martedì 17 maggio 2011

Nessuna notte è per sempre. - di Vittorio Zucconi.



Affido il mio commento e le mie reazioni al filotto disastrosodawn dei Berlusconiani nelle quattro città principali e nella Milano che il Caro Trombato aveva indicato come un test politico nazionale e un referendum sulla sua personcina, a uno molto più bravo di me.Ascoltatelo. Possibilmente con le cuffiette stereo. Per le arrampicate sugli specchi e le acrobazie analitiche ci sarà tempo.Milano può vincere davvero lo scudetto che conta e portarlo a Roma.




Sisti: "Pisapia? Mai sentito il suo nome per il mio rapimento"



L'allora dirigente del Movimento lavoratori per il socialismo ricorda l'episodio citato nel confronto tv da Letizia Moratti contro il candidato sindaco del centrosinistra.

Milano, 17 maggio 2011 - William Sisti, oggi 59enne, allora dirigente del Movimento lavoratori per il socialismo, ricorda al settimanale Oggi l'episodio citato nel confronto tv da Letizia Moratti contro Pisapia.

Gli autonomi del centro sociale milanese di via Decembrio nel 1977 avevano progettato di sequestrarlo per incatramarlo e impiumarlo, come nel Far West. “Il vicequestore Lucchese mi convocò in questura e mi disse che erano state arrestate due persone dell’area dell’autonomia armata, vicini al gruppo terroristico Prima linea - spiega - Avevano rubato un furgone con cui volevano rapirmi per farmi un processo politico”.

"Mai sentito il nome di Pisapia, assolutamente no. E non seguii il processo negli anni Ottanta, perché non ero parte lesa. Avevo lasciato la politica”, dice ancora Sisti. Poi aggiunge: “Se la Moratti vuole dimostrare che Pisapia non ha origini liberaldemocratiche, non c’è bisogno di scomodare la contestazione studentesca. Alla quale partecipò buona parte dell’attuale classe dirigente italiana: politici, finanzieri, avvocati, medici, scienziati.... Stefano Boeri, oggi capolista del Pd milanese, era mio compagno nel movimento studentesco. Siamo ancora amici. Il nostro leader era Mario Capanna, ma con noi c’erano anche Gino Strada, Nando dalla Chiesa, Michele Cucuzza, Sergio Cusani, e tantissimi altri. Oggi sono tutti ottimi professionisti”.

Fonte Agi

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Forse i Maya avevano ragione. - di Giorgio Bocca



D'accordo, a Roma non c'è stato il terremoto: ma basta vedere La Russa in televisione per sospettare che la fine del mondo sia già cominciata.

La previsione dei Maya, la fine del mondo nel 2012, sembra sia stata anticipata: dall'oceano Pacifico a quello Indiano le forze della natura sembrano già scatenate per mettere fine a questo pazzo mondo e alla specie umana. Dio fa impazzire chi vuol perdere, non c'è più saggezza e previdenza fra le genti, con gli tsunami tutti hanno visto il ritorno del diluvio universale, il mare che si gonfia, che straborda, le sue acque che coprono i campi e le città, i colpiti dalla punizione divina, i miserabili esseri bipedi che salgono dove possono, sulle alture o sui tetti, per salvarsi.

Ma la terra non ha sempre tremato sotto i nostri piedi? Sì, ma ora si aprono voragini, paesi interi come l'Italia sembrano sgretolarsi a ogni pioggia, sfasci penduli inghiottiti dal mare, sono quasi scomparse le stagioni con il loro corso regolare, fa caldo d'inverno, freddo d'estate, i principini d'Inghilterra si tuffano fra i ghiacci della Groenlandia e un astronauta vuole essere ibernato pur di fuggire su Marte.
Oh, poveri noi peccatori e stolti. Le guerre non sono più quelle, con un loro senso belluino, sono piuttosto impazzimenti. Non c'è più un impero che governa le genti ma un concentrato di potere che si muove come un titano cieco menando fendenti a dritta e a manca, anche a se stesso. In Libia eserciti di straccioni si rincorrono in un carosello demenziale per la litoranea e per il deserto, gli uni si dicono governativi e gli altri ribelli, entrambi dove arrivano uccidono e fanno bottino, il capo del governo italiano che crede di essere il più furbo del mondo aderisce all'alleanza occidentale contro Gheddafi ma si addolora per i rischi del suo amico dittatore.

Obama, il presidente americano, il capo della superpotenza che tiene alle armi milioni di uomini e decine di corazzate, invece di reprimere le violenze e il sangue li incoraggia. Si è saputo che la Cia, organizzatrice di intrighi nel mondo intero, era operativa da mesi in Libia. E i suoi degni compari: l'ungaro-francese Sarkozy e il conservatore inglese Cameron che a guardarlo fa pensare che Churchill fosse di un'altra specie.

E noi? Il ministro della Difesa Ignazio La Russa cerca la rissa e agita la chioma e insulta il presidente della Camera approfittando dell'assenza del capo del governo, che è volato a Lampedusa per fare la sua solita comparsata trombonesca: promette sgomberi che ha negato agli altri e acquista una villa in parte abusiva che con una legge ad personam farà regolare.
Capito? Arriva in un'isola dove migliaia di persone, profughi disperati cercano di sopravvivere e si compra una villa; un premier popolarissimo, amato dalla gente ma sempre circondato da marcantoni dalla faccia quadrata, guardie del corpo davanti e di dietro. Eppure piace agli italiani, o fa dire da cento televisioni che piace o è convinto di piacere, come capita a tutti i tiranni finché sono al potere e a tutti i miliardari che dispongono di una liquidità senza fine.

C'è un altro segno che la fine del mondo è vicina e forse è già cominciata, ed è la voglia di uccidere, specie gli innocenti, fanciulle in fiore ammazzate come pecore sacrificali e gettate in pozzi o in stagni che le divorino le pantegane. Raccontate alle platee televisive con un accanimento e un compiacimento da circo massimo al momento in cui entrano le belve, seguite con attenzione e compiacimento dagli esperti del genere: avvocati, poliziotti, cronisti di nera a cui il presentatore-domatore dà la parola come un boccone prelibato, uno zuccherino per farli saltare nel cerchio, i tetri specialisti della macelleria generale.
La fine del mondo è già cominciata, il diluvio universale riempie di fetide acque i nostri campi, ci sbudelliamo senza senso, ci derubiamo senza vantaggio, continuiamo a coltivare le magnifiche sorti progressive del genere umano. Per non parlare della centrale atomica di Fukushima che avvelena il Giappone.



E' ufficiale: Tremonti straparla. - di Orazio Carabini



Un pamphlet di fuoco scritto da un gruppo di studiosi italiani che lavorano all'estero svela la verità sul super ministro: che si vanta di conti inesistenti per coprire tre anni in cui ha fatto solo danni.

I suoi critici più spietati sono economisti emigrati. "Giulio Tremonti straparla ma non straparla a caso: straparla per coprire il suo fare o meglio il suo non-fare. Perché è vero: fare fa poco, ma quelle poche cose che fa sono comunque dannose per il Paese", hanno scritto Alberto Bisin, Michele Boldrin, Sandro Brusco, Andrea Moro, Aldo Rustichini e Giulio Zanella, animatori del sito noisefromamerika.org e autori di "Voltremont", un pamphlet antitremontiano giunto alla sua seconda edizione.

Nei giorni delle pagelle rilasciate dall'Ocse e dal Fondo monetario Tremonti, da poco incoronato "possibile delfino" da Silvio Berlusconi, si è preso la rivincita: "Abbiamo superato l'esame", si è congratulato con se stesso il ministro dell'Economia. Che nei giorni precedenti aveva dovuto però incassare le proteste degli imprenditori della Confindustria e di Rete Imprese di fronte alle misure "per lo sviluppo" approvate dal Consiglio dei ministri giovedì 5 maggio. Un coacervo di provvedimenti destinati, nelle intenzioni del governo, a dare "una frustata" o "una sferzata" all'economia ma che non hanno riscosso l'entusiasmo dei presunti beneficiari. Anzi. Nel decreto si trova di tutto: dalla carta d'identità elettronica multiuso a una nuova versione del piano casa, dalla semplificazione degli adempimenti fiscali alle nuove regole per gli appalti, dalla possibilità di rinegoziare i mutui a tasso variabile alla nuova authority per l'acqua, dall'assunzione dei precari della scuola al diritto di superficie per 90 anni agli stabilimenti balneari.

Per pensare che questo basti a ribaltare la tendenza degli ultimi 12 anni occorre molto ottimismo. La tabella della pagina a fianco, tratta dal volume degli "amerikani", dimostra che il ritardo dell'Italia in termini di crescita sta diventando abissale. Un argomento su cui battono anche l'Ocse e il Fmi, suggerendo di puntare su riforme strutturali vere: proprio quelle che Tremonti non riesce a fare.

I conti in sicurezza
Al ministro tutti, anche a sinistra e tra i commentatori più esigenti, riconoscono il merito di non aver ceduto alla tentazione di usare il bilancio pubblico per affrontare la recessione del 2008-09. E in effetti il peggioramento del deficit e del debito, che pure c'è stato, è inferiore rispetto agli altri Paesi. Del resto, a Tremonti il messaggio era arrivato forte e chiaro: al primo segnale di cedimento la speculazione attaccherà l'Italia come ha fatto con la Grecia, con l'Irlanda e con il Portogallo e come ancora minaccia di fare con la Spagna. Nessuno sgarro è consentito. Ma la difesa dei bastioni del rigore è diventato un alibi per giustificare l'immobilismo: non ci sono soldi da spendere, quindi bisogna aspettare tempi migliori. E così l'economia si è seduta: chi può fare da sé riesce a difendersi, gli altri lottano per la sopravvivenza.

Fatti e proclami
"Quando Tremonti è stato ministro il saldo primario relativo al Pil si è sistematicamente ridotto rispetto alla gestione del ministro precedente", documentano Bisin & co. nel loro "Voltremont" (vedere grafico qui sotto), titolo scelto pensando a Voldemort, il cattivo della saga di Harry Potter. Il saldo primario è la differenza tra entrate e uscite al netto degli interessi. Con Tremonti, quindi, le politiche di bilancio tendono a non essere virtuose: se il saldo primario peggiora e la pressione fiscale non si riduce, vuol dire che la spesa aumenta. Poi c'è la parte interessi.

Nonostante la "tenuta" dei conti italiani di fronte alla recessione, il mercato ha fatto capire di aver paura dell'elevato livello del debito in rapporto al Pil e ha fatto aumentare la "penale", cioè il premio per il rischio sui titoli di Stato. Che si misura con lo spread, cioè la differenza di rendimento rispetto ai titoli in euro della Germania, il Paese considerato meno rischioso: questo spread è salito spesso fino a 200 punti base (2 per cento) nel 2009-10.

La riforma fiscale

Il livello delle entrate, in rapporto al prodotto interno lordo, è ai suoi massimi storici. Ed è difficile che possa scendere in assenza di consistenti tagli alla spesa pubblica e di una ripresa che faccia crescere il Pil. Ma Silvio Berlusconi e Tremonti hanno promesso una riforma fiscale, senza meglio definirla. Sono state insediate quattro commissioni che sono dei piccoli Cnel, con una sessantina di partecipanti ciascuna, dove tutti badano a tutelare i privilegi della categoria che rappresentano. Il modo migliore per concludere poco o nulla.



Il primo tempo lo ha perso. E adesso tutti con tutti fino al fischio finale. - di Giuseppe Giulietti.


Una folata di vento ha scoperchiato una delle terrazze di Palazzo Grazioli, residenza romana del presidente del consiglio. La zona è transennata, sotto ci sono i vigili del fuoco. Un anziano romano, vista la scena, si è lasciato sfuggire un quanto mai azzeccato "Mica si vorrà buttare per i risultati elettorali...; per sua fortuna la scorta non lo ha sentito, altrimenti lo avrebbero fermato per "vilipendio", come hanno fatto con quei cittadini che, a Palazzo di giustizia, a Milano non sono riusciti legittimamente a trattenere il loro sdegno per i continui comizi di un imputato contro i suoi giudici.
Eppure, eppure, qualcosa comincia a muoversi, forse addirittura a sgretorlarsi. I risultati di oggi, se saranno confermati dagli scrutini, sembrano delineare la fine del mito della invinciibilità del capo supremo. Del resto è più facile acquistare qualche parlamentare" responsabile" che non milioni di cittadine e di cittadini.
"Milano non potrà fare a meno di noi.." aveva sproloquiato persino dentro il seggio il vecchio bucaniere, convinto di avere già in tasca la vittoria per sè e per la signora Moratti, quella che è ormai diventata una imitazione della Santanchè e di Vittorio Sgarbi.
"A Napoli non c'è partita, si tratta di vedere di quanto stracceremo gli oppositori..", invece si beccheranno de Magistris, e ci auguriamo che tutto il centro sinistra voglia ora appoggiarlo lealmente e riconoscere lo straordinario risultato conquistato, alla faccia di chi lo aveva dipinto come un candidato troppo radicale e, dunque, invotabile.
Questo sarà ora uno dei problemi del centro sinistra: riconoscere le diversità, smetterla con le polemiche, sostenere lealmente tutti i candidati, sia che si tratti di Piasapia vicino a Vendola, sia che si tratti di Merola, espresso dal PD, sia che si tratti di De Magistris, vicino alla Italia dei valori, sia che si tratti di una donna o di un uomo indicati da Rifondazione, dai Verdi, dal terzo polo, da Futuro e libertà, da Grillo e dalle sue liste che comunque hanno conquistato consensi di cittadini che reclamano diritti fondamentali e che non possono essere liquidati come persone "moleste e sgradite". Non è questo il momento di restare impigliati nelle logiche di schieramento e di appartenenza, naturalmente tale principio deve valere per tutti, nessuno escluso.
Per una volta cerchiamo davvero di essere davvero all'altezza della situazione e di mettere al centro l'interesse generale, la necessità di liberare l'Italia dall'incubo che la tormenta e pregiudica il suo futuro.
La partita non è affatto conclusa: oggi si è giocato solo il primo tempo. Prima della conclusione, nelle prossime due settimane, Berlusconi le tenterà tutte e le piazze mediatiche saranno al centro della sua attenzione, non solo nei grandi centri, ma anche in tutte quelle realtà territoriali dove si terranno i ballottaggi e dove pressioni di ogni natura saranno esercitate nei confronti dei media locali.
Le autorità di garanzia avranno il non facile compito di garantire elezioni corrette e una condizione di parità nell'accesso ai media ai diversi candidati.
Il segretario del PD Bersani, nei giorni scorsi, aveva preannunciato una clamorosa iniziativa nei confronti della autorità di garanzia delle comunicazioni per porre fine ad una situazione di "emergenza democratica". Il voto di oggi è stato strappato, nonostante queste emergenza non sia stata risolta, nelle prossime ore il conflitto di interesse sarà impugnato come una clava per stendere gli avversari, e Berlusconi non farà differenza tra presunti moderati e presunti radicali. Per lui saranno solo nemici da eliminare.
Sarà il caso che Bersani e con lui tutti quelli che ancora credono nell'articolo21 della Costituzione si riuniscano rapidamente e concordino tutte le iniziative utili a prevenire e a fermare l'annunciato broglio mediatico.
Per quanto ci riguarda chiederemo a tutte le associazioni che hanno promosso con noi la grande manifestazione del 12 marzo scorso, dedicata al tricolore e alla Costituzione, di promuovere tutte le inziative, anche le più clamorose, utili a garantire la regolarità del prossimo voto, quello per le elezioni aministrative e quello, non meno rilevante, per i quesii referendari.
Il primo tempo è stato perso da Berlusconi, sarà il caso di non fermarsi sino al fischio finale, sino alla formale proclamazione della sua sconfitta, che non sarà nè scontata, nè facile.



Milano boccia Berlusconi. Nell’urna il Cavaliere dimezza le preferenze


Nel 2006 il presidente del Consiglio aveva raggiunto quota 52.577, questa volta si deve accontentare di poco meno di 28mila voti

I manifesti comparsi nelle vie di Milano contro la procura

Alla fine non è servito a nulla invocare il giudizio divino. Anzi. Presentarsi in tribunale per cinque lunedì filati per la gioia dei comitati “Silvio resisti!”,arringare le folle con il solito repertorio “magistrati-cancro-pm-eversivi”, non prendere mai le distanze in modo chiaro da Roberto Lassini, inventore dei manifesti “via le Br dalle procure” (e anzi farlo sfilare sul pullman scoperto davanti a quello del Milan), presenziare alla festa del Milan pur in silenzio elettorale, ebbene, tutto questo non è servito, anzi ha danneggiato il Cavaliere. E per la prima volta dal 1992 i cittadini milanesi sembrano guardare al centrosinistra con speranza.

Il 7 maggio presentandosi al Palasharp per sostenere la candidatura di Letizia Moratti, Silvio Berlusconi aveva azzardato una richiesta rivolgendosi direttamente gli elettori milanesi: “Datemi 53mila preferenze oppure la sinistra mi farà il funerale. E’ inimmaginabile che una città come Milano vada alla sinistra”. Era, come la chiamava Libero, la “chiamata alle armi” per : “vincere al primo turno” con “la migliore amministrazione locale in Italia”. Lo scopo era raggiungere, possibilmente superare le 52.577 preferenze raccolte nel 2006. Ma a urne chiuse, il premier si deve accontentare di poco più della metà (27.972), secondo i dati definitivi forniti dall’ufficio elettorale del Comune di Milano. E Lassini? Il presidente dell’associazione “Dalla parte della democrazia” che il 17 aprile rivelava al Giornale di essere l’autore della “crociata” contro i magistrati “per dare manforte a Berlusconi, ha preso solo 872 preferenze. Niente, un fallimento completo. E pensare che domenica l’avvocato vessato dalla giustizia se ne stava, avvistato dall’Ansa, sul pullman che ha preceduto quello dei calciatori del Milan nei festeggiamenti per lo scudetto. All’inviata di Porta a Porta Lassini raccontava di quanto fosse commosso dalla telefonata di Berlusconi: “Mi ha espresso profonda solidarietà, mi ha convinto ancora di più a continuare nella battaglia a sostegno della riforma che solo il presidente Berlusconi potrà fare”.

Con il 28,75% dei consensi il più importante partito del centrodestra resta il più votato in città ma è la vittima più illustre del deludente risultato di Letizia Moratti: in un anno ha perso quasi 8 punti (era al 36% alle regionali) e ben 12 dalle scorse comunali quando Fi e An totalizzarono il 40,9%. Nella gara delle preferenze il vicesindaco Riccardo De Corato resta il secondo più votato (5.786 voti), seguito dal cielllino Carlo Masseroli con 3.406.

Deludente invece il risultato di Marco Osnato: il pupillo del ministro La Russa siederà in consiglio comunale ma come nono con appena 1.651 preferenze. Il risultato di De Corato appare ancor più opaco se paragonato a quello del suo eterno rivale, il leghista Matteo Salvini che lo ha distaccato di 4 mila preferenze (8.913). Del resto l’elettorato del Carroccio ha concentrato tutte le preferenze proprio sull’eurodeputato, visto che il secondo eletto, Max Bastoni, ne ha raggranellate appena 602. Eppure anche la Lega con il suo 9,64% ha poco da gioire: rispetto al 2006 ha sì triplicato i voti (era al 3,8%) ma a Milano è arretrata di cinque punti rispetto alle regionali di un anno fa.

Sul fronte opposto, l’architetto Stefano Boeri, sconfitto da Giuliano Pisapia alle primarie, si afferma non solo come il più votato dopo Berlusconi (12.861), ma anche come il candidato che trascina il Pd a un risultato senza precedenti. Con un 28,64% i democratici hanno guadagnato due punti dal 2010 e quasi sei dalle scorse comunali. Dopo Boeri a fare incetta di voti tra i democratici il giovane Pierfrancesco Maran, sponsorizzato da Filippo Penati, l’ex verde Carlo Monguzzi ePierfrancesco Majorino. Sugli scudi anche Sel (4,7%) e il cartello delle sinistre (3,1%) che confermano i voti presi dall’ala radicale nel 2006 ma a cui si aggiunge la buona performance della lista civica di Pisapia (3,86%). Al palo invece i dipietristi dell’Idv (2,54%) che in un anno perdono a Milano cinque punti e i radicali (1,72%). Nel Terzo Polo la palma di più votato va al centristaPasquale Salvatore anche se potrebbe avere più chance di entrare in consiglio l’“anti-Minetti”Sara Giudice, visto il miglior risultato della lista civica di Fli e Api (2,69%) rispetto all’Udc (1,9%). Sul fronte delle preferenze i candidati più chiacchierati o dai nomi più roboanti si sono rivelati generalmente dall’appeal elettorale poco incisivo. Pessimo il risultato di Roberto Lassini (Pdl), l’autore dei manifesti anti-pm (872 voti); lo storico leader dei Radicali Marco Pannella ha recuperato 58 voti, la cantante Ornella Vanoni, in corsa per Letizia Moratti, ne ha presi 36.

Insomma, se ci attenessimo al linguaggio del premier, verrebbe da dire: “pubblici ministeri uno, Berlusconi zero”.





Il terremoto di Milano arriva al governo Saltano i piani di B, dalla giustizia al rimpasto.


Il premier ha convocato i suoi ad Arcore in mattinata e poi a Palazzo Grazioli. Forte preoccupazione per il ballottaggio e per l'alleanza con la Lega. Tra gli appuntamenti cruciali della ripresa dei lavori in aula anche la verifica chiesta da Napolitano dopo l'allargamento dei sottosegretari. Verdini garantisce: "Nessuna conseguenza a livello nazionale"

Denis Verdini al vertice Pdl post elettorale

Il risultato del primo turno, con il terremoto di Milano, ha scosso profondamente la maggioranza aprendo una delicatissima fase negli equilibri del governo. Che adesso si ritrova a dover affrontare passaggi cruciali in aula. Uno su tutti: la verifica richiesta da Giorgio Napolitano dopo la tornata di nomine dei sottosegretari con cui Silvio Berlusconi ha “premiato” i responsabili. E proprio stamani la Conferenza dei capigruppo del Senato ha rinviato alla prossima riunione la scelta della data in cui tenere il dibattito in aula. Napolitano ha chiesto che il Parlamento sia informato dal presidente del Consiglio sull’ampliamento del governo dopo la recente nomina di nove sottosegretari considerando che l’attuale maggioranza è diversa rispetto a quella formatasi dopo le elezioni.

Ed è possibile che tutto venga rinviato a dopo il ballottaggio. Così come potrebbe essere rimandato il Consiglio dei ministri, previsto in settimana, per ampliare ulteriormente la compagine governativa. Battuta d’arresto anche per il pacchetto giustizia, tanto caro al premier. E c’è anche il nodo referendum, con la moratoria sul nucleare. L’esecutivo è bloccato. Senza una via d’uscita sicura. Si cerca la strategia. Intanto si mostra sicurezza. E così Denis Verdini appare in conferenza stampa per dire che “a parte Milano c’è stato un sostanziale pareggio”. Ma mostra nervosismo quando i giornalisti gli chiedono se pensa di dimettersi da coordinatore nazionale del partito. “Non ci penso nemmeno, non sono abituato a dimettermi”. Neanche in caso di sconfitta della Moratti, dice, “non ci sarà nessuna conseguenza sulla leadership del partito”. Ignazio La Russa riconosce che a Milano “c’è un problema”, il ballottaggio, dice “è una partita tutta nuova per noi”. E poi ringrazia il premier per “la sua generosità da capolista”. Frase che suona come l’annuncio di una minor partecipazione di Berlusconi alla campagna elettorale. Ma la strategia non è ancora stata definita.

Per tentare di individuarla il Cavaliere stamani ha riunito i suoi ad Arcore e ha incontrato Letizia Moratti, poi è volato a Roma e ha convocato un nuovo vertice per le 19 a Palazzo Grazioli con l’intero stato maggiore del partito. Oltre alla delusione di aver raccolto appena la metà delle 53mila preferenze avute nel 2006, la rabbia nei confronti della Lega che, secondo il premier, è colpevole di non aver partecipato attivamente alla campagna elettorale milanese, e la critica a Letizia Moratti di non essere stata capace a farsi apprezzare dai cittadini. Queste, secondo il premier, le principali cause del fallimento elettorale a Milano.

Il Cavaliere ha però deciso di non mostrarsi, deve comprendere a pieno le conseguenze del voto sui rapporti con la Lega. Ieri sera c’è una stata breve telefonata tra Berlusconi e Bossi. Oggi il carroccio è riunito in via Bellerio dalle 12.30. Bossi ha raccolto i suoi per discutere dell’esito delle comunali a Milano e delle strategie da attuare in vista dei ballottaggi. Presenti Roberto Maroni(rientrato appositamente da Roma), il capogruppo leghista alla Camera, Marco Reguzzoni, il segretario della Lega lombarda, Giancarlo Giorgetti, il figlio del senatur, Renzo Bossi, e il capogruppo in Consiglio comunale a Milano, Matteo Salvini.

Roberto Formigoni, in mattinata, tenta a distendere gli animi annunciando che “l’alleanza tra Pdl e Lega mi sembra forte e sarà riconfermata ufficialmente da Berlusconi e Bossi nelle prossime ore”, dice intanto il presidente della Regione Lombardia ma da via Bellerio filtrano versioni differenti, che registrano un malumore crescente del Senatur nei confronti della strategia berlusconiana di fare del voto amministrativo un referendum pro o contro la persona del premier. Dubbi chiaramente espressi dal leader del Carroccio già prima del voto. Che oltre a inviare segnali chiari di malumore per le dichiarazioni del Cavaliere sulla magistratura, con continui allineamenti ai moniti del Colle, anche con dichiarazioni dirette. Come sull’attacco di Moratti a Giuliano Pisapia, Bossi disse “io non l’avrei fatto”. E in via Bellerio il risultato delle urne è stata una doccia fredda. Perché il Carroccio si aspettava di rubare voti moderati al Pdl e attestarsi al 15% sfiorato alle regionali di un anno fa. Niente da fare. La Lega paga i malumori della base, che da mesi invita il Senatur a lasciare Berlusconi da solo, a staccare la spina. Così oggi, al termine del vertice,Roberto Calderoli ha confermato che l’impegno rimane valido per il ballottaggio, poi si vedrà.

”La Lega, tutta la Lega, è impegnata per vincere i ballottaggi di fine mese e ce la metteremo tutta per vincerli”, ha garantito Calderoli. “La Lega è riunita in queste ore proprio per trovare la strada per vincere i ballottaggi, e Bossi per primo sta pensando a come vincere. E quando ci mettiamo ce la facciamo”.

Ieri, a urne chiuse, con il risultato pessimo registrato persino a Varese, dove il sindaco Attilio Fontana è costretto al ballottaggio, lo dice anche Giancarlo Gentilini, il vicesindaco battagliero di Treviso. “Umberto Bossi deve prendere coscienza che i tempi stanno cambiando. Ci sono molti leghisti, che trovo ovunque io vada a parlare – ha spiegato Gentilini – che mi dicono ‘io non voto più Lega’. Non do i voti agli altri ma non voterò più Legà, e questa è la più grande amarezza che un sindaco che ha portato la Lega in palma di mano dal 1994 può patire”. Per Gentilini, in sintesi, la colpa di Bossi è quella di aver abbandonato un percorso di pragmatismo per aderire a progetti politici irrealizzabili. “La gente non vuole voli pindarici, non è interessata ad opere come il Ponte sullo Stretto di Messina – ha proseguito – perché è una cosa che non sta né in cielo né in terra. Quindi anche tu, Bossi – ha concluso Gentilini – quando appoggi questi programmi da fantascienza, ricordati piuttosto di restare con i piedi per terra, perché gli alpini mettono un piede dopo l’altro”.




Appalti lombardi e ‘ndrangheta, la Pedemontana nel mirino delle cosche. - di Fabio Abati.


La fotografia delle ingerenze dei clan nell'opera pubblica sono contenute nell'inchiesta Tenacia del Ros di Milano. Al centro i subappalti del movimento terra finiti, in parte, a un'azienda definita "contigua alle cosche"

Che l’autostrada Pedemontana, un appalto da oltre 5 miliardi di euro per un lungo serpentone d’asfalto che correrà a nord della Lombardia, facesse gola alle cosche c’era da aspettarselo. Ma oggi si scopre che pochi mesi prima che i cantieri decollassero, la ‘ndrangheta si stava già spartendo i lavori di movimento terra in tutta la regione.

Nel febbraio del 2010 a Cassano Magnago, in provincia di Varese, viene inaugurato il primo lotto di lavori della mega autostrada: la tratta A. Qualche mese dopo tra Mozzate e Lomazzo, nel comasco, inizia il movimento terra per la realizzazione di una grande area di cantiere (120 mila metri quadri), che permetterà ai macchinari e agli operai di avere il proprio campo base. I 150 mila metri cubi di ghiaia e sabbia trasportati e sistemati in quel luogo sono stati di competenza, tra le altre ditte, della Stilitano Scavi di Cislago, in provincia di Varese. Quest’azienda non è indagata, anche se, stando alle carte delle operazioni “Tenacia” e “Caposaldo”condotte dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano, ha intrattenuto rapporti con diversi personaggi oggi in carcere, accusati di associazione mafiosa e a loro volta imprenditori del ramo delle costruzioni. Può essere che alla Stilitano non fossero a conoscenza della caratura criminale dei loro interlocutori. Il collaboratore di giustizia Marcello De Luca, interrogato dai carabinieri del Ros, definisce i titolari dell’azienda di Cislago “contigui a pregiudicati calabresi, operanti nelle province di Varese e Como, ma in stretto collegamento con il paese d’origine”.

Questa è una storia che evidenzia quanto sia pervasiva la “mafia imprenditrice” in Lombardia. Anche se Pedemonata ha investito parecchio nel prevenire l’infiltrazione delle cosche è difficile tenere tutta la galassia di padroncini e piccole aziende di edilizia e costruzioni, sotto controllo. Quel che continua a fare gola sono i lavori di movimento terra. Si tratta di sub appalti spesso assegnati a chiamata diretta e dei quali l’azienda concessionaria rischia addirittura di sapere ben poco. Piccoli lavori, comunque molto remunerativi. Un sistema spiegato in una frase di Vincenzo Mandalari, quello che prima di essere arrestato nel gennaio scorso dopo alcuni mesi di latitanza era il capobastone a Bollate e titolare di un’azienda di costruzioni. “Ti faccio l’esempio del ponte tra Reggio e Messina – dice – io non miro al ponte, magari se mi danno la pulizia del ponte mi interessa… Noi oggi si punta a queste cose! Non si punta al condominio di 500 piani!”

Rocco Stilitano (amche lui non indagato), figlio di Antonino titolare dell’impresa omonima, nell’inchiesta “Caposaldo”, è stato intercettato mentre parla di spartizione di lavori con Giuseppe Romeo, uomo legato alla cosca Morabito, titolare di un’azienda di movimento terra ad Agrate Brianza. “La collaborazione giusto, è normale…”, esordisce Romeo, e Stilitano: “Bravo, bravo… Un po’ di camion li mettiamo noi, un po’ li mette lui, un po’ voi…” E di nuovo Romeo: “Si deve collaborare per prendere col prezzo giusto… Altrimenti poi alla fine…“

Secondo gli inquirenti gli ordini sulla divisione dei lavori al nord arrivano da lontano. Nel novembre del 2008 nel carcere di Vibo Valentia viene intercettato e video filmato un colloquio. Dietro le sbarre c’è Pasquale Oppedisano nipote di Domenico, il “capo crimine” di ‘ndrangheta di Rosarno. Dall’altra parte c’è il fratello Michele. Sempre secondo i carabinieri del Ros, che hanno imbastito la “Tenacia”, quel colloquio era per informarsi “relativamente agli affari correnti in Lombardia” e sulla spartizione dei lavori. La chiacchierata si chiude con un gesto eloquente: “Ossia quello di chiudere il dito pollice sul dito indice ed imitando così una pistola”. Chi non stava ai giochi, quindi, rischiava grosso.

Nel frattempo un altro fratello di Pasquale, Pietro Oppedisano, si trova a Milano. Per i carabinieri “la principale motivazione che ha portato il predetto in Lombardia è legata agli interessi connessi alla distribuzione degli appalti relativi ai lavori dell’autostrada Pedemontana”. E così si arriva a una “mangiata”. Tre mesi dopo quel colloquio in carcere, due dei fratelli Oppedisano si incontrano, in un ristorante del centro di Milano, con Salvatore Strangio, la testa di ponte della ‘ndrangheta nella Perego, grande azienda brianzola di costruzioni. In quell’occasione si stabilisce come muoversi, in modo che ciascuno abbia del suo, anticipando eventuali mugugni e contrasti.

Salvatore Strangio, arrestato la scorsa estate, è, sempre secondo i Ros, in stretti “rapporti col vertice delle cosche di San Luca in Calabria”. Per “testimoniare la notorietà di Strangio nel suo ambiente” gli inquirenti riportano proprio una telefonata con Rocco Stilitano. Parte Strangio: “Vi volevo vedere per un lavoro che insomma…” Quell’altro risponde: “Ma so che lo avete preso voi”. Di nuovo Strangio: “No è stata fatta un’offerta, non è stato preso ancora… È stata fatta solo un’offerta. Niente, ci dobbiamo vedere un po’… va bene?” La risposta: “Volete venire all’ufficio da noi senza che telefonate… Noi siamo a disposizione!” Questo il tenore di certe telefonate, nella Lombardia che vede la spartizione dei lavori e dove la mafia non esiste.