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Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
martedì 26 settembre 2023
venerdì 16 giugno 2023
I giudizi spietati su Berlusconi dall'estero.
"Per gli economisti, è stato l'uomo che ha contribuito a far crollare l'economia italiana". Mentre "il suo approccio alla vita pubblica spesso oltraggioso, deformante e personalmente sensazionale, che divenne noto come berlusconismo, lo ha reso il politico italiano più influente dai tempi di Mussolini. Ha trasformato il Paese e ha offerto un modello di leadership diverso, che avrebbe avuto echi in Donald J. Trump e oltre". Sono alcuni estratti del ritratto di Silvio Berlusconi che il New York Times ha tratteggiato nel giorno della sua morte. Giudizi duri, che non sono isolati sulla stampa estera. Dal britannico Guardian al tedesco Spiegel, oltre a ricordare (come hanno fatto tutti) le vicissitudini giudiziarie, il Bunga bunga, i rapporti con personaggi discutibili, le gaffe con leader mondiali come Angela Merkel o Barack Obama, diversi prestigiosi quotidiani hanno tirato le somme della carriera politica del Cavaliere. Con una bocciatura solenne sul suo impatto sull'Italia. E con l'accusa di aver aperto la strada a una forma di populismo che negli Usa è stata incarnata da Trump.
Il quotidiano belga La Libre lo ha definito un "pazzo dalla faccia tosta, senza scrupoli né morale", "abbonato alle aule dei tribunali come imputato, subdolo uomo d'affari, politico controverso e sulfureo i cui eccessi prefiguravano Trump". Lo svizzero Neue Zuercher zeitung è ancora più impietoso: "Tutto in Berlusconi era falso: il suo volto stirato e i capelli ravvivati, le sue promesse e le sue pretese, aveva anche falsi amici e complici, soprattutto mafiosi. Ma era proprio la spudorata vanteria, la sfacciata astuzia, la sconsiderata violazione della legge e della morale che evidentemente piaceva a molti italiani e a molte donne italiane. Altrimenti non avrebbero ripetutamente dotato Berlusconi del potere di governo".
Per lo Spiegel, Berlusconi è stato "il populista più pericoloso d'Italia", che "veniva deriso all'estero e trattato con il massimo rispetto" in patria. "Come presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi ha radicalmente cambiato e plasmato la cultura politica. Molti direbbero avvelenato. Ha stabilito il culto della personalità come strumento politico, ha reso onnipresente il populismo, ha dichiarato l'Europa il capro espiatorio dei difetti italiani. Ha seminato un seme che altri stanno ora raccogliendo", aggiunge il quotidiano tedesco.
Non meno spietato il Times: "Pochi fuori dall'Italia potevano comprendere come un uomo così imbarazzante potesse essere eletto primo ministro del suo Paese tre volte tra il 1994 e il 2011, presiedendo quattro governi - scrive il prestigioso quotidiano britannico - Alla fine del suo ultimo mandato Berlusconi era diventato il premier italiano più longevo del dopoguerra e conservava alti livelli di sostegno pubblico, nonostante fosse un donnaiolo confesso che non ha mai negato di andare a letto con le prostitute - pagando solo per loro - e che ha usato apertamente il potere politico per promuovere il proprio impero commerciale.
Parte della spiegazione del suo fascino risiedeva nella sua ricchezza, stimata dalla rivista Forbes in 8 miliardi di dollari. Ciò gli permise non solo di creare un movimento politico nazionale di irriducibili fedelissimi che gli dovevano la carriera, ma anche di controllare una vasta parte dei media italiani, assicurandosi una favorevole accoglienza nel proprio Paese".
Come dicevamo, però, l'accusa 'politica' principale mossa da questi quotidiani a Berlusconi è l'aver portato l'Italia sull'orlo del fallimento: per il Times, non sono stati tanto gli scandali e le polemiche, quanto "l'incapacità di Berlusconi di proteggere l'Italia dalla tempesta che ha travolto l'euro nel 2011" a porre "fine al suo dominio di 17 anni sulla politica italiana". Quando il Cavaliere si dimise da premier nel 2011, "l'Italia era politicamente, economicamente e, non da ultimo, moralmente distrutta - scrive Neue Zuercher zeitung - Il Paese ha trovato più difficile rispetto alla maggior parte degli Stati in Europa liberarsi dal vortice della crisi finanziaria. Il cattivo stato delle istituzioni statali significava un cattivo clima per gli investimenti. La burocrazia paralizzante e la magistratura inaffidabile, unite alla corruzione dilagante, hanno impedito e tuttora ostacolano la ripresa dell'Italia. La criminalità organizzata, invece, ha potuto diffondersi sotto Berlusconi".
L'altra 'accusa' al Cavaliere è di aver inventato un modello di leadership populista che ha fatto proseliti non solo in Italia, ma in tutto il mondo: "I parallelismi con Donald Trump sono sorprendenti - scrive il Guardian - Entrambi hanno iniziato come magnati immobiliari, sono diventati star dei media e sono passati alla politica. Entrambi hanno deciso di minare le istituzioni consolidate del loro Paese, compresa la stampa e la magistratura. Respinte dalle rispettive istituzioni liberali, entrambe hanno anche risposto – nonostante la loro grande ricchezza – con la tattica populista di presentarsi come la vera voce del popolo contro un'élite fuori dal mondo e corrotta. È probabile che la sua eredità non siano i bunga bunga party, l'ostentazione e la volgarità, ma la perdita di fiducia dell'elettorato italiano nella propria classe politica – una perdita che ha portato, ironia della sorte, all'emergere di una nuova generazione di politici populisti di estrema destra molto più radicali", conclude il quotidiano britannico.
https://www.today.it/mondo/berlusconi-giudizi-spietati-stampa-estera.html
Sentenza della Cassazione. - Berlusconi
A questo personaggio sono stati attribuiti i "Funerali di Stato", quindi, a spese mie e di noi tutti.
Poiché non accetto che mi si impongano decisioni del genere, anche perché non intendo essere complice di nessuno che sia anche lontanamente invischiato con "cosa nostra" dico :
"Non in mio nome!"
giovedì 15 giugno 2023
SILVIO BERLUSCONI: SE NE VA UN UOMO DI POTERE O DEL POTERE? - Megas Alexandros
E’ morto Silvio Berlusconi, per tutti il Cavaliere, e con lui certamente si chiude un’epoca!
Quando muoiono personaggi del calibro del Silvio nazionale i bilanci sono d’obbligo come o forse più delle condoglianze, e stante la prolungata influenza che il suo operato di uomo pubblico ha avuto sulle nostre vite, ognuno di noi ha tutto il diritto di non attendere la Storia, per giudicare un uomo piacevole e simpatico ma che ne ha fatte di cotte e di crude.
Silvio Berlusconi un uomo di potere o del “Potere”? Questa è la domanda che tutti noi ci siamo sempre posti pensando a cosa ha fatto e dov’è riuscito ad arrivare nella sua vita, ma soprattutto per quello che non ha fatto, per le nostre di vite, quando ha avuto tutto il potere per farlo.
Il percorso terreno di Berlusconi in relazione al suo operato, va diviso in modo netto in due parti: quello che ha fatto da imprenditore prima e quello da politico poi.
Fermo restando che anche i successi nel mondo imprenditoriale, quando raggiungono i livelli che ha raggiunto Berlusconi, sono sempre frutto di una liaison di interessi quanto mai stretti con il mondo politico e le lobby che lo comandano. La storia del Cavaliere, è l’ennesima conferma della totale metamorfosi che ogni uomo subisce quando da normale cittadino si trova catapultato nello spregevole mondo della politica.
L’imprenditore di grande successo nel campo immobiliare, il precursore dei tempi in quello televisivo ed il presidente di calcio più titolato al mondo, hanno lasciato il posto al politico che ha contribuito (naturalmente insieme agli altri che si sono alternati), a catapultare il nostro paese nei suoi anni peggiori, dal punto di vista del benessere comune e del degrado morale raggiunto negli ultimi trenta anni.
L’imprenditore che creava migliaia di posti di lavoro ed inanellava successi e miliardi uno dietro l’altro ed il presidente della squadra del Milan, che vinceva in tutti campi del mondo, ha lasciato il posto al politico che ha condotto l’Italia nell’euro, condividendo in pieno tutto il progetto europeo funzionale al saccheggio del paese messo in atto dalle nostre élite, che ha portato disoccupazione, precarietà ed un impoverimento generalizzato mai visto fin dai tempi delle guerre mondiali.
Tra la figura imprenditoriale e quella politica di Silvio Berlusconi c’è poi un comune denominatore, che unisce queste due parti inversamente proporzionali tra loro in fatto di risultati. Un comune denominatore, che si compone dalla classica invidia per chi ha successo. Elemento questo che ha però reso poi difficile decifrare dove sia la verità sulla reale provenienza dei capitali che hanno dato l’avvio alla sua ascesa e che, come sappiamo, sono a tutt’oggi ancora oggetto di indagini in alcune procure.
La classica e fisiologica invidia che alberga tra la gente non sarebbe stata un ostacolo alla verità, se le nostre istituzioni che gestiscono la “Giustizia” non fossero anch’esse state prese d’assalto dagli stessi poteri profondi a cui Berlusconi stesso apparteneva. Finendo per creare quella voluta confusione, dove indagini e processi servono più alle campagne elettorali che a determinare quella verità che uno stato di diritto ed il suo popolo meriterebbero.
Persino le accuse di contiguità con la Mafia che da anni vengono attribuite a Berlusconi, finiscono per lasciare il tempo che trovano, in un paese dove oggi il cancro mafioso è totalmente asservito alla metastasi massonica.
Non voglio e non mi interessa entrare su questi aspetti della vita di Berlusconi, lo faranno i magistrati di Firenze (dove ancora sono in corso le indagini sulle stragi di mafia); naturalmente, se riusciranno a staccarsi dal Sistema di potere che sappiamo ancora essere ben presente nei nostri luoghi di giustizia.
C’è una cosa però che mi interessa in modo particolare dell’operato del Berlusconi-politico; una cosa che, a dire il vero, interessa a tutti noi italiani e che ci dà la risposta alla domanda oggetto del titolo del presente articolo.
In questi giorni, dopo la sua morte, stiamo ascoltando di tutto sulla vita di Silvio Berlusconi. La stampa main- stream, come sempre si divide a metà tra i suoi detrattori e gli innamorati cronici, ma nessuno (e sottolineo nessuno) ricorda quel fatidico anno 2011, quando la nostra democrazia subì un vero e proprio “golpe bianco”.
Gli stessi poteri che nel 1992, con ancora caldo nelle strade il sangue di Falcone e Borsellino, abbatterono la prima Repubblica – e scelsero Silvio Berlusconi come l’uomo che a breve avrebbe fondato un nuovo partito dal nulla (Forza Italia) per condurre il paese – solo pochi anni dopo, con Draghi e l’allora presidente Napolitano al comando, decisero che per la democrazia nel nostro paese l’ora della fine era scoccata.
La storia la conosciamo tutti, Berlusconi se ne va ed arriva a Palazzo Chigi Mario Monti, per mettere in atto le famose politiche fiscali lacrime e sangue, per un massacro sociale funzionale al saccheggio del paese e tenersi l’euro; una valuta di stampo coloniale sostanzialmente a cambio fisso, con la quale è stato ricreato un “gold standard” di fatto, per mantenere intonsi i risparmi delle élite nostrane.
Berlusconi, che negli anni a venire ha poi dimostrato di conoscere il funzionamento della moneta moderna, e quindi cosa sarebbe successo al paese con l’arrivo del governo tecnico, di fronte al golpe ed in totale spregio al bene degli italiani, col quale sempre si sciacquava la bocca nei suoi innumerevoli discorsi pubblici, si fece da parte come un agnellino e addirittura andò anche in sostegno del governo-Monti.
Arrivarono immediatamente la distruzione della domanda interna e quella di un tessuto produttivo che ci aveva reso i migliori al mondo. A fermare lo spread ci pensò immediatamente Draghi, con le ormai note politiche monetarie che avrebbe potuto mettere in atto anche con Berlusconi. Ma quello che ai poteri interessava fermare, per continuare il saccheggio, erano le politiche fiscali e la certezza che gli stessi potessero ricevere 80 miliardi all’anno di interessi dal sangue degli italiani.
Tutto questo Silvio Berlusconi lo sapeva ma, come un vigliacco più totale, rinnegando se stesso e gli italiani, decise di tacere per ordine di scuderia e, naturalmente, per interesse personale.
Non solo, la discesa morale di uomo che invecchiando non si poteva più guardare – noi in TV e lui allo specchio – è continuata quando in seguito, per esclusiva finalità di campagna elettorale, ci ha fatto capire che sapeva benissimo come stavano le cose e cosa stava succedendo al suo popolo.
Basterebbe ascoltare il suo discorso del 2013 al Consiglio Nazionale del Popolo delle Libertà (che riporto qua sotto), per comprendere come Silvio Berlusconi sia stato un appartenente fedele, di quelli che tengo famiglia, alla stregua di un Bagnai qualsiasi (tanto per fare un nome, all’interno dei numerosi esemplari che il Parco della nostra politica contiene):
https://www.facebook.com/100008866261137/videos/638413197899476/
Era il 2012, aveva da poco ceduto la poltrona a Mario Monti quando, in vista della nuova campagna elettorale, Silvio fingeva di minacciare la UE con quello che non aveva fatto appena un anno prima sulla poltrona di governo:
«vi dico l’idea pazza: la Banca d’Italia stampi euro», se la Bce non vuole farlo. «Se l’Europa non dovesse ascoltare le nostre richieste – ha poi aggiunto – dovremmo dire “ciao ciao” e uscire dall’euro» [1]
L’ultima considerazione su Berlusconi la voglio fare a livello morale. Non vi è dubbio che in quel fatidico anno 2011 Berlusconi si è dimostrato tutt’altro che Uomo Vero, poiché invece che essere fedele agli italiani ed alla Repubblica, in virtù del giuramento fatto quando è divenuto Presidente del Consiglio, la sua fedeltà l’ha riservata alle oligarchie che hanno in mano il paese ed alle quali lui stesso apparteneva.
Questo lo rende a pieno titolo uomo del Potere!
Nel paese della normale devianza, come è il nostro attualmente; per molti certamente Berlusconi avrà scritto la storia in senso positivo. In un paese dove i deviati sono considerati normali ed i normali sovversivi, è giusto che Berlusconi si sia meritato i funerali di Stato…..
non per il sottoscritto!
di Megas Alexandros
https://comedonchisciotte.org/silvio-berlusconi-se-ne-va-un-uomo-di-potere-o-del-potere/
Cinque cose da sapere sulla villa di Silvio Berlusconi: a chi andrà ora? - Fabrizio Gatti
1 – Il giallo di via Puccini.
Sono le sette e un quarto di una domenica sera, il 30 agosto 1970, in via Giacomo Puccini 9 a Roma. È l'ultimo cancello a sinistra, una meraviglia in ferro battuto, prima di via Pinciana e di Villa Borghese. Agli ultimi due piani vivono il ricco marchese brianzolo, Camillo Casati Stampa, 43 anni, e la moglie Anna Fallarino, 41.
Sposati da undici anni, non hanno figli. Ma frequentano un'ampia cerchia di amici e amiche con cui condividono tutto. Anche le loro intimità, come scopriranno le indagini. La vita di Anna diventa ancor più complicata quando nel suo cuore entra un pariolino romano, Massimo Minorenti, 25 anni, il suo giovane amante.
2 - Anna Fallarino e l'amante.
La sera del 30 agosto si ritrovano tutti e tre nell'appartamento di via Puccini. Forse Camillo ha intenzione di chiudere con Anna e suicidarsi. Lo lascia intendere un biglietto trovato durante le perquisizioni. Forse Anna e Massimo hanno l'obiettivo di farsi mantenere da Camillo. Non ci sono testimoni. Il marchese prende uno dei suoi fucili da caccia è spara sei colpi calibro dodici. Uccide per primo il ragazzo. Due colpi. Poi il suo amore. Tre colpi. L'ultimo sparo è per sé.
I Casati Stampa sono una famiglia nobile lombarda. Camillo Casati Stampa di Soncino aveva ereditato una distesa di terreni a Segrate, appena fuori Milano. Palazzi e appartamenti ovunque. Un'intera isola nel Tirreno, la scenografia naturale per le sue trasgressioni con Anna e gli amici. E una villa antica ad Arcore, in viale San Martino, nelle campagne appena fuori Monza. Una dimora che quando era proprietà dello zio, il conte Alessandro Casati, aveva ospitato più volte il filosofo Benedetto Croce.
3 - Due minuti per l'eredità.
Una volta uccisi la moglie, l'amante e se stesso, rimane una sola discendente: Anna Maria Casati Stampa di Soncino, nata dal primo matrimonio di Camillo. Ma la ragazza ha 19 anni e, per la legge di allora, è ancora minorenne e non può toccare nulla. Il testamento di Camillo, aperto davanti a un notaio, tra l'altro dichiara la moglie erede universale. Il patrimonio per miliardi di lire rischia così di finire alla modesta famiglia di Anna Fallarino, partita a 16 anni da Amorosi, un piccolo paese in provincia di Benevento. Ma è necessaria una condizione: che Anna, pur ferita gravemente, sia morta dopo Camillo. In caso contrario, l'erede sarà la figlia del marchese.
Come spiegare ai nostri figli i funerali di Stato - di Fabrizio Gatti
“È l'autopsia a ristabilire la verità – spiega Marco Marra nel documentario di RaiTre – a calcolare la manciata di secondi che separa le vite dei due amanti”. La differenza, stimano i medici legali, è di due minuti e mezzo a favore del marito.
4 – Cesare Previti, ministro.
La giovane figlia di Camillo Casati Stampa è quindi la legittima proprietaria dell'immenso patrimonio. Ma anche dei debiti del padre con il fisco. Poiché è ancora minorenne, come tutore le viene assegnato un amico di famiglia: il senatore liberale Giorgio Bergamasco, avvocato a Milano e ministro per i Rapporti con il Parlamento nel secondo governo di Giulio Andreotti. Ma nella gestione delle sue proprietà è seguita personalmente da un avvocato nato a Reggio Calabria e cresciuto professionalmente a Roma, Cesare Previti, 36 anni, futuro parlamentare e ministro della Difesa nel primo governo di Silvio Berlusconi. Rimaniamo a quegli anni.
L'avvocato Cesare Previti nel documentario di RaiTre
La ricostruzione della tv pubblica entra nei dettagli: “Nel 1973 è proprio l'avvocato a fare una proposta alla sua assistita – sostiene il documentario di RaiTre –. Anna Maria, infatti, insieme al patrimonio del marchese Camillo, ha ereditato un discreto debito che il padre ha contratto con il fisco italiano. Un debito pari a un miliardo 278 milioni e 520mila lire. E se vendessimo quella villa in Brianza? Non sappiamo che farcene di quel casale diroccato”.
5 – Il giovane Silvio Berlusconi.
Le condizioni di Villa San Martino non sono infatti quelle attuali. Anche se all'interno ci sarebbero una biblioteca con migliaia di volumi, arredi e opere d'arte di grande valore non ancora valutati. Secondo la stima comunicata alla figlia del marchese, non merita più di cinquecento milioni di lire, circa 260 mila euro, al valore di allora. Troppo poco per coprire il debito con lo Stato. Ci sono però i terreni della dinastia Casati Stampa. Quelli a sud di Milano e gli altri a est, a Segrate. Ettari di campi agricoli. Si arriva così a un accordo preliminare per la compravendita.
“La società interessata – dice il conduttore di RaiTre – è una società immobiliare di Milano che fa capo a un giovane e ambizioso imprenditore edile milanese”. Il costruttore si chiama Silvio Berlusconi, ha 37 anni e un progetto tra i tanti: realizzare a Segrate una seconda Milano, ma a misura di persona, per chi se lo può permettere. Con il verde, il lago artificiale, gli appartamenti, i balconi grandi, la chiesa e le scuole sotto casa. La futura Milano 2.
Anna Maria accetta, ma passano gli anni. “Dopo varie peripezie, nel 1979 – sostiene il documentario – si sancisce con un ennesimo atto notarile che la tenuta verrà pagata con 800 azioni di una delle tante società dell'imprenditore milanese. Le dicono che varrebbero queste azioni la bellezza di un miliardo e settecento milioni. Ma quando Anna Maria, dal Brasile dove si è trasferita per sempre tenta di venderle, solo uno si fa avanti. È proprio quell'imprenditore che però le riprende a metà prezzo. Alla fine la villa sarà venduta, terreni a parte, per cinquecento milioni di lire. Oggi sfiora i cinquantadue milioni di euro”. Se la stima è corretta, cinquantadue milioni attuali equivalgono, dopo i lavori di restauro e l'allargamento del parco, a una dimora di oltre cento miliardi di lire: a chi andrà ora?
https://www.today.it/attualita/silvio-berlusconi-funerali-villa-arcore.html
mercoledì 14 giugno 2023
CAIMANI DI FATA: LA SCOMPARSA DI BERLUSCONI. - Di Accattone il Censore, per comedonchisciotte.org
Il clown felliniano delle declinanti stagioni ha fatto l’ultimo capitombolo della sua vita.
Nei commenti del poi, tutto si trasfigura e qualcuno lo innalza addirittura al ruolo di statista. Ma i rialzi che pare portasse nelle scarpe non possono fare tanto.
Ci lascia da uomo di spettacolo, con un giallo che non avrà soluzione come ogni giallo italiano che si rispetti. Chiunque abbia visto quel suo ultimo video di 21 catatonici minuti, palesemente manipolato, ha avuto più di un sospetto: quando è morto Silvio Berlusconi? Dopo l’uscita dal San Raffaele sono apparsi comunicati, ma non si è più vista una fotografia… Simbolico contrappasso per un uomo che ha fatto della propria immagine un culto da vendere a un popolo in cerca di un Messia finalmente mondano e vincente sui campi di calcio.
La fine di Berlusconi, che ha portato l’America in televisione e da lì nella testa degli italiani, è degna di una commedia hollywoodiana: Week end con il morto. Dietro le quinte, forse c’erano troppe faccende da sistemare: equilibri familiari e internazionali. E il coro doveva fare le prove per il de profundis al governicchio Meloni: sotto il belletto appaiono già i foruncoli del governo tecnico.
Sicuramente Berlusconi era già morto dal 2011, quando a Dauville si dice che Obama gli avesse sussurrato: «O non cadi, o cadi in piedi». E così ci fu il golpe Monti e la magica interruzione della persecuzione giudiziaria. Probabilmente, Berlusconi pagò una politica estera (Gheddafi e Putin) poco gradita ai padroni atlantici, contraria ai programmi che abbiamo visto svilupparsi fino ai giorni nostri.
Qualcuno avrebbe voluto che riuscisse a resistere, che, insomma, avesse la tempra dell'”eroe”. Ma quanti eroi abbiamo in Italia, oltre a quelli falsi che ci fanno studiare sui libri di storia?
La scomparsa di Berlusconi è tuttavia un evento, perché Berlusconi ha rappresentato un’era, un inganno, un sogno, una proiezione, che hanno inciso in profondità nella cultura italiana. È stato l’italiano più famoso degli ultimi trent’anni, forse insidiato da Francesco Totti e con questo abbiamo detto tutto sul degrado del Paese.
Dall’operazione Tangentopoli in poi – grande messa in scena con la quale si travestì da pulizia morale un colpo di Stato che prevedeva l’eliminazione di un ceto politico legato alla prima repubblica e ostile alla marginalizzazione dell’Italia prevista dal progetto europeo – la politica è cambiata: le parole d’ordine del marketing imperano e sono tutte telegeniche e tutte provenienti dall’America: spettacolarizzazione, personalizzazione, carisma.
Berlusconi e le sue convention le interpretano subito alla perfezione, maldestramente imitate dalle altre forze politiche. Arrivano gli appassionanti e reclamizzati duelli televisivi, rodati già da decenni sugli schermi del nuovo continente: Occhetto contro Berlusconi, come Kennedy contro Nixon.
Berlusconi è il profeta della americanizzazione della tv e della politica: l’uomo che si è fatto da sé, che porta in Italia il sogno a stelle e strisce dell’uomo qualunque che ha costruito una fortuna e, in aggiunta, con sanguigno e indomito spirito latino, organizza, ultrasettantenne, festini orgiastici in grado di rivaleggiare con antichi baccanali o suggestioni da Mille e una notte. L’italiano medio va in visibilio di fronte a questa luccicante proiezione dei propri desideri elevata al cubo: donne, potere, miliardi. E il frustrato Nando Mericoni di Un americano a Roma è finalmente compensato e sublimato dal suo contraltare: l’imprenditore milanese che ha trovato una via italiana all’America e fonda città e imperi televisivi come un novello pioniere della frontiera del benessere.
Oggi la Milano da bere è finita in una flebo, nel triste sorriso chirurgico di un clown morente. L’ultimo rappresentate della Madison Avenue de noantri è stato Salvini, l’ex ragazzo prodigio de Il pranzo è servito; pallido imitatore del carisma cristallino, inimitabile dono di Dio, uomo sandwich che ha sostituito i cartelli pubblicitari con le felpe e del Milan può solo essere tifoso.
Eppure, nonostante il suo impero televisivo sembri l’attuazione del piano della loggia Propaganda Due di costituire un polo televisivo privato, alternativo alla Rai, Berlusconi è stato anche un perseguitato. Considerato un parvenu dalla nobiltà – si fa per dire – economico finanziaria italiana, isolato nei ricevimenti al Quirinale. Bersaglio per decenni della stampa, utilizzato come capro espiatorio, con l’antiberlusconismo unico contenuto e cifra espressiva della pseudo sinistra italiana della seconda repubblica. Attraverso la militanza contro di lui – vera o falsa – si sono costruite le carriere di acclamati registi e giornalistucoli da strapazzo, che si sono arrogati il diritto spocchioso di un giudizio morale.
Berlusconi ha fatto molto comodo: è stato il paravento, la cortina fumogena che ha coperto (oltre alle proprie) le malefatte altrui e la distruzione dell’Italia.
E veniamo al lascito culturale, secondo me l’aspetto più importante e deleterio del passaggio del nostro a queste latitudini. L’americanismo più deteriore (ce n’è forse un altro?), fatto di superficialità, vuotezza, volgarità, ha inondato attraverso i teleschermi le case, trovando facile asilo nei cervelli disabitati degli italiani. La televisione di Stato, che, fino a quel punto, aveva offerto – tra enormi limiti e condizionamenti – alcuni contenuti di indubbia qualità, anche sul piano della confezione e del gusto (pur tra palesi ammiccamenti alla BBC), ha rincorso sullo stesso terreno il nuovo modello.
Oggi l’esito di questa competizione al ribasso è sotto gli occhi di tutti: il deserto culturale, l’annichilimento del pensiero, la trasformazione antropologica dell’Italia in una colonia. Uno svuotamento culturale che ha accompagnato lo svuotamento istituzionale.
Questa transizione ha preparato anche la volgarità e il vuoto pneumatico di internet, che sarebbero altrimenti impossibili.
Consegnandoci un Paese culturalmente invivibile, l’opera e l’eredità di Berlusconi sono indelebili e imperdonabili.
Poi c’è il lato umano. Come quando regalò, durante il loro primo incontro, a Cossutta e Bertinotti una spilletta a forma di falce e martello. Di fronte a questi suoi gesti, si rimaneva sempre nel dubbio di essere di fronte all’ipocrita affabilità del venditore porta a porta, o ad una sincera sensibilità umana.
Ma sull’uomo, sulla sua interiorità, non è lecito alcun giudizio.
Qualcosa di tutti noi – chi lo ha amato e odiato – muore con lui. Muore un po’ il sogno, la falsa speranza cui ognuno di noi dentro di sè si aggrappa; e, dietro le promesse bugiarde, resta solo il tragico presente italiano.
Berlusconi andrà, forse, a fare spettacolo da qualche altra parte. Chissà se lassù dove si odono musiche celestiali, si potrà iniziare di nuovo dal piano bar; intanto, qui, la camera ardente sarà sostituita da una camera al dente, sponsorizzata da qualche nota ditta di pastasciutta.
Accattone il Censore
venerdì 7 aprile 2023
Berlusconi.
giovedì 23 febbraio 2023
LA MELONI SERVA DI ZELENSKY - Viviana Vivarelli.
sabato 5 novembre 2022
Stragi del 1993: spariti gli atti dell’inchiesta su B. e Dell’Utri. - Marco Lillo
LA MANINA - Violato il plico spedito da Firenze a Roma. Scomparse le informative della Dia segrete per gli indagati. I pm : “Violazione di corrispondenza con aggravante di mafia”
Le carte delle indagini sulle stragi di Firenze e Milano del 1993 sono sparite dal fascicolo fiorentino che ora si trova in Cassazione. Una manina ha aperto il plico inviato dal Tribunale di Firenze alla Suprema Corte e le ha estratte. Il fascicolo dal quale provengono le carte è il 4703 del 2020, con indagati Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi, pendente in Procura a Firenze. Mentre il fascicolo dal quale sono state sottratte è quello pendente in Cassazione, sull’annullamento delle perquisizioni a Nunzia e Benedetto Graviano, fratelli non indagati del boss Giuseppe Graviano già condannato per le stragi molti anni fa.
La sparizione è un fatto inquietante, che la Procura di Firenze prende molto sul serio. I pm indagano per articolo 616 c.p con aggravante ex art. 7, cioè violazione e sottrazione di corrispondenza con aggravante di mafia.
La questione è delicata non tanto per le carte (erano copie e il fascicolo è stato già ricostruito) ma per il contenuto delle carte.
Oltre al ricorso dell’avvocato Mario Murano, difensore dei terzi perquisiti, oltre al provvedimento del Tribunale, tra quelle depositate e sparite ci sono le carte dell’indagine su Berlusconi e Dell’Utri. Gli atti dell’indagine per le stragi sono segreti per gli indagati ed erano state inserite nel plico diretto alla Cassazione perché inviate con un altro fascicolo (quello sul sequestro) e perché in precedenza erano state già messe a disposizione del legale di Nunzia e Benedetto Graviano, non indagati.
Una manina è riuscita ad aprire il plico e qualcuno, evidentemente ben informato sul suo contenuto, ha trafugato gli atti.
La necessità di ricreare il fascicolo a causa della sua sottrazione parziale è stata comunicata all’avvocato Mario Murano. Il legale della famiglia Graviano, nel procedimento incidentale nel quale è avvenuta la sottrazione dei documenti, ha ripresentato il ricorso con un po’ di stupore. Non capita spesso che un plico in viaggio tra Tribunale e Cassazione sia aperto da qualcuno che asporta anche i documenti più delicati. A rendere inquietante il tutto è la delicatezza dell’indagine ‘madre’.
Il plico violato conteneva le informative della Direzione investigativa antimafia su Berlusconi e Dell’Utri. In quelle carte si descrivono gli indizi che hanno portato a ritenere possibile un legame tra mondi lontanissimi, come gli autori della stagione stragista del 1993 e i protagonisti di quella stagione politica, tra il boss Graviano e i due fondatori di Forza Italia.
Inoltre nel plico aperto c’era una consulenza recente di due esperti in materia bancaria sui flussi finanziari dell’inizio della storia del gruppo Berlusconi negli anni Settanta.
C’erano poi le informative con le deposizioni su mafia e politica di alcuni collaboratori di giustizia.
Quando si scrive di questa indagine è sempre bene ribadire che Berlusconi e Dell’Utri sono già stati indagati e prosciolti su richiesta della stessa Procura di Firenze altre tre volte negli anni 90, 2000 e 2010. Questa è la quarta volta che vengono iscritti e a breve i pm dovranno decidere se prosciogliere ancora o provare a concretizzare accuse (sempre negate dai protagonisti) tanto enormi e antiche da imporre in questo caso una presunzione di non colpevolezza al cubo. In questo caso poi sono anche le prime vittime della violazione della corrispondenza tra uffici giudiziari.
L’inchiesta punta a capire se ci fossero dei concorrenti esterni dietro ai boss della mafia già condannati per la strage di via dei Georgofili a Firenze del 27 maggio (cinque morti), quella di via Palestro del 28 luglio a Milano (cinque morti), il duplice attentato alle Basiliche di Roma avvenuto la stessa notte e per gli attentati falliti contro Maurizio Costanzo il 14 maggio 1993 e contro i carabinieri e i tifosi allo Stadio Olimpico il 23 gennaio 1994.
L’inchiesta è stata riaperta a metà del 2020 a seguito delle parole di Giuseppe Graviano. Il boss di Brancaccio, 59 anni, recluso al 41-bis dal 1994 per le sue condanne definitive all’ergastolo anche per quelle stragi, durante il processo “’Ndrangheta stragista” ha detto di avere incontrato più volte Berlusconi (non Dell’Utri) persino durante la latitanza. Le sue dichiarazioni, poi ampliate negli interrogatori in carcere davanti ai pm di Firenze, provengono da un mafioso mai pentito, che nega persino la sua responsabilità nelle stragi e comunque non coinvolge né Berlusconi né Dell’Utri in quei fatti. Però la Dia mette insieme le recenti dichiarazioni di Graviano con i video delle conversazioni del boss del 2016-17 in cella con il detenuto Umberto Adinolfi.
Secondo la Dia, quando a bassa voce parlava con l’amico detenuto, Graviano faceva intendere che aveva fatto una cortesia a Berlusconi e che quella cortesia potesse essere un evento esplosivo. Anche quell’informativa della Dia era contenuta nel fascicolo violato da una manina ignota.
Gli atti dell’indagine segreta sono giunti in Cassazione, perdendo il connotato della segretezza per questo particolare procedimento, per una questione incidentale.I fratelli di Giuseppe Graviano, Nunzia e Benedetto, pur non essendo indagati sono stati perquisiti dai pm alla ricerca di riscontri alle dichiarazioni di Graviano su Berlusconi. Il loro avvocato, Mario Murano, ha presentato ricorso al Tribunale del Riesame per chiedere l’annullamento dei sequestri e delle perquisizioni, sostenendo che i suoi assistiti nulla c’entrano con quelle vicende. Contro il diniego del Riesame, Murano ha fatto ricorso in Cassazione ottenendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza del Tribunale. A giugno, però, il Tribunale del Riesame ha insistito sulla sua posizione ribadendo con un nuovo provvedimento che il sequestro dei pm va confermato.L’avvocato Murano ha presentato un nuovo ricorso e stavolta i pm, per convincere la Corte che il sequestro va confermato e che l’inchiesta è basata su elementi importanti, hanno depositato in Tribunale le carte poi inviate in Cassazione, come dichiarazioni di collaboratori, consulenze contabili, informative eccetera.Quando l’ufficio apposito della Cassazione stava procedendo all’iscrizione del ricorso per la trattazione, i funzionari di cancelleria si sono accorti che il plico era stato aperto e mancavano molte carte. Di qui l’invito all’avvocato Murano di ri-depositare il ricorso in Tribunale. Anche la Procura di Firenze ha dovuto rifornire al Tribunale le carte sparite. A questo punto i magistrati, sia a Firenze sia a Roma, vogliono capire cosa sia successo. La violazione del plico può essere accaduta a Firenze, a Roma o durante il trasferimento. Il fascicolo è stato ricostruito con le copie. Il procedimento sul ricorso contro il sequestro ai danni dei familiari non indagati di Graviano è ripartito con ritardo. Il ricorso dell’avvocato Murano risale a luglio ma è stato iscritto a ruolo solo il 29 ottobre.
martedì 29 marzo 2022
Per sdrammatizzare. - Marco Travaglio
Dovevamo vedere anche questa. Il portavoce di Erdogan, l’autocrate turco che perseguita oppositori e bombarda curdi, che insegna diplomazia e buonsenso a Biden, dopo le ultime flatulenze contro Putin (“macellaio che non può restare al potere”): “Se tutti bruciano i ponti con la Russia, chi parlerà con Mosca a fine giornata?”. Senza contare che l’annuncio di un golpe Mosca senza invadere e bombardare il Cremlino per destituire Putin (dopo Saddam e Gheddafi) ha un solo effetto: rafforzarlo col suo establishment e col suo popolo, aggiungere altri alibi alla sua propaganda sulle mire imperialiste della Nato a Est e gelare i dissensi interni, visto che nemmeno il più antiputiniano dei russi accetterebbe mai di farsi scegliere il presidente da Washington. Non a caso, a capotavola dei negoziati russo-ucraini, non siedono gli Usa, guidati da un nonnetto rinco che dichiara guerra alla Russia senza neanche accorgersene, smentito da tutti gli alleati dignitosi (quindi non Draghi) e persino dal suo portavoce e dal suo segretario di Stato; né l’Europa, cobelligerante con Kiev; ma la Turchia. Di questo passo pure Kim Jong-un diventerà un po’ meno imbarazzante di un Biden che riesce a non far danni solo quando tace, o scoreggia, o entrambe le cose. E, mentre tutti strologano su chi e quando rovescerà Putin, Biden rischia di essere il primo presidente americano destituito per inability in base al XXV Emendamento, sia perché non collega la bocca all’eventuale cervello, sia perché il figlio è nei guai per i finanziamenti ai laboratori di armi biologiche (in Ucraina: toh). O meglio, lo rischierebbe se poi non dovesse subentrarli la sua degna vice Kamala Harris, che è peggio di lui: l’altro giorno è esplosa in una grassa e beota risata a una domanda sui profughi ucraini e il Washington Post ha scritto: ”L’America è in mano a un’imbecille”. Anzi due. Ma è il mondo che è in buone mani: l’invaso Zelensky, l’invasore Putin, l’invasato Biden.
Nel 2001, quando Bush jr. attaccò l’Afghanistan coi suoi servi sciocchi, fece di tutto per chiarire che non ce l’aveva con l’Islam, ma solo con al Qaeda: visitava una moschea e abbracciava tre imam al giorno. Poi, per fare cosa gradita, B. se ne uscì con “la superiorità della nostra civiltà su quella islamica, che è rimasta ferma ad almeno 1400 anni fa e siamo destinati a conquistare”. Nel giro di tre minuti insorsero tutti i Paesi occidentali e islamici dell’orbe terracqueo, più la Lega Araba. E Stefano Disegni svignettò il Day After: una landa di rovine fumanti abitata da due mostriciattoli verdi con una tromba al posto del naso. “Papà, ma come finì il pianeta Terra?”. “Niente, Bin Laden stava trattando, poi Berlusconi per sdrammatizzare raccontò quella dell’araba pompinara…”.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/29/per-sdrammatizzare/6540550/
mercoledì 9 febbraio 2022
L’eterno conflitto di interessi di Berlusconi che epura Meloni. - Peter Gomez
In un Paese come il nostro, in cui quasi tutti fanno i liberali con il fondoschiena degli altri, accade che per giorni una forza politica venga esclusa dalle reti Mediaset senza che nessuno proferisca parola. Davanti ai giornali che raccontano come l’ex Cavaliere si sia adombrato per una frase di Giorgia Meloni (“Non gli devo niente”), e come per questo siano stati annullati molti inviti di esponenti della destra nelle trasmissioni di Rete 4, la politica reagisce con il silenzio.
Stanno zitti quelli che un tempo salivano sulle barricate per condannare il conflitto d’interessi e tacciono ovviamente anche quelli secondo cui il conflitto d’interessi non è mai esistito. L’assordante silenzio dei nostri sedicenti difensori della democrazia ha una spiegazione precisa. E ha poco a che fare con l’egoismo dei vari leader che, sotto sotto, gioiscono per la punizione inflitta a un avversario. Il vero motivo per cui nessuno proferisce verbo è la paura. Il timore, fondato, di subire ritorsioni catodiche se ci si espone troppo.
Per capire cosa rischia chi alza la voce basta sfogliare la collezione dei giornali. Era il 2004 quando, stando alle cronache, il vicepremier del governo Berlusconi, Marco Follini, allora segretario dell’Udc, si mette a battibeccare con il leader di Forza Italia che, dopo l’ennesimo scontro, gli dice “ti faccio sparire e sparare dalle mie tv”. Risultato: Follini scompare e lascia la politica. E gli altri incassano l’avvertimento. La scena si replica, con le opportune correzioni, nel 2018, quando i parlamentari forzisti vanno in delegazione ad Arcore per accusare i conduttori Mario Giordano, Paolo Del Debbio e Maurizio Belpietro di aver dato troppo spazio al populismo finendo così per far vincere Matteo Salvini, che ha sopravanzato Forza Italia nelle urne. Le trasmissioni vengono cancellate. Nessuno però protesta. Non lo fanno i politici, neppure quelli della Lega, e nemmeno i giornalisti che, dal canto loro, sperano di tornare in video forti dei loro buoni ascolti e del mutato quadro politico. Sì, il quadro politico. Perché è proprio Berlusconi a dare l’assenso all’ingresso del Carroccio nel primo governo Conte. Il leader azzurro spera (a ragione) che in questo modo Salvini faccia da tappo alle norme sul conflitto d’interessi promesse dai pentastellati durante la campagna elettorale. Così le trasmissioni riprendono e tutti possono far finta di essere liberi.
Intendiamoci, un editore ha tutto il diritto di stabilire cosa mandare o non mandare in onda. E allo stesso modo, visto che ci mette i soldi, ha pure il diritto di stabilire assieme ai suoi direttori la linea politica delle sue testate. Ma il gioco è pulito e alla luce del sole se l’editore fa solo l’editore. Se invece è pure un politico, l’informazione si trasforma, quando serve, in propaganda. Cioè non sempre, ma solo al momento opportuno.
Visto che le cose stanno in questo modo, non ci si deve stupire se pure Giorgia Meloni, dopo essere stata bandita, ha subito cambiato registro. Non ha alzato la voce, ma ha parlato di “incomprensioni”. Poi si è messa a elogiare Berlusconi, che “è stato un gradissimo presidente del Consiglio” capace di “assicurare all’Italia l’autonomia energetica grazie ai suoi rapporti con Russia e Libia”. Così il sovrano, pardon il presidente, ha dimenticato e perdonato. E lei è stata riammessa in tv (a corte si vedrà).
Non so a voi, ma a me viene in mente Charles Baudelaire quando diceva che “il più grande trucco del diavolo è far credere che non esiste”. Come il conflitto d’interessi.
martedì 8 febbraio 2022
Strano...
domenica 23 gennaio 2022
Quirinale, Berlusconi si arrende. Ma non rinuncia all’ultima balla: “Ho i numeri per essere eletto, passo indietro per responsabilità nazionale”.
Il leader di Forza Italia non va a Roma e resta a Milano, vede i suoi ministri, poi diserta il vertice del centrodestra e invia una nota per spiegare il passo indietro nella corsa al Colle, nonostante - giura - avesse "verificato l’esistenza di numeri sufficienti per l’elezione". Quindi, consapevole di aver probabilmente sbloccato l'impasse, avanza i suoi veti. Il primo: Draghi deve rimanere a Palazzo Chigi.
Aveva i voti ma ha preferito farsi da parte. Silvio Berlusconi dice di essersi ritirato dalla corsa alla presidenza della Repubblica, nonostante avesse “verificato l’esistenza di numeri sufficienti per l’elezione”. Non è una battuta ma è quello che sostiene il leader di Forza Italia nella nota inviata al vertice del centrodestra. Ovviamente non potrà mai esserci la controprova, visto che l’uomo di Arcore ha deciso di arrendersi. Ma è abbastanza improbabile che, dopo mesi di trattative, Berlusconi abbia rinunciato al sogno del Colle pur avendo i voti. E invece alla fine ha dovuto gettare la spugna. Lo fa nel tardo pomeriggio di una giornata segnata dalla decisione di non recarsi a Roma, proprio per il vertice del centrodestra. Una riunione, quella con Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che è stata rinviata di tre ore, visto che nel frattempo Berlusconi ha visto i ministri di Forza Italia. Nessuno, dicono i berlusconiani, gli ha chiesto di ritirarsi. Ma qualcuno ha fatto notare che i numeri per l’elezione al Colle non c’erano. Ecco perché Berlusconi si è arreso: al vertice del centrodestra – pure quello via Zoom – non si è fatto vedere. Ha inviato la fida Licia Ronzulli, con una nota in cui esplicita il passo indietro: si ritira anche se – giura – aveva i voti.
Un documento, quello del leader di Forza Italia, in cui Berlusconi torna a vestire i panni del padre della patria. “Dopo innumerevoli incontri con parlamentari e delegati regionali, anche e soprattutto appartenenti a schieramenti diversi della coalizione di centro-destra, ho verificato l’esistenza di numeri sufficienti per l’elezione“, sostiene l’ex premier che si dice “onorato e commosso: la Presidenza della Repubblica è la più Alta carica delle nostre istituzioni, rappresenta l’Unità della Nazione, del Paese che amo e al servizio del quale mi sono posto da trent’anni, con tutte le mie energie, le mie capacità, le mie competenze”. Tuttavia, sostiene di essersi tirato indietro a seguito di una riflessione compiuta “ponendo sempre l’interesse collettivo al di sopra di qualsiasi considerazione personale” e compiendo “un altro passo sulla strada della responsabilità nazionale, chiedendo a quanti lo hanno proposto di rinunciare ad indicare il mio nome per la Presidenza della Repubblica”. Un’affermazione che pronunciata dal padre di tante leggi ad personam e ad aziendam rischia di provocare qualche sorriso.
Perché dunque Berlusconi si tira indietro? Per evitare, sostiene lui, che sul suo nome “si consumino polemiche o lacerazioni che non trovano giustificazioni che oggi la Nazione non può permettersi”. Insomma: che la sua candidatura fosse altamente divisiva lo sapeva anche lui. Col suo passo indietro Berlusconi fa un piacere a Matteo Salvini, che ora può provare a vestirsi da kingmaker. E infatti, subito dopo il vertice, il capo della Lega comincia a telefonare agli altri leader e fa sapere – ancora una volta – di essere a lavoro per una “rosa di nomi”. Poi parlano pure Giuseppe Conte ed Enrico Letta: adesso, è il senso degli interventi di entrambi, si può cominciare il confronto per un candidato condiviso. Insomma: il passo indietro di Berlusconi sembra aver sbloccato l’impasse. Il diretto interessato ne è consapevole e infatti avanza subito i suoi veti. Il primo: Mario Draghi non deve andare al Colle ma deve restare a Palazzo Chigi per evitare di tornare alle urne. “Considero necessario che il governo Draghi completi la sua opera fino alla fine della legislatura per dare attuazione al Pnrr, proseguendo il processo riformatore indispensabile che riguarda il fisco, la giustizia, la burocrazia”, scrive nella sua nota Berlusconi, facendo infuriare Fratelli d’Italia. Anche il partito di Giorgia Meloni è contrario a Draghi al Colle, ma – come è noto – non lo vuole neanche a Palazzo Chigi.
sabato 22 gennaio 2022
L’Uomo Poltrona. - Marco Travaglio
Il 23 aprile 1993, dopo la bocciatura del suo decreto Salvaladri che ha scatenato il putiferio alla Camera, fra leghisti che sventolano cappi e missini che mostrano guanti bianchi, spugne e manette, Giuliano Amato si dimette da presidente del Consiglio (sostituito da Ciampi) e abbandona la politica: “Per cambiare, dobbiamo trovare nuovi politici. Per questo confermo che ho deciso di lasciare la politica, dopo questa esperienza da primo ministro. Solo i mandarini vogliono restare sempre e io sono in Parlamento ormai da dieci anni”. Sarà il ritiro più breve della storia.
Tiritiritu? Nel 1994 Berlusconi va al governo e, grato per i decreti pro Fininvest, il 9 novembre nomina Amato presidente dell’Antitrust: chi meglio del santificatore del suo trust? Infatti in tre anni il Dottor Sottile non si accorge della più spaventosa posizione dominante mai vista sui mercati televisivo, editoriale e pubblicitario. In compenso spezza le reni a un trust ben più grave per il libero mercato: le scatole di fiammiferi che, a differenza degli accendini, possono ospitare pubblicità. Uno scandalo: fremente di sdegno, Amato scrive una letteraccia ai presidenti delle Camere, al premier Prodi e al ministro Bersani perché provvedano immantinente: “Fiammiferi e accendini sono prodotti che assolvono alla stessa funzione d’uso e l’esistenza di due distinte discipline normative determina una disparità ingiustificata di trattamento a favore delle imprese attive nella produzione e commercializzazione di fiammiferi”. Ecco perché non vede la trave Fininvest: ha sempre una pagliuzza, anzi un fiammifero nell’occhio.
L’amico Squillante. Nel 1996 Berlusconi gli offre un collegio sicuro in FI e lui, prima di declinare, ne discute con l’amico giudice Renato Squillante, capo dei Gip romani di stretta osservanza socialista e poi berlusconiana, senza sapere che sta per essere arrestato per corruzione. Così il suo nome salta fuori dalle intercettazioni e tabulati dell’inchiesta “toghe sporche”. Nel 1997, in piena Bicamerale, D’Alema lo vuole con sé nel progetto “Cosa 2” per seppellire l’Ulivo prodiano. Ma basta un fax da Hammamet per fermarlo sull’uscio. “Amato – scrive Craxi il 7 febbraio – tutto può fare salvo che ergersi a giudice delle presunte malefatte del Psi, di cui egli, al pari degli altri dirigenti, porta per intero la sua parte di responsabilità… Ma guardacaso, forte delle sue amicizie e altolocate protezioni, a lui non è toccato nulla di nulla. Buon per lui…”. Lo definisce “becchino del Psi”, “voltagabbana”, “una cosa vomitevole come tutti i craxiani diventati anticraxiani”, “un opportunista che strisciava ai miei piedi e ora striscia a quelli degli altri per salvarsi la pelle”.
Erano pronti perfino ad andare ad Arcore pur di fare quel tanto agognato vertice che lui, il candidato in pectore, voleva rimandare per prendere ancora tempo. Così alla fine Silvio Berlusconi si è dovuto arrendere alla pressione di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Lo hanno chiamato e lui non ha potuto tirarsi indietro. Dunque il vertice del centrodestra si farà oggi pomeriggio a Roma e sarà decisivo: Berlusconi, anche se in collegamento da villa San Martino, scioglierà la riserva. In un senso o nell’altro. E a quel punto si sbloccherà lo stallo. Sarà lui a prendere per primo la parola e a decidere il da farsi: se da Arcore si racconta che Berlusconi è ancora “determinato” e potrebbe convincere gli alleati che ce la può fare, alla fine il leader azzurro sarebbe pronto al ritiro.
Tant’è che per la prima volta Berlusconi aprirà a una rosa di nomi alternativi. Tutti “piani b” ma su cui discutere con Meloni e Salvini. D’altronde il leader della Lega, smanioso di fare il kingmaker, come gli ha consigliato il suocero Denis Verdini, ieri pomeriggio ha incontrato Umberto Bossi a Gemonio e ha sentito tutti i leader della coalizione di governo via sms con un messaggio preciso: “Lavori in corso”. Come dire: le carte le do io e solo io posso sbloccare la partita del Colle. Che sia vero o meno, lo si vedrà oggi. Anche perché ieri sera dalla Lega facevano sapere che Salvini è pronto a tirare fuori un nome coperto, non ancora uscito negli ultimi giorni. Uno di questi potrebbe essere Paola Severino, di cui il leghista ha parlato giovedì con Conte. Ma la certezza, ieri sera, era un’altra: un accordo sul nome, nel centrodestra, non c’è.
Oggi però la prima mossa dovrà farla Berlusconi. Se tutto fa pensare al suo ritiro, al momento la sua posizione è quella di dire “no” a Mario Draghi. Una strategia emersa ieri nel pranzo ad Arcore con Licia Ronzulli e Antonio Tajani, i capigruppo Paolo Barelli e Anna Maria Bernini e il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri. La prima scelta di Berlusconi sarebbe quella del Mattarella bis ma Lega e Fratelli d’Italia sono apertamente contrari a questa ipotesi.
L’altro nome in testa di Berlusconi è quello di Giuliano Amato, anche questo bocciato da Salvini e Meloni. A quel punto si ragionerà su altri nomi “di alto profilo di centrodestra”, come ha spiegato ieri il segretario del Carroccio. E sarà Salvini a dover fare la prima mossa. Nella rosa del leghista, in pole ci sono Marcello Pera (sponsorizzato da Verdini) e Maria Elisabetta Alberti Casellati. Più indietro, Letizia Moratti e Franco Frattini ma anche Pier Ferdinando Casini, che ha preso sempre più quota nelle ultime ore. Meloni invece condivide con il leghista il sostegno a Pera e non le dispiacerebbe Giulio Tremonti. Su tutti questi nomi però Berlusconi resta freddo (“sono tutti miei sottoposti” usa dire) a partire da Casini: in Forza Italia non prendono in considerazione l’ipotesi del senatore centrista. E anche dalla Lega c’è scetticismo: “È stato eletto con il Pd” dicono i salviniani più stretti. Anche se alla fine potrebbe essere lui l’anti-Draghi, il candidato che mette d’accordo tutti e non fa vincere nessuno. Veti e controveti che rendono complicata una convergenza su un candidato di centrodestra a partire dalla prima votazione.
Così, anche se Salvini e Berlusconi dicono “no” in partenza, si arriva a Draghi. Quella di Berlusconi è una posizione tattica: sbarrare la strada al premier per trattare un possibile appoggio a partire dal rimpasto di governo (in cui entrerebbe Antonio Tajani) e magari, è il sogno dell’ex Cavaliere, la nomina di Gianni Letta come segretario generale del Quirinale. Anche Meloni vedrebbe bene l’elezione del premier al Colle: è stata lei la prima a fare il suo nome e con lui ha un ottimo rapporto. Ma soprattutto, è la tesi di un esponente di peso di Fratelli d’Italia, Draghi potrebbe essere quell’ombrello con le cancellerie internazionali pronto a garantirgli l’incarico a Palazzo Chigi. L’unico dei tre che, per il momento, resta sul “no” secco al premier è Salvini. Che potrebbe sparigliare e mettere sul piatto proprio quel Casini che terrorizza il Pd.
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