domenica 21 aprile 2024

La piramide di Ben Ben.

 

Quella davanti a te è la piramide di Ben Ben, che ha sconcertato gli scienziati per migliaia di anni e finora non sono riusciti a risolvere il puzzle. La piramide si trova al Museo Egizio.
La piramide è fatta di pietra di ferro nera, che si trova nello spazio solo nei meteoriti spaziali. Tutti i suoi componenti non esistono sulla faccia della Terra. E qui appare il secondo puzzle perché è pietra di ferro, cosa molto impossibile e difficile da modellare e perforare.
Come ha fatto a tagliarsi con tanta precisione in angoli e deviazioni?
Ok, è impossibile che si interrompa; dovrebbe essere impossibile anche per lui rimanere impresso su di esso!
No, ha incisioni molto sottili sui volti della piramide, e gli scienziati hanno trovato impossibile per qualsiasi strumento, antico o moderno, incidere le iscrizioni con tale precisione a meno che non si utilizzi uno strumento di taglio laser.
Esiste anche un mistero, ovvero che la pietra meteorite di ferro nero, grazie alla composizione dei suoi componenti, si diverte a emettere energia elettromagnetica positiva nel suo ambiente, il che fa sentire psicologicamente a proprio agio chiunque si avvicini.
Come ti ho detto, la piramide si trova al Museo Egizio.

Nessuno è immune dalla relatività di Albert Einstein, nemmeno sulla Terra (e il tempo non è lo stesso).

 

Quando Einstein presentò la sua teoria della relatività ristretta, nel 1905, la nostra concezione di universo cambiò per sempre. Prima di lui, gli scienziati descrivevano ogni “punto” dell’universo utilizzando solo quattro coordinate: le tre posizioni spaziali più il tempo, per indicare in quale momento si era verificato un determinato evento. Tutto questo cambiò quando il celebre scienziato realizzò che se ti muovi rispetto a un altro osservatore, invecchierai meno di qualunque altra cosa rimasta ferma. Ogni volta che un osservatore si muove nell’universo rispetto a un altro, sperimenterà una dilatazione del tempo. Il suo orologio scorrerà più lentamente rispetto all’osservatore fermo. Questa grande verità è stata messa alla prova diverse volte, nell’ultimo secolo, anche utilizzando orologi sugli aerei.

Il fattore gravitazionale di Einstein.

Quando Einstein presentò per la prima volta la sua teoria della relatività ristretta, c’era un elemento mancante: non considerava l’attrazione gravitazionale, la gravità. Non aveva ancora idea che la vicinanza ad una grande massa potesse alterare anche lo scorrere del tempo. A causa della rotazione e della gravità attrattiva di ogni particella che compone la Terra, il nostro pianeta si gonfia all’equatore e viene compresso ai poli. Di conseguenze, l’attrazione gravitazionale della Terra ai poli è leggerissimamente più forte (di circa lo 0,4%) rispetto all’equatore.

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L’obiettivo originale di Einstein, però, era di utilizzare orologi per verificare la validità della sua teoria. Fu solo negli anni Cinquanta che si riuscì a testarne l’efficacia, dato che gli orologi al quarzo o meccanici non erano affidabili per questo tipo di esperimenti. Fu così che venne creato l’orologio atomico: l’idea fu quella di utilizzare la frequenza vibrazionale di un atomo per tenere il tempo. 

L’esperimento di Hafele-Keating.

Fu grazie all’esperimento di Hafele-Keating che si riuscì a verificare con estrema precisione gli effetti del campo gravitazionale terrestre sullo scorrere del tempo. Era il 1971. Gli astronomi Richard Keating e Joseph Hafele presero tre orologi atomici. Ne lasciarono uno in aeroporto, gli altri due se li portarono a bordo di due voli intorno al mondo, uno in direzione opposta all’altro. Quello che volava verso est andava anche nella stessa direzione della rotazione terrestre. E poiché il movimento dell’aereo e la rotazione del pianeta andavano nella stessa direzione, anche le velocità si sommarono: per le sue lancette sarebbe trascorso meno tempo. L’altro venne portato a bordo di un aereo che si muoveva verso ovest, quindi contro la rotazione terrestre.

Al loro ritorno i tre orologi non erano più sincronizzati: quello che aveva viaggiato verso est (nella stessa direzione della rotazione terrestre) era indietro di 59 miliardesimi di secondo, rispetto all’orologio rimasto in aeroporto. Quello che aveva viaggiato verso ovest (e quindi in senso contrario rispetto alla rotazione terrestre) era avanti di 273 miliardesimi di secondo. Sono ovviamente valori impercettibili, ma che dimostrarono ancora una volta quanto avesse ragione Einstein.

https://www.passioneastronomia.it/il-tempo-non-e-lo-stesso-per-tutti-einstein-aveva-ragione-di-nuovo/

DA DOVE VENIVANO I MAYA E GLI AZTECHI? - Minerva Elidi Wolf

 

Charles Étienne Brasseur de Bourbourg (1814 – 1874) era un abate fiammingo del XIX secolo. Oltre alla sua professione clericale, l’abate francese è universalmente noto per i suoi significativi contributi alla conoscenza dei popoli mesoamericani. Infatti, Charles Étienne Brasseur era anche un famoso scrittore, etnografo e archeologo specializzato particolarmente nello studio delle civiltà Maya e Azteca.
Secondo lo studioso, i Maya ricordavano la loro madrepatria come un “continente situato nel Pacifico”, e che in seguito era sprofondato. Loro chiamavano questo continente con il termine “Terra di Mu”.
Fino a pochi anni fa si pensava che questa fosse solo una leggenda. Ma l’avvento dei satelliti ha provato che era tutto vero. Infatti l’attuale Indonesia e l’Australia sono ‘i resti’ di un continente molto più grande, che gli scienziati chiamano Sundaland. Questo continente situato nelle acque dell’Oceano Pacifico venne parzialmente sommerso a partire da 14.000 anni fa, quando l’Oceano Pacifico si è innalzato di circa 140 metri.
Come facevano i Maya ad essere a conoscenza del “continente sommerso” nell’Oceano Pacifico? Era solo una incredibile coincidenza? Oppure i loro antenati erano davvero provenienti da Sundaland?
Anche in questo caso, se volessimo dare solo retta alla scienza, e non ai nostri pregiudizi, i Maya avrebbero assolutamente ragione. I loro antenati provenivano da Sundaland. Come facciamo a saperlo con certezza? Secondo Kenneth M. Olsen, PhD, un biologo specializzato in evoluzione dei vegetali presso la Washington University di St. Louis, abbiamo prove inconfutabili che navigatori provenienti dalla zona di Sundaland e Sahuland riuscirono ad arrivare fino a Panama, in Centro America, in epoca precolombiana.
La ‘prova vivente’ è la presenza della noce di cocco in America. Questo ricercatore ha scoperto che tutte le piante di cocco, in qualsiasi parte del mondo si trovino, sono originarie o dall’India o dalla zona che un tempo era Sundaland. Inoltre, il professore spiega che, almeno per quanto riguarda le grandi distanze, la pianta di cocco non emigra in maniera naturale, come fanno i semi di altre piante. Nel suo caso deve essere portata dall’essere umano in altre zone lontane, per poter attecchire anche lì. Se la pianta di cocco è arrivata in Centro America in epoca precolombiana, vuol dire che dei marinai dalla zona di Sundaland sono arrivati in America prima di Colombo e l’hanno piantata.