giovedì 12 settembre 2019

Scoperta acqua su un pianeta simile alla Terra. - Enrica Battifoglia



Potenzialmente abitabile, dista 110 anni luce.

C'è acqua nell'atmosfera di un pianeta che si trova a 110 anni luce dalla Terra e che ruota intorno a una stella più piccola e fredda del Sole alla distanza ideale per avere una temperatura che permetta all'acqua di essere allo stato liquido e, forse, per poter ospitare la vita. La scoperta è una prima assoluta e ricca di promesse: potrebbe essere solo l'inizio della capacità di trovare molti altri mondi simili. Pubblicata sula rivista Nature Astronomy, la scoperta è del gruppo dell'University College di Londra di cui fanno parte Angelos Tsiaras, l'italiana Giovanna Tinetti e Ingo Waldmann.
Il pianeta si chiama K2-18 b ed era stato scoperto nel 2015 dal telescopio spaziale Kepler della Nasa. E' una delle centinaia delle cosiddette super-Terre, ossia pianeti con una massa compresa fra quelle della Terra e di Nettuno. La sua massa è infatti otto volte superiore a quella del nostro e al momento è l'unico pianeta esterno al Sistema Solare ad avere sia acqua, sia temperature che potrebbero sostenere la vita. La sua stella, K2-18, è una nana rossa molto attiva, tanto che il pianeta K2-18 b potrebbe essere esposto a molte radiazioni e avere perciò un ambiente più difficile rispetto a quello terrestre.
I ricercatori ne hanno ricostruito le caratteristiche dell'atmosfera grazie ai dati acquisiti nel 2016 e nel 2017 dal telescopio spaziale Hubble, gestito da Agenzia Spaziale Europea (Esa) e Nasa. Quindi hanno sviluppato algoritmi con cui hanno analizzato la luce della stella filtrata dall'atmosfera e così hanno trovato la firma molecolare dell'acqua, accanto a quelle di idrogeno ed elio. Non si esclude che nell'atmosfera di K2-18 b possano esserci anche azoto e metano. Saranno necessarie ulteriori osservazioni per capire se ci sono nuvole e per calcolare la percentuale di acqua presente nell'atmosfera.
C'è ancora tanto lavoro da fare, ma il traguardo raggiunto è fuori discussione e "incredibilmente eccitante", ha detto Tsiaras. "K2-18 b non è un gemello della Terra - ha aggiunto - in quanto è significativamente più pesante e ha una composizione atmosferica diversa. Tuttavia ci aiuta a rispondere alla domanda fondamentale: la Terra è unica?". Senza dubbio si apre "una nuova era nella ricerca sugli esopianeti" e, come ha rilevato Tinetti, K2-18 b diventa "uno dei pianeti più interessanti per gli studi futuri.
Ad oggi sono stati rilevati oltre 4.000 pianeti extrasolari ma non sappiamo molto sulla loro composizione e natura. Osservando un ampio campione di pianeti, speriamo di scoprire come si formano e come evolvono i pianeti della nostra galassia". Anche Waldmann è convinto che "questa sia la prima scoperta di molti pianeti potenzialmente abitabili. Questo non solo perché le super-Terre come K2-18 b sono i pianeti più comuni nella nostra galassia, ma anche perché le nane rosse sono le stelle più numerose". Protagonisti della nuova caccia ai pianeti potenzialmente abitabili che si è appena aperta sanno i futuri telescopi spaziali, come il James Webb di Nasa, Esa e agenzia spaziale canadese Csa, e la missione Ariel dell'Esa, coordinata da Giovanna Tinetti.

Il Grande Twittatore. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 12 Settembre.

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Essendo astemio, non pensavo che una sbornia potesse durare un mese. Però auguro di cuore a Salvini di tornare sobrio, almeno fino a quella successiva, perché ci sveli il vero autore del suo tweet del 2 luglio, ore 19.29: “A prescindere dai nomi, l’importante è che in Europa cambino le regole, a partire da immigrazione, taglio delle tasse e crescita economica. E su questa battaglia l’Italia sarà finalmente protagonista. #vonderLeyen”. Salvini era con Di Maio all’ambasciata Usa per l’Independence Day. Conte li aveva appena avvertiti da Bruxelles dell’opportunità unica di infilarsi nelle divisioni del fronte europeista e rendere l’Italia decisiva nell’elezione della candidata tedesca del Ppe Ursula von der Leyen a presidente della Commissione. E Salvini diede subito il via libera: caduto il falco socialista olandese Timmermans per i veti di 11 Paesi, fra cui l’Italia, non era più questione di “nomi”, ma di “protagonismo” dell’Italia. L’aveva preannunciato quel mattino a La Stampa il suo capogruppo Ue Marco Zanni: “I popolari ci hanno convinto. Avremo un portafoglio di peso”. E fonti leghiste confermavano all’Ansa il voto a Ursula “perché sulla riforma di Dublino e l’immigrazione abbiamo buoni riscontri”. Conte, trattando per due giorni e due notti con i partner europei, aveva rotto l’isolamento giallo-verde con la maggioranza Ppe-Pse-Alde uscita dalle Europee. E nutriva buone speranze che i franchi tiratori socialisti su Ursula rendessero indispensabili i voti grillo-leghisti. Il sovranismo sterile e parolaio di Salvini poteva virare verso quello pragmatico e produttivo di Conte.

Invece lo scorpione padano, sopraffatto dalla sua vera natura, ordinò ai suoi di votare contro. I 5Stelle mantennero la parola, anche per le aperture della VdL su ambiente e migranti. E i loro 14 voti furono decisivi per farla eleggere. Così Conte dovette sudare sette camicie per strappare la promessa della Concorrenza (il massimo finora ottenuto dall’Italia, quando B. ci mandò Monti) alla riottosa Ursula, che non voleva saperne di un leghista. Ma il premier fu così “traditore” che tenne il punto: il commissario spettava alla Lega, per premiarne la vittoria elettorale e per responsabilizzarla in Europa. Salvini gli indicò Giorgetti, che però si tirò indietro e la Lega prese a cincischiare tra Garavaglia e Centinaio (per l’Agricoltura). Il resto è noto: la crisi del Papeete e la svolta degli Affari economici a Gentiloni. Questi sono i fatti, con buona pace degli eurocomplotti che il Cazzaro rinfaccia a Conte, Di Maio e Pd. Le uniche congiure anti-Salvini sono quelle architettate da Salvini. E, sia detto a suo onore, funzionano a meraviglia.

Mediocrazia - Roberto Cataldi

Publio Cornelio Scipione nell'eredità storica culturale - Wikipedia

La tendenza generale del mondo è quella di fare della mediocrità la potenza dominante (John Stuart Mill)


Nel discettare sulle diverse possibili forme di Governo, Platone aveva messo in guardia dalle loro possibili degenerazioni. Il filosofo greco, però, non avrebbe mai immaginato che il degrado di un sistema democratico moderno potesse avere a che fare con la progressiva perdita di "spessore" dei rappresentanti del popolo e con la banalizzazione dei ruoli e delle istituzioni.
Questo lento e progressivo declino verso la mediocrità diventa tanto più preoccupante quanto più si acquisisce la consapevolezza che tra una "buona" politica e una politica priva di "valore" (e di "valori") vi è in bilico la sorte di un intero Paese.
Ma proviamo a riavvolgere il nastro. Che cosa è successo a quel modello di democrazia sapientemente messo a punto dai nostri padri costituenti? Non siamo più di fronte allo stesso Parlamento, non vi è dubbio, ma se quel concetto alto di democrazia inizialmente ipotizzato è ormai tramontato, forse tutto è partito da un equivoco di fondo: l'idea che chiunque debba essere messo nelle condizioni di poter fare politica è stata confusa con l'idea che il merito potesse essere definitivamente accantonato. Un pò come avallare l'ipotesi di mettere alla guida di una nave chi non la sa condurre e non ha mai conseguito la patente nautica.
Per ricoprire un ruolo così delicato, come quello di legiferare, occorrerebbe innanzitutto un gesto di onestà intellettuale di chi si mette in gioco. Un candidato dovrebbe prima guardarsi allo specchio e chiedersi se è davvero capace del ruolo che vuol ricoprire. Ma non illudiamoci, siamo noi cittadini a dover acquisire una sempre maggiore capacità critica dato che, in ultima analisi, siamo noi a scegliere ed eleggere i nostri rappresentanti.
Se non diamo il giusto valore al merito, rischiamo di banalizzare il ruolo stesso della politica i cui principali "attori" non diventano altro che dei "bravi politicanti" alla ricerca più di consensi che di soluzioni ai problemi del Paese. Ai politicanti non serve il merito, basta saper "incantare" le masse, cavalcare l'onda del malcontento, banalizzare la comunicazione ed ottenere consensi.
Torniamo a Platone. Secondo un mito che trae origine da uno dei suoi dialoghi, Zeus dovette intervenire perché gli uomini senza la politica non erano in grado di vivere insieme ed erano quindi esposti agli attacchi delle belve. Decise quindi di mandare loro Ermes per portare il rispetto e il senso della giustizia. Ermes chiede a Zeus come deve dare agli uomini questi doni "Nel modo in cui sono distribuite le altre arti? Uno che possiede l'arte medica basta per molti profani, e così gli altri mestieri: anche dike (giustizia) e aidòs (rispetto) devo porre così negli uomini, o distribuirli a tutti?". Zeus risponde "a tutti e tutti ne partecipino". Platone parla di "partecipazione" all'attività politica. Ma attenzione, "partecipazione" alla vita politica è cosa ben diversa dall'"esercizio" in concreto della politica, esercizio che ovviamente richiede qualche dote in più. La partecipazione di cui parla Platone, si compie nel momento in cui si da luogo a un dialogo costante e costruttivo tra rappresentanti e rappresentati.
Sin dall'infanzia ci viene insegnato che è necessario "meritare" per ottenere qualcosa. E la vita, fin da subito, prende il sapore di una sfida. Si forma in noi l'idea del merito dia diritto a una sorta di "riconoscimento" sociale. Crescendo, però, questo mito comincia a vacillare. Specialmente quando a poco a poco ci si rende conto che ad avere la meglio, in genere, non sono i migliori ma i più furbi. Ed ecco che il concetto di merito si incontra e si scontra con la realtà dei fatti e l'anelito alla meritocrazia diventa una sorta di "bisogno di giustizia" in una società che dovrebbe premiare le competenze e le doti umane piuttosto che le astuzie.
Noi tutti vorremmo vivere in un mondo in cui sia dato il dovuto spazio per chi è il migliore nel suo campo. E noi tutti vorremmo che questo possa accadere anche in politica.
Ma è sempre così? La risposta la conosciamo bene. Del resto, si sa, le banalità ottengono più facilmente consensi ed applausi ed è molto più facile parlare alla pancia di un popolo che al suo cervello. Così, se ancora oggi si fanno avanti persone prive di qualità umane ma abili nella comunicazione è perché il politico che asseconda i "desiderata" dell'uomo mediocre ha molta più probabilità di avere successo. Ed ecco che si passa da una politica "meritocratica" a una sorta di "mediocrazia" dove prevale il degno rappresentante dell'uomo medio e dove le banalità prendono il sopravvento. Siamo così di fronte alla peggiore delle distorsioni del sistema democratico, quella che Richard Yates definì come una "malattia sociale" dove la gente "ha smesso di pensare, di provare emozioni, di interessarsi alle cose; nessuno che si appassioni o creda in qualcosa che non sia la sua piccola, dannata, comoda mediocrità".
Sono tanti i rappresentanti dei cittadini. Li troviamo nelle istituzioni, negli enti territoriali, in Parlamento. E sono diversi sotto ogni punto di vista, non solo in fatto di ideologie. Eppure davanti ad una buona idea, davanti ad una soluzione efficace essi dovrebbero reagire dimostrando di essere "meritevoli" del ruolo che gli è stato assegnato anche solo imparando a dare il giusto valore alle buone idee, a quelle idee che si mostrano "valide" a prescindere da chi le ha messe in campo. Mai come oggi il mondo politico ha bisogno di fare il pieno di persone così, intellettualmente oneste e di incontrovertibile spessore umano. Allo stesso tempo bisogna tenere alla larga gli affabulatori e i ciarlatani che sanno solo illudere le piazze con l'abilità dei saltinbanchi o dei prestigiatori.
Se non si riconosce il demerito - scriveva Vittorio Zucconi - "non si potrà mai valorizzare il merito". Uno sforzo in tale direzione dobbiamo assolutamente farlo se vogliamo munirci degli "anticorpi" necessari per non cadere più nelle trappole del passato, per non replicare quegli errori che tragicamente si ripropongono ogni volta che ci lasciamo trasportare da una retorica malsana e fanatica, rinunciando ad esercitare il benché minimo senso critico.
Se la storia ci ha insegnato qualcosa allora dovremmo riscoprire dentro di noi il senso vero della democrazia, di una democrazia intesa come una "orchestrazione delle differenze" dove il potere non è la risposta a un'ambizione del singolo ma un servizio per la collettività. Oggi l'analisi sociologica e antropologica del potere ci consente di guardare, in una nuova prospettiva interpretativa, all'impalcatura filosofica e concettuale che ha sostenuto lo spirito di potenza dei totalitarismi di massa dei primi del novecento. Ma esistono aspetti che le scienze umane possono trarre solo dal fondo oscuro della psicologia individuale e collettiva. E' li che dobbiamo rivolgere le nostre attenzioni, perché il nostro futuro dipende solo e principalmente da quello che siamo e dalle persone a cui decidiamo liberamente di affidare la nostra rappresentanza.