domenica 17 luglio 2011

Fuga dall'università: iscritti a picco nel 2011. - di Mariagrazia Gerina


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«Figlio di un operaio o figlio di un petroliere fa lo stesso», scrive Roger Abravanel, già consulente della McKinsey & Company e ora consigliere del ministro Mariastella Gelmini: quello che conta è il merito.

Vallo a raccontare a Girolamo, figlio di un camionista e di una casalinga, nato e cresciuto a Palmi, Calabria. Girolamo ha vent'anni, è perito informatico e vorrebbe laurearsi. Lo scorso settembre, appena diplomato, si è messo a inseguire la chimera di una borsa di studio e di un alloggio alla Casa dello studente di Cosenza.

Alla fine, anche se aveva superato il test a numero chiuso, si è scoraggiato. E non si è più iscritto. Quest'anno ci riproverà, in proprio: «Facendo un po' il cameriere, un po' il meccanico ho messo da parte 700 euro». Per mantenersi all'università da fuori sede, in un anno ce ne vogliono 7mila. Storie di ordinaria esclusione dall'università italiana.

Sempre più ragazzi rinunciano in partenza. Se nel 2002, il 74,5% degli Under 20, presa la maturità, correva a iscriversi all’università, sperando in un futuro e un lavoro migliore, nel 2009 (ultimo dato disponibile) quella percentuale è scesa al 65,7%, facendo passare da 330mila a 293mila le matricole under 20. Nove punti percentuali persi in 8 anni: 38mila ragazzi che, usciti dalla scuola superiore, non ci hanno neppure provato. E la parabola discendente precipita letteralmente in certe province del Sud. A Catania, per esempio, dove appena il 46,4% dei maturi si iscrive all’università. Oppure a Cagliari, dove la percentuale è del 56,8%. Ma anche il Nord ha i suoi abissi. A Sondrio, il rapporto tra diplomati e matricole è del 46,7%; a Bolzano, non va oltre il 37,3%. E chi si iscrive spesso resta indietro fin dal primo metro. In più, una buona fetta delle matricole - circa il 13,3% -, al termine del primo anno non ha superato neppure un credito e da matricola finisce direttamente nel limbo degli «inattivi». Mentre ancora di più, il 16,7%, sono quelli che gettano la spugna dopo il primo anno. Cronaca di un’emorragia che dovrebbe essere in cima alle preoccupazioni di chi governa il paese. Chi sono questi ragazzi che rinunciano all’università? Perché invece di proseguire gli studi decidono di fermarsi? L'ultimo rapporto Almalaurea lo dice esplicitamente. Tra le cause del calo di immatricolazioni, c'è «la crescente difficoltà di tante famiglie a sopportare i costi diretti e indiretti dell'istruzione universitaria» unita a «una politica del diritto allo studio ancora carente». Una sorta di tenaglia che si stringe attorno ai ragazzi. Da una parte, la crisi rende più severo il bilancio delle famiglie che non ce la fanno più a sostenere le spese universitarie. Dall'altra, il bilancio dello Stato, invece di potenziare le scarse risorse destinate alle borse per gli studenti, taglia i fondi per il diritto allo studio.

Mentre in Germania o in Francia uno studente su quattro riceve una borsa di studio, in Italia nemmeno 1 su 10 riesce ad ottenerla. Su una popolazione di 1,8 milioni di iscritti, appena 150mila nel 2010 ne hanno beneficiato. E peggio ancora va per gli alloggi universitari che sono appena 41mila in tutta la penisola. Gli sbarramenti di reddito sono molto bassi, escludono non solo il ceto medio, e variano da regione a regione: sotto gli 11mila euro in Abruzzo, meno di 14mila in Molise, fino a 19mila in Piemonte. E anche tra gli idonei, 1 ogni 6 resta fuori. Gli esclusi nel 2010 erano 29mila su 179mila aventi diritto (il 16,3%). Un’ingiustizia anche qui diversamente distribuita. Più di 2mila esclusi in Abruzzo, dove solo il 55% degli idonei ottiene la borsa; 7mila in Campania, dove la percentuale è del 56%; 4400 in Calabria, dove è beneficiato della borsa solo il 59%, etc. La domanda dovrebbe essere: come includere almeno loro? E invece il governo ha stanziato appena 26milioni per il prossimo anno, reintegrate a 97 milioni, dopo le proteste, per l'anno in corso. Comunque meno della metà dei 246milioni di euro stanziati nel 2009 e 50 milioni in meno della media degli anni precedenti. In compenso 10 milioni li ha destinati alla "Fondazione per il merito", istituita sulla scia dell'Abravanel-pensiero. Ma chi se la merita un’università così. se non chi può permettersi di sostenerne i costi anche senza borsa? A questo proposito sono illuminanti i dati Eurostudent. I laureati tra i 45 e i 64 anni sono appena l'11% della popolazione generale (il 10% tra le donne) ma se guardiamo alla popolazione universitaria il 20% degli studenti universitari ha un padre laureato (il 17% una madre). Mentre appena il 35-6% degli studenti hanno un padre o una madre con un titolo di studio medio-basso, percentuale che sale al 62% nella popolazione generale. E solo il 28% ha un padre operaio (44% della popolazione tra i 45 e i 64 anni).

D'altra parte la laurea ha perso attrattiva anche, anzi, forse soprattutto per le classi più svantaggiate. La disoccupazione, per chi ha la laurea triennale, è passata dall'11,3% del 2007 al 16,2% del 2009. E chi trova lavoro in un caso su due è precario. Mentre gli stipendi passano dai 1210 euro del 2007 a 1149 euro del 2009. Il deterioramento della condizione occupazionale dei laureati, insomma, è l'altro grande fattore che rema contro quello che è stato fin qui uno dei principali obiettivi di crescita del paese: estendere la formazione universitaria anche alle fasce di popolazione che ne erano tradizionalmente escluse. Trent'anni fa i figli della «classe operaia» (così nella classificazione di Almalaurea) tra i laureati erano l'1,5%, nel 2004 erano il 22,4%, nel 2010 sono il 25,8%. Una tendenza che, a leggere i dati delle immatricolazioni, sembra destinata a invertirsi di nuovo. E mentre in Europa i figli di genitori con un titolo di studio basso che si laureano sono il 17%, in Italia la percentuale è ancora all'8%. Che vadano a scaricare la frutta ai mercati generali, ha suggerito Brunetta, a quanti tra i giovani sono esclusi dal mercato del lavoro. La riforma Gelmini, rispetto agli esclusi dall'università, non fa di meglio: non ha neppure provato ad analizzare il problema.



“Altro che megafono di Silvio, sono un eroe” Il “rapace” Minzolini si difende sul Giornale.

Il direttore del Tg1, sotto inchiesta per le spese fuori controllo a carico della Rai, spiega che alla Stampa lasciava conti ben più salati. Ma ormai pare averlo mollato anche il direttore Masi. E passata la par condicio, il premier ricomincia a dilagare.


“Altro che megafono, io sono un eroe”. Augusto Minzolini non delude mai. Quando non si dedica ai suoi ormai celebri editoriali dalla finestra del Tg1,rilascia interviste a Il Giornale in cui dà il meglio di sé. Il “rapace del Transatlantico”, come lo chiama l’intervistatrice, non ci sta a passare per “fazioso” e all’accusa di essere, come dice di Pietro, “l’Emilio Fede della Rai” rilancia: “Ah, giusto. Perché per loro pluralismo dell’informazione significa che c’è una scaletta di notizie che dai grandi quotidiani arriva ai telegiornali. Non vogliono giornalisti, ma megafoni».

La giornalista prova a metterlo in difficoltà, ma il Minzo ha una risposta per tutto, anche per quei “68mila eurini del nostro canone spesi in 15 mesi”. Innanzitutto, spiega, “le cose stanno così. Arrivo al Tg1, solo dopo l’accordo mi dicono che non posso più scrivere per Panorama“. La carta di credito aziendale diventa un “benefit per compensare” la mancata retribuzione da parte del settimanale di proprietà di Silvio Berlusconi. “Poi ci ripensano, dicono che non era un benefit ma una facility e mi chiedono i soldi indietro. Gli ho già restituito tutto, 65mila euro”.

Tra l’altro, nota scocciato il direttore, “alla Stampa avevo la stessa carta di credito e spendevo più che in Rai. Non da direttore, ma da inviato”. La differenza tra il servizio pubblico, pagato dai contribuenti, e un quotidiano di proprietà di un privato e quindi libero di spendere le risorse a piacimento, non lo sfiora neppure. E infatti, dopo la circolare emanata a novembre 2010 dall’ex dg Mauro Masi per tagliare le spese del 30 per cento in risposta allo scandalo delle spese pazze del direttorissimo, Minzolini ricomincia a collaborare con Panorama in barba al più elementare conflitto d’interessi. E sulle spese pazze sposa la tesi del complotto: “Guarda caso hanno tirato fuori questa storia a poche settimane dal famoso 14 dicembre in cui secondo qualcuno sarebbe dovuto cadere il governo».

In realtà, la notizia viene data la prima volta da Il Fatto Quotidiano il 12 novembre 2010. Un consigliere di minoranza aveva chiesto un consuntivo a Mauro Masi che si era visto costretto a snocciolare le cifre nel Cda di viale Mazzini facendo emergere che Minzolini da solo, per rappresentare l’azienda, aveva speso più del doppio della cifra consentita (35mila euro). La Corte dei Conti apre un’indagine per danno erariale, mentre la procura di Roma indaga per peculato. Minzolini si difende restituendo i soldi, ma Masi lo scarica. E due giorni fa, dalle carte dell’inchiesta trapela che il direttore generale della Rai ha messo nero su bianco, in un verbale del 16 giugno, di non avere mai autorizzato quelle spese.

“Altro che megafono”, s’indigna Minzolini sul Giornale, ma i freddi numeri lo contraddicono platealmente: a maggio e giugno il suo Tg1 ha dedicato al governo il 41,3 per cento del tempo di parola, quasi il doppio rispetto al 22,7 per cento del periodo elettorale, in cui era in vigore la par condicio. Lo rivelano gli ultimi dati dell’Osservatorio di Pavia, pubblicati oggi da Il Sole-24 Ore. Mettendo insieme l’esecutivo e il Pdl, il direttorissimo ha dedicata all’area di stretta osservanza berlusconiana quasi il 60 per cento dello spazio dedicato al dibattito politico. Al Pd, il maggiore partito d’opposizione, è rimasto il 12 per cento.

La concomitanza tra l’intervista di Minzolini e la pubblicazione dei dati dell’Osservatorio, commentaCarlo Rognoni, presidente del Forum del Pd per la riforma televisiva, “sembra uno scherzo”.


La casta scoppia di salute (e privilegi). - di Lidia Ravera


Lidia Ravera

Lo sapevate che i nostri 630 deputati con i loro 1109 familiari, pur percependo uno stipendio mensile di 25.000 euro, non pagano il dentista, né il fisioterapista né lo psicoterapeuta? Lo sapevate che dalle carie del nipotino alla protesi mobile dell’onorevole nonno abbiamo finanziato denti per 3 milioni e 92 mila euro? Lo sapevate che esiste un “fondo di solidarietà sanitaria” che prevede, sempre gratuitamente, per questi poveri lavoratori del dito (la maggior parte si guadagna lo stipendio cliccando su un pulsante, e neanche tutti i giorni) perfino la “balneoterapia” (leggi: vacanze al mare) e la elettroscultura (leggi: ginnastica passiva)? Io non lo sapevo. Non sapevo che questo ulteriore sconto per ricchi ci è costato, nel 2010, 10 milioni e 117 mila euro. Avrei voluto continuare a non saperlo.

Come preferirei non sapere che è pratica comune, quando si fa parte della crema della classe dirigente di questo Paese, abitare in lussuosi appartamenti senza pagare l’affitto. Penso che a Roma un posto letto in periferia uno studente fuori sede lo paga anche 800 euro al mese… penso che se hai un problema ai denti e non hai soldi sorridi con la mano davanti alla bocca e ti vergogni. Penso che se hai un problema psichico e non hai soldi te lo tieni e muori un po’ tutti i giorni, mentre in Germania, hai un tot di sedute gratuite e, se il terapeuta dimostra il tuo effettivo bisogno di cure, lo Stato paga per te. Per te cittadino, che non puoi permetterti la spesa, non per te deputato, che potresti benissimo provvedere di persona. Penso che quello è un Paese civile e il nostro meno. Penso che, se fossi una onorevole rappresentante di qualsiasi partito, lo rifiuterei, questo privilegio per privilegiati, non potendolo estendere a tutti i cittadini.



Viaggi gratis, portaborse e barbiere Ecco i 'privilegi' dei deputati.


ROMA
- Li abbiamo appena eletti e già ci sentiamo in diritto di frugargli nelle tasche, alla ricerca dei 'benefit' dei nostri rappresentanti alla Camera. Che godano di privilegi, non c'è dubbio: dai viaggi gratuiti in treno e in aereo, all'assistenza sanitaria fino ai corsi di lingua e informatica. Ecco il lungo elenco di agevolazioni per deputato (e relativa famiglia).

Banca. I servizi bancari sono offerti dal Sanpaolo Banco di Napoli. Ci sono quattro uffici, di cui uno riservato esclusivamente ai deputati, i quali godono di condizioni di favore sia per i conti correnti sia per i mutui.

Portaborse. E' il collaboratore più fidato del rappresentante del popolo, la sua ombra. Ciascun deputato ha diritto ad accreditarne due, naturalmente stipendiati con fondi della Camera. Gli uffici sono ben attrezzati - postazioni informatiche connesse a internet, telefoni e tv per seguire le sedute dell'Aula; hanno sede a Palazzo Marini e sono assegnati dal presidente del gruppo di appartenenza.

Trasporti. Alla Camera ci sono tre agenzie di viaggi, gestite dalla Carlson Wagon lits. A ciascun deputato vengono rilasciate speciali tessere per usufruire gratuitamente del trasporto aereo e ferroviario. Per chi preferisce spostarsi in auto, il pedaggio autostradale è gratuito. Agevolazioni anche per il parcheggio: posti riservati, anche se in numero limitato, in Piazza del Parlamento. A tutti spetta inoltre il permesso per l'accesso alla zona a traffico limitato di Roma.

Sanità e fisco.
I deputati e i loro familiari possono iscriversi a un fondo per l'assistenza sanitaria integrativa. Non solo: a Montecitorio c'è un ambulatorio della Asl RMA e un'ambulanza è sempre pronta per le emergenze. I nostri rappresentanti non vengono lasciati soli neanche al momento della dichiarazione dei redditi: un apposito ufficio li assiste nella compliazione dei modelli di denuncia fiscale.

Comunicazioni. Per quanto riguarda la posta, a ciascun deputato spetta un plafond per le spese; può servirsi di due uffici senza spostarsi troppo: uno all'interno di Montecitorio, l'altro nel palazzo dei gruppi in via Uffici del Vicario. Quanto all'uso del telefono, da tutti gli apparecchi nelle sedi della Camera si possono chiamare i numeri della zona di Roma: ciascuno dispone di un certo numero di scatti telefonici.

Informazione. Le agenzie di stampa italiane e le principali agenzie straniere sono tutte consultabili dai computer interni al palazzo e anche dall'esterno, tramite intranet. Nella sala di lettura attigua al Transatlantico sono disponibili i maggiori quotidiani e periodici italiani, i cui arretrati sono consultabili su richiesta. Ogni giorno viene predisposta una rassegna stampa via internet. I deputati possono usufruire di una sala stampa per incontrare, se richiesto, i giornalisti.

Beauty e relax
. La barberia di Montecitorio è riservata ai deputati, ma quando non c'è seduta possono usufruirne anche i giornalisti parlamentari. Per le deputate, la Camera mette a disposizione buoni da utilizzare nei saloni convenzionati. Nei sotterranei della Camera, inoltre, c'è una sauna riservata ai parlamentari.

Cultura.
I deputati amanti della lettura possono accedere a un patrimonio bibliografico di oltre un milione di volumi e 5mila periodici raccolti nella biblioteca di San Macuto. Hanno inoltre diritto a corsi gratuiti e personalizzati di informatica e di lingue straniere. Disponibile anche un servizio di interpreti.

Pausa pranzo.
A Montecitorio c'è un intero ristorante a loro riservato. Per il caffè e uno spuntino veloce si può optare invece per la buvette in Transatlantico. In alternativa, sono in funzione anche i self service di Montecitorio, di Palazzo Marini e di palazzo San Macuto.

Archivio. Distribuisce tutti gli atti e le pubblicazioni di Camera e Senato che su richiesta vengono spediti al domicilio del deputato.

(26 aprile 2006)



Pericle - Discorso agli Ateniesi, 461 a.C.


Qui ad Atene noi facciamo così.

Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.

Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.

Qui ad Atene noi facciamo così.

La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.

Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.

Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.

E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.

Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.

Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.

Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Pericle - Discorso agli Ateniesi, 461 a.C.


http://www.avvocatoandreani.it/documenti/varie/Pericle-discorso-agli-ateniesi-461-AC.htm



Così 200 lettori discutono il decalogo draconiano di Perotti & Zingales, elogi e critiche (anche draconiane). - di Guido De Franceschi



Misure radicali e credibili". I lettori del Sole approvano la cura per l'Italia in 10 punti proposta da Zingales e PerottiMisure radicali e credibili". I lettori del Sole approvano la cura per l'Italia in 10 punti proposta da Zingales e Perotti

Il decalogo redatto per Il Sole 24 Ore da Roberto Perotti e Luigi Zingales, con le misure che secondo i due economisti consentirebbero all'Italia di arrivare subito al pareggio di bilancio, ha sollecitato molta attenzione tra i lettori. E moltissimi tra di loro - quasi 200 - sono intervenuti postando un commento. Tutti concordano sulla necessità – espressa da Perotti e Zingales – «di misure radicali e credibili». Qualcuno sposa tutto il pacchetto proposto nel decalogo, molti fanno invece distinguo, oppure critiche profonde, a quanto proposto dai due economisti.

Tra i lettori-commentatori è molto diffusa la convinzione che ben difficilmente la classe politica utilizzerà potenti diserbanti per bonificare «l'enorme sottobosco al confine tra economia e politica» stigmatizzato nella premessa al decalogo. E al riguardo si registra una perfetta somiglianza tra i partiti che fanno parte dell'attuale maggioranza e quelli che stanno all'opposizione che, nella gran parte dei commenti che analizzano la probabilità che i legislatori adottino provvedimenti per contrarre in modo rigoroso la spesa, sono appaiati sullo stesso gradino della scala della fiducia: quello più basso.

Scrive ad esempio "brown50": «Le proposte dei nostri economisti dovrebbero tenere in considerazione che si rivolgono alla classe politica (…) Come è pensabile che tale fauna umana motivata da tali motivazioni accetti di togliersi la terra da sotto i piedi per il bene comune che per definizione non è di nessuno?». Anche gli evasori fiscali sono bersaglio di molti commenti dei lettori, tra chi chiede l'introduzione di elementi di contrasto di interesse, chi propone sanzioni gravissime per chi non paga le tasse e chi si sbriga a invocare il patibolo. Sui tagli dei costi della politica si esercita un altro gruppo molto numeroso di commentatori online.

La "casta" attira disprezzo e odio profondo in molti lettori, ciascuno dei quali avanza le proprie proposte per disboscare enti, tagliare privilegi, accorpare i comuni, eliminare le province, sgrossare i consigli regionali, segare contributi a partiti e giornali, ridimensionare Camera e Senato (e magari eliminiare il secondo). Sfogliando le decine di commenti si trovano vari altri decaloghi autoprodotti dai lettori che insistono esclusivamente sul taglio dei costi della politica, che nel decalogo originale di Perotti e Zingales si trova al punto 4 (punto 4 che secondo molti lettori è anche troppo timido). Soltanto pochissimi dissentono dall'ipotesi di agire con più vigore anche nel settore "pensioni" (punto 7) e sulla necessità di tagli agli stipendi pubblici più alti (punto 8).

E, tutto sommato, sembrano trovare buona accoglienza anche le proposte di Perotti e Zingales contenute nel punto 5 ("Taglio di sussidi e agevolazioni alle imprese"), nel punto 6 ("Eliminazione dei progetti faraonici ed inutili") e nel punto 10 ("Addizionale Irpef"). Assai più numerose sono invece le critiche dei lettori che dissentono dal punto 9 ("Aumento delle rette universitarie"). In vari commenti si levano proteste per l'incipit della proposta ("L'università oggi è quasi gratuita, ma è frequentata soprattutto dai ricchi"): molti lettori, specie in base a elementi autobiografici, sostengono che l'università non è affatto gratis e contestano l'assunto secondo cui sarebbe frequentata in prevalenza da "ricchi", termine sul quale, peraltro, bisognerebbe mettersi d'accordo preventivamente.

E in ogni caso c'è chi non accetta più alcun intervento nel settore universitario, come "Alessio" che scrive: «L'università è già stata pesantemente (più di qualunque altra istituzione) colpita in questi anni… ora basta». La critica dei lettori-commentatori colpisce però soprattutto i primi tre punti del decalogo, quelli relativi alle privatizzazioni. Qui, salvo non moltissime eccezioni che lodano le proposte al riguardo dei due economisti, nei commenti dei lettori si legge una specie di rivolta. C'è chi è ideologicamente contrario a priori. C'è chi teme monopoli privati come "balam" che scrive: «È difficile credere che le privatizzazioni senza liberalizzare i settori di appartenenza possano servire a qualche cosa». C'è chi fa considerazioni di opportunità come "Cheremule" che attacca il decalogo: «Il Professor Zingales cerca sempre di vendere le aziende quando il mercato è ai minimi. Facciamo il contrario: vendiamo Finmeccanica quando vale 27 euro, anziché 8...». C'è chi elenca i rischi derivanti da un'eventuale proprietà straniera di aziende strategiche come Finmeccanica ed Eni. C'è chi teme sull'identità dei compratori come "Barabba1", che commenta dubbioso: «Mah! La soluzione sono le solite vecchie privatizzazioni che trasferiranno monopoli pubblici ai privati coi risultati che tutti sappiamo? Delle municipalizzate non parliamo. Chissà in che mani, soprattutto a Sud. Brrrrr». E molti corroborano il loro dissenso facendo degli esempi (molto in voga tra i lettori citare tra i precedenti Alitalia, Telecom, Autostrade e, per uscire dai confini patrii, le ferrovie inglesi).

Ma, a parte i non moltissimi che sono d'accordo su privatizzazioni massicce, c'è anche chi sta prudentemente in mezzo, come "dexter914" che scrive: «Non approvo al 100% ma condivido che si potrebbe fare una privatizzazione accurata» e dice la sua opinione anche scendendo nello specifico «la Rai è giusto privatizzarla, tenendo solo un canale, così i politici non ci mettono il ...., anche le municipalizzate altro carrozzone di raccomandati».

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-07-14/misure-radicali-credibili-lettori-190631.shtml?uuid=AaR8x8nD

Meningite: In Italia scoperto il vaccino universale. - di Enrico Ferdinandi



Buone notizie dall’Italia, i ricercatori del Novartis Vaccines di Siena, in collaborazione con l’Università di Firenze, stanno portando a termine un progetto che permetterà di sconfiggere la meningite grazie ad un vaccino universale. Lo studio pubblicata sul Science Translational Medicine è davvero sensazionale, questo vaccino universale sarà difatti, secondo l’equipe di ricerca, efficace contro tutti i ceppi del menginococco di tipo B.

Inoltre la proteina creata in laboratorio che permetterà in futuro di curare la meningite potrebbe esser anche usata per prevenire tutte quelle malattie generate dai virus mutanti. Ma il vaccino universale non servirà solo come prevenzione, secondo i ricercatori di Siena sarà in grado di curare anche ci è già infetto. Lo studio è destinato a grandi sviluppi, difatti si presuppone che il vaccino potrebbe essere applicato anche ad altri virus e batteri di sviluppo futuro.
La proteina “chimerica” del vaccino universale è in grado di incorporare le tre varianti antigeniche e produrre anticorpi in grado di contrastare le diverse varianti della meningite.

Rino Rappuoli, responsabile mondiale della Ricerca Novartis Vaccines ha dichiarato che: "La genomica offre potenzialita' sempre maggiori e grazie ad essa siamo stati in grado di mettere a punto strategie altamente innovative nella ricerca di nuovi vaccini. Lo studio descrive attivita' di laboratorio ancora in fase iniziale e ci vorranno ancora anni per lo sviluppo di un nuovo vaccino, ma i risultati raggiunti rappresentano un fondamentale passo verso la messa a punto di nuovi vaccini in grado di proteggere contro patogeni altamente variabili". Questa scoperta è molto importante in quanto la meningite è una delle malattie più difficili da limitare nel contagio. Basti pensare che basta uno starnuto o una goccia di saliva, o essere a contatto con un soggetto infetto anche meno di due metri per esserne infetti. La meningite causa l’infiammazione delle meningi, ovvero le membrane che avvolgono il cervello, e se non curata in tempo quest’infezione può esser letale, o nel migliore dei casi causare disturbi neurologici gravi che portano a ritardi mentali, epilessia, sordità e paralisi.

http://www.2duerighe.com/attualita/1221-meningite-in-italia-scoperto-il-vaccino-universale.html

Stipendi di deputati e senatori Tagli sì, ma ben “ponderati”


La promessa di dimezzare l'indennità dei parlamentari finisce in niente. In Finanziaria passa una norma confusa che lega la retribuzione a quella dei colleghi nei sei "principali" Stati dell'eurozona. E alla Casta resterà qualche euro in più.


"La cena della Casta" nell'illustrazione di Marilena Nardi

Gli annunci all’inizio della settimana erano trionfali. “Dalla prossima legislatura indennità dimezzata per i parlamentari italiani”, titolava il Sole 24 Ore lunedì scorso, spiegando i termini dell’imminente ridimensionamento, almeno per quanto riguarda l’indennità mensile di deputati e senatori. Le cifre erano chiare: la politica italiana costa in tutto 23 miliardi di euro l’anno. Le uscite per gli stipendi degli onorevoli comportano una spesa di 144 milioni. L’adeguamento previsto dalla manovra, al livello medio dei 17 paesi dell’area euro comportava un sostanziale dimezzamento: dagli attuali 11.704 euro (cioé la cifra depurata di rimborsi e contributi vari, che portano a 23mila euro complessivi), i parlamentari italiani sarebbero scesi a 5.339 euro. “Camera e Senato spendono 144 milioni l’anno in indennità – scriveva Il Sole – che diventerebbero 62 milioni una volta raggiunte le indennità europee”. Invece non se ne farà nulla. O meglio, l’intervento della Casta, con il blitz notturno a metà settimana in commissione Bilancio al Senato, ha modificato a tal punto il provvedimento della manovra, da renderlo difficilmente comprensibile. Ma sicuramente molto più “innocuo” per le casse dei parlamentari.

Il relatore Gilberto Pichetto (Pdl) ha previsto un adeguamento alla paga non dei 17 paesi euro, ma dei sei “principali”. I senatori siciliani Fleres e Ferrara hanno invece proposto un altro emendamento che lega gli emolumenti al Pil. Alla fine, come ilfattoquotidiano.it ha avuto modo di accorgersi nel pomeriggio di venerdì, verrà approvato dalla maggioranza un testo che reciterà esattamente queste parole: “Il trattamento economico di titolari di cariche elettive e i vertici di enti e istituzioni non può superare la media, ponderata rispetto al PIL, degli analoghi trattamenti economici percepiti dai titolari di omologhe cariche negli altri sei principali Stati dell’area euro”.

E qui sorgono i dubbi: cosa deve essere ponderato? La retribuzione del parlamentare rispetto al Pil del singolo stato? O il peso del singolo paese nel concorrere a creare la media delle retribuzioni? E il Pil di riferimento è quello nazionale o quello pro-capite? E poi ancora: quali sono i sei principali stati europei? Quelli con più abitanti o quelli con il Pil (Pil pro-capite??) maggiore? Insomma, un guazzabuglio talmente interpretabile da risultare aperto a qualsiasi futura determinazione.

Un gran giuazzabuglio per evitare di sancire semplicemente il dimezzamento annunciato meno di una settimana fa.

Comunque sia, “gli altri sei principali Stati” sono (ammesso che il criterio sia il Pil) Germania,Francia, Spagna, Olanda, Belgio e Austria. E in ogni caso, il calcolo della futura indennità sulla base della “ponderazione” diventa materia per esperti di statistica. Con un’unica certezza: a partire dal 2013, anno dell’entrata in vigore delle nuove norme, si risparmierà molto meno rispetto meno degli 82 milioni di euro previsti.