sabato 22 febbraio 2020

A Nahal Hemar 9000 anni fa usavano la colla. - Luke Scintu



Nahal Hemar è un sito archeologico in Israele nonché una cava datata dal carbonio 14  8310 a.C. Situato su una scogliera vicino al Mar Morto a nord-ovest del Monte. La grotta è stata scavata nel 1983 da Ofer Bar-Yosef e David Alon, dell'Università di Harvard e  della Israel Antiquities Authority. Quello che rende speciale questo luogo sono i reperti ritrovati, e utensili incollati con della vera colla di 9000 anni fa.

Nella grotta sono stata rivenuti oggetti di uso quotidiano come:  cestini corda, tessuti ricamati,  punte di freccia in legno, e ossa e utensili di selce e oggetti rituali, tra cui maschere in pietra vecchie di 9000 anni prima di Cristo, ora in mostra  a Gerusalemme e teschi umani decorati. Tutto questo è sufficiente per capire la grandiosità di questo luogo.

Risultato immagini per Nahal Hemar

Risultato immagini per Nahal Hemar

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In aggiunta al materiale artefatto-associato, sono stati trovati piccoli pezzi di collagene. Lo studio ha  suggerito che il collagene è un derivato da pelli di animali. La grotta doveva essere una vera dimora e rifugio per alcune famiglie. La gente era solita disegnare sui teschi umani, grazie al  collagene che rivestiva la superficie e il clima secco della regione di Nahal Hemar ha conservato perfettamente tutti questi reperti storici.

Un adesivo a base di collagene fu usato anche dagli Egizi circa 4000 anni fa come legante nella pittura e colla nella costruzione di mobili in legno. Ancora gli storici non si spiegano come possibile che all'interno di Nahal Hemar abbiano vissuto un agglomerato di persone  di 9000 anni fa in grado di conoscere tecnologie di 4000 anni più tardi.  Il collagene del sito israeliano fu integrato con il tessuto vegetale per dargli quella consistenza desiderata

Ancora non ci sono fonti certe di come possibile le persone del neolitico concepirono la scoperta della colla. Quel che è certo che 10000 a.C c'è un buco profondo per quel che riguarda la storia dell'uomo.

Scoperta la prima molecola di ossigeno fuori dalla Via Lattea. - Viola Rita

ossigeno
Markarian 231 (foto: Nasa, Esa, the Hubble Heritage (STScI/Aura)-Esa/Hubble Collaboration e A. Evans – University of Virginia, Charlottesville/Nrao/Stony Brook University).

Per la prima volta gli scienziati hanno rilevato la presenza di ossigeno in molecole (nella sua forma molecolare O2) al di fuori della Via Lattea. E precisamente nella galassia Markarian 231 (Mrk 231), a 581 milioni di anni luce da noi, che nel suo centro contiene la quasar a noi più vicina – le quasar sono nuclei galattici attivi estremamente luminosi. L’ossigeno è il terzo elemento più abbondante nell’universo e conoscere meglio dove e come si presenta il gas molecolare di O2 è essenziale per studiare diversi fenomeni astronomici. I risultati sono pubblicati su The Astrophysical Journal.

L’ossigeno molecolare, difficile da rilevare.

L’ossigeno è sul podio, al terzo posto dopo idrogeno e elio, per abbondanza nell’universo. Sino ad oggi l’ossigeno nella forma molecolare è stato rilevato nella Nebulosa di Orione, una delle nebulose più brillanti nel cielo notturno. Un’ipotesi è che buona parte dell’ossigeno nello spazio sia legato ad idrogeno e si presenti sotto forma di acqua ghiacciata che si lega a particelle di polvere.
In generale, lo studio della distribuzione dell’ossigeno nella nostra galassia è complesso. “Manca ancora una fotografia dettagliata della chimica dell’ossigeno in diversi ambienti interstellari”, scrivono gli autori nel paper. E questo anche a causa del fatto che l’atmosfera terrestre può influenzare la possibilità di rilevarlo. Il problema dell’interferenza dell’atmosfera terrestre si risolverebbe qualora si andasse a studiare la presenza di ossigeno al di fuori della nostra galassia, dato che a causa di complessi fenomeni fisici questa interferenza verrebbe meno.
Tuttavia, rintracciarlo rimane comunque molto complicato e, nonostante ripetute osservazioni, ad oggi gli scienziati non c’erano riusciti. Soltanto ora per la prima volta il gruppo, coordinato dallo Shangai Astronomical Observatory dell’Accademia cinese delle scienze, ha annunciato di averlo avvistato al di fuori della Via Lattea, nella galassia Markarian 231.

Il rilievo.

Il gruppo di ricerca ha svolto le osservazioni dall’agosto 2015 al dicembre 2017, con il telescopio Iram, un radiotelescopio dal diametro di 30 metri che si trova in Sierra Nevada e che è secondo per dimensioni della parabola soltanto al Large Millimeter Array, insieme con l‘interferometro Noema, uno strumento situato sulle Alpi francesi, costituito da 12 radiotelescopi dal diametro di 15 metri. In particolare, l’ossigeno molecolare è stato identificato a 32.600 anni luce di distanza dal centro della galassia, ovvero in prossimità della quasar nel nucleo della galassia, la quasar più vicina a noi.

Dalle quasar all’Universo.

L’emissione potrebbe essere causata dall’interazione fra la fuga di gas molecolare dal nucleo galattico e quello presente nelle nubi molecolari del disco esterno, come spiegano gli autori nello studio. In particolare, le quasar sono nuclei galattici attivi estremamente brillanti, con una luminosità anche migliaia di volte più alta rispetto a quella riscontrata nella Via Lattea. Per questo, studiare le emissioni di questi nuclei è importante per comprendere le evoluzione di queste galassie e avere informazioni in più sull’universo. “Questo primo rilievo di ossigeno molecolare extragalattico”, concludono gli autori, “fornisce uno strumento ideale per studiare la fuoruscita di gas molecolare dal nucleo galattico attivo su scale di tempo dinamiche di decine di milioni di anni”.

4 BENEFICI del PEPERONCINO.


Il peperoncino fa bene al cuore: verità o falso mito? Ecco la risposta
Il peperoncino è una pianta aromatica utilizzata sin dall’antichità. Fu Cristoforo Colombo a trasportare questa preziosa pianta dall’America Centrale in Spagna, permettendone così la diffusione in tutta Europa.
Fa parte della famiglia delle Solanacee e in particolare del genere Capsicum. I frutti di questa pianta possono essere raccolti in estate o a inizio autunno, in base alla varietà coltivata, ed essere utilizzati in cucina sia freschi che secchi, restando così disponibili tutto l’anno.
Esistono in natura moltissime specie di peperoncino, da quelli più dolci a quelli più piccanti. La piccantezza del frutto, che dipende dalla quantità di capsaicina contenuta, viene misurata dalla scala di Scoville. Tra i peperoncini più piccanti e più conosciuti possiamo ricordare l’habanero, mentre le varietà cayennacalabrese e jalapeno messicano sono considerate solo moderatamente piccanti.
La peculiarità del frutto è proprio la piccantezza al palato, conferita dalla capsaicina, che non è concentrata nei soli semi, ma si trova nella cosiddetta placenta, ovvero la membrana interna di colore bianco cui i semi sono attaccati.

4 AZIONI BENEFICHE DELLA CAPSAICINA

  1. Ha attività vasodilatatrice locale e migliora la circolazione sanguigna, oltre a migliorare la salute del cuore. Attualmente l’abitudine a consumare cibo piccante sembra infatti essere collegato a un minor rischio di ischemie e ipertensione.
  2. Ha effetto antidolorifico, grazie alla sua capacità di interferire con i nervi sensoriali cutanei nella trasmissione dello stimolo doloroso. Degli studi hanno infatti approvato l’utilizzo di preparazioni contenenti capsaicina per il trattamento del dolore, in particolare quello di tipo neuropatico, e in alcuni casi anche nei reumatismi. Per questi dolori esistono anche preparazioni in forma di crema a base di capsaicina.
  3. È capace di innescare la perdita di peso, accelerando il metabolismo. In alcuni studi la somministrazione di peperoncini ha comportato una riduzione del grasso addominale e una conseguente diminuzione del peso totale. In aggiunta a questo effetto dimagrante, si è osservata anche una diminuzione dei livelli ematici di colesterolo, trigliceridi e glucosio in alcuni studi su animali.
  4. Possiede proprietà antibatteriche che possono influire sulla flora intestinale, e possono aiutare nel trattamento dell’Helicobacter Pylori.

LE ALTRE SOSTANZE NEL PEPERONCINO

  • Vitamina C: questa vitamina dalle proprietà antiossidanti che, come sappiamo, è fondamentale per il nostro sistema immunitario, è coinvolta nella sintesi del collagene ed è importante per l’assimilazione del ferro da parte dei globuli rossi. Il peperoncino è ricchissimo di vitamina C, 100 gr di questo frutto piccante ne contengono ben 229 milligrammi, contro i 50 dell’arancia. Un peperoncino da 10 gr può contenere quindi fino al 30% del fabbisogno giornaliero di vitamina C di un uomo adulto. Attenzione però ai peperoncini secchi, il cui contenuto di questa vitamina risulta praticamente nullo a causa della sua volatilità.
  • Vitamina A: importante per il corretto funzionamento del sistema visivo, per il mantenimento delle cellule epiteliali intestinali e per il funzionamento del sistema immunitario e genitale.
  • Vitamina E: un altro antiossidante naturale presente nel peperoncino che contribuisce al mantenimento dell’integrità cellulare.
  • Sali minerali tra cui calcio, rame e potassio, oltre a carotenoidi, bioflavonoidi e lecitina. Inoltre è povero di calorie, ne contiene circa 30 ogni 100 gr.

CURIOSITÀ

Il sapore piccante del peperoncino è dato dall’azione della capsaicina sui recettori della lingua. Per smorzare il bruciore dato dal peperoncino è inutile ingurgitare tanta acqua: la capsaicina è infatti solubile in alcool o grasso, in particolare la caseina, è per questo che è molto utile mangiare formaggio, una salsa allo yogurt o sorseggiare un po’ di latte. Ed ecco spiegato perché nella cucina messicana, molto speziata e piccante, si usa accompagnare i pasti con la panna acida, così come nella cucina indiana le pietanze sono accompagnate dal lassi, bevanda a base di yogurt. 

Spostando l’asteroide più in là. - Luca Nardi


La traiettoria di Apophis nel suo passaggio ravvicinato 
del 2029. Il trattino bianco indica l’incertezza sulla 
posizione del perigeo. Crediti: Nasa

Un team del Mit ha delineato una mappa che permette di agire in tempo per scongiurare l'impatto di asteroidi sulla Terra, spostandoli dalla loro orbita prima che – imboccando la cosiddetta “serratura gravitazionale” – si indirizzino sulla via del non ritorno. Lo studio, pubblicato su Acta Astronautica, apre nuove prospettive nell'ambito della difesa planetaria.
Apopi, il dio-serpente che incarnava il male e il caos nel pantheon degli antichi egizi, ha dato il nome a un asteroide dalle dimensioni della Torre Eiffel che passerà vicino al nostro pianeta nel 2029.
Si chiama 99942 Apophis, ed è stato scoperto nell’ormai lontano 2004. Inizialmente scatenò il panico: il 13 aprile del 2029 avrebbe avuto il 2,7% di probabilità di impatto, e sette anni dopo, nel passaggio ravvicinato del 2036, questa probabilità sarebbe cresciuta notevolmente portando (forse) l’apocalisse al di fuori delle pagine bibliche.
Successive misure più precise hanno poi ridimensionato il pericolo. Nel 2029 Apophis passerà sì vicino alla Terra, ma a una distanza di 31.200 chilometri dalla nostra bella superficie planetaria. È meno dell’altitudine a cui orbitano i satelliti per le telecomunicazioni più lontani, ma è comunque abbastanza per dormire sonni tranquilli, almeno per i prossimi anni.
Sì, perché anche se l’ira del dio Apophis non si scatenerà su di noi, non è escluso che tra qualche anno il problema si ripresenti nuovamente in forma simile, o potenzialmente peggiore.
In una ricerca del Massachusetts Institute of Technology (Mit) pubblicata su Acta Astronautica si delineano alcune linee guida su quali strategie potrebbero essere più efficaci per deflettere un asteroide in arrivo. Queste strategie devono prendere in considerazione la massa e la velocità degli asteroidi, oltre al loro passaggio nelle prossimità di una cosiddetta gravitational keyhole (serratura gravitazionale), la regione in cui l’influenza gravitazionale del pianeta modifica l’orbita dell’asteroide indirizzandolo verso l’impatto nelle orbite successive. Un altro fattore da prendere in considerazione è ovviamente la tempistica con cui si viene a conoscenza dell’imminente impatto.

L’asteroide Apophis. Crediti: University of Hawaii’s Institute for Astronomy
I ricercatori hanno applicato il loro metodo proprio ad Apophis, ma anche a Bennu, l’asteroide obiettivo di Osiris-Rex, costruendo una sorta di mappa per decidere quale missione di difesa planetaria possa essere ottimale per questi due asteroidi.
«In genere, si considerano soprattutto le strategie per una deflessione all’ultimo minuto, quando l’asteroide è già passato nel keyhole e si trova in rotta di collisione con la Terra», dice Sung Wook Paek, il primo autore dello studio. «Io sono interessato a prevenire un passaggio nel keyhole ben prima dell’impatto con la Terra.»
Le strategie per la deflessione di asteroidi nello spazio includono la più classica – e controversa – detonazione nucleare e l’utilizzo di impattori cinetici. Questi ultimi sono sonde o missili che possono modificare l’orbita dell’asteroide semplicemente colpendolo, così come fanno le palle da biliardo durante uno scontro. Per essere efficaci occorre però selezionare opportunamente la velocità, il luogo di impatto e la composizione dell’impattore, e per farlo è richiesto conoscere il più precisamente possibile le caratteristiche dell’asteroide e della sua orbita.
Per questa ragione, nelle missioni considerate nel lavoro del Mit i lanci da terra devono essere due: una prima sonda ha il compito di misurare da vicino le caratteristiche dell’asteroide così da massimizzare la possibilità di successo dell’impattore, lanciato in un secondo momento. In un altro scenario le sonde del primo lancio possono essere due: la prima misura le caratteristiche dell’asteroide mentre la seconda lo colpisce spostandolo leggermente dalla sua traiettoria.
Quest’ultimo caso, per esempio, è quello che potrebbe essere adottato nel caso in cui un asteroide come Apophis rischi di passare nel suo keyhole a cinque anni dalla scoperta. Se il passaggio avviene tra i due e i cinque anni, ci sarebbe il tempo solo per una prima sonda prima del lancio dell’impattore. Se il passaggio nel keyhole dovesse avvenire entro un anno dalla scoperta dell’asteroide, potrebbe essere invece troppo tardi per intervenire con questa modalità e bisogna ideare un altro modo per affrontare il problema.
Il tema della difesa planetaria dall’impatto di asteroidi non ammette miopia: quando verrà il momento dovremo essere preparati.