sabato 1 marzo 2025

VAE VICTIS. - Daniele Dell'Orco

 

Di fronte alla scazzottata in mondovisione tra Donald Trump, JD Vance e Volodymyr Zelensky, il tribunale del web si è pronunciato nel modo più prevedibile e immaturo possibile.
I pro-Zelensky lo sono ancora di più.
I pro-Trump lo sono ancora di più (una prece per i furbetti che fino ad ora hanno sempre provato a tenere il piede in due scarpe).
Tuttavia, analizzando a mente un po' più fredda questa pagina di storia in diretta TV, è come sempre necessario sgombrare il campo dall'emotività.
Innanzitutto, il contesto.
Alla corte di Trump sono passati già Emmanuel Macron e Keir Starmer, e abbiamo visto come sono stati trattati. Anche in quei casi la stampa occidentale ha "celebrato" le "sfide" mosse da questi leader a Trump come una dimostrazione del risveglio dell'Europa.
Bugia.
Sono stati ridicolizzati entrambi.
Alla luce di ciò, della considerazione che Trump ha dell'Europa e dei suoi politici, delle frasi già pronunciate all'indirizzo di Zelensky, dei colloqui con Putin e, cosa da non dimenticare mai, dei VOTI ottenuti affinché facesse proprio ciò che sta facendo (possiamo discutere sul come), è stato davvero ingenuo da parte di Zelensky aspettarsi nella sua trasferta a Washington uno scenario rispetto a quello dell'agguato a favore di telecamera.
L'America del MAGA, una grande potenza e dunque situazionale come tutte le grandi potenze, non crede e non può credere che gli ucraini stiano combattendo per lei e per i suoi valori. L'America del MAGA crede che sia lei ad aver fatto un favore a Zelensky affinché restasse vivo, in buona salute e in grado di mettere una firma per saldare la cambiale ricevuta tre anni fa nei tempi e nei modi stabiliti dal creditore.
Dicendo alla fine persino grazie per i mesi concessi e per non aver permesso che su Bankova sventolasse il tricolore russo.
Zelensky, invece, pensa ancora che quello ucraino sia un esempio per il mondo libero e che sia quindi il mondo libero a dover dire grazie a lui e all'Ucraina. Ecco perché nell'intervista tv post-scontro ha persino definito l'America "partner".
Da questo palesemente lacunoso reality check nasce lo scazzo, giacché nello Studio Ovale la situazione è degenerata quando Zelensky ha "risposto" a JD Vance dicendogli in sostanza in pieno volto che in virtù di ciò che sta succedendo in Ucraina dal 2014 sarebbe improprio parlare di "diplomazia".
Il virgolettato chiave è: "Di quale diplomazia stai parlando, JD?"
Vance, che comunque deve essere sempre chiamato "Mr Vice-President" specie a casa sua, è il secondo uomo più potente del mondo che risponde a un elettorato che ha votato per lui e per Trump affinché potessero cambiare rotta in politica estera smettendo di spendere soldi per imprese militari che le persone non capiscono.
Così, di fronte alla reprimenda di Zelensky che vorrebbe invece che gli Usa si impegnassero ancora di più garantendo a Kiev le armi per essere abbastanza potenti da trattare con i russi alla pari e soprattutto le famose "garanzie" in caso di futuri attacchi russi, JD Vance ha detto ciò che TUTTI i suoi elettori pensano, ovverosia che Zelensky è un ingrato che ha fatto circonvenzione di incapace nei confronti di Joe Biden frodando l'America per miliardi di dollari per una faccenda privata della famiglia Biden e di una cricca liberal.
Subito dopo, con l'intervento di Trump a gamba tesa, la seconda leggerezza dialettica di Zelensky è stata quella di dire al Presidente americano che si sarebbe trovato nella sua "stessa situazione" molto presto.
Come può il leader di un Paese al collasso spiegare al leader della più grande potenza al mondo (e che vuole fare di tutto per dimostrare di esserlo) che "presto" si troverà nei guai come fosse un'Ucraina qualunque?!
È necessario allora ricordare chi sia davvero Volodymyr Zelensky: una figura cruciale del "Resistance Operating Concept", lo schema multifattoriale applicato affinché il "progetto Ucraina" non si sciogliesse dopo due ore dall'ingresso dei carri armati russi.
Pur animato da indubbio coraggio proprio nella concitata fase iniziale di conflitto nel 2022, la sua notorietà è stata estremamente caricata in modo artificiale affinché potesse essere accettato da tutto l'Occidente come leader da sostenere senza pensare alle conseguenze.
Dai mancati accordi di Istanbul in poi, però, qualcosa è iniziato a cambiare e, col passare dei mesi e con l'aumento del malcontento generale, la sua immagine si è sovrapposta a quella dell'establishment che una buona parte di opinione pubblica occidentale ormai odia in modo viscerale.
Contro il "sistema", già in crisi per via della gestione della pandemia, si è incanalata un'insofferenza visibile nei processi elettorali ma in generale nel crollo di fiducia da parte dei cittadini. E siccome quello stesso "sistema" ha sponsorizzato anche Zelensky, passato lo shock dell'inizio della guerra la gente ha iniziato a considerare anche lui parte di una impalcatura volta all'inganno, alla corruzione, all'incapacità nella gestione dei bisogni della gente comune.
Ciò, accompagnato da una carrellata davvero imbarazzante di stupidate da nebbia di guerra a cui si è prestato lo stesso Zelensky, ha contribuito via via ad offuscarne il mito.
Da par suo, Zelensky sta confondendo tuttora il suo ruolo e nello Studio Ovale ha dimostrato di fraintendere il coraggio con l'incoscienza. Essendo forse entrato un po' troppo nella parte, non ha capito che il patto col Diavolo non lo sta firmando oggi per la cessione di ricchezze agli Usa, ma l'ha firmato nella primavera del 2022 quando gli venne offerta la prospettiva di poter tenere vivo con flebo perenni e in stato comatoso un Paese che altrimenti sarebbe sparito del tutto.
E, in cambio, avrebbe comunque dovuto cedere tutto ciò che quel Paese ha da offrire.
Lui che per qualche ragione ha creduto che gli stessero offrendo la possibilità di vincere, si ritrova oggi incapace di accettare che l'offerta è sempre stata questa fin dall'inizio, ma i dem americani lo allisciavano mentre guardavano l'Ucraina sanguinare, Trump e JD Vance gli ricordano a brutto muso che ha già da tempo venduto l'anima al Diavolo.
E ora il Diavolo ha bisogno di incassare.
L'America del MAGA, alla luce di ciò, sta dicendo a Zelensky che l'accordo non si cambia e non c'è margine per "trattare" alcunché di nuovo, men che meno "garanzie di sicurezza" a tutela di qualcosa il cui destino è già legato al volere dell'America del MAGA.
Mostrare empatia nei confronti di uno sconfitto è comprensibile.
Il totale ribaltamento della realtà che va avanti da tre anni ad oggi però no.
Quando occupò Roma Brenno disse "vae victis", infierendo su coloro che non si erano ancora resi conto della portata della disfatta e provavano a reclamare tributi di guerra più leggeri. Ci si può impietosire al solo pensiero ma, pur nella sua crudeltà, è una scena che rientra nell'ordine naturale delle cose.
Oggi come allora.

MARCO TRAVAGLIO - Voleva essere un duro - IFQ - 1 MARZO 2025

 

A Zelensky era già accaduto di beccarsi le lavate di capo di un presidente Usa: era Biden che lo cazziava ora per la pretesa di miliardi e armi a getto continuo senza mai ringraziare, anzi rimproverando l’alleato di fare sempre troppo poco; ora per le bugie sul missile ucraino caduto in Polonia e spacciato per russo per trascinare gli Usa e il mondo nella terza guerra mondiale. Ma una scena come il match Trump-Zelensky nello studio ovale a favore di telecamere è un unicum nella storia, figlio dell’Èra Donald che sconvolge non solo la sostanza, ma anche le forme della diplomazia mondiale.
Zelensky era stato avvertito: o vieni e firmi l’accordo sulle terre rare, prologo della tregua, o stai a casa. Lui è andato senza firmare nulla. Ha anteposto la sua immagine agli interessi del suo Paese, sfidando Trump perché gli ucraini intendessero.
Voleva essere un duro, o almeno sembrarlo agli occhi del popolo che lo ama sempre meno, ricordando di essere il leader coraggioso che tre anni fa rifiutò un comodo esilio e restò a Kiev (anche perché Putin gli aveva garantito l’incolumità via Bennett). Forse s’è rafforzato con i nazionalisti che non vogliono sentir parlare di pace e compromessi. Ma non certo con la maggioranza non ideologizzata degli ucraini che non vede l’ora di chiudere la guerra e ci penserà bene prima di rivotare un nemico degli Usa chiamato “stupido” da Trump e cacciato dalla Casa Bianca.
Così Zelensky ha, se possibile, ancor più indebolito il suo Paese, sconfitto in guerra, spopolato da morti, profughi, disertori e renitenti alla leva, economicamente fallito e ora anche platealmente scaricato dal primo alleato. Che, se non è diventato nemico, poco ci manca.
Trump gli ha sbattuto in faccia le verità scomode che tutti conoscono benissimo, ma che lui si era illuso (perché era stato illuso da Biden e continua a essere illuso dall’Ue) di poter continuare a ignorare all’infinito: Ucraina e Nato hanno perso la guerra; Kiev senza gli Usa non si regge in piedi e ora che dice di no agli Usa non ha più carte in mano; Trump non si pone nel negoziato come alleato di Kiev, ma come “arbitro” fra Ucraina e Russia, neppur troppo equidistante visti i rapporti di forza.
E ora, giocandosi il rapporto con gli Usa, Zelensky si è conficcato in un vicolo cieco: o torna alla Casa Bianca, anzi a Canossa, col capo cosparso di cenere, sottoponendosi a forche caudine ancor più umilianti di quelle subìte finora e firmando qualsiasi cosa Trump gli metta sotto il naso; oppure resta solo, in balia delle truppe russe che avanzano e senza più aiuti dagli Usa, mentre Trump si accorderà con Putin.
La classica alternativa del diavolo: o un disastro o un disastro. Dopo aver perso la guerra, Zelensky rischia di aver perso anche la pace.