lunedì 31 gennaio 2022

Piccola premessa. - Orso Grigio

 

A chi mi rimprovera di parlare male dei 5S, oltre a rispondere molto pacatamente che parlo di quello che voglio e come voglio, e questo non servirebbe nemmeno ribadirlo, dico però che lo faccio perché li ho votati, pure convintamente, ritenendo, come un’altra decina di milioni di elettori, che il Movimento fosse la sola speranza per uscire dalla fogna dove ci avevano trascinato il berlusconismo e tutto il resto del revisionismo liberista di questi decenni di merda.
E avendoli votati ho dei diritti, chiedo risposte ai miei dubbi. Pretendo lealtà.
Si cresce con le critiche e quando serve pure con qualche ceffone, non solo con le carezze.

Sapete della mia stima per Conte. E’ bella persona, non ho nemmeno un dubbio, ma non basta per guidare un partito allo sbando come il Movimento. Soprattutto se non si hanno il coraggio o la capacità di affrontare fino in fondo certe ambiguità e di fare quello che servirebbe. Per esempio mandare in culo Di Maio, ormai diventato il prototipo perfetto di democristiano del terzo millennio. E mandarci anche Grillo, che continua a fare l’orsetto del Luna Park e a prendere pallate da chiunque.

Fra le mille dichiarazioni, inutili e ipocrite, di queste ore ce n’è una dove il Presidente dei 5S ci informa che con Di Maio verrà il tempo dei chiarimenti.
E quando, di grazia? Quando sarebbe il tempo dei chiarimenti? Cosa cazzo deve ancora succedere in questo smembramento dell’unica possibilità di cambiamento che avevamo?
Il tempo è adesso. Le cose non accadono da sole, ci vuole un’azione forte, una scossa, una scelta decisiva.
Ci vogliono i calci in culo, i pugni sul tavolo e le porte sbattute.
E ci vogliono adesso!

Conte esca dal Movimento. Li lasci lì dentro, da soli, a dissolversi nel niente, tanto in questo momento lui è solo il paravento dell’ambizione di Di Maio. E' il suo alibi.
Gli altri scelgano da quale parte stare, e chi vuole potrà seguirlo, se non è del tutto terrorizzato dal perdere quegli immeritatissimi denari.
E si ricominci da qui, con chi ci sta.

Ormai è del tutto evidente che di quelle due belle persone che fecero la campagna elettorale con lo scooter e nelle quali abbiamo creduto in tanti, quello giusto era l’altro che, condivisibile o meno, ha sempre dato un senso a parole come lealtà, coraggio, passione e coerenza.
Quanti altri ne conoscete così? 

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domenica 30 gennaio 2022

Quirinale, Conte: ‘Di Maio parla di fallimento? Era in cabina di regia, pure lui chiarirà operato e agenda’. E definisce ‘ottimi’ i rapporti col Pd.

 

“Se Di Maio parla di fallimento, se di Maio ha delle posizioni le chiarirà perché lui era in cabina di regia, come ministro l’ho fatto partecipare, ci chiarirà perché non ha chiarito questa posizione, e soprattutto ci chiarirà i suoi comportamenti, non a Conte, agli iscritti”. Così il leader M5s Giuseppe Conte parlando con i cronisti davanti alla porta della sua abitazione. “’Vuole un chiarimento? L’ho detto prima io, un chiarimento ci sarà senz’altro. Di Maio avrà modo di chiarire il suo operato e la sua agenda se era condivisa o meno tranquillamente”. Poi fermandosi a parlare con alcuni passanti, secondo quanto riferito dall’agenzia Ansa, a proposito della presidente donna ha dichiarato: “Posso dirlo? Eravamo ad un passo… l’avevano chiuso l’accordo”. Un gruppo di persone lo ha applaudito quando è uscito dal portone di casa e lui ha replicato: “Non date troppo retta a quello che scrivono sui giornali, una cosa come questa non la leggerete e non la vedrete neanche in tv…”.

“I rapporti con il Pd per quanto mi riguarda sono ottimi”, ha detto ancora, “con Letta ci siamo sentiti anche stamattina, quindi nessun equivoco”. E ha sottolineato che “la nostra linea politica, l’asse con il Pd non cambia”. “In questi giorni ho letto un sacco di fesserie, semplicemente perché nelle trattative abbiamo avuto una struttura bilaterale di incontri avete iniziato a fantasticare”, ha aggiunto Conte, spiegando che “mi sono confrontato direttamente con Salvini, ma anche Letta si è confrontato direttamente con Salvini”.

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Grazie Salvini, sterminatore di candidati a sua insaputa. - Antonio Padellaro

 

Anche se la prescelta fosse Elisabetta Belloni – una donna al Quirinale, straordinaria novità con quel che ne segue – è giusto, in chiusura, rendere il doveroso omaggio ai protagonisti ignoti di questa rubrichina quirinalizia. Poiché, i franchi tiratori, acquattati e silenti fin dal primo scrutinio (a parte qualche schioppettata dove capita per aggiustare la mira), ieri sono entrati massicciamente in azione regalandoci un paio di gustose vendette.

È bastato, infatti, un solo magistrale agguato dei nostri eroi per fare giustizia di quell’improvvisatore della politica di nome Matteo Salvini. Che, un bel giorno, autonominatosi kingmaker ha proceduto alla più efferata strage di candidati del centrodestra che si ricordi. Indro Montanelli ammirava Stalin perché, diceva, era il comunista che aveva fatto fuori più comunisti. Allo stesso modo Letta, Conte, Bersani, con tutto il cucuzzaro progressista, dovrebbero sincera riconoscenza al “killmaker” della Lega. Il quale dopo avere sterminato Pera, Moratti, Nordio, Frattini (ha risparmiato Cassese, forse impietosito dalla veneranda età), ieri ha compiuto il suo capolavoro mandando a schiantarsi la Casellati, e con lei la credibilità della seconda carica della Repubblica.

Belli carichi ora i cecchini sono in attesa di conoscere il nome dei prossimi potenziali bersagli. E, dunque, se il nome di Mario Draghi fosse tornato di moda, una sua eventuale consacrazione per essere legittimata avrebbe necessitato del consenso più ampio da parte di tutte le forze che sostengono l’attuale governo. Perciò, fuoco! E fuoco probabilmente pure sul plebiscito che verrebbe richiesto da Sergio Mattarella per non escludere a priori l’ipotesi di un sofferto bis. Mentre, se alla fine spuntasse un Casini non ci sarebbe altrettanto gusto a sforacchiarlo. Uno che non farebbe certo lo schizzinoso visto che gli andrebbero bene anche cinquecentocinque voti, purché maledetti e subito. Ma con la candidatura Belloni, amici belli, meglio non scherzare. A questo punto vi vengono a prendere con i forconi.

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Il Sabato delle Salme. - Marco Travaglio

 

Se ci fosse il bicchiere, potremmo dire che è mezzo pieno, perché ci siamo risparmiati tutti i peggiori al Quirinale. Ma non è rimasto più nulla, neppure il bicchiere. Non è la “sconfitta della politica” (come cianciano i presunti nemici dell’“antipolitica”), perché alcuni politici hanno provato fino all’ultimo a darci una degna presidente della Repubblica. È la sconfitta degli italiani per mano degli altri politici che han fatto di tutto per impedirlo e, non avendo la forza di realizzare le loro cattive intenzioni, si contentano di bruciare le poche buone e buttare la palla in tribuna imbalsamando il Mattarella bis. Che ora tutti i lanciatori di cappelli spacciano per un proprio successo personale: peccato che non lo volesse nessuno (neppure l’interessato), tranne i gruppi parlamentari 5Stelle (per salvare le poltrone) e il pd Orfini.

Mattarella (bis). Aveva ripetuto in tutte le salse di ritenere la rielezione una sgrammaticatura istituzionale, e lo è (per giunta con un tecnico al governo e un politico nell’unico posto dove non dovrebbe stare: la Consulta). Più sgrammaticato del bis ci sarebbe solo una presidenza a tempo in stile Napolitano per scaldare la poltrona a Draghi: speriamo che almeno quella ce la risparmi.

Draghi. Forte (si fa per dire) dell’appoggio del potere finanziario-editoriale e dei suoi camerieri Letta sr. e jr., Di Maio, Giorgetti&C. (più Salvini, ma solo nei giorni pari), il premier ha provato con ogni mezzo a farsi incoronare presidente di una Repubblica presidenziale, travolgendo regole, prassi e buona creanza, a costo di spappolare la sua maggioranza e i relativi partiti e di esporre il governo e l’Italia alla tempesta. Ma non ce l’ha fatta: i primi sconfitti sono lui e i suoi trombettieri. Se la Casellati non avesse fatto peggio, la sua sarebbe la carica istituzionale più delegittimata. La ubris, nella tragedia greca e nella commedia politica, è un peccato mortale.

Conte. Oltre a B., non voleva Draghi né gli invotabili Amato, Casini, Cartabia, Casellati, Cassese&C.: e li ha sventati, dando sponda al no di Salvini sul premier (nei giorni dispari). Come piano B, non gli dispiaceva il Mattarella bis invocato a gran voce dai gruppi M5S: e l’ha avuto. Il suo piano A erano tre nomi di livello e non di parte: Riccardi, Belloni e Severino. Ma giocava con due handicap: non poter votare nessuno dei candidati altrui e dover trattare col coltello di Di Maio conficcato nella schiena. Venerdì sera poteva fare strike dopo il vertice con Letta e Salvini, concordi sulla rosa che includeva la Belloni: l’unica candidata che non aveva veti da nessuno, anzi godeva da giorni dei consensi di tutto il centrosinistra e della Meloni, cui si era aggrappato in corsa pure Salvini dopo lo sfracello Casellati.

Un compromesso “alto” e innovativo, gradito anche a Draghi ormai rassegnato a restare premier. Poi non la “crisi della politica”, ma alcuni politici con nome e cognome – Letta, Di Maio, Tajani e Renzi – l’hanno sabotata e affossata per puri interessi di bottega. Gli elettori se ne ricorderanno, si spera.

Salvini. Da quando qualcuno gli ha parlato del kingmaker senza spiegargli cosa sia, è rientrato in modalità Papeete senza mai azzeccarne una. Ha incenerito una dozzina di candidati, fino al capolavoro Casellati. Poi, per coprirne le tracce, ha avuto un lampo di lucidità sulla Belloni. Ma è stato un attimo. Ieri ha detto che il Mattarella bis è il suo trionfo: come no.

Letta jr. C’è chi aveva diversi candidati, chi molti, chi troppi: lui non ne aveva nessuno. Anzi uno – Draghi – ma non poteva dirlo per non sfasciare il Pd e il centrosinistra. Ha chiesto un presidente condiviso tra i due poli, ha dato tre volte il via libera alla Belloni (“scelta onorevole”) finché non s’è concretizzata e lì, quando l’hanno condivisa i due leader del centrodestra e quello del primo partito, l’ha bocciata perché lui voleva Draghi e Renzi, i renziani Pd e B. volevano Casini. Con i mirabili risultati di spaccare la maggioranza e il centrosinistra, apparire un po’ meno responsabile di Salvini e far incazzare Mattarella. Ora dovrà spiegare agli eventuali elettori perché, grazie a lui, l’Italia non ha la sua prima presidente della Repubblica, ma lo stesso di prima.

Meloni. Ha lasciato che Salvini girasse a vuoto fino a rintronarsi e schiantarsi, poi l’ha portato dove voleva lei: sulla Belloni. E s’è pure concessa il lusso di dare del sessista a Letta e di distinguersi dagli altri non votando Mattarella. Con B. al San Raffaele e Salvini al Papeete, si conferma l’unica testa pensante del fu centrodestra.

Renzi. Esistendo ormai solo su tv e giornali, fino a un anno fa era il perfetto Demolition Man: infatti distrusse tre governi (tra cui il suo), il Pd, Iv e se stesso. Ora non riesce più neppure a demolire: la Belloni l’ha affossata il Pd. Ha sponsorizzato fino all’ultimo Casini (che non meritava, poveretto) escludendo il Mattarella bis, e ora finge di averlo voluto lui. Non fiori, ma opere di bene.

Di Maio. È il Renzi dei 5Stelle. Beniamino dei giornaloni (quelli che gli davano del bibitaro), ma non più degli elettori (vedi insulti sui suoi social), ha giocato fin da subito per Draghi (che un anno fa voleva “uccidere in Parlamento”), contribuendo a mandarlo al massacro, contro il suo leader e il suo movimento. Ha incontrato, sentito e promesso voti a tutti, anche a quelli che quattro anni fa non voleva vedere neanche in cartolina. Ha definito “mia sorella” la Belloni, poi ha fatto di tutto per impallinarla. Per molto meno, se fosse ancora il capo dei 5Stelle, si sarebbe già espulso.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/01/30/il-sabato-delle-salme/6473751/

sabato 29 gennaio 2022

Quelle figuranti del capo leghista per la “carta rosa”. - Maddalena Oliva

 

È l’alba delle maratone tv. La giornata, nel suo epilogo, sembra avere dell’incredibile, ma sono ancora solo le 12. Un interrogativo avanza in diretta. Ci colleghiamo con Matteo Salvini, ha convocato alla Camera una conferenza stampa. “Ha accanto Erika Stefani e Laura Ravetto, non so se ci sia una ratio nelle posizioni…”, dicono da studio. “Nella stessa sala dove un altro Matteo aveva accanto due parlamentari di sesso femminile, ma almeno lì la presenza era dovuta al fatto che le due stavano per dimettersi da ministre. La presenza oggi di Ravetto e Stefani a cosa va attribuita?”. Già, a cosa andrà attribuita l’eccezionale presenza di due donne accanto al Segretario, se non “a sottolineare che è una candidatura femminile quella della presidente del Senato”? Donne come figuranti e pure in versione testimonial/supporter. E così, con tale premessa, tra i vari spettacoli che il grande gioco del Quirinale ci sta restituendo in questi giorni, abbiamo assistito anche a questo. Ovvero a un condensato di idiozie, arretratezze culturali, vittimizzazioni secondarie e stereotipi di genere, in formato conferenza stampa.

Salvini – Chi mi è vicino non è stato scelto a caso… (figurine sì, ma con ratio). Do la parola per un minuto a Laura Ravetto (in quanto capo io ti concedo, donna, il diritto di parlare, giusto per un minuto però) responsabile Pari opportunità e poi Erika Stefani, ministro alle disabilità (mistero del genere).

Ravetto – Sono orgogliosa di avere un leader che per primo nella storia (Ravetto, come predisposizione, deve essere rimasta ai tempi dell’adorazione di B.) propone il nome di una donna alla presidenza della Repubblica. Oggi c’è l’occasione di praticare davvero le pari opportunità (che vanno praticate, mi raccomando)… Avere una donna alla Presidenza della Repubblica permetterebbe di avere un’alleata ancora più forte (un uomo, no) sulle tematiche di questo settore (“settore”). Penso alle battaglie per un fondo per le giovani madri, al bonus bebè… (per chi avesse dubbi sul modello di donna del loro immaginario).

Stefani – Come ufficio della disabilità stiamo seguendo molti temi (ha esordito davvero così, ministra della Repubblica). C’è un Paese dove una parte di cittadini è stata dimenticata (per proprietà transitiva, l’equazione evidentemente è: disabile = soggetto debole; soggetto debole = donna; donna = disabile). Abbiamo previsto un fondo per l’autismo per interventi socio-assistenziali… E poi quello abbiamo fatto per l’accesso alle Ztl… La presidente Casellati ha dato prova di sensibilità sul tema, ha fatto visite… (attenta e caritatevole, come si vuole una donna).

Una conferenza stampa che mostra il livello della classe politica di un Paese, il nostro, in cui la questione della rappresentanza politica delle donne non è riuscita, almeno finora, a fare quel salto di “normalità” che altrove, invece, si è verificato. Tutto è eccezionale, se si parla di donne. Tutto è strumentale. Tutto diventa sminuente. Dietro i tanti appelli (più o meno retorici) per una donna al Colle – “Una donna al Quirinale” “E se fosse donna?” “Perché non una donna?” “Ipotesi donna” – c’è pure la stessa logica: la bandiera che diventa figurina. Basta che sia rosa, e che si possa scartare. Meglio senza nome (così è stato per giorni), e senza che si discuta del profilo. Essere donne non significa essere “categoria da proteggere” o “vittime”. Qualcuno a Salvini lo spieghi (e non solo a lui). E se alla fine, pur se per disperazione che convinzione, si arriverà a un Presidente della Repubblica dal profilo di Elisabetta Belloni o di Paola Severino, per i vari Matteo della nostra politica si chiuderà come per Riccardo III: disarcionati dal proprio destriero, a terra. “Un cavallo, un cavallo, il mio regno per un cavallo!”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/01/29/quelle-figuranti-del-capo-leghista-per-la-carta-rosa/6472727/

Quelli che… - Marco Travaglio

 

Quelli che votano scheda bianca per non sporcare, oh yeah (Enzo Jannacci).

Quelli che prendono la scheda dall’urna e se la passano di mano in mano e sono otto e poi la sera devono pure raccontarlo in famiglia.

Quelli che facevano i portaborse e si vergognavano, poi li hanno promossi a portaborsette della Casellati e si bagnano tutti.

Quelli che vedrete, lei piacerà a tutti, anche se sta sulle palle pure a se stessa.

Quella che, siccome è sicuro che mi eleggono presidente della Repubblica, me ne sto lì in aula per assistere al mio trionfo in diretta tv e faccio una figura di merda in mondovisione.

Quella che la presidenza del Senato le stava stretta e infatti, se avesse una faccia, avrebbe perso pure quella.

Quelli che gli scatoloni delle foto non erano di Mattarella, ma della Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare.

Quelli che si credevano il kingmaker di Berlusconi, Frattini, Cassese, Nordio, Massolo e altri dodici, invece erano il serial killer che li ha centrati tutti al primo colpo.

Quelli che si credevano il kingmaker e poi sono morti di dolore come king Lear, pensando che fosse il marito di Amanda.

Quelli che invece i kingmaker sono Di Maio e Renzi con i parenti stretti.

Quelli che vogliono rieleggere Mattarella un po’ alla volta, così non se ne accorge.

Quelli che, se uno vota Mattarella, allora vuole Draghi (e lo manda Di Maio).

Quelli che, se uno vuole Draghi (e lo manda Di Maio), allora vota Mattarella.

Quelli che sono di sinistra e quindi “il mio ruolo è proteggere Draghi” perché me l’ha detto mio zio.

Quelli che “chiudiamoci in una stanza a pane e acqua”, ma non sanno cosa dire, a parte il menu.

Quelli che loro al Quirinale non ci tengono, poi chiamano tutti, persino Salvini, e si fanno beccare con lui in via Veneto.

Quelli che la sconfitta della politica sarebbe non eleggere un banchiere, mentre la vittoria della politica è eleggere un banchiere.

Quelli che siccome vogliamo vincere tutti, allora facciamo perdere l’Italia, rifilandole Draghi e lasciandola senza governo con 400 morti Covid al giorno.

Quelli che vanno alle maratone tv e non capiscono neanche quello che dicono loro.

Quelli che “voglio una donnaaa!” (Ciccio Ingrassia, Amarcord).

Quelli che purtroppo Draghi è maschio.

Quelli che, secondo me, Draghi ha un che di femminile.

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Stalker arrestato e subito liberato. Il pm a Cartabia: “Norma da rifare”. - Antonella Mascali

 

La ministra della Giustizia Marta Cartabia appena il mese scorso aveva elogiato le misure per proteggere e mettere in sicurezza le donne vittime di violenza, aveva citato in particolare la legge che ha introdotto l’arresto in flagranza per chi viola il divieto di avvicinamento, facendo finta di nulla rispetto alle preoccupazioni, pure segnalate, dalle procure italiane, che questa legge non si può applicare. Un caso concreto successo ieri a Parma, che tra poco racconteremo, è la prova sul campo del cortocircuito normativo di cui fanno le spese le vittime. La legge entrata in vigore a ottobre scorso (articolo 387 bis del codice penale) non si può eseguire perché non è stata fatta una cosa tanto semplice quanto essenziale: la modifica di un articolo del codice penale collegato. Ed ecco che un uomo è stato sì arrestato a Parma mentre bussava alla porta di casa della sua ex compagna , violando un ordine di non avvicinamento, ma è tornato subito dopo in libertà. Il procuratore Alfonso D’Avino ha evidenziato le incongruenze della legge al ministero della Giustizia, senza ricevere alcuna risposta. Dopo il caso di ieri ha spiegato cosa accade: da un lato “la polizia giudiziaria è obbligata all’arresto ma, dall’altro, il pm, al quale viene trasmesso il verbale di arresto per la convalida, non può richiedere nessuna misura coercitiva, ma deve disporne la liberazione”.

Come mai? D’Avino ha parlato di una “situazione paradossale” che si è venuta a creare dopo che è stato introdotto l’arresto obbligatorio in flagranza per questo reato, “non è stata modificata la norma che prevede i casi nei quali il pm può chiedere la misura coercitiva. La conseguenza è che – come nel caso in questione – all’arresto obbligatorio da parte della polizia giudiziaria deve seguire l’immediata liberazione da parte del pm”. Il riferimento del procuratore è alla mancata modifica dell’articolo del codice penale, il 381, che elenca i reati per i quali in caso di flagranza può avvenire l’arresto pur non prevedendo il reato una pena superiore a 3 anni come – appunto – il reato di violazione di divieto di avvicinamento che, in base al codice Rosso, varato durante il governo precedente, prevede dai 6 mesi a 3 anni di pena. Bastava aggiungerlo a quell’elenco e l’arrestato di ieri non sarebbe tornato in libertà. Invece, abbiamo letto in una circolare interna, di novembre, della procura di Torino, la legge così com’è “rischia non solo di limitare di molto le finalità di tutela che il legislatore si proponeva di realizzare, ma anche di complicare la gestione dei procedimenti che da tali arresti potranno scaturire”. E infatti così è stato.

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venerdì 28 gennaio 2022

Quelli che... - Rino Ingarozza (28/01/2022)

 

Quelli che...

Berlusconi è il migliore. Ma come, un puttaniere, pregiudicato, finanziatore della mafia? Correggiamo....Berlusconi era quasi il migliore.

Quelli che...

Il migliore Presidente possibile, in effetti, è Letizia Moratti. Ma come, quella che è stata condannata dalla Corte dei conti a versare nelle casse del comune di Milano, 600 mila euro per retribuzioni alquanto onerose (circa 3 milioni) a dirigenti esterni e addetti stampa?

Quelli che.....
Stavamo scherzando (per vedere l'effetto che faceva). Il miglior Presidente della Repubblica è Sabino Cassese?
Ma come, quello che disse che i DPCM fatti da Conte erano incostituzionali? E la Corte costituzionale lo ha smentito?
Quelli che.....
Ok, ecco, ho trovato. Ecco il nome che unisce. Maria Elisabetta Alberti Casellati. Su di lei garantisce Berlusconi.
Ma come, quella che ha asserito che a Berlusconi avevano detto che Ruby era la nipote di Mubarak? Quella che è andata fuori il tribunale di Milano a gridare contro i giudici che avevano osato indagare il suo capo? Quella che prende l'aereo di Stato anche per andare a pisciare?
Ma siete incontentabili. Sti grillini prima mi dicevano no, quando ero al Governo con loro, ora dicono di no su tutti i nomi che il centro destra propone.
Caro Salvini non è che il Movimento ti dice di no per antipatia. Non sei antipatico, sei persino simpatico per le cazzate che dici ogni giorno. Se si votasse per entrare nel programma Zelig, voteremmo tutti per te.
Tutti uniti.
Il problema è che si vota per la più alta carica dello Stato. E voi proponete tutta gente che, non è che abbia degli scheletri nell'armadio, ha un intero ossario.
Capisci?
Capisco che per entrare nei vostri partiti non è condizione essenziale, ma uno incensurato o che non si debba vergognare del proprio comportamento, non ce l'avete?
Uno normale, diciamo.
E poi mi dici per quale motivo si debbano accettare i nomi che proponi tu?
Quale divinità ti ha incensato?
Se hai i voti, eleggi chi vuoi tu ....(come mai in questa tornata non avete pensato a Vittorio Feltri, come la scorsa volta?) ma visto che i voti non ce li hai, te lo posso proporre io un nome?
Ernesto Che Guevara.
Me lo voti?

Rino Ingarozza Fb

Ma mi faccia il piacere. - Marco Travaglio

 

Vergogna l’è morta. “Quanto costa curare un No Vax. Solo in Piemonte il conto dei ricoveri in rianimazione arriva a quasi 500 mila euro al giorno” (Stampa, 20.1). Vergognarsi mai, eh?

Gli oracoli di Delfi. “L’operazione Scoiattolo è finita, ora il Cavaliere indichi lui Mario Draghi” (Vittorio Sgarbi, deputato FI, 20.1). “Berlusconi, voci di un passo indietro, con indicazione per Draghi” (Francesco Verderami, Corriere della sera, 21.1). “Il Cav. punta su Draghi” (Claudia Fusani, Riformista, 21.1). A questi Nostradamus gli fa una pippa.

Adotta un nonno. “O sul Colle o a Palazzo Chigi, l’Italia non può rinunciare a Draghi” (Mario Ajello, Messaggero, 21.1). “I rischi di non avere Draghi né al Quirinale né a Palazzo Chigi” (rag. Cerasa, Foglio, 18.1). “Attenti a non sprecare Draghi” (Lilli Gruber, Sette-Corriere, 21.1). “Draghi va tutelato: non averlo al Colle né al governo sarebbe una rovina” (Andrea Romano, deputato Pd, Riformista, 21.1). “Per i mercati Draghi deve restare da qualche parte” (Libero, 23.1). Ma infatti: c’è sempre l’Abi, o la Federcaccia.

Suicidio assistito. “Tandem Letta-Di Maio in pressing su Conte: il nome giusto è Draghi” (manifesto, 20.1). Come alternativa alla classica clinica svizzera.

Autopressing. “Csm, Cartabia in pressing: ‘Riforme non più rinviabili’” (Stampa, 22.1). La riforma del Csm fu varata da Bonafede e licenziata in Consiglio dei ministri dal Conte 2 nell’agosto 2020. Ora, dopo che ci ha messo le mani la Cartabia, è di nuovo bloccata da sei mesi dal governo Draghi: infatti la Cartabia ce l’ha con noi.

Muri. “Ministra Cartabia, sul carcere ora rompa quel muro di gomma” (Dubbio, 15.1). Purchè non rompa quelli di cemento armato.

Mani.“Mattarella e Cartabia bandiera bianca: la giustizia resta in mano ai pm” (Piero Sansonetti, Riformista, 20.1). Per darla in mano agli imputati bisogna attendere la prossima riforma.

Senti chi parla/1. “Archivio Genchi, Berlusconi: ‘Intercettazioni, presto ci sarà un’enorme scandalo’” (Giornale, 25.1.2009). “Si sgonfia la bufala dell’‘archivio Genchi’” (Giornale, 18.1.2022). Indovinate chi l’aveva fabbricata.

Senti chi parla/2. “Grave la sfiducia a giallorossa a Fuortes. I 5Stelle quale idea hanno mai avuto della televisione pubblica?” (Claudio Petruccioli, Pd, ex presidente Rai, Riformista, 18.1). Lui invece un’idea ce l’aveva: quella di Mediaset.

Facce da Mef. “Il cashback contro l’evasione è stato uno spreco di soldi, dice il Mef” (Foglio, 18.1). Infatti, contro l’evasione fiscale, il Mef ha fatto un bel condono fiscale.

Segretissimo. “Renzi pensa a Gentiloni. È la sua carta segreta” (Libero, 17.1). Talmente segreta che la sa persino Libero.

Chi è Stato. “Andreotti grande statista, ma dello Stato Vaticano” (Corriere della sera, 18.1). Capitale: Palermo.

Libertà di lingua. “Cesara Buonamici: ‘Mi volevano Rai e La7. Ma la libertà è al Tg5’. Pier Silvio: ‘Credibili dal ’92’” (Libero, 13.1). Siccome non glielo dice nessuno, se lo dicono da soli.

Raggieri. “Gualtieri: ‘Alla Capitale arrivano pochi fondi’” (Repubblica, 21.1). Sembra di sentire la Raggi quando chiedeva i fondi a Gualtieri.

La quinta Evangelista. “Doppia morale da M5S sulle questioni giudiziarie. Non potevo più restare” (Elvira Evangelista, senatrice eletta con i 5Stelle e passata a Italia Viva, Messaggero, 21.1). Molto meglio l’unica morale renziana.

Reato grillino. “Grillo vittima del grillismo. Sotto inchiesta per traffico d’influenze, il reato ‘preferito’ dal M5S” (Giornale, 19.1), “La nemesi di Beppe: nei guai per il reato più amato dai grillini” (Dubbio, 19.1). “Grillo indagato per traffico d’influenze, il reato che al M5S piace tanto condannare” (Foglio, 19.1). “L’accusa: traffico d’influenze. Il reato grillino colpisce Grillo” (Aldo Torchiaro, Riformista, 19.1). Talmente grillino che ce l’ha tutta Europa e in Italia lo portò il governo Monti con la legge Severino, quando i grillini non erano neppure in Parlamento.

Chi può e chi no. “Ucraina, aperto il primo fronte: gli Usa contro le fake news russe” (Stampa, 21.1). In attesa che qualcuno apra il secondo fronte contro le fake news americane.

Il consulente incompreso. “In otto giorni fuori dalla pandemia se facciamo il test a tutti” (Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute, Repubblica, 21.1). È un peccato che nessuno gli dia mai retta, sennò il Covid manco arrivava.

Il titolo della settimana/1. “Camici: Fontana verso l’archiviazione. Respinte dalla Svizzera le rogatorie italiane. Sbugiardato Travaglio” (Libero, 23.1). Uahahahahah.

Il titolo della settimana/2. “Conte untore Covid in Europa” (Giornale, 22.1). “Il virus si è diffuso in tutto il mondo a causa dei ritardi del governo Conte” (Franco Battaglia, Verità, 23.1). In Europa, in tutto il mondo, ma soprattutto nella galassia.

24 gennaio, 2022

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No, tu no, però forse anche sì: il nome flambé. - Antonio Padellaro

 

Di Elisabetta Belloni parlano bene in tanti. Da Mario Draghi, che l’ha voluta alla guida dell’Intelligence (entrambi allievi dei gesuiti all’Istituto Massimo). A Luigi Di Maio, che assai l’apprezzò come segretario generale della Farnesina (“è mia sorella”, bum). Per non parlare di Giuseppe Conte, tra i primi a candidarla. Dovrebbe piacere a Enrico Letta (che però tiene la bocca chiusa nella consueta modalità subacquea). Mentre (udite udite) non dispiacerebbe affatto a Giorgia Meloni. Dunque è tutto fatto, sarà lei la prima donna al Quirinale in un clima di ritrovata stabilità di governo, e dunque con buona pace del premier che più facilmente manderebbe giù il rospo della mancata elezione? Manco per niente, perché almeno a sentire ieri sera gli aruspici di Montecitorio che compulsano in presa diretta i cattivi umori di Montecitorio, “la Belloni sta tramontando”.

Come mai e perché? Mistero assoluto, a meno che non stia pesando sul futuro delle istituzioni il giudizio pallonaro di Clemente Mastella: “È come se un portiere volesse fare il centravanti” (il brasiliano Ceni con 120 gol in carriera e il paraguaiano Chilavert con 60, stanno a dimostrare che è possibile). Insomma, in quattro giorni di votazioni e quattro scrutini la politica dei partiti, così ansiosa di riacquistare ruolo e centralità contro l’invadenza dei maledetti tecnici, si è distinta esclusivamente nella nobile arte di bruciare i candidati altrui. Draghi no, perché il M5S, Salvini e una parte del Pd preferiscono lasciarlo dove sta. Casini no, perché Berlusconi non dimentica i tradimenti del passato e perché, dice Salvini, ha in tasca la tessera del Pd. Cassese no, perché i grillini non dimenticano come sparò contro i Dpcm di Conte e contro Conte medesimo. Cartabia no, perché i grillini non dimenticano la “schiforma” della Giustizia. Il trio Moratti, Pera, Nordio no, perché nel frattempo si sono dimenticati di loro. Amato no, perché la destra ne diffida (e pure i grillini). La Casellati no, perché ne diffidano in troppi, trasversalmente. Mattarella bis no, perché è lui a diffidare di chi lo sta votando. Nel generale impallinamento, gli aruspici di Palazzo sostengono che, attenzione, anche chi è stato carbonizzato dai veti incrociati potrebbe tornare a essere commestibile per il Colle. Avremo un presidente flambé?

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Ho visto cose… - Marco Travaglio

 

Ho visto cose che voi umani… avete visto tutti, salvo i fortunati che non guardano la tv e i giornaloni.

Ho visto il presidente del Consiglio fare le consultazioni per scegliersi il presidente della Repubblica e minacciare, tramite indiscrezioni mai smentite alla stampa amica, di prendere cappello e andarsene se non fosse eletto lui o chi piace a lui.

Ho visto Salvini rientrare al Papeete (gli porta buono) e lanciare per aria tre candidati all’ora come frisbee e scordarseli subito dopo mentre ne lancia altri (tra cui Cassese che lo dipingeva come un troglodita “fuori dalla legalità costituzionale”), confondendo il kingmaker con King Kong.

Ho visto il centrodestra candidare a capi dello Stato Berlusconi, Pera, Moratti e Nordio e poi smettere per non soffocare dal ridere, su consiglio del prof. Zangrillo.

Ho visto il terrore negli occhi dei forzisti alla sola idea che la forzista Casellati prenda voti, certamente non da loro.

Ho visto grandi elettori a forma di poltrona votare Mattarella per dire che va bene tutto tranne Draghi e grandi giornalisti a forma di lingua che li spacciavano per fan di Draghi in incognito.

Ho visto Di Maio lanciare l’ultimo sombrero sulla Belloni al grido di “lei è mia sorella”, dopo aver fatto trapelare parentele strettissime con tutti i quirinabili su piazza (una sessantina) e senza spiegare come possa un avellinese di 35 anni avere una sorella romana di 63, cosa mai vista prima se non nella famiglia Mubarak. E comunque Draghi è suo nipote.

Ho visto Letta e Renzi insieme (bella battuta già questa) inventare candidati inesistenti, Frattini e Casellati, per fingere di stopparli con la sola forza del pensiero.

Ho visto bocciare Frattini per l’unica cosa che non ha, le idee: “Non è atlantista”, infatti da ministro degli Esteri disertava i vertici europei per starsene su un atollo delle Maldive, sull’oceano sbagliato. Dunque è indianista.

Ho visto due giovani vedove di SuperMario – il rag. Cerasa e Feltri jr. – strillare e flagellarsi come prefiche per il “Draghicidio” e “l’omicidio politico alla baby gang” sol perché qualcuno minaccia di lasciare il premier a fare il premier, malgrado lo scarso rendimento fin qui dimostrato.

Ho visto il sessantaseienne Casini postare su Instagram una sua foto di diciannovenne già democristiano e rivendicare la sua “passione per la politica”, come se questo potesse giovargli.

Ho visto le migliori firme del Paese manifestare sincero stupore per avere scoperto all’improvviso che quell’affabile compagnone di Draghi, pur così empatico, non è amatissimo dai parlamentari, almeno da quelli italiani.

Non ho ancora visto il nuovo presidente della Repubblica, ma questo è un dettaglio.

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giovedì 27 gennaio 2022

Maria Elisabetta Alberti Casellati, la corsa a perdifiato per apparire quirinabile. Chi è la storica pretoriana di Berlusconi: dalla marcia sul tribunale alla spola con i voli blu fino alla battaglia per il suo vitalizio. - Diego Petrini

 

Se c'è qualcuno che prima di questi giorni ha creduto alla sua candidatura a capo dello Stato è lei. Tra incidenti diplomatici e incidenti veri e propri, negli ultimi 3 anni la presidente del Senato (eletta per un testacoda della Storia) ha fatto di tutto per far dimenticare le cose che ha detto e fatto nella sua "vita precedente". Ma non sempre ci è riuscita.

Una volta si guardò allo specchio e in traslucido forse le comparve Pertini. Infuriava la seconda ondata del virus, il governo contava centinaia di morti e doveva decidere di togliere alla gente – dopo i cinema, le cene fuori, le scuole – perfino il Natale. Eppure Maria Elisabetta Alberti Casellati, diventata presidente del Senato per una testacoda della Storia grazie ai voti dei 5 Stelle, scelse quel momento per assaltare il governo: insieme agli auguri di Natale impacchettò una sequela di accuse sui “troppi errori” nella lotta al virus: “E’ incomprensibile – scandì – che gli italiani non sappiano ancora come comportarsi per il Natale” e per esempio se “potere portare un augurio ad un genitore anziano, solo e magari anche malato”. In effetti era il problema di tanti: non tanto il dilemma su come organizzare la tavola, sistemare i segnaposti e contare i bicchieri per il vino, piuttosto quello di spostarsi da una città all’altra, magari con un treno o un aereo, da prenotare all’ultimo momento, spesso a prezzi da rivolta di piazza.

Un problema che la presidente durante i mesi della pandemia non aveva mai avuto: dal registro del Falcon 900 dell’Aeronautica a disposizione della seconda carica dello Stato emerse, col riverbero dei giornali tra cui il Fatto, che da maggio 2020 ad aprile 2021 Casellati usò il suo aereo blu 124 volte, cioè con la media di uno ogni tre giorni. Tre volte su 4 il tragitto era stato Roma-Venezia o all’inverso, cioè per andare o tornare da casa. In altre occasioni la meta era stata la Sardegna: no, non di dicembre, ma in pieno agosto. Lo staff della presidente spiegò che la presidente per motivi di salute (si disse alla schiena) non può sottoporsi a lunghi viaggi in auto. Lei stessa si sfogò durante una visita a Milano con gli incolpevoli Beppe Sala e Attilio Fontana: “Tutto per andare a lavorare: non c’erano treni, non c’erano aerei, questo nessuno lo dice”. Per far andare a lavorare Casellati in quegli 11 mesi l’ammontare dell’esborso pubblico è stato, secondo un calcolo di Angelo Bonelli, di un milione di euro.

Più spesso sullo specchio di Casellati è apparso invece Mattarella. Anche con imbarazzanti incidenti diplomatici come quando la presidente del Senato portò con sé in Libano la ministra Elisabetta Trenta quando invece di solito chi guida la Difesa accompagna solo il capo dello Stato. E anche con incidenti veri e propri, s’intende in macchina. Sulla strada per Vo’, in provincia di Padova, dov’era in programma la visita del presidente della Repubblica per l’inaugurazione dell’anno scolastico. Il convoglio di Casellati era in ritardo e c’era il problema che il protocollo dice che solo il capo dello Stato può essere l’ultimo a presentarsi sul luogo della cerimonia. Il corteo senatoriale tentò il sorpasso sulla diligenza quirinalizia e finì a sportellate, e non è una metafora, fu proprio una specie di autoscontro. La scorta di Casellati finì contro la scorta di Mattarella, cioè quella che precedeva il veicolo in cui si trovava il presidente. L’interruzione delle corse clandestine presidenziali fu definitiva quando sulla corsia opposta spuntò anche un pensionato con la Panda che attraversava la campagna padovana. Risultato finale: brutto quarto d’ora di confronto tra le due scorte e il pensionato in un fossato fuori strada.

Quella di questi quattro anni di Maria Elisabetta Alberti Casellati è stata sempre una corsa a perdifiato per far dimenticare ciò che ha fatto, ha detto, è stata prima dell’elezione al vertice del Senato, un lavoro matto e disperatissimo per apparire congrua al ruolo, questo di ora e – vedi mai – quello un gradino superiore. C’è qualcuno che ha sempre creduto al triplo salto con avvitamento che avrebbe portato Casellati alla presidenza della Repubblica, molto prima che se ne cominciasse a parlare in questi giorni. E quel qualcuno è lei.

Ora per forza di cose è molto difficile, tre anni e mezzo dopo la sua elezione a presidente del Senato, non ricorrere all’autoimprestito di ciò che ilfattoquotidiano.it già raccontò della storia personale della prima donna presidente del Senato, eletta – con un gioco di parole sbalorditivo, di cui il M5s dopo tutto questo tempo non si è mai pentito – a capo di una delle Camere del Parlamento che doveva essere quello della “legislatura del cambiamento”, iniziata con il governo spaccatutto – morto dopo 13 mesi – e (quasi) finita a discutere se il presidente della Repubblica lo deve fare Pierferdinando Casini, stipendiato dal Parlamento dal 1983, o appunto Casellati, la “berlusconiana più berlusconiana di tutte”, da definizione di Guido Quaranta.

Avvocata, specializzata in diritto canonico, matrimonialista, docente universitaria, fondatrice di Forza Italia, padovana, vicina a Niccolò Ghedini, più volte sottosegretaria. Altera, rigida e quindi fedele, fino alle estreme conseguenze: compresa quella di diventare la carta di Silvio Berlusconi – al quale ha votato tutta la sua vita politica – per cassare un po’ della vecchia biografia. Non più il capo di governo che si rinchiude nella cantinetta con le vallette, ma il leader di partito che ha portato una donna alla carica più elevata, la seconda dello Stato. Le toghe rosse, il colpo di Stato, la persecuzione giudiziaria, la democrazia in pericolo, la giustizia a orologeria, la “dittatura mediatica”: Maria Elisabetta Alberti Casellati ha sempre rispettato tutto il pentagramma di Forza Italia, è stata, anzi, tra i corifei che negli ultimi dieci anni, vent’anni, hanno difeso con tutto l’armamentario il capo assoluto davanti a qualsiasi intemperia.

Con le parole: nel 2011 Dagospia raccontava che in tre anni la Casellati, allora sottosegretaria alla Giustizia, aveva cambiato 26 addetti stampa, alcuni scartati e altri fuggiti perché non riuscivano a stare dietro “all’ansia da prestazione mediatica”. Una pratica – il tiro a volo con i collaboratori – che in questi dieci anni, dopo il tramonto al rallenti di Berlusconi e la sua ascesa allo scranno più alto di Palazzo Madama, Casellati non ha mai abbandonato, come ha raccontato di nuovo pochi mesi fa Salvatore Merlo sul Foglio. Ma ha protetto il suo capo anche con le sue opere: fu sostenitrice e qualcuno dice collaboratrice fattiva del ddl sul processo breve – governo Berlusconi IV, ministro Alfano – che avrebbe cancellato una montagna di processi e tra questi, per coincidenza, quelli su Mills e Mediaset. Un po’ dopo, all’inizio dell’altra legislatura del cambiamento, cinque anni fa, fu tra i 150 parlamentari del Popolo delle Libertà che marciarono sul tribunale di Milano contro la celebrazione del processo Ruby. “Quando Berlusconi ha incontrato Mubarak prima di questo episodio – andò a dire in tv – pare che sia venuto fuori da alcune testimonianze che proprio nell’incontro Mubarak aveva parlato di questa sua nipote, ed era un incontro ufficiale”.

Insieme ad altre colleghe senatrici si vestì completamente di nero nella seduta del Senato del 27 novembre 2013: era in calendario il voto per la decadenza di Berlusconi da senatore, cioè il giorno del “lutto per la democrazia” spiegarono. Per lei Berlusconi, anche dopo la sentenza in Cassazione, era innocente “e gli italiani lo sanno”. Gli altri, quelli che votavano a favore della decadenza, erano un “plotone di esecuzione“. Berlusconi non sbaglia mai: Cruciani la intervistò durante una vecchia edizione della Zanzara e lei rispose di non aver mai sentito l’ex premier raccontare una sola barzelletta oscena, cioè la terza o quarta cosa per cui Berlusconi è famoso. “Ma come, non sa quella della mela?”, che Berlusconi aveva raccontato durante una riunione a Palazzo Grazioli e la cui trasposizione in video era finita su cento siti. Lei spinse il solito tasto play: “Ciò che si fa in privato…” eccetera.

Una donna che pensa alle donne, provò a convincere nel suo discorso di insediamento. La sua storia dice che è favorevole alla riapertura delle case chiuse, che firmò una proposta di leggere per abolire la legge 194 sull’aborto, che disse che il via libera alla pillola abortiva Ru486 “strizza l’occhio alla cultura della morte”. Una volta Berlusconi disse che cancellare gli stupri dall’elenco dei reati era una missione impossibile ”anche in uno Stato poliziesco” e che l’unica sarebbe stata mettere un soldato accanto “a ogni bella ragazza”. Molte si indignarono, lei no: piuttosto “l’emergenza sicurezza in Italia è figlia del lassismo del centrosinistra”. Di sicuro pensò alle donne di famiglia, però: quando lavorò al ministero della Salute, scelse proprio la figlia Ludovica come capo della sua segreteria, una storia che è stata raccontata più volte e che le Casellati hanno cercato di scrollarsi di dosso in questi (parecchi) anni.

Nell’altra vita piantò anche un casino perché aveva da ridire “sugli altissimi meriti sociali” per i quali il presidente Giorgio Napolitano nominò senatori a vita la scienziata Elena Cattaneo, l’architetto Renzo Piano, il premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia e il direttore d’orchestra Claudio Abbado, acclamato in tutti i teatri del mondo. Per una madre di direttore d’orchestra (Alvise Casellati) non capire i meriti di Abbado potrebbe portare qualche problema magari non al Quirinale, ma di sicuro in famiglia.

Nella seconda vita, quella più austera del vertice delle istituzioni, il ruolo e le ambizioni malcelate le hanno imposto una posizione subito sotto al pelo dell’acqua e un po’ di smussatura delle sue uscite pubbliche: tutte le Prime alla Scala, molti concerti nell’emiciclo di Palazzo Madama (struggente il suo trasporto per Amedeo Minghi all’acme di Trottolino-amoroso, dudu-dadadà), corone d’alloro, tricolori, galà, ricevimenti in ambasciate, istituti italiani di cultura, associazioni di solidarietà. Nei suoi tour (compiuti anche via terra) ha ricevuto una invidiabile collezione di premi. Ci si limita qui per comodità alla lista verbalizzata da Wikipedia: premio Calabria nel mondo, premio Excellent 2019, Aquila di San Venceslao, Testimone del volontariato Italia, Aquila d’Oro 2019.

Casellati non disdegna anche altri riconoscimenti, più di sostanza. Il vitalizio, per dire. Come raccontò sul Fatto Ilaria Proietti, quando nel 2014 fu eletta al Csm l’amministrazione del Senato sospese l’assegno mensile perché pareva cosa giusta che una ex senatrice che sta al Consiglio superiore della magistratura non aggiunga anche la pensione da parlamentare. A lei questa cosa non è piaciuta e ha fatto partire la mitraglietta delle carte bollate per recuperare i tre anni di arretrati. Alla fine gli organi di giustizia interna del Senato, quando lei già era diventata presidente di quella Camera, le ha dato ragione. La cifra è sempre rimasta un mistero, ma si calcola che corrisponda a circa 200mila euro.

Gli avvocati non bastano, invece, quando c’è da presiedere l’Aula, che non è un lavoro per tutti perché necessita di nervi saldi, prontezza e qualche dose di ironia. Invece da lassù per Casellati sembra tutto un po’ più difficile. Gettò tutto il suo aplomb nel cestino – eufemismo – perché i commessi del Senato non riuscivano a fermare un leghista che faceva video con il cellulare. “Siete qui come pupazzi, per Dio!” strillò a microfono aperto, invocando l’Onnipotente da buona cattolica ma anche da buona veneta. Un’altra volta invece il Pd chiese di discutere della vicenda dei presunti fondi russi alla Lega sulla quale indagava la magistratura (e tuttora lo sta facendo), ma la presidente dichiarò inammissibili le tre interrogazioni, tanto da non pubblicarle nemmeno. “Il Senato non può essere il luogo del dibattito che riguarda pettegolezzi giornalistici” tirò via Casellati. Tutti gli sforzi per cambiare per effetto del ruolo che ricopre si sono infranti spesso in certe “irritualità“, come quando ha votato – cosa che da prassi un presidente non fa – sul caso Gregoretti, ovviamente insieme al resto del centrodestra. Quando vede Salvini lo scivolone è sempre dietro l’angolo. “Prego presidente” lo apostrofò in Aula nonostante Salvini non sia presidente di niente, tra i pochi in Italia.

Il leader della Lega se la prese di più quando lo invitò a concludere il suo intervento sulla (non) fiducia al governo Conte 2: “Senatore Casini concluda per cortesia”. Tutti i senatori della Lega reagirono come se fossero stati presi a male parole. Lei rise molto, lui un po’ ma volle precisare: “No, Casini no! Casini no!”. L’interessato non rispose. Poco prima aveva detto: “Mi rivolgo ai colleghi dei 5 Stelle: chi l’avrebbe detto che avremmo condiviso assieme questa esperienza? La prima volta che ci siamo visti ci guardavamo in cagnesco e adesso votiamo insieme“.

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