchine (nanotecnologia ed intelligenza artificiale) e diventerà un ibrido umano-robot. E a chi si ostinasse a considerare queste idee alla stregua di un delirio fantascientifico, non mi resta che ripetere le parole di Paola Pisano, già ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale sotto il governo Conte: “Saranno i robot a salvare l’Uomo … ci dobbiamo augurare il nuovo ibrido “uomo-macchina”, senza alcuna paura … Il mondo si trasforma siamo pronti ad osare?”
Insomma, il futuro è tracciato. Su questo i profeti della tecnocrazia sono tutti d’accordo: la convergenza tra problematiche globali (sovrappopolazione, sovraconsumo, crisi ecologica) e la spinta intrinseca del progresso tecnico risulterà inevitabilmente nella creazione di una dittatura scientifica mondiale. Secondo Brzezinski (1970) “tale società sarebbe dominata da una élite la cui pretesa di potere politico poggerebbe su di un presunto superiore know-how scientifico. Svincolata dai limiti imposti dai tradizionali valori liberali, questa élite non esiterebbe a raggiungere i suoi obiettivi politici utilizzando le tecniche più moderne per influenzare il comportamento dell’opinione pubblica e tenere la società sotto stretta sorveglianza e controllo.” Nelle parole di Aldous Huxley, “ il ventunesimo secolo … sarà l’era dei Controllori Mondiali, del sistema scientifico delle caste e del Mondo Nuovo.” Sotto una tale “dittatura scientifica … la maggior parte degli uomini e delle donne crescerà nell’amore della servitù e non sognerà nemmeno di ribellarsi.”
Il Mondo Nuovo è quindi alle porte. Non resta altro da fare che uniformarci o preparare la resistenza. Ma prima di esaminare più da vicino le opzioni sul tavolo, nel prossimo capitolo andremo a ripercorrere la storia dell’ideologia tecnocratica fin dalle origini, e a scoprire, dietro alla sua faccia razionale, un’altra faccia, dalle tinte più fosche e misteriose.
FONTE: https://federiconicolapecchini.medium.com/lalba-della-tecnocrazia-bd18613f6bc6 Pubblicato da Tommesh per Comedonchisciotte.org
Nel sangue gli indizi per trovare le tracce dei tumori quando sono in uno stadio molto precoce (fonte: mattthewafflecat/Pixabay)
Studio con Bambino Gesù e Tor Vergata apre strada a nuove cure.
Scoperto il tassello mancante che spiega come proliferano le cellule tumorali. I ricercatori dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e dell'Università di Roma Tor Vergata, in collaborazione con altri Centri di ricerca europei e statunitensi, hanno Individuato per la prima volta il rapporto tra due particolari proteine, Ambra1 e Ciclina D: quando è sbilanciato, si innesca il processo tumorale.
La scoperta apre la strada a terapie specifiche, contro molti tumori degli adulti e dei bambini, che inibiscono il sistema di difesa delle cellule malate sino alla loro autodistruzione. Lo studio, sostenuto da AIRC, è pubblicato su Nature.
Nel corso delle indagini, i ricercatori hanno infatti notato che in caso di assenza o di scarsa quantità di Ambra1, la Ciclina D non viene distrutta come dovrebbe e, quindi, si accumula. A causa di questo accumulo, le cellule cominciano a dividersi a velocità incontrollata, il DNA si danneggia e si innesca la formazione di masse tumorali. Lo squilibrio dei livelli delle due proteine è stato riscontrato in molti tipi di tumore tra cui l'adenocarcinoma polmonare, il sarcoma e il glioblastoma. La scoperta di questo meccanismo, chiariscono i ricercatori, apre importanti prospettive terapeutiche.
Lo studio del Bambino Gesu descrive infatti anche la sperimentazione di una terapia per i tumori basati sullo squilibrio di Ambra1 e Ciclina D. Non essendo disponibili, ad oggi, farmaci in grado di agire direttamente sulle due proteine per ripristinarne la giusta quantità, i ricercatori hanno individuato una soluzione alternativa che sfrutta uno dei punti deboli delle cellule tumorali: il sistema di riparazione. La grande velocità con cui le cellule cancerose si dividono genera una serie di errori nel loro DNA che vengono via via corretti da un sistema di enzimi (presente in tutte le cellule del corpo umano) che consente loro di sopravvivere e proliferare. Se il processo di riparazione viene però inibito, le cellule cancerose malate accumulano così tanti difetti da andare incontro all'autodistruzione. La terapia (un mix di farmaci specifici chiamati inibitori del sistema di riparo) è stata sperimentata con successo su modelli cellulari e animali: il tumore è regredito ed è aumentata la sopravvivenza.
La ricerca, quindi, suggerisce che questa strategia di cura, già utilizzata per il trattamento di alcuni tipi di tumore dell'uomo, potrà essere applicata anche ai pazienti con la combinazione Ambra1-Ciclina D alterata. Risultati della ricerca sono ulteriormente confermati da altri due studi internazionali, condotti negli Stati Uniti - a New York e a San Francisco - che, da punti di partenza differenti, arrivano alla stessa conclusione: Ambra1 controlla Ciclina D. Per l'alto valore scientifico della scoperta, i tre studi sono stati pubblicati in sequenza sullo stesso numero della rivista scientifica Nature
Negli ultimi anni, i pannelli solari sono diventati una promettente alternativa per un futuro senza emissioni di carbonio. Ma cosa succederebbe se invece di metterli in fila sui tetti delle casa, potessero essere messi al posto delle finestre?
Attualmente, i materiali per realizzare i pannelli solari più comuni sono strati semiconduttori fatti di silicio, vetro e telai di alluminio, che catturano la luce. Ma l’idea di produrre celle trasparenti accompagna da molto tempo la fantasia di scienziati e progettisti.
Così un team di scienziati del Dipartimento di Ingegneria Elettronica dell’Università Nazionale di Incheon (Corea del Sud) ha utilizzato due nuovi materiali con le proprietà desiderate.
Il primo nuovo materiale assorbe la luce ultravioletta (una parte dello spettro della luce invisibile ad occhio nudo) mentre lascia passare la maggior parte della gamma di luce visibile. Il secondo materiale è l’ossido di nichel (NiO), un altro semiconduttore noto per avere un’elevata trasparenza ottica.
I risultati dei primi test sono stati positivi. Le prestazioni della cella sono state abbastanza buone, rispondendo molto bene e ha funzionato in condizioni di scarsa illuminazione. Inoltre, oltre il 57% della luce visibile è stata trasmessa attraverso gli strati della lastra, il che le ha conferito un aspetto trasparente.
La “cellula” trasparente è appena nata e solo il tempo dirà se finirà per essere applicata in massa.
Oggi è il grande giorno per Ottaviano Del Turco: il massimo organo politico del Senato, il Consiglio di Presidenza è convocato poco dopo mezzogiorno per decidere del suo destino. O meglio per decidere se continuare a mantenergli il vitalizio, nonostante la sua condanna per le tangenti ricevute nell’ambito della Sanitopoli abruzzese sia ormai definitiva dal 2018: da allora non ha mai smesso di percepire l’assegno nonostante la delibera che dal 2015 prevede che venga sospeso agli ex parlamentari incappati nelle maglie della giustizia per reati di non poco conto. “È gravemente ammalato” si sperticano in molti a partire dal Pd che ha invocato in suo favore ragioni umanitarie. Ché togliergli i 5.500 euro al mese del Senato (che somma alla pensione da sindacalista) significherebbe privarlo dei mezzi necessari che però lo Stato non riconosce a tutti gli altri pazienti affetti come lui dall’Alzheimer benché con la fedina penale pulita.
Senato Leghisti complici.
Ma per Del Turco non sarà nemmeno necessario fare uno strappo alle regole, perché le regole nel frattempo al Senato sono state strappate. La decisione sull’ex sindacalista, di rinvio in rinvio, con un pretesto o un altro, arriverà proprio ora che si è sbloccata la pratica di Roberto Formigoni che ha avuto la sua rivincita: poche ore fa la Commissione contenziosa di Palazzo Madama, presieduta da Giacomo Caliendo di Forza Italia ha accolto il suo ricorso per riavere il malloppo: il collegio composto oltre che da Caliendo dai due leghisti Alessandra Riccardi e Simone Pillon (affiancati dai due laici, l’avvocato Alessandro Mattoni e l’ex magistrato Cesare Martellino) gli ha restituito il diritto al vitalizio che gli era stato solo parzialmente congelato dopo la condanna per aver asservito la sua funzione di presidente della regione Lombardia agli interessi economici della Fondazione Maugeri e del San Raffaele. Ora invece tutto è perdonato, ovviamente con beffa. Perché per decidere pro Formigoni Caliendo ha invocato la legge sul reddito di cittadinanza che consente la sospensione dei trattamenti previdenziali solo ai condannati per i casi di mafia, terrorismo o per chi si sia dato alla macchia. Non il caso del Celeste che dunque può riavere l’assegno (originariamente da 7.700 euro poi ridotti per via del taglio che si applica a tutti gli ex parlamentari dal 1 gennaio 2019) perché non risponde per questi reati. E che importa se al Senato le regole erano finora tutt’altre (il congelamento dell’assegno scattava per condanne anche per reati contro la pubblica amministrazione con pene superiori ai due anni di reclusione). E che importa pure se il vitalizio non è una pensione come ha stabilito la Corte dei Conti della Lombardia che invece al Celeste ha pignorato senza colpo ferire, il vitalizio regionale che percepiva fino alla condanna.
Benefici Silvio & C.
Al Senato invece se ne sono infischiati. Facendo godere Formigoni, ma pure tutti gli altri ex con un conto aperto con la giustizia. Perché la Commissione contenziosa ha disposto l’annullamento della delibera del 2015 “erga omnes in quanto cagionante una evidente disparità di trattamento (tra gli ex senatori condannati e i cittadini che beneficiano del reddito di cittadinanza, ndr) in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione”.
E così ora attendono “giustizia” anche tutti glia altri ex inquilini di Palazzo dopo che il Celeste è riuscito a spuntarla contro “l’infamante ablazione della sua rendita pensionistica” che rischiava di ridurlo alla fame dopo i fasti da governatore. E così, tanto per restare al Senato, spera di rientrare il possesso del vitalizio l’ex patron della Fiorentina Vittorio Cecchi Gori (nei guai per una serie di reati finanziari, tra cui una bancarotta fraudolenta) e pure Franco Righetti (ex Margherita con la passione per gli affari immobiliari), Ferdinando di Orio (già rettore dell’Università di L’Aquila eletto con l’Ulivo e condannato per induzione indebita): non che ne abbia bisogno ma l’assegno senatoriale ritoccherebbe pure a Silvio Berlusconi (frode fiscale). A tener conto dei reati indicati da Caliendo come causa ostativa, a bocca asciutta dovrebbero dunque rimanere l’altro padrino fondatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, e Enzo Inzerillo (ex Dc) che si danna per la sospensione dell’assegno da tempo in ogni sede, pure alla Corte europea di Strasburgo ché, si lamenta, è stato privato del necessario sostentamento. Con i nuovi parametri non è escluso invece che il Senato debba restituire il vitalizio anche agli eredi dei condannati come Antonio Girfatti (FI), Giorgio Moschetti (Dc), Giuseppe Ciarrapico (già senatore del Popolo della Libertà) e Pasquale Squitieri (Alleanza Nazionale), nel frattempo deceduti.
Camera C’è pure Previti.
E alla Camera? Montecitorio, dopo la delibera del 2015, aveva chiuso i rubinetti a una serie di ex deputati condannati come Massimo Abbatangelo (ex deputato Msi), Robinio Costi (ex Psdi), Massimo De Carolis e Gianmario Pellizzari (ex Dc), Pietro Longo (Psdi) e Gianstefano Milani (ex Psi). Ma pure a Toni Negri e Cesare Previti, Giuseppe Astone, Giuseppe Del Barone, Luigi Farace e Luigi Sidoti. I socialisti Giulio Di Donato e Raffaele Mastrantuono hanno invece fatto in tempo a ottenere la riabilitazione e dunque a riavere il vitalizio. Che invece ancora fa penare l’ex ministro della sanità Francesco De Lorenzo e l’ex sindaco di Taranto Giancarlo Cito con ricorsi agguerritissimi, stile coltello tra i denti, ancora sub iudice.
Ma a Palazzo la vera posta è un’altra: i condannati con il vitalizio sospeso sono una esigua minoranza mentre c’è un vero esercito di ex (700 senatori e 1400 deputati, da Ilona Staller a Antonio Razzi) che attende di riavere gli assegni pieno che nel 2018 sono stati tagliati da Montecitorio e Palazzo Madama per ragioni di equità sociale date le difficoltà degli italiani comuni. Ovviamente Lorsignori hanno fatto ricorso e sono in attesa di vedere come va a finire. Alla Camera non è ancora giunto il momento della decisione neppure in primo grado. E al Senato? Tutt’altra musica. Sempre la commissione Caliendo ha ridato speranza a tutti impallinando la delibera adottata nel segno dell’austerity. Ora a Palazzo Madama deciderà in via definitiva la commissione di appello presieduta dall’altro forzista Luigi Vitali che ha concluso l’istruttoria lo scorso 31 marzo.
Avevamo scritto che alla Restaurazione in corso mancano solo le parrucche e i codini del Congresso di Vienna. Ma non avevamo previsto la restituzione dei vitalizi ai ladri di Stato. Invece è arrivata anche quella. Dopo Formigoni, che su 5 anni e 10 mesi di condanna ha scontato 5 mesi e ora riavrà 7mila euro al mese direttamente dalle nostre tasche, anche Del Turco (3 anni e 11 mesi) sarà oggi riabilitato con 5.500 euro mensili: in fondo lui di mazzette ne ha incassate solo 850mila euro e non ha ancora versato i 700mila di risarcimento allo Stato (anziché pagare, incassa). Seguiranno B., Previti, De Lorenzo, Di Donato e altra brava gente. Ma concentriamoci sugli sgovernatori. Date un’occhiata allo stato comatoso della sanità (e delle vaccinazioni) in Lombardia e in Abruzzo: se cercate un perché, lo trovate nelle rispettive sentenze della Cassazione. L’uno e l’altro dirottavano i soldi delle nostre tasse destinati alla sanità pubblica nelle tasche dei ras delle cliniche private (Maugeri e San Raffaele il primo, Angelini il secondo), i quali poi ricambiavano con congrue percentuali, sempre a carico nostro. Intanto le due Regioni tagliavano i posti letto pubblici e l’Abruzzo s’imbarcava pure in una folle cartolarizzazione dei crediti sanitari farlocchi, ceduti a banche estere e ripagati con mutui capestro.
Sui giornali del Partito degli Impuniti si legge che Del Turco è innocente perché Angelini ha una condanna per truffa alla Regione (per ogni ricoverato stilava fino a 10 cartelle cliniche, con rimborsi regionali a piè di lista) e s’è visto confiscare il bottino delle sue truffe: 32 milioni. Peccato che il Telepass della sua auto segnalasse 19 visite tangentizie in due anni a villa Del Turco: prendere mazzette è già grave, ma prenderle da chi sai che sta truffando la tua Regione è una doppia vergogna. Idem per Formigoni, che – sentenza definitiva alla mano – elargì oltre 200 milioni di fondi regionali al San Raffaele e alla Maugeri per 6 milioni di tangenti. Fate voi il calcolo su quei 32 milioni in Abruzzo più 200 in Lombardia: quanti posti letto e respiratori avrebbero potuto acquistare le due Regioni prima della pandemia se fossero state governate da gente onesta? Nel 2015 una norma voluta da Piero Grasso ci aveva risparmiato, se non il danno, almeno la beffa di vedere questa gente mantenuta a vita dallo Stato. L’avevano votata tutti: Pd, Sel, FdI e Lega; il M5S no perché la riteneva troppo blanda. Ora il Senato la aggira senza neppure cambiarla, per mano dei leghisti Pillon e Riccardi e del forzista Caliendo, nel silenzio di tutti fuorché dei 5Stelle. Che poi qualcuno si domanda perché, con tutte le cazzate che fanno, non muoiono mai: perché gli altri sono così.