giovedì 27 maggio 2021

Cingolani, il grande equivoco “verde” nel governo Draghi. - Gianni Barbacetto

 

Il più grande equivoco del governo Draghi si chiama Roberto Cingolani. Ognuno può dare il giudizio che vuole sull’operato dei Migliori, ma nessuno potrà negare che i fatti del ministro della Transizione ecologica sono quantomeno sfasati, incongruenti, contraddittori rispetto alle promesse con cui Cingolani è stato catapultato al governo. Doveva essere il protagonista della svolta, la novità radicale, il mutamento epocale, la rivoluzione verde. È stato la giustificazione del sostegno dei Cinquestelle a Draghi. Si sta dimostrando invece il più grosso errore di Beppe Grillo (dopo il video sul figlio). E lo possiamo ormai sostenere anche andando oltre il suo curriculum, che non lo qualifica certo come uomo del rinnovamento.

Ha gestito per anni un centro di ricerca a Genova (Iit) finanziato non per i suoi meriti, con modalità competitive, ma per concessione dall’alto del governo. Ha avuto così tanti soldi da non riuscire a spenderli, nell’Italia in cui la ricerca ha finanziamenti scarsi e insicuri. Il risultato più esibito è stato un robottino dalla faccia carina che non abbiamo ancora capito bene a che cosa serva. Cingolani ha poi garantito a Matteo Renzi il suo “progetto petaloso”: la partenza a Milano, per coprire il vuoto progettuale del dopo-Expo, di Human Technopole, per fortuna subito strappato a “Cingo” per l’immediata insurrezione del mondo dell’università e della ricerca. Come risarcimento è stato mandato a fare il manager a Leonardo, dove ha piazzato anche il suo uomo-comunicazione. E infine, eccolo qua, a incarnare la promessa green del governo Draghi. Ma i fatti, purtroppo, smentiscono le promesse. Più che ministro della Transizione ecologica, sembra il ministro del greenwashing. Qualche esempio.

Nel Piano nazionale energia e clima è prevista una corsia preferenziale per i “nuovi impianti per la produzione di energia e vettori energetici da fonti rinnovabili, residui e rifiuti”. Le ultime due paroline (“residui e rifiuti”) significano inceneritori, i cari, vecchi, inceneritori. Resta pesante la presenza del gas, tanto che perfino John Kerry, inviato speciale per il clima del presidente Usa Joe Biden, ha osservato: “Il ministro Cingolani mi ha mostrato le mappe dei gasdotti, esistenti e in discussione. Ma attenzione: il gas naturale è comunque un combustibile fossile, composto all’87 per cento circa di metano, quando lo bruci crei Co2 e quando lo sposti possono esserci perdite molto pericolose”. Per non spremersi le meningi a inventare progetti verdi, “Cingo” e il governo hanno preso i progetti già pronti delle aziende: Eni, Snam, Enel, che per la natura del loro business non hanno proprio una spontanea vocazione verde. Così finanzieranno con i soldi del Pnrr (quelli dell’Europa per fare cose nuove e green) il vecchio progetto “waste to fuel” (dai rifiuti al carburante) già avviato dall’Eni a Gela e a Marghera. E quello, sempre dell’Eni, a Ravenna, per riconvertire “impianti finalizzati a ridurre le emissioni da parte del settore industriale, ivi compresa la cattura, il trasporto, l’utilizzo e/o stoccaggio della Co2”. Avanti tutta, così, con le trivelle in Adriatico, che invece di essere dismesse continueranno a operare. A Enel sarà concesso di operare nei suoi impianti con meno controlli. A Snam via libera per i suoi gasdotti, quelli che lasciano perplesso finanche l’inviato di Biden. In generale, pochi soldi alla ricerca pubblica (solo 11 miliardi dei 60 a disposizione del ministero da qui al 2027). E meno controlli per tutti, via libera a interventi rapidi e finanziati con una cascata di soldi pubblici, nella terra della corruzione e delle mafie. Le organizzazioni criminali si stanno già preparando. L’esperienza ci insegna che ne vedremo delle belle. Poi, al primo scandalo – ci scommetto – la politica comincerà a strillare che la magistratura deborda e frena lo sviluppo.

IlFQ

Massimo ribasso, minima sicurezza: sai che impresa… - Antonio Padellaro

 

Nel leggere l’accusa per gli arresti di Stresa – avere manomesso i freni d’emergenza per non bloccare l’impianto, e avere dunque provocato la tragedia del Mottarone – insieme al disgusto mi è venuta in mente questa frase: l’Italia del massimo ribasso. Procedura che probabilmente non c’entra nulla con la criminale decisione d’inserire sulla funivia il letale “forchettone” (termine molto italiano), ma che molto invece ha a che fare con quella cultura, diciamo così, d’impresa, che pur di aggiudicarsi un appalto – o di garantirsi gli incassi di giornata – non bada a spese. Nel senso che riduce i costi all’inverosimile, comprimendo i salari e favorendo il lavoro in nero.

Ma è soprattutto sulla minima sicurezza che si rivale il massimo ribasso, come dimostrano i numeri assurdi degli infortuni sul lavoro: 554.340 denunciati all’Inail nel 2020, leggermente in calo nell’anno della pandemia, ma con 1.270 morti, più 16,6% rispetto al 2019. Senza contare il problema delle infiltrazioni mafiose che nella deregulation trovano sempre un terreno più che fertile. Principio quello di risparmiare su tutto il risparmiabile sul quale si preferisce non sottilizzare troppo nel momento in cui l’Italia riprende a camminare. Infatti, se qualcuno prova a obiettare che la giusta necessità di accelerare il processo produttivo, evitando le lungaggini burocratiche, non può avvenire a discapito dell’incolumità dei dipendenti e degli utenti, apriti cielo. Nel migliore dei casi le osservazioni prudenziali sulla indispensabile incolumità delle persone saranno catalogate come “ideologiche” (ovvero stataliste e dunque anti-industriali). Come se chiedendo verifiche più rigorose avessi parlato male di Garibaldi.

Speriamo che dopo le aspre critiche di sindacati, Pd e sinistra sulla bozza del decreto Semplificazioni – con costi abbattuti in eccesso, subappalti a volontà e controlli affidati ai controllati – non si debba un giorno parlare del governo Draghi come del governo del massimo ribasso. E che l’auspicata ripresa non debba mai più consentire che le vite umane siano giocate sulla ruota della fortuna. Fino a quando succede che un cavo si spezza.

IlFQ

Farsa in Senato: sì unanime contro i vitalizi. - Tommaso Rodano

 

Palazzo Madama - Dopo aver abolito i tagli e restituito l’assegno ai corrotti come Formigoni, la destra di Salvini e B. vota con le altre forze le mozioni anti-privilegi.

Una burla, una recita gattopardesca: tanto fiato per nulla. Il Senato – che con Mario Draghi non tocca palla sulle questioni di sostanza – si riunisce per la prima volta sui vitalizi ai condannati, dopo che gli organi di giustizia interna hanno restituito l’assegno a Roberto Formigoni e a diversi colleghi che si sono macchiati di reati contro lo Stato.

Una seduta perfettamente inutile. In aula si fa solo fuffa, l’intervento sui vitalizi, in caso, dovrà spettare al consiglio di presidenza di Palazzo Madama. Al termine di una discussione a tratti surreale, il Senato approva, sullo stesso argomento, tre mozioni diverse. Firmate da gruppi che in teoria hanno posizioni molto differenti. I senatori – con maggioranze variabili e astensioni incrociate – dicono sì a tutto: al testo dei “giallorosa” (M5S, Pd e LeU), a quello di Italia Viva e pure al centrodestra. E quindi agli stessi partiti (Lega e Forza Italia) che hanno fatto restituire il vitalizio ai condannati col voto dei propri rappresentanti nella Commissione contenziosa e nel Consiglio di garanzia del Senato.

Cosa dicono le tre mozioni? Più o meno la stessa cosa, con qualche sfumatura. Quella di centrosinistra chiede che gli uffici del Senato trovino una soluzione per applicare la Legge Severino e revocare il vitalizio ai condannati; quella delle destre vuole “rivalutare” la direttiva del Senato del 2015 (firmata da Piero Grasso, toglieva i vitalizi agli ex senatori condannati). Infine c’è il testo bizantino dei renziani, che impegna il Senato “ad adottare tutte le opportune determinazioni, volte a disciplinare i casi di revisione o revoca del vitalizio dei senatori, cessati dal mandato, che siano stati condannati in via definitiva per delitti di particolare gravità”.

Fuffa, fuffa e ancora fuffa. Come denuncia il 5Stelle Primo Di Nicola, votando in dissenso dal suo gruppo: le mozioni sono inutili, un atto d’ipocrisia istituzionale. L’iniziativa appartiene al Consiglio di presidenza del Senato, scavalcato in modo illegittimo dalla sentenza dell’organo di giustizia interna (“Come se un tribunale avesse cancellato una legge ordinaria”). “Il Consiglio di presidenza – secondo Di Nicola – ha il dovere di sollevare un conflitto di attribuzione di fronte alla Corte costituzionale. Altrimenti è meglio uscirne”.

Il resto del dibattito è un lungo palleggio retorico. Le mozioni sono di facciata: i partiti di centrodestra – da Italia Viva fino alla Lega – votano per risolvere il problema dei vitalizi ai condannati, ma parlano esplicitamente in difesa delle prerogative parlamentari. Di tutti i parlamentari, compresi i Formigoni. I senatori di Salvini – che un tempo metteva il faccione sui proclami “anti Casta” – hanno cambiato versione da un pezzo. Persino nel Pd (come si vedrà nelle parole di Anna Rossomando) la difesa delle prerogative “repubblicane” è al di sopra di ogni cosa.

La maggioranza degli eletti ha intenzioni evidenti, nonostante provi ad annacquarle nel bicchiere di una retorica parlamentare terribile. L’argomento magico di chi difende l’assegno per chi ha disonorato la sua funzione pubblica, paradossalmente, è la Costituzione.

Luigi Vitali (Forza italia) – I diritti umani e la dignità della persona – “Secondo due sentenze della Corte costituzionale, la n. 3 del 1966 e la n. 78 del 1967, non è sufficiente la semplice condanna o la semplice interdizione dai pubblici uffici per perdere un vitalizio, una pensione, un assegno, uno stipendio, ma si deve guardare alla gravità del fatto, alla tutela della dignità e al rispetto dei diritti umani e della dignità della persona”.

Giuseppe Cucca (italia Viva) – E allora il reddito di cittadinanza? – “Ho difficoltà oggettivamente a pensare che possiamo privare del sostentamento una persona che vive in condizioni di indigenza totale in un sistema nel quale un condannato per reati gravissimi, come può essere l’omicidio o qualsiasi altro reato, continua serenamente a godere della propria pensione, dei propri emolumenti per sopravvivere. Ciò maggiormente in un sistema che ha introdotto degli istituti che sono quantomeno strani, se è vero come è vero (la cronaca è piena di esempi), che talvolta dei condannati per fatti gravissimi hanno goduto del reddito di cittadinanza”.

Anna Rossomando (Pd) – I tribunali speciali e il patriottismo repubblicano – “Vogliamo dire che siamo qui in una democrazia rappresentativa a rappresentare un’altissima funzione? È soltanto per questo motivo che abbiamo delle prerogative, a difesa della libertà del Parlamento, perché non è un caso che la Costituzione sia nata all’uscita dal fascismo, quando c’erano i tribunali speciali e chi dissentiva veniva messo in carcere. La prerogativa è nata esattamente con quel tipo di funzione e in quel senso (…). Ho visto sottolineare molto i termini ‘onore’ e ‘tradimento’. Ne vorrei aggiungere uno, con il quale ci troviamo anche molto bene, ‘il patriottismo repubblicano’. Ed è in questo che ci richiamiamo alla Costituzione, alle sue libertà e al suo inquadramento”.

Stefania Craxi (Forza Italia) – L’orda giacobina – “Una premessa: non cogliere la differente natura della pensione e del vitalizio dei parlamentari – spiegata anche in una sentenza della Corte costituzionale – dice già tutto di coloro che urlano e strepitano (…). Questo, a mio avviso, è anche frutto dell’orda giacobina e del moralismo imperante che da oltre vent’anni si sono abbattuti sulla vita civile e democratica del Paese (…). È il risultato di una lunga stagione di demonizzazione della democrazia rappresentativa, nella quale abbiamo sostituito coloro che vivevano per la politica con l’improvvisazione e il dilettantismo e con alcuni che, sì, senza arte né parte, vivono oggi solo di politica e la usano per carriere e destini personali.

Massimiliano Romeo (Lega) – Sullo stesso piano – “A un cittadino condannato in via definitiva per terrorismo o per mafia non si può toccare o sospendere la pensione o il reddito di cittadinanza; ma se c’è un politico condannato, a lui bisogna per forza toglierla. C’è qualcosa che stona (…). Si tratta semplicemente di mettere tutti sullo stesso piano”.

Giacomo Caliendo (Forza Italia) – Robespierre dove sei? – “Mi limito, in conclusione, ad osservare che si tenta di fare come nel peggior periodo della Repubblica francese, quello della rivoluzione, quando si pretendeva di imporre, attraverso la piazza, le regole del processo e di imporre ai giudici di rispettare la volontà del popolo”.

IlFQ

Processo a punti. - Marco Travaglio

 

Abbiamo sempre sostenuto che questo governo non dovrebbe neppure sfiorare la Giustizia, visti i guai con la medesima dei leader di tre partiti che lo sostengono: il pregiudicato e plurimputato B., l’imputato Salvini e l’indagato Innominabile, senza contare il resto della truppa. Ma ora, lette le proposte sul processo penale della commissione Lattanzi voluta dalla cosiddetta ministra Cartabia, un’altra formidabile ragione sconsiglia a lorsignori qualunque iniziativa: il pericolo che, quando le autorità europee le leggeranno, muoiano dal ridere. Già il fatto che l’Europa possa darci lezioni sui processi brevi è esilarante: la Corte europea dei diritti dell’uomo ha impiegato otto anni per esaminare il ricorso di B. contro la sua condanna definitiva del 2013 e non l’ha né accolto né respinto, ma due settimane fa ha chiesto al governo italiano di spiegare se il processo a B., iniziato nel lontano 2004, fosse giusto o no. Una barzelletta. È noto però che l’Ue ha più volte minacciato di sanzionare l’Italia per la sua prescrizione, fatta apposta per garantire l’impunità, per esempio agli evasori e frodatori fiscali. Quindi, se c’è una riforma che non va toccata è quella di Bonafede che blocca la prescrizione dopo la sentenza di primo grado. Infatti la commissione Lattanzi precisa, bontà sua, che non è urgente. Poi però, siccome non è urgente, fa due proposte per cancellarla. Geniale.

Per sveltire i processi, altra ideona: si stabilisce per legge che le indagini devono durare da 6 mesi per i reati minori a 1 anno e 6 mesi per i più gravi, con una sola proroga semestrale; e i processi 3 anni in primo grado, 2 in appello e 1 in Cassazione. E se sforano? In caso di condanna, l’imputato ha uno sconto di pena proporzionato al ritardo. Cioè ha tutto l’interesse a scatenare i suoi avvocati per farli durare di più, sempreché possa permettersi di pagarli in eterno. Così una norma concepita per abbreviare i tempi finirà per allungarli: più sono lunghi, più ci guadagni. Una specie di patente a punti all’incontrario. Notevole anche la norma, copiata dal piano di Rinascita democratica di Gelli, del Parlamento che detta alle Procure le “priorità nell’esercizio dell’azione penale”, cioè quali reati perseguire e quali no, “tenuto conto della realtà criminale territoriale”. Così la Lega escluderà il sequestro di migranti e il razzismo, FI la corruzione e la frode fiscale, Iv i finanziamenti illeciti alla fondazione Open e gli appalti truccati di Consip e così via. La comica finale è l’“archiviazione meritata” targata Pd: l’indagato può evitare il processo se chiede scusa alla parte lesa e risarcisce il danno o effettua lavori di pubblica utilità. Quindi: se non lo beccano, non rischia nulla; se lo beccano, neppure.

IlFQ

Chi è Matteo Renzi?

 

Come avrà fatto una essere privo di etica e positività a diventare prima sindaco, poi presidente del consiglio e, infine, senatore?
Questo è uno degli enigmi per i quali non troverò mai una risposta.
Eppure può tanto... anche far cadere ben due Governi, entrambi facenti parte della sua sfera politica, eletti dal popolo.
Forse lui funge da esecutore materiale di atti che altri vorrebbero mettere in pratica senza apparire in prima persona.
Il serial killer della politica.
Seriale perchè ha contribuito a far cadere ben due governi, quello di Letta la cui frase: "Enrico stai sei sereno" la dice lunga sul suo intervento, il secondo, come noto a tutti, con i suoi paletti posti ad ogni proposta avanzata dal governo di cui faceva parte.
Non credo, infatti, che sia in grado di pianificare nulla che vada oltre il bisogno impellente di far soldi.
Un essere da evitare, disdicevole, repellente.
cetta.