A questo personaggio sono stati attribuiti i "Funerali di Stato", quindi, a spese mie e di noi tutti.
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
venerdì 16 giugno 2023
domenica 7 agosto 2022
In che Stato. - Marco Travaglio
Leggendo le motivazioni della sentenza d’appello sulla trattativa Stato-mafia, si capisce bene perché ci sia voluto quasi un anno: non potendo negare i fatti documentati, bisognava frammentarli, isolarli, selezionare quelli funzionali ad assolvere gli uomini dello Stato (per i boss pluriergastolani qualche anno non cambia nulla) e scartare i più imbarazzanti. Tipo il furto istituzionale dell’agenda rossa di Borsellino e il depistaggio istituzionale del falso pentito Scarantino: mai citati in 3mila pagine, come se il movente e la tempistica di via d’Amelio potessero prescindere da elementi così cruciali. Il livello politico-istituzionale della strategia stragista 1992-’94 scompare con i fatti che lo provano: resta il super-ego di Riina, che fa tutto da solo per mania di grandezza. E la trattativa del Ros di Mori e De Donno con Riina? Un’iniziativa privata, “improvvida”, ma a fin di bene: l’“interesse dello Stato” di “cessare le stragi”. Quale Stato l’avesse ordinata, con quali norme o direttive, non si sa. Non certo lo Stato che servivano Falcone, Borsellino e le loro scorte, uccisi perché con Cosa Nostra non trattavano, ma combattevano, purtroppo ignari dell’“interesse” di calare le brache a Riina dopo Capaci e financo “allearsi” con Provenzano dopo le stragi di Firenze, Roma e Milano. Lo Stato parallelo e fellone che tradisce i suoi servitori e cittadini, perché – disse Lunardi, ministro di B. – “con la mafia si deve convivere”.
Pazienza se già allora tutti sapevano (report Criminalpol e Dia) che le stragi miravano a piegare lo Stato a trattare, dunque cedere non le avrebbe fermate, ma incoraggiate e moltiplicate. Pazienza se gli artefici dell’“improvvida iniziativa” e di quelle conseguenti (mancata perquisizione del covo di Riina, mancate catture di Provenzano e Santapaola) non furono cacciati con disonore, ma promossi ai vertici dei Servizi, coperti con depistaggi e menzogne di Stato, difesi come eroi da governi e stampa di regime. Senza che nessuno, nemmeno gli ingenuissimi giudici della sentenza “spezzatino” che rinnega il metodo Falcone (un solo maxiprocesso per centinaia di delitti, per non frammentare le prove e perdere il quadro d’insieme), si domandi perché. Noi continueremo a domandarlo e a pretendere risposte dai magistrati. Per ora sappiamo che la trattativa ci fu: fra il Ros e Riina, fra Brusca, Bagarella, Mangano e Dell’Utri. La sentenza, pur minimalista, conferma quei fatti ripugnanti e non cancella una sola parola che abbiamo speso in questi anni per raccontarli. Chi parlava di trattativa “presunta” o “inesistente”, calunniando i pochi pm e giornalisti che ne parlavano, dovrebbe vergognarsi e scusarsi, come quei carabinieri e politici. Che non sono “improvvidi”, ma traditori.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/08/07/in-che-stato/6755189/
martedì 8 febbraio 2022
M5s, Grillo: 'La situazione è complicata, ma le sentenze si rispettano'.
Dopo la decisione del Tribunale di Napoli.
"A seguito dell'Ordinanza del Tribunale di Napoli", "ha acquisito reviviscenza lo Statuto approvato il 10 febbraio 2021.
Le sentenze si rispettano.
La situazione, non possiamo negarlo, è molto complicata". Lo scrive sui social Beppe Grillo in riferimento alla situazione del Movimento 5 Stelle.
"In questo momento non si possono prendere decisioni avventate. Promuoverò un momento di confronto anche con Giuseppe Conte. Nel frattempo, invito tutti a rimanere in silenzio e a non assumere iniziative azzardate prima che ci sia condivisione sulla strada da seguire", ha scritto Grillo sui suoi canali social facendo riferimento alla situazione dei 5 Stelle.
Un partito a guida congelata. Tecnicamente esce così il M5s dalla decisione del Tribunale di Napoli che ha disposto la sospensione dello statuto ratificato il 3 agosto e la nomina di Giuseppe Conte come presidente, arrivata due giorni dopo. Una novità che accelera le spinte caotiche interne al Movimento (e aumenta le preoccupazioni degli alleati dem), dove da settimane si assiste a uno scontro totale fra Luigi Di Maio e lo stesso Conte che, però, ovviamente continua a tenere il volante stretto fra le mani: "La mia leadership non dipende dalle carte bollate". E annuncia a stretto giro una nuova votazione sulle modifiche allo statuto, già necessarie dopo la bocciatura di dicembre della Commissione di garanzia per gli statuti e la trasparenza dei partiti politici, aprendo la consultazione anche agli iscritti con meno di sei mesi di anzianità, ossia il vulnus su cui si basava il ricorso vinto a Napoli da tre attivisti.
sabato 18 dicembre 2021
La sentenza e i tifosi. - Marco Travaglio
Accusati di essere troppo cattivi con Mimmo Lucano, dalle motivazioni della sua condanna a 13 anni e 2 mesi scopriamo di essere stati troppo buoni. Avevamo definito l’ex sindaco di Riace un gran pasticcione. Invece i giudici del Tribunale di Locri lo considerano un gran furbacchione, dotato di “furbizia travestita da falsa innocenza”. La sentenza ne ha per tutti: per chi, a destra, aveva scambiato la condanna di Lucano per quella del suo sistema di integrazione, che invece i giudici elogiano (“encomiabile progetto inclusivo dei migranti… invidiato e preso a esempio da tutto il mondo”); e per chi, a sinistra, non si limitava a criticare la pena eccessiva senza attenuanti, ma sproloquiava di complotti politici e persecuzioni giudiziarie senza aver letto una riga delle carte. Che invece ai giudici che le han lette e valutate fanno dire tutt’altro: il sindaco, “resosi conto che gli importi elargiti dallo Stato erano più che sufficienti” per i progetti di accoglienza dei migranti, “piuttosto che restituire ciò che veniva versato” in sovrappiù, “aveva pensato di reinvestire in forma privata gran parte di quelle risorse, con progetti di rivalutazione del territorio, che, oltre a costituire un trampolino di lancio per la sua visibilità politica, si sono tradotti nella realizzazione di plurimi investimenti”. Sono, appunto, i reati per cui è stato processato e condannato in primo grado: peculato, truffa, falso, fatture fittizie, abuso e associazione a delinquere.
I fondi pubblici eccedenti (dello Stato e dell’Ue), dietro lo schermo di fatture fasulle e falsi giustificativi, venivano trasformati in “illeciti profitti” e investiti per finalità “private”: un viaggio in Argentina con la compagna e soprattutto “l’acquisto di un frantoio e di numerosi beni immobili da destinare ad alberghi per turisti”. Con due obiettivi: “Strumentalizzare il sistema dell’accoglienza a beneficio della sua immagine politica” e del “sostegno elettorale” e assicurarsi “una forma sicura di suo arricchimento personale, su cui egli sapeva di poter contare a fine carriera, per garantirsi una tranquillità economica che riteneva gli spettasse, sentendosi ormai stanco per quanto già realizzato… come dallo stesso rivelato nelle (intercettazioni) ambientali esaminate”. Segue la lista degli infiniti magheggi per camuffare le spese con fondi pubblici: un quadro desolante di mala amministrazione che nulla ha a che fare con l’accoglienza, anzi la sfrutta e la infanga. Ora le opposte tifoserie resteranno coi loro pregiudizi. Speriamo almeno di non sentir più ripetere che è tutto un complotto, che stata punita la solidarietà, che è giusto truccare appalti e agguantare milioni pubblici con false fatture “a fin di bene”. Altrimenti tagliamo la testa al toro e mandiamo B. al Quirinale.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/12/18/la-sentenza-e-i-tifosi/6430368/
domenica 26 settembre 2021
Processi somari. - Marco Travaglio
Credevo di aver visto tutto, l’altra sera a Otto e mezzo, quando Sallusti è riuscito a dire nel giro di mezz’ora che: la trattativa Stato-mafia non c’è stata; non è reato quindi chissenefrega se c’è stata o non c’è stata; c’è stata e i carabinieri han fatto benissimo a trattare. Avevo anche apprezzato il paragone fra i Ros che trattano con Riina e Provenzano tramite Ciancimino e Cinà, e i poliziotti che trattano coi rapinatori di una banca per liberare gli ostaggi: purtroppo non si sono mai visti dei poliziotti trattare coi rapinatori di una banca, lasciarli scappare, avvertire la Questura che bisogna dargli qualcosa in cambio sennò rapinano altre banche e infine nominarli direttori della banca per evitare che la svaligino di nuovo. Ecco, dopo quell’esperienza psichedelica, pensavo di non divertirmi mai più così. Poi ho letto su La Stampa la sapiente analisi di Mattia Feltri: l’inchiesta sulla trattativa dipende dal fatto che “il grillismo arrivò molto prima di Grillo”, infatti “per 30 anni abbiamo raccontato la storia del nostro Paese come una storia criminale e le nostre istituzioni come istituzioni criminali”. Invece profumavano di verbena. Sì, è vero, siamo l’unico Paese occidentale che, da Portella della Ginestra a oggi, ha avuto decine di stragi politiche – nere, rosse, mafiose, multicolori – e non è riuscito quasi mai a scoprirne e/o a condannarne i colpevoli grazie ai sistematici depistaggi di politici, servizi segreti (tutt’altro che deviati: deviato in Italia è chi cerca la verità), forze dell’ordine, magistrati; un ex premier (Andreotti) colpevole di associazione mafiosa fino al 1980 e altri tre (Craxi, Forlani e B., più uno stuolo di ministri e parlamentari) condannati per gravissimi reati. Però sospettare una storia criminale è “terrapiattismo politico” di “populisti, demagoghi e arlecchini”.
Pensavo a quel punto che nessun comico avrebbe potuto fare meglio, quando sono incappato, sul Domani, nel commento dell’ex lottatore continuo Enrico Deaglio: viva il presidente della Corte d’appello che “ha assolto i rimanenti imputati di una messa in scena durata 12 anni, o meglio quasi 30” (massì, abbondiamo) e “messo uno stop a tutta questa schifezza”, “oscura nebulosa”, “mattana” (l’indagine, non la trattativa). E lo sapete perché la Procura di Palermo e poi la Corte d’Assise hanno imbastito quella “messa in scena” con la loro “insipienza investigativa rara”? Ce lo rivela, posato il fiasco, lo stesso Deaglio: per garantire “il successo del partito di Grillo e del giornalista Travaglio” e “la candidatura di Ingroia”, ma anche per trasformare “il giudice Di Matteo (che è un pm, ma fa niente, ndr) in un eroe nazionale, protetto con il bomb jammer”.
Il tutto, con la scusa che “era stato condannato a morte dal vecchio Riina in carcere, minacce addirittura trasmesse in tv” (quindi se l’era fatte da solo). Così si è “costruito il famoso ‘pensiero unico’ fatto di niente”: tutti i giornali e le tv, com’è noto, non fanno che parlare di trattativa da 12 anni, o meglio quasi 30. E il povero Deaglio, vox clamantis in deserto, a gridare la verità. Infatti è costretto alla clandestinità sul Domani, perché nessun altro quotidiano osa contraddire il “famoso pensiero unico” sulla trattativa. Eppure lui l’aveva sempre detto ciò che quei dementi di Ingroia, Di Matteo, Scarpinato e giudici d’Assise “ci hanno messo 30 anni a capire: le bombe le avevano messe i fratelli Graviano”. Ma va? Il fatto che questo processo non dovesse decidere chi mise le bombe (l’han deciso da mo’ le Corti di Caltanissetta e Firenze), ma chi trattò con la mafia e se fu reato, non importa: sottigliezze. Lui va a braccio, a spanne, anzi alla cieca, tant’è che ricorda “le intercettazioni tra Napolitano e Mancino che si scambiavano gli auguri di Capodanno” (così, a capocchia: una è del 31 dicembre 2011, ma le altre tre sono del 24 dicembre 2011, del 13 gennaio e del 6 febbraio 2012, quindi i due si scordavano di essersi già fatti gli auguri e se li rifacevano ogni due settimane). E “le accuse a Dell’Utri”, ovviamente “risibili”: in effetti, tirare in ballo per i suoi incontri con Mangano il creatore di FI pregiudicato per mafia che nel novembre ’93 aveva nell’agenda due incontri con Mangano, è pura follia.
Nella fretta, il nostro Sherlock Holmes si scorda di spiegare come mai il suo amato giudice, “persona seria, schietta, riservata” ha condannato Cinà e Bagarella e dichiarato colpevole ma prescritto Brusca: il primo per aver trattato con Ciancimino e col Ros e minacciato con loro lo Stato; gli altri due per averci riprovato con Dell’Utri. Anzi, non se n’è proprio accorto, sennò non scriverebbe che l’amata Corte “ha assolto i rimanenti imputati”: perché, fra i rimanenti imputati, tre sono risultati colpevoli. Se mai dovesse scoprirlo, gli verrebbe un’ernia al cervello. Poi però ci spiegherebbe che, nella trattativa Stato-mafia, c’era solo la mafia. Perché lui i gialli li risolve sempre 12, o meglio quasi 30 anni prima, o almeno così crede. Nel 2006 scrisse un libro (Il broglio) e un film (Uccidete la democrazia!) sui brogli elettorali anti-Prodi, purtroppo rivelatisi una bufala: la democrazia sopravvisse. Gli andò meglio nel 1989 quando la moglie di Sofri lo avvisò in America che avevano appena arrestato il marito per il delitto Calabresi e lui, senza sapere nulla, rispose a botta sicura: “È Marino quello che ha parlato?”. E, almeno quella volta, ci azzeccò. Non che sapesse qualcosa, questo mai: semplici intuizioni.
ILFQ
sabato 25 settembre 2021
“Trattativa Stato-mafia, ma senza un reato”. Inchiesta “boiata”? Ecco quello che non torna. E cosa fecero governi di destra e di sinistra. - Giuseppe Pipitone
Per i quotidiani l’inchiesta di Palermo è stata una “boiata”. Ma la sentenza di ieri ha confermato quei rapporti tra ex Ros e boss. Nel caso degli agenti però non è un delitto, lo è solo per i mafiosi. Tutti i dubbi.
Una farsa. Anzi: una bufala. Di più: un teorema. Nel day after della sentenza di secondo grado sulla cosiddetta Trattativa Stato-mafia i titoli di quasi tutti i giornali del Paese tradiscono una venatura di soddisfazione. Un sentimento che diventa palese nei commenti entusiasti di alcuni politici del centrodestra. In un dibattito mediatico estremizzato da vent’anni di veleni, spesso alimentati in palese malafede, le decisioni della corte d’Assise d’Appello sono diventate un assist perfetto per provare a radere al suolo qualsiasi pezzetto di verità giudiziaria precedentemente accertata. E che la stessa corte presieduta da Angelo Pellino, nonostante le assoluzioni, sembra confermare. Ma andiamo con ordine.
Per alcuni quotidiani, tipo La Verità, la sentenza di Palermo vuol che la Trattativa non esiste. E invece la decisione della corte d’Assise d’Appello di assolvere Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno perché il fatto non costituisce reato, vuol dire esattamente l’opposto: il fatto è stato commesso e il fatto è appunto aver interloquito con i mafiosi.
Bisognerà aspettare le motivazioni per capire se i carabinieri siano stati assolti perché nelle loro azioni non c’era dolo, e quindi non c’era la consapevolezza di trasmettere la minaccia di Cosa nostra allo Stato, innescando in Totò Riina la convinzione che le stragi fossero una strategia che pagava.
L’unico imputato che si è visto confermare integralmente la condanna di primo grado è Antonino Cinà, il mafioso accusato di aver fatto da “postino” del papello con le richieste di Totò Riina per far cessare le stragi. Secondo la maggior parte dei quotidiani la condanna di Cinà sommata alle assoluzione di Mori, De Donno e Subranni vuol dire semplicemente che trattare con la mafia non solo era una decisione lecita e legittima, ma addirittura auspicabile. Su questo punto sarà particolarmente interessante leggere le motivazioni, visto che i giudici del processo di primo grado avevano chiaramente scritto nero su bianco come non potesse “ritenersi lecita, in via generale, una trattativa da parte di rappresentanti delle Istituzioni con soggetti che si pongano in rappresentanza dell’intera associazione mafiosa”.
Intanto, dopo mesi di religioso silenzio, ieri è tornato a parlare Marcello Dell’Utri, che a Repubblica è arrivato a dichiarare: “Nel governo di Berlusconi ci sono state solo leggi contro i mafiosi”. Ora: dall’assoluzione di giovedì s’intuisce che per la corte d’Assise d’Appello non c’è alcuna prova che l’ex senatore abbia trasmesso la minaccia mafiosa – stop alle stragi in cambio di leggi favorevoli a Cosa nostra – al governo del suo amico Silvio. In più a Leoluca Bagarella (condannato ieri a 27 anni), mandante di quella richiesta estorsiva tramite Vittorio Mangano, è stato derubricato il reato: da minaccia al governo Berlusconi a tentata minaccia.
Quindi per i giudici la richiesta estorsiva della mafia al primo esecutivo di Forza Italia non si è concretizzata. Resta da capire, dunque, per quale motivo il 13 luglio del 1994 il governo Berlusconi decise di varare il decreto Biondi, noto anche come “Salvaladri”: fece molto scalpore soprattutto perché venne considerato un provvedimento per salvare gli inquisiti di Tangentopoli e tra le polemiche decadde. Al suo interno, però, c’era pure una norma di cui non si accorse quasi nessuno: obbligava i pm a svelare le indagini per mafia dopo tre mesi, di fatto vanificandole.
Nell’agosto del 1995 sarà il governo tecnico di Lamberto Dini a varare un nuovo ddl, con i voti bipartisan di centrodestra e centrosinistra (contrari solo Verdi e Lega): tra le altre cose rendeva la custodia cautelare più breve e più difficile da applicare, l’arresto per reati di mafia da obbligatorio diventava facoltativo, la norma che prevedeva l’arresto in flagranza per testimoni reticenti veniva abolita. Insomma non esattamente “leggi contro i mafiosi”. Ma non solo. Perché le leggi pro mafia negli anni successivi alle stragi le hanno fatte tutti: la destra ma pure la sinistra. E a volte sono norme che somigliano molto a quelle del papello.
Nel 1996 al governo arriva l’Ulivo e Forza Italia va all’opposizione: ad agosto alcuni senatori del Ccd presentano un disegno di legge per consentire la dissociazione dei mafiosi. È uno dei passaggi del famoso papello di Riina, consegnato da Cinà. In quel pezzo di carta c’è anche un’altra richiesta: la chiusura delle supercarceri di Pianosa e dell’Asinara.
Desiderio esaudito nel 1997 dall’allora guardasigilli Giovanni Maria Flick. Alla fine della legislatura, siamo nel febbraio del 2001, il centrosinistra fa in tempo ad approvare la legge Fassino-Napolitano che riduce i benefici e gli sconti di pena per i collaboratori di giustizia, e impone loro di raccontare tutto quello che sanno entro sei mesi: non è l’abolizione dei pentiti, come chiedeva sempre Riina col papello, ma poco ci manca.
Il ritorno di Forza Italia al governo, è segnato poi dalla riforma del 41bis, che a dicembre si trasforma da misura straordinaria e provvisoria a stabile. Sembra una legge più severa e invece una volta stabilizzato il regime del carcere duro per mafiosi è pure più semplice da revocare. E negli anni successivi molti boss usciranno dal 41bis: tutto questo senza più sparare un colpo.
ILFQ
venerdì 25 giugno 2021
“Hanno dato la sentenza: ammazzano Di Matteo”. - Giuseppe Pipitone
Il piano di morte - Il primo a parlarne fu il pentito Galatolo. Ora è Bellocco, boss della ’ndrangheta, mentre discute di Brusca con un altro detenuto: è il 1° giugno.
“Anche il giudice Di Matteo lo ammazzano. Gli hanno già dato la sentenza”. A parlare è Gregorio Bellocco, boss della ’ndrangheta, già a capo della cosca di Rosarno. È la mattina dell’1 giugno e a Milano, nel carcere di Opera, alcuni detenuti al 41-bis stanno commentando la notizia della scarcerazione di Giovanni Brusca. A parlare per primo, durante l’ora di socialità, è Francesco Cammarata, mafioso della famiglia di Riesi, che commenta le dichiarazioni di Maria Falcone: dice che la sorella del “fu giudice” si lamenta solo di quel tipo di scarcerazioni. È a quel punto che, senza un apparente motivo, Bellocco interviene per pronunciare quelle parole: “Anche il giudice Di Matteo lo ammazzano. Gli hanno già dato la sentenza”. I due tacciono subito perché incrociano il passaggio dell’agente del Gom. Il quale, però, riesce a sentire quelle frasi e fa rapporto ai suoi superiori. Quella relazione è finita al Dipartimento amministrazione penitenziaria, che l’ha girata alle procure competenti di Reggio Calabria e Palermo. Gli investigatori vogliono capire a cosa si riferiva Bellocco.
Le notizie relative al piano di morte di Cosa Nostra per colpire Nino Di Matteo, infatti, risalgono al 2014: perché dunque l’uomo della ’ndrangheta ne parla ora, sette anni dopo? Ha per caso avuto qualche novità dall’esterno? Di Matteo, tra l’altro, non aveva rilasciato alcuna dichiarazione pubblica sulla scarcerazione di Brusca: perché quindi Bellocco pronuncia quelle frasi sul consigliere del Csm?
A parlare per primo di un attentato contro l’allora pm della Trattativa era stato Vito Galatolo, boss dell’Acquasanta: secondo il pentito l’ordine era arrivato direttamente da Matteo Messina Denaro, con alcune lettere inviate ai boss di Palermo nel dicembre del 2012. I padrini si erano riuniti in un summit e avevano raccolto 600mila euro per acquistare 150 chili di tritolo. Almeno una parte di esplosivo era arrivata dalla Calabria: solo che era in cattive condizioni a causa di alcune infiltrazioni d’acqua. Secondo Galatolo i boss erano riusciti a farsi cambiare la partita difettosa dai loro referenti calabresi: il particolare dell’infiltrazione d’acqua, però, aveva suggerito agli inquirenti un’ipotesi investigativa. E cioè la possibile provenienza del tritolo dalle stive della Laura C, la nave affondata al largo di Saline Joniche durante la Seconda guerra mondiale: più volte i pentiti di ’ndrangheta hanno raccontato di avere recuperato grosse quantità di esplosivo da quell’imbarcazione inabissata.
Dopo la collaborazione di Galatolo, gli inquirenti avevano cominciato a cercare il tritolo che doveva essere usato per Di Matteo, ma secondo un altro pentito, Francesco Chiarello, era già stato spostato in un luogo sicuro. Sul caso ha indagato la Procura di Caltanissetta, che nel 2017 ha archiviato il fascicolo. Per i pm tutta la storia è riscontrata: la riunione per uccidere Di Matteo ci fu, ma poiché l’attentato non venne mai realizzato non era possibile contestare alcun reato. Nell’archiviazione i magistrati scrissero: “L’ordine di colpire Di Matteo resta operativo”.
Ora a parlare di un piano di morte per il magistrato è per la prima volta un boss della Calabria, la stessa zona da dove – secondo Galatolo – era arrivato l’esplosivo. “Già la sentenza gli hanno dato”, sostiene. Cosa intende dire?
Di sicuro c’è che il tema della scarcerazione di Brusca ha appassionato anche altri boss detenuti. Circa mezz’ora dopo l’esternazione di Bellocco, sono tre camorristi a parlarne. Gaetano Di Lorenzo spiega di essere “contento”, visto che pare non considerare il boss di San Giuseppe Jato come un pentito. Antonio Caiazzo auspica: “Devono cambiare la legge sui collaboratori”. Poi interviene Vincenzo Aprea, che dice: “Come quelli di Forza Italia, quei figli di bocchini che si sono opposti alla scarcerazione”.
ILFQ
mercoledì 23 giugno 2021
Ex Ilva, Consiglio di Stato annulla sentenza Tar Lecce: a Taranto impianti avanti. - Domenico Palmiotto
Ribaltata la decisione del Tar di Lecce sullo spegnimento dell’area a caldo: l’istrutturia sarebbe «contradditoria». Giorgetti: ora piano industriale.
I punti chiave
- Istruttoria inadeguata e contradditoria
- Poteri del sindaco «residuali»
- Giorgetti: «Adesso piano industriale con filosofia Pnrr»
ll Consiglio di Stato ferma il Tar Lecce e l’ordinanza del sindaco di Taranto sullo spegnimento degli impianti dell’area a caldo del siderurgico ex Ilva di Taranto, ora Acciaierie d'Italia. I giudici di appello (quarta sezione) dopo l'udienza del 13 maggio scorso hanno disposto l'annullamento della sentenza del Tar di Lecce n.249/2021. Per Acciaierie d’Italia, la nuova società tra ArcelorMittal Italia e Invitalia, «vengono dunque a decadere, a quanto si apprende, le ipotesi di spegnimento dell’area a caldo» e di «fermata degli impianti connessi, la cui attività produttiva proseguirà con regolarità».
Istruttoria inadeguata e contradditoria.
Il potere di ordinanza, secondo i giudici amministrativi, «non risulta suffragato da un’adeguata istruttoria e risulta, al contempo, viziato da intrinseca contraddittorietà e difetto di motivazione». Lo dice il Consiglio di Stato, sezione quarta, nelle 60 pagine di motivazione della sentenza con cui ha annullato la sentenza del Tar Lecce dello scorso febbraio che, confermando una precedente ordinanza del sindaco di Taranto di febbraio 2020, aveva ordinato lo spegnimento degli impianti dell’area a caldo dell’ex Ilva perché inquinanti. Secondo i giudici dell’appello - la sentenza del Tar era stata infatti impugnata al Consiglio di Stato - «va dichiarata l’illegittimità dell’ordinanza impugnata e ne va conseguentemente pronunciato l’annullamento».
Poteri del sindaco «residuali».
La sezione «non ha condiviso la tesi principale delle società appellanti, secondo cui deve escludersi ogni spazio di intervento del sindaco in quanto i rimedi predisposti dall’ordinamento, nell’ambito dell’autorizzazione integrata ambientale (Aia) che assiste l’attività svolta nello stabilimento, sarebbero idonei a far fronte a qualunque possibile inconveniente. Tuttavia, ha ritenuto che quel complesso di rimedi (compresi i poteri d’urgenza già attribuiti al Comune dal T.U. sanitario del 1934, i rimedi connessi all’Aia che prevedono l’intervento del Ministero della transizione ecologica e le norme speciali adottate per l'Ilva dal 2012 in poi) sia tale da limitare il potere di ordinanza del sindaco, già per sua natura «residuale», alle sole situazioni eccezionali in cui sia comprovata l’inadeguatezza di quei rimedi a fronteggiare particolari e imminenti situazioni di pericolo per la salute pubblica». Così il Consiglio di Stato, in una nota, spiega la sentenza che ha portato all’annullamento della sentenza del Tar Lecce.
Giorgetti: «Adesso piano industriale con filosofia Pnrr».
La decisione si porta subito dietro reazioni istituzionali. La prima è quella del ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti: «Alla luce del pronunciamento del Consiglio di Stato sull’ex Ilva, che chiarisce il quadro operativo e giuridico, il governo procederà in modo spedito su un piano industriale ambientalmente compatibile e nel rispetto della salute delle persone. Obiettivo è rispondere alle esigenze dello sviluppo della filiera nazionale dell’acciaio accogliendo la filosofia del Pnrr recentemente approvato», dichiara il titolare del Mise.
IlSole24Ore
martedì 28 luglio 2020
La fake news pro B. smentita dalla data della prescrizione. - Antonella Mascali
Nessun collegio ad hoc: anche se il reato si fosse prescritto a settembre, se ne sarebbe occupata la sezione di Esposito.
mercoledì 1 luglio 2020
B. e la bufala che vuole riscrivere la storia. - Gianni Barbacetto
domenica 31 maggio 2020
La sentenza preventiva. - Marco Travaglio
Quando poi Conte, stufo delle balle di Ric e Gian, osserva che i due potevano disporre tutte le zone rosse che volevano, Gallera va a leggersi la legge (peraltro richiamata in vari Dpcm) e gli si apre un mondo. Tant’è che il 7 aprile si arrende: “Avremmo potuto fare noi la zona rossa? Ho approfondito e effettivamente c’è una legge che lo consente”. Meglio tardi che mai. Avesse approfondito prima, avrebbe potuto chiudere anche altre zone ad altissimo contagio (tipo il Bresciano) evitando altre stragi. Invece, incredibilmente, la Regione col record mondiale dei contagi, non ha disposto una sola zona rossa in tre mesi. Intanto, fra marzo e aprile, Regioni infinitamente meno a rischio ne disponevano ben 47: una l’Umbria, 2 l’Emilia Romagna (più 70 zone arancioni, esclusa purtroppo Piacenza), 5 il Lazio, 3 la Campania, 12 l’Abruzzo, 5 il Molise, 4 la Basilicata, 11 la Calabria, 4 la Sicilia (l’elenco l’ha pubblicato Selvaggia Lucarelli su Tpi). Gli unici a non sapere di poterlo fare erano Fontana e Gallera. Che poi hanno scoperto di poterlo fare, ma dinanzi alla pm hanno ricominciato a negarlo. E la pm – a sentire la sua dichiarazione al Tg3, che in un paese serio indurrebbe la Procura generale ad avocare il fascicolo – se l’è bevuta. Salvo poi precisare che “si tratta di indagini lunghe e complesse”. Se poi, durante l’indagine lunga e complessa, qualcuno desse un’occhiata alle leggi, potrebbe aprirne un’altra per falsa testimonianza.
giovedì 14 novembre 2019
Troupe aggredita a Ostia, Cassazione conferma condanna a Spada. - Assunta Cassiano
Diventa definitiva la condanna a sei anni con il riconoscimento dell’aggravante del metodo mafioso per Roberto Spada. I giudici della V sezione penale della Cassazione, rigettando il ricorso della difesa di Spada, hanno confermato per l’esponente del clan la sentenza d’Appello per la testata al giornalista della trasmissione Rai 'Nemo' Daniele Piervincenzi e l’aggressione dell’operatore Edoardo Anselmi avvenuta il 7 novembre 2017 durante un servizio a Ostia.
Alla lettura della sentenza era presente la sindaca della Capitale Virginia Raggi. "Questa sentenza - ha commentato - riconosce l'aggravante mafiosa, è sicuramente una vittoria giuridica ed è un segnale molto forte per la criminalità: a Roma non c'è spazio per la criminalità e la mafia. Idealmente mando un abbraccio a Daniele Piervincenzi e Edoardo Anselmi. Roma e il sindaco sono dalla parte di tutti i cittadini onesti''.
Fimiani nella requisitoria di questa mattina, chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso della difesa di Spada, ha sottolineato come siano presenti tutti gli indici sintomatici per la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso. Piervincenzi e il suo operatore Edoardo Anselmi vennero aggrediti di fronte alla palestra di Roberto Spada, a Ostia, durante un'intervista sulla campagna elettorale nel X Municipio.
Avvicinato per alcune domande sui presunti rapporti con Casapound nel municipio di Ostia, sciolto dopo l'inchiesta su Mafia Capitale, Spada colpì Piervincenzi con una violenta testata che venne immortalata dalla telecamera. Per l’aggressione il 18 giugno 2018, dopo l’inchiesta portata avanti dal pm Giovanni Musaro’, Roberto Spada e Ruben Nelson Del Puerto sono stati condannati in primo grado a sei anni di reclusione per violenza privata e lesioni aggravate con il riconoscimento dell'aggravante mafiosa. Condanna confermata poi il 7 dicembre scorso in Appello per Spada. Stralciata, invece, la posizione del braccio destro, Ruben Nelson Del Puerto, il cui processo è ancora in corso in Appello. Spada lo scorso 24 settembre in un altro procedimento, il maxi processo al clan, nato dall’operazione ‘Eclissi’ della Dda di Roma, e’ stato condannato all’ergastolo dalla Corte d’Assise.
"Questa non è una sentenza solo per me ma per tutti i cittadini di Ostia, spero sia un nuovo inizio", afferma Daniele Pievincenzi all’Adnkronos. "Importante -sottolinea Piervincenzi - è proprio che sia stato riconosciuto il metodo mafioso".
"E’ una sentenza importante, perché quella testata c’è stata, è stata una testata mafiosa, non solo contro Piervincenzi e Anselmi ma contro il diritto dei cittadini a essere informati. Noi ci attendiamo che il Parlamento vari finalmente una legge contro chi ‘molesta’ l’articolo 21 della Costituzione", ha detto Beppe Giulietti presidente Fnsi. "Ci vuole un’aggravante, perché è un attentato permanente al diritto dei cittadini a conoscere", ha sottolineato.
https://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2019/11/13/aggravante-mafiosa-cassazione-conferma-condanna-spada_624z7aEp4hwFu4kUeCIUzO.html
mercoledì 9 ottobre 2019
La sentenza-papello. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 9 Ottobre:
Se Totò Riina avesse saputo che era così semplice cancellare l’ergastolo, nel 1992 si sarebbe risparmiato le stragi, le trattative con lo Stato, forse anche l’arresto e sarebbe morto nel suo letto. Non aveva previsto, uomo di poca fede, che un giorno sarebbero arrivate la Corte europea dei diritti dell’uomo e poi in appello la Grande Chambre a trasformare l’Italia nell’Eldorado di mafiosi e terroristi, spazzando via la loro bestia nera: l’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario che esclude dai benefici carcerari (permessi, semilibertà, liberazione condizionale, liberazione anticipata, lavoro esterno) i condannati a vita per i delitti più gravi. Un verdetto sciagurato che trasformerà l’ergastolo in una burletta, farà sparire i collaboratori di giustizia e rimetterà in sella i boss irriducibili grazie all’aspettativa di uscire un giorno di galera. A meno che il governo, il Parlamento, la Consulta e i giudici italiani non se ne infischino dell’invito a smantellare l’antimafia e l’antiterrorismo per evidenti esigenze di sicurezza nazionale, come sarebbe sommamente doveroso, finchè a Strasburgo non siederanno giudici più competenti e meno scriteriati.
L’articolo 4-bis detto “ergastolo ostativo” per facilitare la comprensione ai cialtroni che ancora s’indignano se “fine pena mai” vuol dire “fine pena mai”- fu introdotto nel 1992, dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio: Falcone e Borsellino dovettero morire ammazzati perchè lo Stato si dotasse delle armi antimafia che da vivi avevano chiesto mille volte, invano. Anch’essi, se avessero previsto la sentenza di ieri, si sarebbero forse risparmiati quella fine terribile. Eppure era chiaro a tutti che, per spezzare il vincolo di omertà che garantisce lunga vita e impunità ai clan, occorreva una controspinta formidabile a parlare, almeno pari alla convenienza a tacere e alla paura delle vendette trasversali. Quella controspinta i due giudici (e molti altri con loro) la individuarono in una “tenaglia” a due ganasce: ampi benefici per chi collabora con la giustizia, rischiando la propria pelle e quella dei propri famigliari; e l’ergastolo vero, duro e isolato, senza sconti né scappatoie, per chi tace. Risultato: migliaia di “pentiti” in pochi anni fecero luce almeno sulla manovalanza mafiosa delle stragi, aiutando lo Stato a catturare centinaia di boss, killer e favoreggiatori, a dare un nome a migliaia di colpevoli di delitti insoluti, a sequestrare montagne di armi e soldi.
Poi, faticosamente e fra mille ostacoli, presero a svelare le verità più indicibili, di cui pochissimi erano a conoscenza, sulla trattativa e i mandanti esterni. E lì partirono le controriforme all’insegna del cosiddetto “garantismo” di destra, di centro e di sinistra, sempre a vantaggio dei colpevoli e mai delle vittime.
Riina aveva subito colto gli effetti devastanti della tenaglia studiata da Falcone e Borsellino. Infatti, ai primi vagiti del decreto Scotti-Martelli sul 41-bis (e il 4 bis), varato dopo Capaci ma poi accantonato in Parlamento fino a via d’Amelio, aveva messo nero su bianco nel “papello” della trattativa con il Ros che le stragi sarebbero finite solo con l’abolizione dell’ergastolo e del 41-bis, cioè del carcere duro ed eterno: ne andava della sopravvivenza di Cosa Nostra, legata a filo doppio alla regola aurea dell’omertà. Lo sapevano e lo sanno tutti: tranne la Cedu e la Grande Chambre, col contorno dei “garantisti” più o meno pelosi all’italiana. Eppure, a queste anime belle perse nell’astrattismo di un diritto iperuranico, ignorante e sganciato dalla realtà, basterebbe leggere i messaggi e gli avvertimenti di boss come Giuseppe Graviano, che da dieci anni minaccia di parlare (non solo nei conciliaboli col compagno di ora d’aria, ma anche a verbale) se non saranno rispettate le promesse fatte nel 1992-’94 e sempre (in parte) tradite. Ora anche lui si batterà una mano sulla fronte: anzichè faticare le sette camicie a ricattare B. e Dell’Utri, gli bastava inoltrare una domanda in carta bollata a Strasburgo.
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sabato 8 giugno 2019
Graziano Mesina scarcerato: sentenza di condanna a 30 anni non depositata.
Mesina, conosciuto anche con il soprannome di Grazianeddu, era finito in carcere sei anni fa perché ritenuto a capo dell'organizzazione che si occupa di traffico internazionale di droga.
lunedì 3 novembre 2014
Liberi tutti! [intermezzo]
Gli imputati per l’omicidio di Stefano Cucchi sono stati tutti assolti. E poi dicono che lo Stato non protegge.
Il verdetto di primo grado è stato ribaltato. E non vi dico lui nella tomba.
(La sentenza di primo grado è stata stravolta a tal punto che Stefano Cucchi ora è indagato per diffamazione)
Per la morte di Stefano Cucchi nessuno andrà in carcere. Sembra sia pericoloso.
Né gli agenti né i medici sono stati giudicati colpevoli della morte di Stefano Cucchi. Provato col dietologo?
(Cucchi sarebbe morto per denutrizione. Come in un paese del terzo mondo)
I genitori di Cucchi: “Lo hanno ucciso di nuovo”. Tanto hanno visto che si può.
Ora si attendono le motivazioni della sentenza. Scherzo dai, non ce ne frega un cazzo.
(Per commentare la sentenza sarebbe opportuno ascoltare le motivazioni. Ma a Zelig manca una settimana)
Si riaccendono le polemiche per la foto in cui uno degli imputati mostra il dito medio. Di Cucchi.
Gli imputati: “Non auguriamo a nessuno di subire quello che abbiamo subito noi”. È tremendo sapere di essere stati assolti ingiustamente.
”La nostra unica colpa è quella di essere stati in servizio quel giorno”. Non avrei saputo dirlo meglio.
Giovanardi applaude la sentenza. Cosa vi aspettavate da una frase che inizia con “Giovanardi”?
Secondo Giovanardi “Cucchi doveva essere alimentato coattivamente”. Figurati se c’era una soluzione non violenta.
Ignazio Marino propone di intitolare una piazza a Stefano Cucchi. Sarebbe perfetta per farci manifestare i lavoratori.
Il comune di Roma intitolerà una strada a Cucchi. Così nessuno si lamenta delle buche.
Il sindacato di polizia: “Cucchi è morto in conseguenza di una vita dissoluta”. Consideriamolo un monito per Morgan.
Secondo il segretario Tonelli, Cucchi è morto a causa del suo stile di vita. Fosse stato sano sarebbe sopravvissuto al pestaggio.
“Se uno conduce una vita dissoluta ne paga le conseguenze”. A differenza di chi gliela toglie.
La sorella di Stefano Cucchi: “È il fallimento di uno Stato”. Nonostante tutto è riuscita a trovarci il lato positivo.
Michele Boldrin: “Giustizia di merda in un paese di merda”. Ora rischia una querela da parte della merda.
“Non si può accettare che lo Stato sia incapace di trovare i colpevoli”. Il problema non è mica trovarli.
Ilaria Cucchi: “Per fermarmi dovranno uccidermi”. Eh, ma così non si finisce più.
Intorno ai parenti di Stefano Cucchi si stringono i Sandri, gli Aldrovandi e gli Uva. Io al posto loro mi sparpaglierei.
La famiglia Cucchi: “Meritiamo giustizia”. Occhio, potrebbe far male.
Autori: sofino, batduccio, george clone, dan11, miguel mosè, luce so fusa, masss, xanax, misterdonnie, sosco, semola, goemon ishikawa, paniruro, lowerome, doctorc, pirata21 e pollo.
http://www.spinoza.it/2014/11/01/liberi-tutti-intermezzo/