(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano - 9-8-2023) – La legge Severino, che estendeva ai parlamentari condannati in via definitiva le regole di decadenza e incandidabilità già previste dal Testo unico degli enti locali del 1990 per gli amministratori locali e regionali, fu approvata da tutti i partiti nel dicembre del 2012. Erano gli ultimi respiri del governo Monti, l’ammucchiata inventata da Napolitano dopo la débacle del terzo tragico Berlusconi per impedire agli italiani di votare in massa per i 5Stelle, nati nel 2009 e favoriti dai sondaggi. Il calcolo di Re Giorgio rivelò tutta la sua miopia quando, scaduta la legislatura, si dovette votare per forza nel febbraio del 2013: infatti il M5S balzò da zero al 25.5%, alla pari del Pd. Ma due mesi prima la Casta ancora s’illudeva che bastasse scimmiottare gli odiati “grillini” per farli sparire. Così, siccome Grillo, dal VDay del 2007, mieteva consensi con la campagna Parlamento Pulito e i vaffa ai 21 deputati e senatori pregiudicati, i partiti finsero di convertirsi alla legalità stabilendo, con la Severino, che almeno i condannati definitivi a pene superiori a 2 anni restassero fuori dalle Camere, come già avveniva da 22 anni in Comuni, Province e Regioni. Votò Sì persino FI, senza sapere che il primo a farne le spese sarebbe stato B., condannato a 4 anni per frode fiscale ed espulso dal Senato nel 2013.
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
giovedì 10 agosto 2023
Ora d’aria. - Marco Travaglio
venerdì 31 marzo 2023
VIVA I REATI NEGLI APPALTI! - Viviana Vivarelli.
Salvini, nuovo Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ha lanciato il nuovo CODICE DEGLI APPALTI.
venerdì 20 gennaio 2023
Legge di Planck. - Wikipedia
Di Paperoastro - Black_body.svg: Darth Kulederivative work: Paperoastro (talk), Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=72751440 La legge di Planck, formulata da Max Planck nel 1900, afferma che l'energia associata alla radiazione elettromagnetica è trasmessa in unità discrete o quanti, successivamente identificati nei fotoni. Continua su: |
sabato 12 febbraio 2022
Amianto, la nuova legge è finita in un cassetto. Fu consegnata dagli esperti a giugno del 2020. Osservatorio nazionale: “7mila morti l’anno non bastano, al governo non interessa”. - Thomas Mackinson
La legge sull'amianto del 1992 non garantisce alle vittime tutele e giustizia. L'ex ministro Costa aveva nominato una commissione (presieduta da Guariniello) che ha consegnato in tempi record una relazione, con tanto di articolato di legge. Poi cade il governo, e da un anno e mezzo non se ne sa nulla. Il presidente dell'Ona: "Manca la volontà politica, a qualcuno interessa più il nucleare". Ecco il testo dimenticato.
“Nel Pnrr non c’è quasi nulla. Il ministro Cingolani non ci convoca, né ci sconvoca. Della nostra bozza di riforma si son perse pure le tracce. Settemila morti l’anno, evidentemente, non bastano”. Parole di Ezio Bonanni, fondatore e presidente dell’Osservatorio nazionale sull’amianto (Ona) che arrivano proprio mentre il Parlamento celebra la simbolica iscrizione della tutela ambientale in Costituzione. Il giorno prima era riuscito a ottenere dal Tribunale di Genova l’ultimo indennizzo per i familiari di un operaio dello stabilimento Fincantieri di Riva Trigoso ucciso in sei mesi dal mesotelioma. Per Bonanni, però, non è tempo di festeggiare. Perché anche il “governo dei migliori” mette l’amianto sotto il tappeto. “Non c’è una vera agenda, nel recovery c’è giusto un incentivo per sostituire i tetti delle fattorie, nulla rispetto ai 40 milioni di tonnellate da bonificare. Nel superbonus 110% entra la rimozione amianto, ma solo se ristrutturi tutto. Tutti micro interventi, mentre serve una riforma strutturale che era pure già scritta, ma è finita nel nulla”.
L’Italia aveva l’occasione storica del recovery per affrontare questa grande battaglia di salute pubblica e ambientale che si trascina irrisolta dagli anni Novanta, quando la fibra fu messa al bando per legge, continuando però a mietere vittime. Solo il mesotelioma uccide ogni anno 7mila persone: considerato il periodo di latenza delle patologie asbesto-correlate, il picco delle morti cadrà intorno al 2028-2030, solo da lì inizierà una lenta decrescita dei casi. “Ma alla politica, a quanto pare, non importa” accusa Bonanni, che chiama in causa il ministro dell’ambiente: “Forse, lo dico col dovuto rispetto, a Cingolani sta più a cuore il nucleare”.
Bonanni pensa a un’altra occasione storica che si è persa per strada, di cui si sa poco o nulla. Due anni fa una speciale commissione di esperti, guidati dall’ex magistrato simbolo della lotta all’eternit Raffaele Guariniello, aveva lavorato alla stesura di una serie di proposte concrete di riforma organica della legge del ’92 che toccasse tutte le tematiche, gli aspetti giuridici, scientifici, sanitari, tecnici, procedurali, previdenziali e assistenziali per aggiornare la norma. “La commissione ha lavorato finché c’è stato il Conte II, da allora non è più stata convocata e né io né gli altri commissari sappiamo più niente. L’ultima riunione è del 15.12.2020, successivamente ho redatto una nota del 16.12.2020 alla quale non è stato dato alcun riscontro. A tutt’oggi attendiamo le determinazioni del Ministro”. Ma negli uffici di via Cristoforo Colombo si fatica pure a trovare quel testo.
A spingere per la riforma fu l’allora ministro dell’Ambiente Sergio Costa. A marzo del 2019, per decreto, nomina il gruppo esperti in materia. A presiederla è proprio Guariniello, l’ex magistrato che istruì l’omonimo processo a Torino, primo caso al mondo in cui i vertici aziendali vengono condannati. Anche Bonanni ne fa parte, insieme all’ex generale Giampiero Cardillo, nominati il 30 aprile 2019. Gli esperti si mettono al lavoro e a tempo record, meno di tre mesi dopo, presentano una corposa relazione con tanto di articolato di legge. “Guardi ho anche la data, era il 30 giungo 2020. Gli elaborati li consegnai di persona al ministro Costa, che ringrazio ancora per questa opportunità”, conferma Guariniello in un’intervista al fattoquotidiano.it in cui lancia l’allarme sul rischio di crescenti profili di impunità cui prestano il fianco le norme ora in vigore.
Fonti dell’ex segreteria del ministero spiegano : “Almeno la parte della relazione relativa agli aspetti penali e sanzionatori eravamo riusciti a inserirla nel collegato ambientale, poi ci fu la crisi di governo, e anche quella parte rimase al Dipartimento Affari Giuridici della Presidenza del Consiglio”. Da allora, non se ne sa più nulla. Guariniello non demorde: “Non è stato formalmente recepito come proposta di legge dal governo, auspico che si arrivi alla discussione parlamentare e confido molto nel lavoro delle commissioni. Sarebbe di aiuto alle tante comunità che aspettano risposte e giustizia, un giusto riconoscimento a tutti gli autorevoli membri della commissione che hanno profuso tanto impegno”. Prima però bisogna ripartire dal testo, impresa non proprio facile. Solo alla fine di un lungo giro di chiamate, con malcelato imbarazzo degli interlocutori, la bozza fantasma salta fuori dal cassetto (scarica).
E’ un documento di 58 pagine che riformula diversi articoli della 257/92 in modo da dare piena attuazione ad alcuni e aggiornare altri, alla luce delle conoscenze medico-scientifiche, epidemiologiche, giuridiche, economiche emerse in 30 anni. Tra gli altri, si prevedeva di bandire una volta per tutte l’amianto già posto in opera, facendo saltare le soglie di tolleranza limite. Di operare una stretta sui controlli delle dispersioni della lavorazione e degli smaltimenti, sull’obbligo di informazione alla autorità sanitarie elusi dalle imprese sottoposte oggi a una “sanzione meramente amministrativa di incerta applicazione”. Idem per gli adempimenti delle Asl che hanno compiti di vigilanza “non applicati sistematicamente”. Si ipotizza di rilanciare e sostenere le bonifiche con una strategia che integra finanziamento pubblico e credito di imposta per chi le fa, così da incentivare l’iniziativa privata. Di istituire un vero fondo per le vittime, pagato dagli inquinatori, che consenta l’indennizzo diretto da parte dello Stato che poi può rivalersi. Tema sentitissimo dalle associazioni delle vittime che se riconosciute tali dall’Inail devono poi sostenere lunghe cause per avere ragione di chi li ha fatti ammalare. “Oggi – spiega Bonanni, che in 20 anni ne ha patrocinate migliaia – siamo al paradosso per cui l’avvocato serve alla vittima, non a chi la uccide”.
E ancora: istituire una Procura nazionale sulla sicurezza del lavoro, operare una “radicale trasformazione della fattispecie criminosa che oggi si limita all’ammenda punita con contravvenzione”, rafforzare le pene legate all’inosservanza degli obblighi dei privati, alla punibilità degli enti e amministratori pubblici. Rivedere il sistema di sorveglianza e prevenzione epidemiologica. “Oggi censisce solo il mesotelioma, non le altre sostanze cancerogene. Il VI Rapporto risale all’autunno 2018 ed è basato su dati 2014-2015. Con un sistema di rilevazione più puntuale, attuale ed efficace i dati già allarmanti renderebbero meglio la dimensione e la progressione della carneficina in atto”. L’elenco è lungo e variegato, ma a distanza di un anno e passa, è ancora tutto sulla carta. Tanto caro agli attuali governanti che si fatica pure a trovarlo.
sabato 29 gennaio 2022
Stalker arrestato e subito liberato. Il pm a Cartabia: “Norma da rifare”. - Antonella Mascali
La ministra della Giustizia Marta Cartabia appena il mese scorso aveva elogiato le misure per proteggere e mettere in sicurezza le donne vittime di violenza, aveva citato in particolare la legge che ha introdotto l’arresto in flagranza per chi viola il divieto di avvicinamento, facendo finta di nulla rispetto alle preoccupazioni, pure segnalate, dalle procure italiane, che questa legge non si può applicare. Un caso concreto successo ieri a Parma, che tra poco racconteremo, è la prova sul campo del cortocircuito normativo di cui fanno le spese le vittime. La legge entrata in vigore a ottobre scorso (articolo 387 bis del codice penale) non si può eseguire perché non è stata fatta una cosa tanto semplice quanto essenziale: la modifica di un articolo del codice penale collegato. Ed ecco che un uomo è stato sì arrestato a Parma mentre bussava alla porta di casa della sua ex compagna , violando un ordine di non avvicinamento, ma è tornato subito dopo in libertà. Il procuratore Alfonso D’Avino ha evidenziato le incongruenze della legge al ministero della Giustizia, senza ricevere alcuna risposta. Dopo il caso di ieri ha spiegato cosa accade: da un lato “la polizia giudiziaria è obbligata all’arresto ma, dall’altro, il pm, al quale viene trasmesso il verbale di arresto per la convalida, non può richiedere nessuna misura coercitiva, ma deve disporne la liberazione”.
Come mai? D’Avino ha parlato di una “situazione paradossale” che si è venuta a creare dopo che è stato introdotto l’arresto obbligatorio in flagranza per questo reato, “non è stata modificata la norma che prevede i casi nei quali il pm può chiedere la misura coercitiva. La conseguenza è che – come nel caso in questione – all’arresto obbligatorio da parte della polizia giudiziaria deve seguire l’immediata liberazione da parte del pm”. Il riferimento del procuratore è alla mancata modifica dell’articolo del codice penale, il 381, che elenca i reati per i quali in caso di flagranza può avvenire l’arresto pur non prevedendo il reato una pena superiore a 3 anni come – appunto – il reato di violazione di divieto di avvicinamento che, in base al codice Rosso, varato durante il governo precedente, prevede dai 6 mesi a 3 anni di pena. Bastava aggiungerlo a quell’elenco e l’arrestato di ieri non sarebbe tornato in libertà. Invece, abbiamo letto in una circolare interna, di novembre, della procura di Torino, la legge così com’è “rischia non solo di limitare di molto le finalità di tutela che il legislatore si proponeva di realizzare, ma anche di complicare la gestione dei procedimenti che da tali arresti potranno scaturire”. E infatti così è stato.
lunedì 1 novembre 2021
Nino Di Matteo: “La legge Cartabia vìola la Costituzione. È buio per noi toghe”. - Marco Lillo
Consigliere Antonino Di Matteo il titolo del suo nuovo libro è ‘I nemici della giustizia’. Chi sono?
Sono tanti. Non solo mafiosi corrotti e criminali. Si annidano nelle pieghe delle istituzioni e della politica e anche della magistratura. Non possiamo far finta che questo momento non sia uno dei più bui della storia della magistratura. I mali diffusi come metastasi nel corpo della giustizia sono il correntismo, la corsa sfrenata alla carriera, la gerarchizzazione degli uffici di procura e il collateralismo con la politica.
Perché ha scritto con Saverio Lodato questo libro in questo momento così poco felice della magistratura?
Non possiamo far finta di stupirci. Dobbiamo indignarci e non nascondere la verità. Sono tanti quelli che vogliono approfittare di questo momento difficile per regolare i conti con i magistrati che hanno saputo esercitare il controllo di legalità anche sul potere finanziario e politico. C’è una logica di rappresaglia ma anche di prevenzione per il futuro. Vogliono vendicarsi ed evitare che la magistratura possa essere troppo incisiva. Ecco perché ho ritenuto di far sentire la mia voce. Non mi piace questo andazzo. La magistratura sembra rassegnata a subire l’attacco frontale di chi vuole trasformare le procure in organi collaterali e serventi rispetto al potere esecutivo.
C’è un intero capitolo nel libro dedicato alla riforma Cartabia. Quali sono i rischi maggiori?
La ritengo una delle peggiori riforme degli ultimi 30 anni. L’Europa chiedeva di accelerare i processi ma se fosse stata in vigore la riforma Cartabia, processi importanti come quello per il crack Parmalat, la strage di Viareggio o per le violenze nella scuola Diaz di Genova nel 2001, si sarebbero conclusi nel nulla. Questa normativa presenta per me aspetti di evidente incostituzionalità. Va nella stessa direzione del processo breve voluto dal premier Berlusconi e dal ministro Alfano nel 2009. Allora però ci fu una forte reazione. Gli organismi rappresentativi della magistratura, i movimenti e partiti che allora insorsero oggi sono silenti o addirittura favorevoli alla riforma Cartabia.
Poi c’è il tema dei criteri di priorità stabiliti dal legislatore. Quali sono i pericoli?
Questo punto mi preoccupa ancor più dell’improcedibilità. Le maggioranze parlamentari del momento dovranno individuare le priorità dell’azione penale. La maggioranza di turno potrà ad esempio in futuro stabilire che bisogna perseguire prima la criminalità da strada e poi, solo se resta tempo, i reati di corruzione o tipici dell’abuso di autorità. Così si mina l’obbligatorietà dell’azione penale e l’autonomia e indipendenza della magistratura. Non è solo un problema della casta della magistratura. Intravedo un grave pericolo per i cittadini e le minoranze che si oppongono alla maggioranza di turno.
Nel libro dedica un capitolo intero ai referendum sulla giustizia. Ci spiega perché è contrario?
Premetto che la Costituzione prevede lo strumento referendario anche per cambiare le norme della giustizia. Nulla da dire quindi sul metodo. Nel merito invece sono contrario a cinque dei sei quesiti. Il sesto, quello sulle firme necessarie per presentare le candidature al CSM, per me è inutile perché non serve a evitare lo strapotere delle correnti.
Lei è contrario soprattutto alla separazione delle carriere. Perché?
Il primo piano in tal senso era quello di Rinascita Democratica di gelliana memoria. Poi è diventata una bandiera di Forza Italia e del centrodestra nella seconda repubblica. L’appiattimento dei giudici sui pm è un falso storico. Basta vedere le statistiche: i giudici disattendono spesso le richieste dei pm. Inoltre sul passaggio da una funzione all’altra i paletti sono già alti. Negli ultimi 15 anni poco più del 2 per cento dei pm è diventato poi giudice e meno dello 0,5 dei giudici ha compiuto il passaggio inverso. La separazione delle carriere porterebbe, se non immediatamente in maniera inevitabile, alla sottoposizione del pm all’esecutivo e comunque consacrerebbe una figura del pm estranea alla cultura della giurisdizione.
Perché non sarebbe giusta la riforma della responsabilità civile?
Si dice che i magistrati che sbagliano devono pagare. Messaggio suggestivo ma che si basa su presupposti sbagliati. Esiste già la responsabilità penale con decine di magistrati sotto processo. Poi c’è la responsabilità disciplinare che viene fatta valere più frequentemente per noi magistrati che per altre categorie. Anche la responsabilità civile già c’è. Anche se solo per dolo e colpa grave. La normativa attuale prevede l’azione del cittadino che si ritiene leso contro il Governo per chiedere i danni. In caso di accertamento del dolo o della colpa grave, è il Governo a potersi rivalere sul magistrato. Con il sì al referendum si consentirebbe al cittadino l’azione diretta contro il magistrato. Vedo alcuni rischi: innanzitutto si determinerebbe un’incompatibilità in capo al magistrato chiamato in causa. Inoltre i magistrati che devono giudicare una controversia, civile o penale potrebbero essere indotti a favorire la parte più forte, che ha i mezzi per rivalersi sul magistrato. Tra una multinazionale e un lavoratore il giudice sarà sereno nel giudizio?
Nel libro c’è un riferimento alla sentenza Trattativa. L’appello ha ribaltato il primo grado assolvendo Marcello Dell’Utri e i Carabinieri. Cosa ha pensato?
Bisognerà attendere le motivazioni. Però alcune cose si possono già dire. Intanto non siamo stati solo noi pm a valutare certe condotte. Il giudice dell’udienza preliminare ha ritenuto giuridicamente corretta l’impostazione accusatoria. E poi la Corte di Assise – dopo 5 anni di processo e centinaia di udienze – ha scritto 5.500 pagine per motivare la condanna. Non voglio scendere nel merito delle responsabilità penali degli imputati. Però una cosa voglio dirla: sono a posto con la coscienza e sono orgoglioso di aver contribuito con i miei colleghi, pm e giudici, a far emergere fatti oggi incontestabili che solo la nostra tenacia ha fatto riemergere da archivi nascosti e polverosi. L’opinione pubblica aveva il diritto e forse anche il dovere di sapere che nel periodo delle stragi Cosa Nostra ha agito nell’ottica di un dialogo a suon di bombe con lo Stato. Nessuna sentenza potrà mai cancellare i fatti storici emersi in quel processo.
sabato 3 aprile 2021
B. e Salvini, parte l’assalto all’abuso d’ufficio. - Lorenzo Giarelli e Giacomo Salvini
Cercasi impunità - Bye bye processi. Il leader leghista (indagato) adesso vuole modificare la legge insieme a Berlusconi: addio ai tanti guai con la giustizia degli ultimi anni.
A scorrere la lista di chi, dentro la Lega o Forza Italia, ha passato dei guai per l’abuso d’ufficio si capisce perché il destino del suddetto reato sia un tema particolarmente sentito dal centrodestra. Non sono pochi infatti i nomi illustri finiti indagati per una firma di troppo o per una nomina sospetta, sorte che negli anni ha accomunato anche i due leader Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Con loro, sindaci, presidenti di Regioni, ministri: tutti alle prese con quell’abuso d’ufficio “reato fantasma che blocca l’Italia” (il copyright è di Matteo, ma immaginiamo che Silvio potrebbe sottoscrivere).
I leader. Matteo e Silvio: voli, migranti e annozero.
Partiamo da loro, dunque. Un anno e mezzo fa Salvini ha saputo di essere indagato per abuso d’ufficio in relazione a 35 voli di Stato che, secondo la Procura di Roma, meritavano un approfondimento da parte del Tribunale dei ministri. Il caso riguarda infatti alcuni viaggi compiuti dal leader della Lega durante il suo periodo al Viminale: un’inchiesta di Repubblica svelò come a ridosso di certi impegni istituzionali – ovvero quelli che giustificavano il trasferimento col volo di Stato – Salvini avesse approfittato per svolgere attività di partito negli stessi luoghi. Contattato dal Fatto, lo staff del segretario del Carroccio conferma di non aver più ricevuto aggiornamenti sull’indagine. Peraltro, lo stesso Salvini è anche a processo a Palermo per omissione d’atti d’ufficio, oltre che per sequestro di persona: dovrà convincere il giudice che il mancato sbarco della nave Open Arms, deciso quando era ministro, non ha infranto la legge.
Quanto a Berlusconi, l’abuso di ufficio è solo una delle tante tappe di una pittoresca carriera giudiziaria. Silvio finì indagato nel 2011, quando la magistratura scoprì che l’allora presidente del Consiglio si lamentava della trasmissione Annozero di Michele Santoro parlando al telefono con l’allora dg Rai, Mauro Masi, e con il commissario Agcom, Giancarlo Innocenzi. I pm prima ipotizzarono che quelle telefonate potessero essere valutate come pressioni indebite per far chiudere il programma, ma poi chiesero l’archiviazione riconducendo le conversazioni intercettate a semplici sfoghi di un privato cittadino deluso dal palinsesto.
In corso Tutti i casi aperti.
Sono tante però le indagini aperte per abuso d’ufficio che ancora riguardano uomini di spicco del centrodestra. Uno degli ultimi a ricevere l’avviso di garanzia è stato il presidente della Regione Sardegna, Christian Solinas, indagato insieme a un’assessora e al suo capo di gabinetto. Secondo la Procura di Cagliari, i tre avrebbero nominato due dirigenti che non avevano i titoli per ricevere l’incarico. Di pochi mesi fa è anche la storia di Claudio Corradino, sindaco leghista di Biella: ancora una volta, la colpa è di alcuni incarichi pubblici che l’accusa ritiene esser stati assegnati in maniera illegittima. Diverso invece il caso del senatore salviniano Giuliano Pazzaglini. I suoi guai con l’abuso d’ufficio risalgono a quando era sindaco di Visso, paese in provincia di Macerata. Il leghista è stato rinviato a giudizio perché la Procura sospetta che alcuni fondi per la ricostruzione post sisma siano stati dirottati sui conti di due società riconducibili a Pazzaglini, invece che sulle casse del Comune. Sotto inchiesta è poi Vincenzo Catapano, coordinatore provinciale della Lega a Napoli e sindaco di San Giuseppe Vesuviano: dovrà rispondere di una nomina sospetta. Da un leghista all’altro, a fine 2020 è emerso il caso di Pasquale Cariello, consigliere regionale in Basilicata, indagato per abuso d’ufficio in concorso per fatti risalenti al 2018, quando era consigliere d’opposizione nel Comune di Scanzano Jonico, poi sciolto per mafia.
Niente da fare. Assolti, archiviati o prescritti.
Chi invece è appena uscito da un’inchiesta è Attilio Fontana. Il governatore lombardo era stato accusato di aver nominato in maniera illegittima l’ex socio Luca Marsico come membro esterno del “Nucleo di valutazione degli investimenti pubblici”, ma poi è arrivata l’archiviazione del gip di Milano. Se si va più indietro nel tempo, non si fatica a trovare nomi noti. Agli sgoccioli dell’epoca d’oro berlusconiana, per esempio, fu indagato Denis Verdini, allora coordinatore nazionale del PdL. L’accusa era di aver tentato, attraverso relazioni politiche, di favorire il consorzio di un imprenditore amico nella spartizione dei lavori dopo il terremoto dell’Aquila. Il gup decise però di prosciogliere Verdini, dopo che la Camera aveva negato l’utilizzo delle intercettazioni sull’ex factotum di Silvio. Ricorda invece i tormenti di Salvini quanto successo a Roberto Maroni, anch’egli ministro dell’Interno della Lega e alle prese con i problemi dell’immigrazione. A provocare l’indagine – era il 2009 – fu il respingimento di 227 migranti salvati in acque internazionali, vicenda su cui il Tribunale dei ministri decise per l’archiviazione. Stessa fine dell’inchiesta sull’attuale ministro del Turismo Massimo Garavaglia, indagato per abuso d’ufficio per una strana operazione immobiliare risalente a quando il leghista era sia assessore in Regione Lombardia che componente del Cda di Cassa Depositi e Prestiti: nel 2014 la Regione vendette a Cdp la sede dell’ex Asl di Milano per 25 milioni di euro, ma lo stesso stabile otto mesi più tardi sarebbe stato rivenduto a un’altra società per 38 milioni. Una “operazione maldestra”, come la chiamarono i magistrati, ma non abbastanza da chiedere il processo per il ministro.
Se l’è cavata invece con la prescrizione il deputato forzista Ugo Cappellacci, già governatore della Sardegna. Il pubblico ministero lo aveva accusato di alcune nomine ballerine nel processo alla P3, ma tre anni fa sono scaduti i termini. Prescritto è anche Mario Mantovani, una vita al servizio di B. (e oggi in Fratelli d’Italia) tra Senato, Europarlamento e Regione Lombardia, dove fu vicepresidente. Arrestato nel 2015 per abuso d’ufficio, turbativa d’asta, corruzione e concussione, sospettato di aver truccato alcuni appalti, ha già visto esaurirsi la scadenza massima per l’abuso d’ufficio.
Dopo anni d’indagine si è invece chiusa con l’assoluzione la vicenda di Claudio Fazzone, senatore di FI finito a processo per alcune nomine all’Asl relative a quando era presidente del Consiglio regionale del Lazio.
IlFattoQuotidiano
domenica 29 novembre 2020
Solo la Sibilla saprebbe capire le leggi. - Antonio Padellaro
“Una volta Indro Montanelli rivolse al ministro della Funzione pubblica, Franco Bassanini, questo appello: ‘Passerai alla storia se riuscirai a far scrivere leggi in modo che tutti le capiscano… L’impresa chiesta da Montanelli non fu compiuta. Solo parzialmente avviata. E così certe leggi italiche continuano a somigliare ai verdetti dell’Oracolo di Delfi”.
Mario Nanni, “Parlamento sotterraneo”
(Rubettino)
C’è da rabbrividire a leggere sul “Sole 24 Ore” che stiamo per essere investiti da una gigantesca valanga legislativa: “Quattro decreti legge Ristori che il Parlamento accorperà in unico provvedimento di conversione”. Uno sgomento che traspare dalle parole di Giorgio Santilli, autore del terrificante resoconto: “Una sorta di testo unico dei Ristori, messo a punto a base di emendamenti e subemendamenti, in attesa del quinto decreto Ristori, post-natalizio, già annunciato”. E dunque, ci permettiamo di correggere il cauto ottimismo del collega Mario Nanni: purtroppo no, l’impresa auspicata da Montanelli non solo non ha provocato miglioramenti nella comprensione delle leggi, ma col trascorrere degli anni (e delle Repubbliche) l’ermetismo normativo si è aggravato ulteriormente. A causa soprattutto della massa informe di provvedimenti che, quasi ogni giorno, vengono prodotti e imballati dal Parlamento. Proprio in queste ore al carico di 83 decreti attuativi previsti dalla sola legge di Bilancio si sommeranno i 185 provvedimenti attuativi già previsti dai decreti Covid non ancora varati. Con una produzione complessiva di cellulosa (268 fascicoli) destinata a incidere sul disboscamento globale.
La lunga esperienza avuta come capo della redazione politica dell’Ansa ha consentito a Nanni di tracciare un interessante paragone tra la politica di ieri e quella di oggi, in un album dei ricordi dove “miserie e nobiltà, scene e figure” si accavallano in un racconto sempre godibile. Un mondo che anche chi scrive ha conosciuto, con qualche anno di anticipo, consumando come lui le suole alla ricerca affannosa di notizie nel Transatlantico di Montecitorio. Detto dei “Passi Perduti” a significare probabilmente l’eterna fatica di Sisifo di chi tenta di dare un ordine al caos, di fornire un metodo all’improvvisazione, di cogliere una morale della favola che tuttavia non c’è. Alla fine (non so Mario) mi sono come rassegnato all’ineluttabile: la politica e la vita reale sono dimensioni destinate a non incontrarsi mai. Per questo il tentativo di trovare una comunicazione tra il linguaggio esoterico delle leggi e la lingua di noi umani è puramente vano. Perché le leggi che noi (esattamente come Montanelli) giudichiamo scritte coi piedi, in un groviglio inestricabile di incidentali, parentetiche e richiami continui ad altri arcani normativi citati in forma di sigle e numeri, sono – per chi sa come leggerle – meravigliosi poemi, limpidi e trasparenti come acqua che sgorga dai ruscelli alpini.
L’importante, infatti, è che chi sappia comprendere comprenda, e per due ragioni fondamentali. La prima è che quella massa apparentemente informe di parole è tale poiché rappresenta il frutto di mille faticose mediazioni intessute da partiti, fazioni e conventicole varie, e dove ciascuno ha ottenuto qualcosa. Ma quel gigantesco pagliaio è anche il luogo ideale per nascondere il prezioso ago agli occhi di noi profani. Si tratta di quei minuscoli codicilli che rappresentano la fortuna delle lobby, e delle loro utili proiezioni in Parlamento e nella Pubblica amministrazione. Del resto, non fu la Sibilla a scoprire che bastava spostare una virgola per cambiare il senso di una frase, secondo il desiderio di questo o quel committente? “Ibis redibis non morieris in bello”: chissà, potrebbe servire come traccia per il prossimo decreto Ristori.
domenica 6 settembre 2020
Senato, i 5Stelle depositano la legge contro gli editori impuri. - Matteo Petri
domenica 16 agosto 2020
Le “liti temerarie” che minacciano la libertà di stampa. - Giovanni Valentini
domenica 1 marzo 2020
Giustizia, Caselli: “La prescrizione? Una patologia che nega elementari principi di equità e alimenta un doppio processo”. - Rossella Guadagnini
Lungaggini dibattimentali e procedure barocche hanno trasformato il processo in un percorso accidentato, pieno di ostacoli, insidie e cavilli, osserva il magistrato. Un ‘brodo di coltura’ per avvocati spregiudicati, grazie anche alla prescrizione che non si interrompe mai. Nel nostro sistema penale coesistono due distinti codici: uno per i ‘galantuomini’, l’altro per i cittadini comuni.
Tutti i nodi vengono al pettine: quando c’è il pettine, chiosava con perfidia lapidaria Leonardo Sciascia, scrittore e formidabile ragionatore. Da questione tecnica la prescrizione in Italia è divenuta "una questione politica nel senso peggiore del termine, una rissa da stadio. Si parla di orrore, catastrofe, follia, apocalisse, ergastolo permanente, bomba atomica, si arriva al tanto citato ‘vaffa’, si parla di ricatti... Non è così". A sostenerlo è l'ex procuratore di Palermo e di Torino, Gian Carlo Caselli a cui abbiamo chiesto di fare chiarezza su questo nodo gordiano della giustizia.
Prescrizione sì, prescrizione no, prescrizione forse: a che punto siamo?
L’interruzione definitiva della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, la cosiddetta riforma Bonafede, è legge dello Stato dal 1 gennaio di quest’anno e quindi adesso è pienamente in vigore. All’interno del progetto di riforma del processo penale - approvato dal Consiglio dei Ministri nei giorni scorsi - è stato inserito un emendamento che, in sostanza, fa scattare la prescrizione definitiva soltanto dopo la sentenza di condanna di primo grado e non anche dopo quella di assoluzione. Peraltro, modi e tempi dell’eventuale approvazione dell’emendamento sono tutti da stabilire. Intanto, sulla riforma Bonafede si sta scatenando una battaglia campale, con tentativi di cancellarla del tutto portati avanti dalla minoranza parlamentare, appoggiata in modo spregiudicato dal gruppo renziano. In ogni caso, la riforma Bonafede ci avvicina agli altri Paesi europei: il nostro, infatti, è l’unico - con la Grecia - a non prevedere interruzioni definitive della prescrizione, ma soltanto sospensioni temporanee.
Lei l’ha paragonata a una patologia: in che senso?
Il combinato disposto delle lungaggini processuali, delle procedure barocche, dei troppi gradi di giudizio e dei costi elevati ha finito per fare del processo un percorso accidentato, pieno di ostacoli e trappole, infarcito di regole travestite da garanzie che, in realtà, sono insidie o cavilli: un brodo di coltura ideale per gli avvocati agguerriti, spregiudicati e costosi che puntano all’impunità, grazie anche alla prescrizione che non si interrompe mai. Con il risultato che nel nostro sistema penale hanno finito per coesistere di due distinti codici. Uno per i "galantuomini" (cioè le persone che appaiono, in base al censo o alla collocazione politico-sociale, per bene a prescindere...); l’altro per cittadini “comuni”. Nel primo caso il processo mira soprattutto a che il tempo si sostituisca al giudice, vuoi con la prescrizione che inghiotte ogni cosa; vuoi - male che vada - ammorbidendone gli esiti con indulti, condoni, scudi e leggi ad personam assortite. Nel secondo caso, invece, pur funzionando malamente, spesso il processo segna irreversibilmente la vita e i corpi delle persone.
C’è dunque una specie di ‘doppio binario’ della giustizia?
Sta qui l’origine della patologia della prescrizione, perché - per come era congegnata prima della riforma - è stata (ed è storia anche degli ultimi 50 anni) al centro del sistema fondato su un doppio processo, fonte di ingiustizia e disuguaglianze che si risolvono nella negazione di elementari principi di equità. Un sistema dove, in realtà, è la prescrizione infinita (senza mai uno stop definitivo) che contribuisce fortemente a far proseguire certi processi. Ciò che, sul versante costituzionale della ragionevole durata, dovrebbe preoccupare anche quanti pongono il problema “a senso unico”, ossia guardando unicamente ai presunti effetti della riforma della prescrizione. Mentre a indignare dovrebbe essere proprio il ‘doppio processo’, che costituisce di per sé un ossimoro costituzionale davvero insostenibile.
E’ usata così largamente la prescrizione?
La percentuale italiana di prescrizioni è del 10/11%, contro quella dello 0,1/2% degli agli altri paesi europei; a fronte - va sottolineato - di statistiche che collocano la magistratura italiana ai primi posti per produttività (altro che “fannulloni”…). Significa che ovunque la prescrizione funziona come mero rimedio fisiologico contro i pochi scarti che l’ingranaggio non è riuscito a trattare, mentre da noi ha finito per strutturarsi come fenomeno assolutamente patologico. Nel senso che da misura circoscritta a pochi casi limite, è stata trasformata in una voragine che inghiotte senza ritorno processi in quantità enorme. Sicché il sistema giustizia, in tutti questi casi, produce il suo esatto contrario: denegata giustizia per le vittime e verso i presunti responsabili. Ciò accade, di solito, per i processi di maggior impatto politico-sociale: penso al disastro ferroviario di Viareggio.
La sua riforma è cosa da giustizialisti?
La contrapposizione tra giustizialisti e garantisti è sempre più ridicola e strumentale. La praticano soprattutto coloro che si autoproclamano garantisti, spesso ignorando che il vero garantismo è veicolo di eguaglianza: non può essere degradato a strumento di sopraffazione e privilegio, con l’obiettivo di disarmare la magistratura di fronte al potere economico e politico, oppure di graduare le regole in base allo status sociale dell’imputato. Quanto alla parola giustizialismo, pochi ricordano che essa non esisteva neppure nel lessico italiano, se non con riferimento... al peronismo. Se non sbaglio fu Giuliano Ferrara a trasferirla ai problemi della giustizia, facendone una specie di cartellino rosso da brandire “a prescindere” (per squalificarlo) contro chi la pensa altrimenti. Giustizialista - per i sedicenti garantisti – è, in sostanza, chi cerca soluzioni non di comodo, ma è animato dall’etica della responsabilità dei risultati nel rispetto delle regole.
Una diatriba che assomiglia a una scusa o, meglio, a un’accusa.
Sotto la contrapposizione fra garantismo e giustizialismo si nasconde, a mio avviso, il conflitto fra illogicità e buon senso. Prendiamo il caso della polemica furibonda che - dopo quella sulla prescrizione - è scoppiata sull’uso delle intercettazioni. Il problema era questo: se intercettando una persona per un reato se ne scopre un altro, la registrazione è utilizzabile anche per il nuovo reato oppure va cancellata? Discutere sull’utilizzabilità, in un processo diverso, di prove riguardanti gravi reati legittimamente acquisite in un’altra inchiesta, si può anche fare, purché si sappia che l’alternativa è tra due comportamenti: il non trascurare nulla che serva all’accertamento della verità (il buon senso), oppure privilegiare formalismi e cavilli che della verità non si curano (l’illogicità).
Gli effetti della prescrizione saranno evidenti solo nel 2025: tanto rumore per nulla dunque?
E’ proprio così: tanto rumore per nulla. Le statistiche del Ministero della Giustizia del 2018 ci dicono che la prescrizione ha colpito 117.367 processi di cui 57.707 nelle fasi iniziali (Pm, Gip); 27.747 in primo grado; 2.250 davanti al Giudice di pace; 29.216 in Appello; 646 in Cassazione. Quindi, poiché la riforma Bonafede si applica solo ai processi già conclusi in primo grado e tenuto conto che, in Cassazione sono pochissimi i processi che si prescrivono (l’1,1 %), la riforma riguarderà il 26% circa dei processi prescritto. Ossia appena il 3% dei processi trattati ogni anno. Non propriamente una catastrofe che giustifichi i toni apocalittici dei profeti di sventura contrari al provvedimento.
La riforma Bonafede in effetti scontenta molti tra magistrati, avvocati e giuristi.
A fronte dei due o tre (per altro autorevoli) che hanno fatto notizia in occasione dell’inaugurazione dell’Anno giudiziario, i magistrati scontenti sono ben pochi. Gli avvocati, invece, quasi tutti e si capisce bene perché. Ma se lo dici ti saltano addosso per lesa maestà. Spesso si dimenticano i sondaggi, che valgono quello che sappiamo, ma in ogni caso concordano nel dire che i cittadini sono favorevoli alla riforma Bonafede. E qualcosa, anche questo dato, vorrà pur dire.
Quale strada le appare più percorribile?
Occorre - come dicevo al principio - restare, realisticamente ancorati ai profili tecnici dei problemi della prescrizione e delle intercettazioni. Lasciamo da parte slogan ed esagerazioni propagandistiche messe in campo contro chi ha opinioni diverse, leggiadramente etichettato come ‘forcaiolo’ o ‘manettaro’; al punto che ‘giustizialista’ appare ormai appellativo perfino garbato.
E l’Europa ci approva…
Sì, una conferma ulteriore viene ora dal “Rapporto sull’Italia” di approvazione recentissima da parte della Commissione Europea, dove si legge che la riforma della prescrizione è “benvenuta” anche perché “in linea con una raccomandazione specifica” formulata al nostro Paese, che l’Europa aveva fatto a suo tempo. La Commissione esprime un giudizio favorevole anche sulla “spazza-corrotti” e sulla lotta alla corruzione che “sta migliorando”. Seppure non faccia sconti - sia sul piano civile, che penale - circa la lunghezza del contenzioso e l’efficienza del processo, soprattutto nel grado di appello. E fornisce una serie di direttive assimilabili, in buona parte, al “disegno di legge recante deleghe al governo per l’efficienza del processo penale”.
Tutti i modi dunque vengono al pettine, per parafrasare Sciascia. E il pettine, a quanto pare, stavolta c’è.
http://temi.repubblica.it/micromega-online/giustizia-caselli-la-prescrizione-una-patologia-che-nega-elementari-principi-di-equita-e-alimenta-un-doppio-processo/
venerdì 28 febbraio 2020
Intercettazioni, la Camera approva: è legge. Il ministro Bonafede: “Potenziato lo strumento di indagine e garantita la difesa privacy”.
Tensione in Aula durante le dichiarazioni di voto. Per Forza Italia è un provvedimento liberticida. Malumori nella maggioranza dopo che la deputata 5 stelle ha letto le conversazioni di Emanuele Buzzi finite agli atti delle indagini su Mafia capitale. Mentre dopo l'intervento di Sgarbi contro la deputata Occhionero sono dovuti intervenire i commessi per riportare ordine nell'assemblea.