martedì 23 aprile 2019

Ora che Berlusconi affonda, i topi fuggono. - Massimo Fini

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Sul Fatto del 15.4 Antonello Caporale fa un divertente elenco dei transfughi di Forza Italia che lasciano ‘in articulo mortis’ Silvio Berlusconi cercando un approdo più o meno sicuro nella Lega o dalla Meloni. Fra i più noti ci sono Elisabetta Gardini, Denis Verdini, Vittorio Sgarbi, Paolo Bonaiuti, seguiti da una serqua di consiglieri regionali, comunali e altri che hanno incarichi di rilievo in quel partito. Caporale nota che fra coloro che hanno disertato e che si vergognano un po’ di questo voltafaccia, l’ipocrita formula di rito è: “Lascio Forza Italia dopo una lunga e dolorosa riflessione”.
Una menzione speciale fra questi voltagabbana meritano Bonaiuti e Sgarbi. Quando lavoravo al Giorno negli anni 80, e Silvio Berlusconi non era ancora apparso sulla scena politica, il collega Bonaiuti era più a sinistra di Satanasso e io, per lui, naturalmente un “fascista”. Sotto le elezioni del 1996 la direttrice di Annabella mi chiese di fare un’intervista al Cavaliere. Gli accordi erano che avrei mandato delle domande scritte all’Ufficio stampa di Roma e poi mi sarei incontrato ad Arcore con Berlusconi. “Telefona al capo dell’Ufficio stampa”. Telefonai. Dall’altro capo del filo mi rispose proprio Paolo Bonaiuti. Ne rimasi un po’ stupito. “Ah, sei tu?” dissi un po’ sorpreso non avendo ancora percepito –siamo ancora all’inizio dell’esperienza berlusconiana- la slavina di trasformisti, di sinistra e di estrema sinistra, che in seguito sarebbe diventata una vera e propria valanga, che si stava attaccando alla giacca del Cavaliere. L’intervista poi non si fece perché Bonaiuti farfugliò su alcune domande che potevano mettere in imbarazzo il Cavaliere. Ma non fu questo che mi colpì, mi colpì l’assoluta disinvoltura di Bonaiuti che nemmeno con me, che conoscevo i suoi precedenti, si vergognava un po’.
Comico è il pretesto preso da Vittorio Sgarbi per filarsela. Del resto in anni lontani Patrizia Brenner allora sua fidanzata e che lo conosceva bene mi aveva preavvertito: “Guarda che se Berlusconi dovesse vacillare di Vittorio si vedrà solo la polvere della sua fuga”. Qual è il pretesto preso da Sgarbi? Lo “schiaffo di Sutri” (parafrasando lo storico “schiaffo di Anagni”, noblesse oblige): aver disertato “per ben due volte” la cerimonia di intitolazione di un giardino alla madre dello stesso Berlusconi. Di Sutri Sgarbi, che come politico non ha mai combinato assolutamente nulla, è sindaco per meriti berlusconiani: l’aver attaccato per vent’anni, dalle tv del Biscione, nei modi più violenti e giuridicamente sgrammaticati, per star bassi, la Magistratura. Sutri è una cittadina di 6.000 abitanti. Come si può pretendere che un uomo di 83 anni, malato, che entra ed esce dagli ospedali, che ha ancora importanti impegni politici si sobbarchi un viaggio a Sutri per non offendere la ‘delicatezza’ di Sgarbi?
I transfughi di oggi devono tutto a Silvio Berlusconi, onori, improbabili carriere, quattrini. A me fanno più ribrezzo di Berlusconi che nella sua più che ventennale avventura politica ha messo la propria enorme energia, gli altri sono solo dei parassiti che gli hanno succhiato il sangue.
Sia chiaro che io non cambio una virgola di ciò che penso di Berlusconi, che proprio in questi giorni mi ha querelato per una dozzina di articoli che ho scritto su di lui, querela che se dovesse andare a buon fine mi ridurrebbe sul lastrico e forse al gabbio. Cosa, quest’ultima, che non mi dispiacerebbe poi tanto perché in un Paese dove Berlusconi è a piede libero il solo posto decente per una persona normalmente perbene è la galera. Ma i topi che lasciano la nave che affonda mi danno ancora più disgusto. Sto dalla parte di Alessandro Sallusti che da direttore del Giornale difende l’ultima ridotta berlusconiana, come i guerriglieri dell’Isis si sono difesi a Baghuz. Coraggio Alessandro, se si deve cadere, è molto più nobile e coraggioso cadere in piedi.
Massimo Fini

FALLIMENTO DELL'ESPRESSO. - Tommaso Merlo




Che l’Espresso (di De Benedetti) stia fallendo è davvero una bella notizia perché lascerà spazio ad altri progetti editoriali che i cittadini riterranno degni di essere letti. A far chiudere i giornali in Italia non è qualche dittatore gialloverde, sono i cittadini che non li comprano più. Evviva la democrazia! E quando il governo gialloverde taglierà gli ultimi finanziamenti all’editoria, altre testate seguiranno l’Espresso nel baratro. (sono già falliti La Padania, l'Unità, Europa, Liberazione, il Secolo d'Italia; dal 2003 ad oggi lo Stato ha versato oltre 230 milioni di euro nelle casse di 19 testate di partito, l’80% delle quali è fallito) Era ora. E così sul mercato rimarrà chi fa giornalismo all’altezza dei tempi e dei lettori. Evviva la liberà di mercato. Evviva la libertà di espressione. Nessuno dice infatti che l’Espresso debba cambiare idea o smetterla di attaccare i gialloverdi, macché, che continui puri, anzi, che alzi i toni se gli fa piacere, ad una sola piccola condizione, che lo faccia coi soldi dei suoi padroni o dei suoi lettori e non coi soldi dei contribuenti. E visto che i lettori se la sono data a gambe levate, all’Espresso sono rimaste due possibilità. O convince i De Benedetti a vendere ville e yatch e gioielli di famiglia per pagare gli stipendi dei loro giornalisti oppure abbassare la saracinesca e mandare le penne rosse a lavorare. E good luck. Sta finendo un’era. Finalmente. L’Italia ha girato pagina, è andata avanti. Il giornalismo no, è rimasto indietro politicamente ma anche culturalmente. È figlio di un mondo che non esiste più. Ed è questo il problema. La stampa dovrebbe essere una delle avanguardie della società, un luogo che informa onestamente la cittadinanza ma anche dove si ragiona, s’immagina, si contribuisce in qualche modo al pensiero e al dibattito di una comunità nazionale. La stampa italiana oggi è drammaticamente piatta e distante dalla società. È retrograda e conservatrice. Sa di muffa. È lenta, scontata e le sue parole sono vaghe e vuote come quelle di certi professoroni alla vigilia della pensione o di certi preti anziani che hanno perso la vocazione e predicano in chiese desolatamente vuote. Ostaggio di vecchi soloni rimbambiti, la stampa italiana predica e si lagna sbandierando stracci sgualciti senza avere la forza di penetrare nella realtà e soprattutto guardare avanti. Riesce solo a guardare indietro, appiccicando etichette anacronistiche, replicando ricette ormai nauseabonde. Come impedita da paraocchi ideologici che la fanno sbattere contro i muri delle proprie ammuffite convinzioni. Il perché è semplice. La stampa italiana è una delle sacche in cui si è annidato il vecchiume pre 4 marzo. È una casta reduce del vecchio regime e dal dente avvelenato che rifiuta il cambiamento perché per molti di loro significherebbe perdere carriere e status e la pestifera certezza di essere nel giusto in quanto casta intellettualmente e moralmente superiore. Ego e depravazione elitaria di categoria. Ma anche bassa politica. La stampa oggi è una protesi malconcia delle paturnie ideologiche del passato e di una fase partitica tra le più fallimentari della storia repubblicana. E ne riflette il peggio. Chi dirige la stampa sono anziani o polli di batteria che fino a ieri leccavano i deretani di qualche politicante di destra o di sinistra raccontando in giro la panzana della loro libertà e indipendenza che se ne avessero avuto anche solo un granello non li avrebbero mai fatti nemmeno entrare dalla porta di quelle redazioni. A seguito dello tsunami gialloverde, molta stampa è rimasta orfana di padroni politici e aree di riferimento. Da un giorno con l’altro. Da schiava a potenzialmente libera. Ma invece di spezzare del tutto le catene e abbracciare il nuovo corso, ha preferito rimanere incatenata al passato. Invece di smetterla di far politica e cominciare finalmente a fare giornalismo, hanno addirittura esasperato il vecchio modello politicizzato sdoganando fake news e spingendo sulle campagne diffamatorie. Hanno come avuto paura della libertà perché non la conoscono, non l’hanno mai vissuta veramente. E così si son messi in proprio, si son fatti partito. Auto imprigionandosi. Si son fatti sindacati difensori di un regime moribondo, si son fatti infami boicottatori di un cambiamento che non capiscono e non vogliono capire perché sanno benissimo che dopo aver fatto fuori i loro padroni politici, quel cambiamento farà far fuori anche loro. Come infatti sta succedendo. Naturalmente, democraticamente, pacificamente. Lasciando i loro giornali a marcire in edicola ed i loro talk-show blaterare nel vuoto. Stiamo arrivando al punto di rottura. Le crepe son sempre più profonde. I resti del vecchio regime scricchiolano e barcollano preannunciando il tonfo finale. Se i gialloverdi terranno duro, l’Espresso sarà solo il primo salubre crack di una lunga serie.

https://infosannio.wordpress.com/2018/10/07/fallimento-espresso/