lunedì 3 settembre 2012

Tagli. A rischio anche la lotta alla mafia. - Nicola Tranfaglia.


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Giovanni Falcone (come ricorda chi lo ha conosciuto prima che fosse barbaramente ucciso, con Francesca Morvillo e le persone che lo accompagnavano anche a Capaci) aveva un sogno: che la lotta alla mafia potesse proseguire fino alla distruzione di Cosa Nostra e dei suoi alleati, fuori e dentro le istituzioni dello Stato, con i mezzi finanziari e culturali necessari. 
Falcone, come tutti i magistrati che ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare negli ultimi vent’anni, riteneva che l’educazione delle vecchie e nuove generazioni di italiani fosse uno strumento essenziale per quella lotta ma era, nello stesso tempo, convinto che a quella difficile opera dovesse affiancarsi una lotta quotidiana condotta da corpi specializzati dello Stato e composti da persone esperte e persuase dell’urgenza di un lavoro massiccio contro le associazioni mafiose presenti in tutto il paese, anche se concentrati in alcune regioni del Mezzogiorno continentale  e della Sicilia.
Da questa idea di fondo è nata negli anni novanta, sulla base di considerazioni precise di Falcone, Caponnetto e Borsellino, cioè di quelli che hanno dedicato la vita alla lotta contro Cosa Nostra e i suoi alleati, la Direzione Investigativa Antimafia e sulla base dell’aggravarsi progressivo della crisi politica, morale ed ora economica del nostro paese, è stato fissato il cosiddetto TEA (o trattamento economico aggiuntivo) per fare in modo che i poliziotti che si dedicano in maniera esclusiva a quella lotta che consente loro di non coltivare nessun altro lavoro e percepire – per fare un esempio significativo – circa 250 euro aggiuntivi allo stipendio dopo trent’anni di servizio.
Una somma che non arricchisce nessuno ma che non è neppure trascurabile per chi vive di un medio stipendio pubblico, come la maggior parte dei dipendenti dei Ministeri che si occupano direttamente del difficile compito.
Ma il 12 novembre scorso la legge di stabilità ha drasticamente ridotto il trattamento economico aggiuntivo provocando le proteste non soltanto di parlamentari della destra ma anche degli stessi poliziotti della Dia riducendolo al 35 per cento rispetto alla misura ordinaria. Ora, proprio in questi giorni, arriva la mazzata finale giacché il ministero dell’Interno dovrà risparmiare 131 milioni di euro e nel bilancio del Ministero dell’Economia c’è il capitolo 2673 che riguarda il Dipartimento di Sicurezza del Viminale che riduce il passaggio della somma, prevista fino a qualche mese fa, di 3.655 milioni di euro, si passa a una cifra che toglie più di un terzo dello stanziamento iniziale.
Non solo. Il personale della Dia, che è sottodimensionato (mancano circa duecento elementi) viene ulteriormente ridotto e si creano gruppi interforze per il controllo degli appalti (quando già esiste nella Direzione un osservatorio centrale) e si decurtano i fondi del trattamento economico aggiuntivo.
Sul Viminale pesa un ricorso presentato da 500 tra ufficiali e sottoufficiali che dal novembre 2011 non ricevono più quel che è loro dovuto.
“I provvedimenti del Ministero – commenta Enzo Marco Letizia, segretario nazionale dell’Associazione Nazionale Funzionari di Polizia – puniscono quelle donne e quegli uomini che più di altri contribuiscono alla confisca dei beni della mafia.”
Ma lo Stato sembra proprio averli abbandonati.
Parole esagerate o è soltanto la fotografia di una situazione drammatica che rischia di portare invece una battaglia più che mai necessaria di fronte alla crescente espansione del fenomeno mafioso in Italia e alla sua crescente potenza economica e politica?
Lasciamo giudicare ai lettori ma siamo convinti che, di fronte a un governo che non ha certo intrapreso una battaglia culturale precisa in questo senso il rischio è grave e richiede un intervento rapido e efficace nel giro dei prossimi giorni.


Alessandro Giari scrive:
La morte di Dalla Chiesa involontariamente ha segnato un capitolo importante nella mia vita.
Dopo la Sua morte fu nominato Prefetto di Palermo il Dott. Sica che non si fidava di nessuno e, così, volle che per aluni tipi di indagini fossero utilizzarti solo Professionisti di una certa Università.
Io ne facevo parte e, così, nel 1984 feci il "mio debutto" nelle indagini su omicidi di mafia in Palermo. Doveva essere un intervento sporadico e per poco tempo. Furono 6 anni circa .. Un esperienza che non dimenticherò mai, non solo per la situazione "critica" in cui si lavorava, ma anche per le immense personalità che ho avuto modo di conoscere in quella terra che, per me, è la più bella e ricca di cultura e genialità dell'intero Mediterraneo. Non mi riferisco solo a personaggi noti a tutti, alcuni dei quali poi barbaramente uccisi, ma anche persone colà nate e vissute, semplici ma immensamente ricche dentro, e veramente per bene che, nelle loro possibilità, vivevano combattendo ogni giorno contro la Mafia .. A tutti loro devo dire grazie ora come allora.

30 anni fa l’omicidio del Generale Dalla Chiesa. Il figlio Nando: “un delitto politico”. - Stefano Corradino


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“Ci sono cose che non si fanno per coraggio. Si fanno per potere continuare a guardare serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei propri figli. C’è troppa gente onesta, tanta gente qualunque, che ha fiducia in me. Non posso deluderla”. Così parlava al figlio Nando il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso il 3 settembre di 30 anni fa. Domani in tanto lo ricorderanno. A Milano sarà presentato il documentario “Il Generale” di Dora, figlia di Nando, nata pochi mesi dopo la morte di suo nonno. Intervistato da Articolo21 Nando Dalla Chiesa ricorda gli insegnamenti di suo padre e il processo di rimozione di tanta parte della politica…
Intorno alle commemorazioni che ricordano tuo padre a 30 anni di distanza dalla morte avverti più retorica o partecipazione vera?Dipende da ciò a cui ti riferisci. Se parliamo della gente ogni anno, e non solo durante le commemorazioni, vedo una partecipazione cospicua e vera.
Se invece parliamo della politica?
Troppe volte in questi anni ho avuto e continuo ad avere la sensazione che gran parte della politica sembra non essere interessata alla ricerca della verità e della giustizia e soprattutto, cosa ancora più grave, sembra voler procedere ad un’opera di rimozione del passato.
“Un delitto politico” affermò Giorgio Bocca, a cui si deve l’ultima intervista, all’indomani dell’assassinioLo confermo anche dopo 30 anni. Quella politica che può uccidere e far finta che nulla sia successo. O che si dimena alla ricerca di carte segrete ed inedite quando sarebbe meglio che facesse i conti con quello che è accaduto platealmente.
C’è un fil rouge, anzi nero che collega l’assassinio di tuo padre e le stragi degli anni Novanta, comprese quelle di Capaci e via D’Amelio?Non si può andare da una cosa all’altra disinvoltamente e creare correlazioni specifiche. Semmai il filo che li tiene insieme è la frequentazione dei poteri illegali con una parte di quelli dello Stato. E comunque non è poco…
L’assassinio di tuo padre può essere considerato uno dei ‘buchi neri’ della storia d’Italia? Conosciamo gli esecutori materiali ma non i reali mandanti…I mandanti (e gli esecutori) di Cosa Nostra sono stai individuati, rimangono fuori i mandanti esterni. Ma non possiamo dimenticare cosa può voler dire quell’accusa prescritta ad Andreotti di aver intrattenuto rapporti organici con la mafia fino al 1980. Mio padre tutto sommato viene ucciso nell’82…
C’era un grumo di potere che penalmente può non essere stato identificato ma moralmente e politicamente sì.
Tutto il putiferio che si è scatenato in questi giorni sulla presunta trattativa stato-mafia sembra paradossalmente aver ottenuto un solo effetto: quello di distogliere l’attenzione sul tema vero: la verità sulle stragi del ’92 e del ’93 (e non solo…) La verità è sempre più lontana?Sì, e l’unico modo in cui può venire fuori con nettezza è che qualcuno parli. Ma non può essere un mafioso a parlarne perché non verrebbe creduto. Deve essere un uomo delle istituzioni a raccontare quello che sa; temo però che non lo farà nessuno.
“Tuo padre con i mascalzoni non prendeva neanche un caffé” scrivi oggi sul “Fatto”. Tuo padre non trattava.
Non si tratta e non si flirta con chi delinque: ne va del proprio ruolo e della propria dignità. E’ quello che ci ha insegnato.
Cos’altro? Qual è il valore più importante che vi ha trasmesso?
Il senso delle istituzioni, che conta molto di più degli interessi privati.

L’aggressione di Repubblica. - Antonio Padellaro



Così fai il gioco della destra” era l’anatema scagliato nelle vecchie sezioni del Pci contro chi osava mettere in discussione la linea ufficiale del partito, l’unica autorizzata a difendere le masse lavoratrici dai “provocatori” (sempre appostati nell’ombra) e dunque da una visione dei problemi “oggettivamente fascista”.
Pensavamo che la parodia di quei dirigenti, un po’ sedotti dal mito dell’Urss e un po’ furbacchioni, immortalata dal sindaco Peppone di Gino Cervi, fosse ormai un reperto da cineforum. Invece, venerdì su la Repubblica, il direttore Ezio Mauro ce ne ha fornita una nuova versione rap: “Il fatto è che l’onda anomala del berlusconismo ha spinto nella nostra metà del campo (che noi chiamiamo sinistra) forze, linguaggi, comportamenti e pulsioni che sono oggettivamente di destra”. Di questa prosa anni Cinquanta si è già occupato Marco Travaglio e, sull’ingenuo tentativo di mettere d’accordo capra e cavoli a proposito dello scontro su Napolitano tra Scalfari e Zagrebelsky, non aggiungeremo altro. Qualcosa invece ci preme dire a proposito dell’attacco ai limiti della diffamazione che il direttore di quel giornale ha voluto sferrare contro il Fatto e i suoi lettori.
Certo, non siamo mai nominati, ma è l’abitudine della casa: ammantarsi di spocchiosa superiorità per meglio insultare l’avversario e poi nascondere la mano. È il giornalismo “de sinistra” che per quindici anni si è giovato dell’alibi Berlusconi per alzare le barricate e scendere nelle piazze con roboanti proclami e che adesso, soddisfatto, torna finalmente a riposarsi all’ombra del potere costituito. Notare il linguaggio da proprietari terrieri: “La nostra metà del campo”. Nostra di chi? Chi ve l’ha regalata? Cos’è, un lascito di Napolitano?
E in nome di cosa pensate di rappresentare “ciò che noi chiamiamo sinistra?” (Danno perfino il nome alle cose come la Bibbia). 
Un fenomeno davvero bizzarro quello di un direttore e di un fondatore che si credono dei padre eterni. Verrebbe da chiedere in nome di quale autorità morale, di quale cattedra superiore decidono essi chi è di destra e chi di sinistra? E poi, visto che si parla di giornali esistono notizie di sinistra e notizie di destra? Di grazia, questa scelta per così dire salvifica avviene sulla base delle telefonate del Quirinale? Del gradimento dei vertici Pd (non a caso ieri Bersani scimmiottava Mauro contro Grillo e Di Pietro)? O degli interessi del padrone? E se per caso a Savona c’è una centrale con tassi di inquinamento tipo Ilva, a cui la proprietà del giornale tiene assai, non se ne parla perché trattasi di notizia “oggettivamente” di destra?
Noi rispettiamo i giornalisti e i lettori di Repubblica e non ci permetteremmo mai di scrivere che per loro “cultura è già una brutta parola”, come abbiamo letto nell’editoriale in puro stile Comintern. Comprendiamo anche l’irritazione che si respira in quelle stanze da quando Il Fatto esiste e prospera, e se alcune tra le migliori firme di quel gruppo hanno scelto di lavorare con noi se ne facciano una ragione. La polemica giornalistica anche quando è sopra le righe va accettata. Le aggressioni no.
Il Fatto Quotidiano, 26 Agosto 2012

Renzi, non votatelo! - Giorgio Bongiovanni


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L’altro giorno ad una domanda di un giornalista del Fatto Quotidiano che gli chiedeva un’opinione sulla costituzione del governo quale parte civile al processo sulla trattativa mafia-stato il sindaco di Firenze, Matteo Renzi ha risposto di rivolgersi all’ufficio stampa perché lui era impegnato. Era allo stadio a guardare la Fiorentina.
Cioè, il primo cittadino di una delle città teatro di una delle peggiori stragi che la nostra già tragica storia ricordi, per altro al centro delle difficilissime indagini sulla trattativa, si permette di non rispondere ai giornalisti perché sta guardando una partita di calcio!!!!
Ecco Signori, questo sarebbe uno che ambisce a candidarsi alle primarie del primo o secondo partito di maggioranza del nostro Paese, uno che vorrebbe diventare Presidente del Consiglio, deputato alla Camera per mettere le mani sulla nostra Costituzione!!!
Meno male che non è il sindaco della mia città, Palermo, ma solo un ambizioso arrivista di quel Pd lontano anni luce dai valori e dagli ideali di coloro che lo fondarono.
Gente, non votate questo ibrido personaggio, uno spocchioso mocciosetto che cari amici fiorentini, avete proprio sbagliato a votare. Uno che invece di permettersi di sbattersene dei suoi concittadini che hanno perso la vita sull’altare dell’accordo politico-mafioso che ha generato le stragi, dovrebbe essere posto in stato d'accusa per gravi offese ai martiri di Firenze, Palermo e Milano e cacciato da quella splendida città che fu di Dante e di Savonarola.
Mi quereli pure, signor Renzi, andiamo in tribunale, sarò contento di farla vergognare davanti ai suoi concittadini per la sua ignoranza e bassezza morale.

Presto la verità sull'omicidio del Generale dalla Chiesa. - Giorgio Bongiovanni


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Trent'anni fa, il 3 settembre del 1982, a Palermo in via Isidoro Carini un commando di Cosa Nostra uccise a colpi di kalashnikov il prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo. 
Un omicidio di Stato, o meglio, dello Stato-mafia che chiese un favore a Cosa Nostra per conto dei potenti criminali che, allora come oggi, dominavano e dominano il nostro Paese. L'ho detto più volte in questi anni e ancora una volta lo ripeto, il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, Falcone, Borsellino e altri martiri del nostro Paese, sono i veri padri della nostra Patria. Di seguito mi permetto di riproporre due articoli scritti in passato con il cuore e con l'anima, in suo onore, da parte mia e di tutta la giovane redazione di ANTIMAFIADuemila, formatasi anche con i suoi insegnamenti. 

Il Generale, padre della patria 
di Giorgio Bongiovanni
Il 3 settembre 1982 il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, la sua giovane moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo venivano trucidati da un commando di Cosa Nostra.
Sono passati 29 anni e mi chiedo: Cosa avrebbe potuto fare il Generale se non fosse stato trucidato? Se gli avessero dato quei poteri che gli avevano promesso e mai assegnato?
  
Penso che avrebbe stanato, uno ad uno, porta per porta, capi e gregari della mafia.
Li avrebbe trovati tutti, i latitanti, e avrebbe costretto i capi mafiosi a commettere passi falsi, per poterli catturare e arrestare. Avrebbe trovato tutte le prove da consegnare ai magistrati, a Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e gli altri componenti del pool, per minare fin dalle fondamenta i rapporti tra la mafia e la politica.
L’era Andreotti sarebbe finita 10 anni prima e i vari Lima, Ciancimino e tutta la feccia della Dc sarebbe scomparsa dalla nostra isola.
Forse sarebbe riuscito pure ad evitare, indebolendo Cosa Nostra, le stragi Chinnici, Falcone, Borsellino e le altre… Avrebbe scovato quelle sette massoniche che ancora oggi imperversano in Sicilia e sicuramente avrebbe ripulito il marcio che si annida all’interno delle forze dell’ordine in Sicilia e i servizi segreti deviati legati ai boss.
Questo ed altro avrebbe fatto, il Generale, padre della patria e padre di tutti noi giovani diventati uomini anche grazie a lui.
Qualcuno delle entità di grosso potere economico religioso e politico ha chiesto il favore a Cosa Nostra come hanno confermato le voci interne all’organizzazione criminale.
Guttadauro: “Salvatore…ma tu partici dall’ottantadue, invece… ma chi cazzo se ne fotteva di ammazzare a Dalla Chiesa… andiamo parliamo chiaro…”.
Aragona: “E che perché glielo dovevamo fare qua questo favore… Ma perché noi dobbiamo sempre pagare le cose...”.
Guttadauro: “E perché glielo dovevamo fare questo favore...”
(Intercettazione nel salotto di casa del capo mandamento di Brancaccio Giuseppe Guttadauro mentre parla con un suo gregario Salvatore Aragona, 2001)
Chi lo ha chiesto questo favore?
Sicuramente qualcuno che oggi comanda l’Italia, che comanda nel mondo della finanza, della politica e anche delle forze dell’ordine.
Per il Generale dalla Chiesa, per la sua giovane bellissima moglie, per l’agente Domenico Russo, per loro daremo il nostro contributo per fare giustizia cercando la verità.
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Il mio ricordo del generale dalla Chiesa
di Giorgio Bongiovanni
Oggi, anniversario della morte del generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Quando fu ucciso, il 3 settembre del 1982, avevo 19 anni e vivevo nella mia terra, in Sicilia. Più precisamente vicino a Siracusa.
Il giorno successivo vidi sui giornali la foto del corpo del Generale e di quello di sua moglie, Emanuela Setti Carraro, trucidati dalla mafia e mi misi a piangere senza capirne il motivo.
Poiché in quel momento, in giovane età, di mafia non mi occupavo, immerso in tutt’altri interessi.
Quel nodo alla gola, quella tristezza tornarono uguali quando nel secondo anniversario della sua barbara uccisione, venne presentato il film del nostro amico regista Giuseppe Ferrara “Cento giorni a Palermo”, interpretato da Lino Ventura e Giuliana De Sio. Ricordo che di fronte allo sguardo sbigottito di mia moglie lanciai d’istinto gli occhiali contro la televisione mandandoli in mille pezzi.
Per i successivi vent’anni o quasi di mafia non mi sarei ancora occupato, impegnato nella mia vita spirituale e in opere sociali seguendo il messaggio del Cristo.
Il generale dalla Chiesa rimase però sempre dentro di me. E ricomparve con forza nel 2000, quando nel mio subconscio, nella mia coscienza, nel mio spirito lo percepii come il simbolo della giustizia, dell’integrità, della solidarietà, della profonda essenza dell’essere padre, dell’altissimo senso di dovere nei confronti della società, dei cittadini del proprio Paese.
Il generale dalla Chiesa è l’ispiratore della rivista ANTIMAFIADuemila.
Il suo sacrificio, la sua ingiusta morte e il suo insegnamento – insieme a quelli di Falcone e Borsellino e di tutte le vittime della mafia - hanno spinto il mio spirito a fondare questa rivista.
Nel mio ufficio è appeso un quadro di Falcone e Borsellino e alla sinistra della mia scrivania c’è la foto del generale dalla Chiesa. Un giorno i miei figli e i miei nipoti mi chiesero chi fosse quella persona, se la conoscevo, se era un mio amico. Risposi loro raccontando la storia che voi, cari lettori, avete letto sopra.
Il generale dalla Chiesa è stato ucciso da Cosa Nostra, la mafia siciliana, la più potente e la più conosciuta del mondo. Per la sua morte, quella di sua moglie Emanuela Setti Carraro e dell’agente di scorta Domenico Russo sono stati condannati gli esecutori materiali, tutti appartenenti alla cosca corleonese di Riina e Provenzano.
Il generale è stato ucciso perché a Cosa Nostra è stato chiesto un favore da personaggi potenti che fanno parte della politica, dell’alta finanza, della massoneria deviata, dei servizi segreti, dei poteri forti.
Il senatore a vita Giulio Andreotti è a conoscenza di questi fatti, complice o omertoso.
Il generale è stato ucciso da personaggi sporchi che ancora oggi comandano e che spesso sono gli stessi che portano ghirlande di fiori in via Isidoro Carini, a Palermo, nel luogo in cui Carlo Alberto dalla Chiesa, sua moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo hanno lasciato la vita.
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Schulz: "Futuro nell'entusiamo dei giovani"



Modena - (Adnkronos/Ign) - Il presidente del Parlamento europeo: "In Italia e Spagna livelli di disoccupazione giovanile inaccettabili". E necessario creare "opportunità" perché "se perdiamo un'intera generazione l'Europa non può avere futuro".

Modena, 3 set. - (Adnkronos/Ign) - "L'Europa avrà un futuro se sapremo trasmettere entusiasmo ai giovani''. Lo ha detto il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz aprendo oggi a Modena la terza edizione della Summer School Renzo Imbeni dedicata al 'Futuro dell'Unione europea'.

"Abbiamo una generazione - ha spiegato Schulz - che ha la migliore istruzione e la migliore formazione, ma con livelli di disoccupazione altissimi, soprattutto in Italia e in Spagna e questo è un fatto inaccettabile". "A noi - ha aggiunto - tocca il compito di creare nuova occupazione e dare opportunità per il futuro rendendo l'Europa concorrenziale a livello mondiale".
Quanto alla crisi, "la distruzione dell'economia italiana, attaccata dalla speculazione internazionale, sarebbe un disastro per l'Europa" ha continuato il presidente Schulz, assicurando l'impegno a fare "tutto ciò che possa servire ad abbassare i tassi d'interesse" e a rivedere il rapporto tra Bce e Stati membri.
Tema, quello della disoccupazione, affrontato dal presidente dell'Europarlamento anche in un'intervista a Rainews. "Dobbiamo stabilizzare l'eurozona - ha esortato - L'altra crisi, dopo quella della fiducia, è quella dell'occupazione. La priorità delle istituzioni europee è lottare contro la disoccupazione giovanile, perché se perdiamo un'intera generazione l'Europa non può avere futuro".
L'iniziativa tenuta a battesimo da Schulz e che ha ottenuto l'Alto patronato del Presidente della Repubblica, ha l'obiettivo di offrire un'occasione di formazione avanzata a giovani laureati, proponendo loro un percorso di studio e approfondimento sull'Unione europea. La Summer School Renzo Imbeni, guidata dal direttore scientifico Marco Gestri, rappresenta inoltre un'occasione per il Comune di Modena per onorare la memoria di Renzo Imbeni, modenese, vicepresidente del Parlamento europeo dal 1994 al 2004.
Lo stesso Schulz ha precisato, infatti, di non essere presente solo in veste istituzionale, ma anche "perché grandissimo amico di Renzo Imbeni con il quale ho collaborato per anni". Dal presidente del Parlamento europeo, inoltre, è giunto un messaggio di "solidarietà per una terra che sta facendo di tutto per avviare la ricostruzione e limitare i danni al tessuto economico" dopo il sisma.
"Sono stato felice di sentire dal sindaco Pighi che molte imprese hanno deciso di rimanere qui" ha rimarcato, giudicando "importante limitare la partenza delle aziende". Oltre al Comune, la Summer School è promossa dall'Università di Modena e Reggio Emilia e dalla Fondazione Collegio San Carlo, con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena.

http://www.adnkronos.com/IGN/News/Economia/Schulz-Futuro-nellentusiamo-dei-giovani_313657704222.html

Non servono spiegazioni.



Equitalia invia una cartella esattoriale a un'orfana di 7 anni.

Equitalia invia una cartella esattoriale a un'orfana di 7 anni.

Il padre della bambina è morto in un incidente stradale nel 2008. Alla bambina, residente a Olbia, è stata inviata una cartella esattoriale da pagare del valore di 170 euro.

Ad una bambina di soli 7 anni, rimasta orfana, è arrivata a casa una cartella esattoriale di 170 euro da parte di Equitalia. Il curioso accaduto si è svolto ad Olbia. L'agenzia di riscossione ha notificato alla piccola, che “al centro del procedimento, c'è il mancato pagamento delle tasse sulla liquidazione versata dall'azienda per cui lavorava il padre“, secondo quanto riportato dal quotidiano l'Unione Sarda. L'uomo è deceduto in un incidente stradale nel mese di maggio 2008. Il Fisco, non potevo far affidamento sulla madre, si è diretto sulla bambina.
“Ho detto che non pago, se vogliono pignorino il triciclo della bimba”, queste le parole del nonno della piccola, il quale ha chiesto spiegazioni all'ufficio dell'Agenzia delle Entrate di Olbia. Giuseppe Rossi, questo il nome dell'uomo, con molta rabbia ha dichiarato che non pagherà un centesimo della cartella esattoriale intestata alla nipote.

Parigi-Amsterdam: un tunnel ferroviario ad energia solare.


Mentre in Italia continuano le polemiche sullaTAV e sulla scelta delle risorse energetiche post nucleare, i Belgi segnano l’ennesimo punto a favore della sostenibilità energetica inaugurando la prima tratta ferroviaria in grado di produrre energia direttamente dal sole: un tunnel ferroviario lungo poco più di 3km sul tratto dell’alta velocità che collega Parigi ad Amsterdam.
Inizialmente pensato per proteggere gli alberi della secolare foresta che circonda la città belga di Anversa, in Belgio il tunnel è stato ricoperto di pannelli fotovoltaici e ha acquistato così un’ulteriore importanza dal punto di vista ambientale.
La Enfinity, società belga leader nel settore delle rinnovabili e impegnata nella realizzazione sul territorio francese di due tra le più grandi centrali fotovoltaiche mai realizzate in Europa, ha da poco installato l’ultimo dei quasi 16,000 pannelli fotovoltaici che ricoprono il tetto del tunnel, in grado di produrre approssimativamente 3.5MW di energia l’anno: quanto basta per alimentare tutti i treni del Belgio per un giorno dell’anno e fornire energia alla stessa stazione di Anversa.
Se da un lato l’impatto dell’intera opera può suscitare qualche perplessità (basta dare un’occhiata al video sotto per rendersi conto della sua imponenza) dall’altro l’idea di fondo è decisamente positiva: cercare di sfruttare al meglio tutte le superfici disponibili senza modificare ulteriormente la morfologia dell’ambiente naturale in cui ci si trova ad operare.
Laddove possibile, questo si traduce nello sfruttare tutto ciò che di antropico già esiste (i tetti delle abitazioni piuttosto che le strade o i ponti, etc.) evitando di andare a deturpare aree verdi e impattare sui paesaggi naturali.

AVVOCATO DEL DIAVOLO. - Guido Scorza



Favorita Mediaset, per controllare internet.


Il Parlamento si avvia a varare in tutta fretta – anche perché molti Senatori hanno fatto sapere che crisi o non crisi devono andare in ferie – la legge di conversione del Decreto Legge sui contributi all’editoria e sulla vendita dei giornali e dei periodici.

Inutile, purtroppo, ripetere quello che, ormai, si scrive quotidianamente: il ricorso massiccio ai decreti legge e la loro trasformazione da strumento di normazione urgente ed eccezionale a strumento di normazione ordinario e, anzi, prevalente, espropria il Parlamento del “potere legislativo” e lo rende una sorta di notaio dell’attività normativa svolta dal Governo.

Un Parlamento così, evidentemente, non serve e tanto varrebbe chiuderlo.

Considerazione tanto più vera quando, come in questo caso (n.d.r. ma, ormai, avviene sempre più di frequente) il Parlamento rinuncia “a fare le pulci al Governo” in sede di conversione in legge dei decreti – questo persino se le pulci sono elefanti – ed anzi sfrutta certe occasioni – non essendo più in grado di fare leggi di propria iniziativa – per inserire nei provvedimenti governativi disposizioni-regalo per questo o quell’amico o, comunque, previsioni oggetto di scarsa ponderazione e riflessione, in assenza di qualsiasi preventiva discussione.

È, sfortunatamente, quanto appena accaduto a Montecitorio dove il Senato ha proposto, la Camera dei Deputati accettato ed ora il Senato e pronto a ratificare di nuovo un minuscolo emendamento nella legge di conversione del decreto legge sull’editoria, attraverso il quale allo scopo – più o meno dichiarato – di rendere Google, Facebook e gli altri “demoni” degli editori più controllabili, si è, nella sostanza, autorizzata Mediaset ad allargarsi ancora di più ovvero ad aumentare, nel nostro Paese, la propria già ingombrante posizione – non solo per questioni di numeri – di leader del mercato editoriale.

Cominciamo dal principio perché l’ultimo regalo alle aziende del Cavaliere – sfortunatamente incartato in un emendamento bipartisan – è nascosto nelle pieghe di previsioni di natura tanto tecnica che la loro portata è completamente sfuggita alla più parte dei nostri parlamentari che, probabilmente, pur non comprendendone il senso, hanno lasciato correre, preoccupati di correre a godersi le ultime onorevoli vacanze prima della fine della legislatura.

C’è una norma nell’attuale testo unico della fornitura dei servizi media audiovisivi (già glorioso testo unico della radiotelevisione) – il cui contenuto proviene addirittura dalla sciagurata legge Gasparri – che stabilisce che al fine di garantire il pluralismo dell’informazione, presupposto indefettibile perché la libertà di informazione sia qualcosa di più che una sequenza di macchie di inchiostro parcheggiate sotto il numero 21 nella nostra Costituzione (n.d.r. rischio in Italia elevato come in pochi altri Paesi al mondo), nessun produttore di contenuti – rilevanti, appunto, ai fini della misurazione del pluralismo – può superare talune quote di mercato calcolate in un “paniere” composto da una serie di voci di fatturato.

Tali voci di fatturato, sin qui, sono state rappresentate dai ricavi “derivanti dal finanziamento del servizio pubblico radiotelevisivo al netto dei diritti dell’erario, da pubblicità nazionale e locale anche in forma diretta, da televendite, da sponsorizzazioni, da attività di diffusione del prodotto realizzata al punto vendita con esclusione di azioni sui prezzi, da convenzioni con soggetti pubblici a carattere continuativo e da provvidenze pubbliche erogate direttamente ai soggetti esercenti le attività indicate all’articolo 2, comma 1, lettera l), da offerte televisive a pagamento, dagli abbonamenti e dalla vendita di quotidiani e periodici inclusi i prodotti librari e fonografici commercializzati in allegato, nonché dalle agenzie di stampa a carattere nazionale, dall’editoria elettronica e annuaristica anche per il tramite di internet e dalla utilizzazione delle opere cinematografiche nelle diverse forme di fruizione del pubblico”.

Ora, però, si è scelto di allargare il perimetro del paniere, facendovi rientrare anche i ricavi “da pubblicità online e sulle diverse piattaforme anche in forma diretta incluse le risorse raccolte da motori di ricerca, da piattaforme sociali e di condivisione”.

L’obiettivo perseguito è evidente: aumentare il controllo dello Stato attraverso l’Autorità Garante delle Comunicazioni – sulla cui indipendenza è sufficiente rinviare alla recente pagina buia della storia del Paese scritta in occasione della nomina dei suoi ultimi membri – sui giganti del web, sin qui, spesso accusati – specie dagli editori di giornali e televisione più blasonati – di muoversi al di fuori di ogni regola e di cannibalizzare il loro mercato.

Il punto, tuttavia, non è se l’obiettivo sia lecito o meno o se meriti o meno di essere perseguito (n.d.r. A voler fare l’avvocato del diavolo si potrebbe dire che anche un ricambio generazionale tra leader di mercato è un fatto democraticamente auspicabile ed apprezzabile).

Il punto è che lo strumento che si è scelto di utilizzare è inaccettabile nel metodo, sbagliato nel merito e drammaticamente pericoloso negli effetti che produce, effetti che, sfortunatamente, sono stati voluti da alcuni e sottovalutati da altri tra i Parlamentari che hanno proposto e poi dato il proprio voto ad una delle norme con le quali il Parlamento chiude il suo semestre di lavoro a servizio del Governo dei professori.

Andiamo con ordine.

Il metodo è inaccettabile perché una norma con un impatto tanto rilevante sul mercato dell’editoria ma, soprattutto, sul pluralismo dell’informazione in un Paese come il nostro a rischio libertà di informazione non si “infila” sul primo treno che passa, avendo cura di sottrarla al dibattito parlamentare – al contrario indispensabile – omettendo, persino, di raccontarla e spiegarla a colleghi di partito con poche chance di comprenderne portata ed effetti solo leggendone il testo.

Il merito è sbagliato perché Internet – anche a volere, per un attimo, personificare e dare un’anima imprenditoriale ad un mezzo di comunicazione con un’operazione concettuale da matita rossa alla scuola elementare – non è, evidentemente, un’azienda editoriale ma un “soggetto” – lo si scrive sempre nella consapevolezza dell’errore – multi cefalo tanto editore, quanto, compagnia telefonica o commerciante di non importa quale genere di prodotto.

Considerazioni analoghe – con la differenza che, in questo caso, è concettualmente legittimo personificarne almeno le società di gestione – valgono per i motori di ricerca e le piattaforme di social networking.

Non siamo davanti ad editori e non siamo davanti a soggetti in grado di darsi – e dare ai contenuti che pubblicano – una linea editoriale e/o di compiere una selezione dei contenuti.

Sono, dunque, soggetti, insuscettibili di incidere sul tema del pluralismo dell’informazione almeno sin tanto che non si arrivi ad ipotizzare – ma occorrerebbe poi provarlo e si potrebbe, a quel punto, agire a prescindere dal quadro normativo del quale stiamo discutendo – che l’algoritmo di Google e degli altri motori o, piuttosto, il software di gestione di una piattaforma da oltre venti milioni di produttori di contenuti solo nel nostro Paese come Facebook, siano “taroccati” in modo da filtrare e privilegiare informazioni pubblicate dagli utenti.

Eccolo l’errore di alcuni e l’astuzia di altri: contrabbandare i gestori dei motori di ricerca e delle piattaforme di social network come editori solo perché attraverso essi circolano milioni di contenuti di carattere informativo e solo perché su questi contenuti qualcuno ha costruito business milionari.

E veniamo ora all’effetto perverso e pericoloso – voluto da alcuni e sottovalutato da altri – prodotto con il varo della norma: se, come si è scelto di fare, si allarga il perimetro del paniere nel cui ambito si misura la formazione di eventuali posizioni dominanti suscettibili di ledere il pluralismo, si produce la conseguenza che anche i più grandi editori come Mediaset, appaiano più piccoli, perché, appunto, il loro fatturato viene misurato non più con riferimento al paniere dei loro veri concorrenti ma con quello al nuovo paniere comprendente anche i milioni e milioni di euro (n.d.r. si tratterà poi di capire come ed in che misura imputabili al mercato geografico italiano) fatturati dall’industria dell’intermediazione dei contenuti.

Il risultato è che Mediaset sarà libera di accaparrarsi – a norma di legge – quote di mercato più ampie rispetto a quelle già detenute e di limitare ancor più di quanto sin qui accaduto il pluralismo dell’informazione senza che nessuno possa neppure ipotizzare di fermarla.

Favorire un gigante dell’informazione italiana, per soddisfare l’ansia di controllare il web ed arginare l’avanzata dei nuovi modelli di business sui vecchi non sembra una scelta sensata e, in ogni caso, è una decisione politica tanto complessa e delicata che non avrebbe dovuto essere assunta in pieno periodo pre-festivo da un Parlamento svogliato e dimissionario.

Peccato che non solo sia avvenuto ma che, con poche eccezioni, l’intero emiciclo parlamentare si sia – più o meno consapevolmente – trovato d’accordo.


Spaccati sarete voi.



"Apprendiamo dalla stampa che un gruppo di fuoriusciti del MoVimento 5 Stelle, uniti sotto il nome “movimento revolution”, si sia organizzato presentando un esposto all’Agcom, aprendo una crepa all’interno del MoVimento stesso. Precisiamo che non esiste nessun gruppo organizzato operante sotto il nome di “movimento revolution” benché meno composto da fuoriusciti del MoVimento 5 Stelle. Esiste invece un sito con tale dominio, gestito ad personam da Gaetano Vilnò, personaggio che purtroppo ben conosciamo da anni e che mai ha fatto parte del MoVimento 5 Stelle. Vilnò tentò nel 2009 di appropriarsi privatamente del logo M5S di Parma, con 3 anni di anticipo sulle elezioni comunali. Scoperto e segnalato dal Meetup locale, fu tempestivamente bloccato grazie all’intervento dello staff. Nel 2010, non trovando sponda nel gruppo che organizzava le liste alle elezioni regionali dell’Emilia-Romagna, si candidò con la Destra di Storace. Durante la campagna elettorale si rese protagonista di diverse violazioni alle norme vigenti. Ci stupisce come i media possano dare credibilità ad un personaggio del genere, che mai ha avuto a che fare col MoVimento 5 Stelle." MoVimento 5 stelle Emilia-Romagna.

http://www.beppegrillo.it/2012/09/spaccati_sarete.html

Gli uomini della (S)provvidenza.



https://www.facebook.com/photo.php?fbid=493040374039483&set=a.438282739515247.107576.438277562849098&type=1&theater

Gerarchia del potere


 

Ecco Cosa Vedo Se noi tutti investiamo le nostre energie solo quando riceviamo denaro in cambio, allora chi controlla il denaro controlla l’evoluzione dell’intera società. -Fauno
http://eccocosavedo.blogspot.it/2012/07/lavorare-gratis.html


https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10151204827902223&set=a.10151093682012223.493339.146635062222&type=1&theater

Viva 'u papà! (Orlando e la GESIP) - MERIGHI & TROJA



Il caso della Gesip non poteva non essere oggetto della satira graffiante del duo palermitano Merighi & Troja che sulle note di una canzone di Gianni Morandi ricordano il periodo della campagna elettorale palermitana e quanto sta accadendo in questi giorni a Palermo. La coppia di web satira torna ad occuparsi dei fatti della loro città dopo la parentesi (che con ogni probabilità rimane aperta) sulle elezioni Regionali in programma in ottobre.

http://www.blogsicilia.it/blog/alla-gesip-ci-pensa-leoluca-orlando/

L'autunno del commercio La crisi «chiude» i negozi. - Stefania Tamburello



Nel 2012 potrebbero cessare l'attività fino a 150 mila imprese La previsione di Confcommercio per quest'anno è di un calo del 3,3% dei consumi pro capite, peggiore rispetto al 2011.


ROMA - C'è poco da essere ottimisti. Se agosto non ha portato la temuta tempesta sui mercati ha però confermato il peggioramento del clima di fiducia delle famiglie e il prolungamento della recessione. E non c'è da stupirsi che a temere l'autunno siano soprattutto i negozianti alle prese con le stime di un'ulteriore caduta dei consumi. La Confcommercio indica un calo per il 2012 del 3,3% procapite. Un dato, rileva il direttore dell'Ufficio studi Mariano Bella, senza precedenti e certamente più negativo di quello registrato lo scorso anno quando a causa della crisi, secondo i calcoli della Confederazione dei commercianti, sono state costrette a chiudere i battenti oltre 105 mila imprese commerciali, di cui 62.477 punti vendita al dettaglio. Il saldo tra le nuove attività messe in piedi e quelle cessate è stato negativo per oltre 34 mila unità e guardando ai soli negozi la differenza, sempre in negativo, è stata di 18.648.
Nel 2012 dunque, visto il perdurare della diminuzione dei consumi, le cose non cambieranno certo in meglio. Anzi. Pur nella difficoltà di fornire stime e dati in questo settore, la differenza tra imprese nate e cessate dovrebbe far registrare un probabile peggioramento rispetto all' andamento del 2011: da 18 a 20 mila nel solo comparto delle vendite al dettaglio. Cosa che vorrebbe dire la chiusura, nel corso d'anno, di 65 mila negozi.
Nel settore commerciale nel suo complesso, comprese quindi le aziende all'ingrosso e quelle di vendita di auto e moto, la cessazione delle attività potrebbero superare il numero di 105 mila e secondo qualcuno arrivare anche a 150 mila, con lo strascico inevitabile e doloroso della perdita di nuovi posti di lavoro.
I consumi continuano a calare, avvertono dunque le associazioni dei negozianti, anche se in misura minore di quanto si siano ridotti i redditi. Perché le famiglie destinano alle spese quotidiane un quota sempre maggiore dei rispettivi budget e perché sono più attente al rapporto prezzo-qualità dei beni che acquistano. Ma col perdurare della crisi aumenta il peso dell'incertezza sul futuro, la paura di perdere il lavoro e di veder diminuire il potere d'acquisto dei propri salari e stipendi. In attesa che l'economia si riprenda e si avvii nuovamente alla crescita.
C'è però un segnale nuovo, ancora tutto da valutare, nel mondo del commercio. Di fronte al declino delle attività di vendita tradizionali - dall'alimentare all'abbigliamento all'arredamento - si consolida la tendenza ad intraprendere altre strade. «È la disoccupazione a dare la spinta e l'intraprendenza necessaria a mettersi sul mercato» commenta Mauro Bussoni, vicedirettore generale della Confesercenti segnalando il fenomeno che però riguarda soprattutto il terziario e i servizi alla persona. Sono nate infatti molte imprese anche piccole di assistenza sanitaria, trasporti, consegne a domicilio, riparazioni, informatica e di parrucchiere, dove sembra siano impegnate soprattutto le comunità cinesi. Un fiorire di mestieri che confermano la tendenza alla terziarizzazione del commercio e compensano in qualche modo la riduzione delle attività più tradizionali, a partire dai piccoli esercizi nei centri storici delle città.


Reazione a catena provocata dalla errate manovre di governo.

Affittava agli immigrati loculi di 2 mq senza finestre né bagni. - Martina Strazzeri



Un imprenditore di 53 anni è stato denunciato dai Carabinieri della stazioneRoma Torrino Nord poiché ‘colpevole’ di aver trasformato un magazzino di proprietà della sua società, alla periferia di Roma, diviso in ‘stanze’ da due metri quadri, in posti letto privi di finestre e di bagni per immigrati disposti a pagare fino a 300 euro a posto letto, naturalmente ‘in nero’.

Due giorni fa, i carabinieri sono riusciti ad intervenire grazie alle lamentele degli abitanti della zona.

Sette degli extracomunitari erano sprovvisti del permesso di soggiorno.

L’imprenditore sarà chiamato a rispondere di abusivismo edilizio, omessa denuncia per cessione di fabbricato a stranieri irregolari, evasione fiscale e di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.

Liberarsi della spazzatura.



Liberati anche tu della roba inutile.

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A proposito di fine vita. - Walter Peruzzi



La morte del cardinal Martini, che ha rifiutato ogni forma di accanimento terapeutico, ripropone le contraddizioni e l'ipocrisia della Chiesa sul fine vita.

La Chiesa cattolica, si legge nel Catechismo del 1992 approvato da Giovanni Paolo II, condanna sia l'eutanasia, che «costituisce un'uccisione gravemente contraria alla dignità della persona umana e al rispetto del Dio vivente, suo creatore», sia l'accanimento terapeutico, poiché ritiene che può essere legittima «l'interruzione di procedure mediche dolorose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati ottenuti [...] Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente».

Ma è sempre eutanasia...
In concreto, tuttavia, per la Chiesa non si dà mai il caso in cui si può "interrompere" la cura per evitare l'accanimento. Così, quando Piergiorgio Welby, affetto da una malattia incurabile ormai arrivata allo stadio terminale col rischio di morte per soffocamento, decise nel 2007 il distacco dalle macchine, la Chiesa gli rifiutò il funerale religioso, concesso quasi negli stessi giorni al sanguinario dittatore Pinochet, e sostenne l'accusa (poi archiviata) di omicidio contro il medico che lo aiutò.
Anche per Eluana Englaro, da 16 anni in stato vegetativo permanente, senza possibilità di ripresa, la Chiesa non ritenne "straordinaria" l'alimentazione artificiale che la teneva in vita (se così si può dire) e si oppose con accanimento (manifestazioni e grida) alla sua interruzione. La Chiesa e gli ambienti clericali arrivarono anzi a definire «esecuzione capitale» e «condanna a morte» la sentenza del Tribunale che il 9 luglio 2008 autorizzò il padre di Eluana a sospendere l'alimentazione, come poi avvenne; l'accusa di omicidio, poi archiviata, fu rivolta anche a Peppino Englaro.
La questione fu posta in termini generali, nell'agosto-settembre 2007 dalla Conferenza episcopale statunitense, che chiese: «Se il nutrimento e l'idratazione vengono forniti per vie artificiali a un paziente in 'stato vegetativo permanente', possono essere interrotti quando medici competenti giudicano con certezza morale che il paziente non recupererà mai la coscienza?» La Congregazione per la Dottrina della Fede, con l'approvazione di Benedetto XVI, rispose: «No. Un paziente in 'stato vegetativo permanente' è una persona, con la sua dignità umana fondamentale, alla quale sono perciò dovute le cure ordinarie e proporzionate, che comprendono, in linea di principio, la somministrazione di acqua e cibo, anche per vie artificiali».

L'ipocrisia di Wojtyla, l'esempio di Martini
Tutto diventa così eutanasia da contrastare - salvo nel caso di papa Wojtyla, che non volle essere ricoverato in ospedale dopo l'ultima ricaduta e verso cui si praticò quindi, con tipica ipocrisia cattolica, una sorta di inconfessata eutanasia "passiva". O salvo il caso del cardinal Martini che, in aperto dissenso con la Chiesa ufficiale, oppose un fermo rifiuto all'accanimento terapeutico e - coerentemente - rifiutò per sé, malato terminale di Parkison, proprio quella somministrazione «per vie artificiali», col sondino, dell'acqua e del cibo che la Chiesa vorrebbe imporre a tutti i cittadini italiani tramite la legge sul testamento biologico proposta da una classe politica genuflessa.
Proprio a questo fine "Avvenire" ha cercato di neutralizzare l'esempio dirompente di Martini e di cambiare le carte in tavola scrivendo che «la sua posizione sull'accanimento terapeutico "era nota". Era di contrarietà. Era quella della morale cattolica. Ed è stata rispettata» (Lorenzo Rosoli, 1 settembre). Bugiardi e ipocriti fino in fondo.

La contraddittoria volontà di Dio
Tornando alla posizione della Chiesa (quella vera, contraddetta da Martini) si possono muovere almeno due obiezioni fondamentali. Prima di tutto, a che titolo la Chiesa può non solo arrogarsi il diritto di interpretare il pensiero di Dio - affermando cioè che secondo lui ci si deve tenere in vita anche a costo di ricorrere a metodi artificiali - ma può pretendere di imporre questa sua interpretazione del volere di Dio a chi in Dio non crede o crede in un Dio differente, facendo dell'opinione cattolica sul fine vita una legge dello stato laico?
In secondo luogo, se davvero Dio ci obbliga a usare la moderna tecnologia per protrarre una vita anche in modo artificiale, perché dovrebbe poi vietarci di usarla per evitare nascite sgradite o pericolose, o per la fecondazione assistita? È fin troppo evidente che dietro tale orientamento bizzoso e contraddittorio "di Dio" si nasconde la volontà della Chiesa, di esercitare il controllo sulla vita e sulla morte delle persone, come estrema forma di potere, e di imporre una concezione della vita come valle di lacrime che a tale potere è funzionale. 


http://cronachelaiche.globalist.it/Detail_News_Display?ID=33505&typeb=0

Hai medicato i feriti: devi morire!


photo

Mi scuserete se l'immagine urta la sensibilità di qualcuno... sicuramente non più di quella della madre di questo ragazzo... ma pubblico l'immagine perché ha un significato particolare...
A sinistra il ragazzo... bellissimo come tutti i fiori della Siria recisi dal criminale con i suoi alleati mondiali... a destra il ragazzo dopo l'esecuzione sul campo perpetrata dalle bande criminali di alasad.... ancor più bello nonostante il sangue, o forse per il sangue, il suo, bello della bellezza del martire, con il profumo di muschio e la fronte alta di chi non ha abbandonato il suo popolo ed ha dato la vita per esso.
Eh già... quella verde è proprio la casacca da sala operatoria e quello che era bianco ora rossa del sangue era il suo camice.... era un infermiere e stava commettendo il crimine di soccorrere i feriti .... per questo l'hanno trucidato!!!
Quel sangue sulla casacca e sul camice sono medaglie al valore di tutto il personale sanitario che opera in Siria... soccorrere un ferito per i criminali equivale ad imbracciare testate nucleari.
Dio abbia misericordia di te, martire della vita! Qutaiba Barhamji... il tuo nome brilla nel firmamento di coloro che hanno reso la professione sanitaria una missione ed hanno dato la vita per essa. Onore a te, martire della vita!
di Noura Dachan
Osservatorio Italo Siriano 2 settembre 2012


Eppure li paghiamo noi. - Antonio Padellaro


Forse davvero alla Convention repubblicana Clint Eastwood ha parlato da “vecchio pazzo” (Michael Moore), ma una cosa vera l’ha detta: “Noi siamo i proprietari di questo Paese e i politici sono i nostri dipendenti”.
Un concetto elementare per qualsiasi democrazia rispettosa dei propri cittadini. Non certo per i poveri sudditi italiani, costretti a foraggiare una classe dirigente che non dirige più niente se non la bancarotta a cui ha ridotto lo Stato. Basta osservarli, politici falliti e tecnici impantanati, mentre con le faccette abbronzate e i vezzosi pulloverini transumano da una festa di partito all’altra, blindati da plotoni di agenti sottratti alla pubblica sicurezza.
Basta ascoltarli mentre, impalcati e microfonati, dispensano perle di buon governo. Si limitassero all’inettitudine, pace. No, annunciano al vento fantasmagorici patti per la crescita o immaginarie leggi anticorruzione, quando sanno benissimo che a crescere rigogliosamente sono soltanto la disoccupazione, i precari (3 milioni), i giovani a caccia del primo impiego (618mila), i furti e gli sprechi, le mazzette pagate per avvelenare impunemente gli abitanti di Taranto e non solo loro.
Invece di nascondersi per la vergogna, si muovono compatti come falange (non ingannino le finte dispute da pollaio), convinti di potersi permettere di tutto, visto che giornali e giornalisti cresciuti alla scuola del servo encomio tengono loro bordone, alcuni per chiara vocazione, altri per non farsi chiudere i rubinetti delle provvidenze. Esemplare il caso delle telefonate tra il Capo dello Stato e un ex alto dignitario coinvolto nell’indagine sulla trattativa Stato-mafia e provvisto di robusta coda di paglia.
Appena si fa l’ipotesi che quelle conversazioni possano essere rese pubbliche per dovere di trasparenza, è subito tutto un arrampicarsi trafelato sul Colle di premier, ministri e segretari di partito, tutto uno stracciar di vesti, un gridare al complotto ordito certamente da menti raffinatissime determinate a impedire il cambiamento. In realtà, tutto quel solidarizzare e stringersi a coorte mira a conservare l’esistente, con annesse poltrone e pennacchi. Esistente che in Italia, caro ispettore Callaghan, significa che i proprietari del Paese sono i politici e noi i loro dipendenti (che a volte, per farsi ascoltare da una miniera, si legano a una carica di tritolo).
Il Fatto Quotidiano, 2 Settembre 2012