martedì 15 settembre 2020

Il piano dei commercialisti. Vendere la sede di via Bellerio per salvarla dal sequestro. Gli arrestati legati al Carroccio temevano azioni legali sull’immobile per l’inchiesta sui 49 milioni spariti. - Davide Manlio Ruffolo

 


Più passa il tempo e più l’inchiesta sulla compravendita dell’immobile di Cormano appare legata a doppio filo alle vicende della Lega. Nonostante le smentite che provengono dal Carroccio, con il Capitano che alla deflagrazione dello scandalo si è affrettato a dire di non conoscere i tre commercialisti indagati salvo fare marcia indietro nei giorni scorsi, le carte sembrano raccontare una storia ben diversa tanto che è emersa anche l’intenzione – poi conclusasi in un nulla di fatto – di vendere la sede del partito. A rivelarlo ai pubblici ministeri della Procura di Milano, coordinati dal procuratore Francesco Greco, è stato Luca Sostegni, ritenuto il prestanome dei commercialisti in orbita leghista, secondo cui “volevano vendere la sede della Lega di via Bellerio”.

La frase, contenuta nel terzo interrogatorio a carico dell’indagato effettuato il 29 luglio scorso, è di quelle da far tremare i polsi perché la cessione, a suo dire, sarebbe dovuta avvenire sul modello della compravendita di Cormano. A riprova di ciò il fatto che i registi di quest’operazione, avviata su indicazione dei vertici del Carroccio, sono stati ancora una volta i commercialisti Michele Scillieri e Alberto Di Rubba. Come fatto mettere nero su bianco da Sostegni, “Michele (Scillieri, ndr) si vantava delle amicizie che aveva con Di Rubba e altri esponenti locali della Lega, tanto da avere ricevuto un incarico per cercare di vendere la sede della Lega di via Bellerio”.

Ma è sulle presunte motivazioni dietro a questa possibile compravendita che la situazione si fa calda. Già perché l’indagato, il quale collabora con i magistrati, ha detto di “ricordare che c’era fretta di concludere l’operazione, perché trattandosi di un immobile di proprietà della Lega Nord, si correva il rischio di sequestro della procura di Genova, in relazione alle indagini per la truffa sui rimborsi elettorali”, ossia quella relativa ai 49 milioni di euro spariti nel nulla e frutto di una truffa allo Stato.

IL SOPRALLUOGO. Difficile credere che si tratti di pure millanterie. Sostegni, infatti, ha ben delineato l’intera vicenda della mancata cessione della sede della Lega su cui ora si accende il faro della magistratura che condurrà i necessari accertamenti. A ben vedere, infatti, l’operazione non era stata solo ipotizzata ma, seppur alle fasi preliminari, era già iniziata. Come fatto mettere a verbale, Sostegni racconta di aver accompagnato Scillieri e l’architetto Federico Arnaboldi per effettuare il sopralluogo in via Bellerio. Proprio qui, rivela, “è venuto a prenderci Di Rubba che ci ha portato dentro dove si è parlato della volumetria e della somma che si sperava realizzare”.

L’intenzione era di vendere a un ipermercato ma, viste le ingenti dimensioni dell’area, si pensava che “una parte potesse essere adibita a supermercato e il resto poteva ospitare degli appartamenti”. Terminato il sopralluogo “ci siamo lasciati con l’intenzione di riagiornarci” e quindi di far passare del tempo. Peccato che le cose non siano andate come immaginato dagli indagati perché, prima che il discorso sulla vendita potesse ripartire, è intervenuta la procura di Genova che ha disposto il sequestro della sede e quindi, conclude il verbale Sostegni, “non se n’è fatto più nulla”.

https://www.lanotiziagiornale.it/il-piano-dei-commercialisti-vendere-la-sede-di-via-bellerio-per-salvarla-dal-sequestro-gli-arrestati-legati-al-carroccio-temevano-azioni-legali/

Referendum, Formigoni e il comizio per il No al taglio durante le due ore di libertà dai domiciliari: il giudice respinge la richiesta.


L'ex governatore era stato annunciato tra i relatori della maratona 'Dieci ore per in No' al referendum sulla taglio dei parlamentari. L'ex presidente lombardo sta ancora scontando la pena di 5 anni e 10 mesi per corruzione ai domiciliari: ha presentato una richiesta al Tribunale di Sorveglianza per poter partecipare al comizio, durante le due ore di libertà quotidiane. Il giudice La Rocca, però, ha bocciato la sua istanza.

Niente comizio per il No al referendum sul taglio dei parlamentari. Roberto Formigoni, non potrà, come invece aveva richiesto, parlare in piazza San Babila a Milano, dove sabato 12 settembre è in programma la maratona contro la riforma costituzionale. L’ex governatore avrebbe voluto tornare a parlare davanti a un platea durante le due ore in cui può uscire di casa durante il giorno. Formigoni, infatti, sta ancora scontando la condanna a cinque anni e cinque mesi per corruzione per la vicenda Maugeri-San Raffaele: dopo i primi mesi nel carcere di Bollate, dal luglio del 2019 ha ottenuto i domiciliari. Il magistrato di Sorveglianza Gaetano La Rocca, però, ha respinto l’istanza avanzata dal “Celeste” di partecipare al comizio per il No al referendum.

Formigoni era stato annunciato tra i relatori della maratona ‘Dieci ore per in No’ al referendum sulla taglio dei parlamentari. Si è saputo, però, che l’ex presidente lombardo ha presentato una richiesta al Tribunale di Sorveglianza per poter partecipare, ma il giudice La Rocca l’ha bocciata. L’ex governatore, infatti, può utilizzare le due ore al giorno fuori di casa solo per esigenze di vita quotidiana, come il fare la spesa, e non certo per tenere un comizio pubblico.

“Meno parlamentari vuol dire più potere ai capibastone dei partiti”, aveva detto l’ex governatore al Corriere, per spiegare il suo No al referendum dall’alto dei suoi sei mandati tra Camera e Senato e quattro al vertice del Pirellone. Ma uno che è ai domiciliari dopo una condanna per corruzione non teme contestazioni ad andare in piazza per difendere i mille posti dei parlamentari? “Se capiterà, capiterà. Mi è successo tante volte…Sono un vecchio leone”, ma “mi auguro però che non ci siano problemi. Non per me, ma per non danneggiare una causa giusta”, aveva sostenuto. Il rischio, dopo il No del giudice, non ci sarà.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/09/10/referendum-formigoni-e-il-comizio-per-il-no-al-taglio-durante-le-due-ore-di-liberta-dai-domiciliari-il-giudice-respinge-la-richiesta/5926924/

“Le mafie puntano ai soldi del Recovery Fund, bisogna vigilare sui fondi in arrivo”: l’allarme dell’Europol sul rischio di infiltrazioni dei clan.

 












La direttrice esecutiva Catherine De Bolle chiedere di monitorare attentamente le mosse dei clan in vista dell'erogazione delle risorse Ue per sostenere la ripresa dell'economia, fiaccata dai mesi di lockdown e dalle restrizioni per contenere la diffusione del coronavirus: "Incremento infiltrazioni già in atto, lo saranno ancora di più". Il direttore della Criminapol: "Se qualcuno pensa di essere immune, è miope. Se si arriva in ritardo, danni irreparabili all'economia".

Sarà necessario monitorare i soldi del Recovery Fund perché le mafie hanno già preso di mira le risorse economiche messe in campo per fronteggiare la pandemia di coronavirus e i miliardi per la ricostruzione scateneranno ancora di più gli appetiti dei clan. La direttrice esecutiva dell’Europol, Catherine De Bolle, lancia l’allarme riguardo le infiltrazioni criminali in vista dell’erogazione delle risorse Ue per sostenere la ripresa dell’economia, fiaccata dai mesi di lockdown e dalle restrizioni per contenere la diffusione del coronavirus. Per il direttore della Criminapol, Vittorio Rizzi, il rischio principale è legato allo scoprire “troppo tardi” le infiltrazioni, quando “il danno all’economia reale diventa irreparabile”.

“I fondi per la ricostruzione sono già presi di mira dalle organizzazioni criminali e lo saranno ancora più. Sui finanziamenti per il recupero dovremo essere attenti e monitorare per evitare il rischio di infiltrazione delle mafie”, ha spiegato. “È importante che al massimo livello dell’Unione Europea ci sia consapevolezza dei rischi per la somministrazione di sussidi legati alla crisi durante pandemia”, ha continuato De Bolle nel suo discorso di apertura del secondo incontro del gruppo di lavoro sulle minacce criminali correlate all’emergenza Covid-19 in corso a Roma.

L’esperta investigatrice belga ha ricordato come i prodotti più richiesti nel corso della pandemia – come disinfettantimascherinetermometriventilatori meccanici – così come “fantomatiche cure per il coronavirus” continuano a essere “oggetto di truffe di vasta portata anche online”. Non l’unico modus operandi dei criminali, impegnati anche in sistemi “più sofisticati” come “sequestrare l’identità di imprese e offrire alle vittime la vendita di prodotti legati alla pandemia, per poi sparire nel nulla”. Tra le vittime, ha rivelato De Bolle, “ci sono state autorità sanitarie di Stati membri e aziende private”.

Un “incremento delle infiltrazioni nell’economia” da parte delle organizzazioni criminali si sta già verificando, ha sottolineato la direttrice esecutiva dell’Europol. Per questo è fondamentale che i paesi Ue comprendano che le mafie hanno puntato i fondi stanziati per superare la crisi prodotta dal Covid-19. “L’incremento delle infiltrazioni – ha aggiunto De Bolle – è il motivo per il quale Europol ha chiesto di monitorare con attenzione i finanziamenti” connessi al Recovery fund poiché i “fondi costituiti dagli Stati membri sono già presi di mira dalle organizzazioni criminali e prevediamo lo saranno ancora di più”.

Sul tema è intervenuto anche il vice capo della Polizia e direttore della Ciminalpol Vittorio Rizzi, rilevando come il rischio che corrono i Paesi europei è di scoprire “troppo tardi” le infiltrazioni, quando “il danno all’economia reale diventa irreparabile”. Per quanto riguarda l’Italia, ha precisato Rizzi, al momento “riscontri concreti sotto il profilo processuale” di infiltrazioni “non ce ne sono”.

“Se le infiltrazioni ci sono state ancora non ne abbiamo piena consapevolezza ma pensare che ci siano Paesi e sistemi economici immuni dal rischio infiltrazioni sarebbe un errore gravissimo, una grave miopia – ha messo in guardia Rizzi – Così come nessun paese è stato immune dal Covid-19, nessuno lo sarà dalle organizzazioni criminali, già da molti anni inserire nel tessuto europeo e mondiale”. La “pervasività” del virus è infatti la stessa delle mafie e nessuno “può sottovalutare l’enorme disponibilità delle organizzazioni mafiose” perché “in tempi di recessione economica occorre liquidità, chi ha denaro disponibile conquista il mercato”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/09/15/le-mafie-puntano-ai-soldi-del-recovery-fund-bisogna-vigilare-sui-fondi-in-arrivo-lallarme-delleuropol-sul-rischio-di-infiltrazioni-dei-clan/5931879/

BANCHI CON LE ROTELLE. - Gianluca Daluiso (scrittore):




1) “L’' Azzolina ha voluto comprare questi banchi”

FALSO La Ministra Azzolina non hai mai imposto l’acquisto di nulla. Il Comitato Tecnico Scientifico ha detto che in classe ci deve essere il metro di distanza da studente a studente, quindi servono banchi singoli. Tante scuole d’Italia avevano solo banchi da due posti e la Ministra, invece di dire ai Presidi “arrangiatevi comprateli da soli”, ha pensato di centralizzare l’acquisto dei banchi monoposto (in modo anche da risparmiare visto che ovviamente il prezzo cambia se devi comprare 50 banchi o se ne compri 2 milioni). Quindi la Ministra HA CHIESTO ai presidi di tutta Italia quale banco preferissero in base alle loro esigenze didattiche. Se quello tradizionale o se quello di tipo innovativo (con le rotelle). Sono i presidi ad AVER SCELTO in base all’esigenza della propria scuola, non la Ministra. È così difficile da capire? Su 2,5 milioni di richieste, 400 mila banchi saranno di tipo innovativo. Gli altri tradizionali.

2) “Hanno speso tutti i soldi solo sui banchi con le rotelle”
FALSO Da gennaio ad oggi sono stati investiti 7 miliardi in più sulla scuola per lavori di edilizia scolastica, edilizia leggera, aumento personale scolastico, acquisto di libri, tablet, materiale didattico per le famiglie in difficoltà e molto altro. La spesa per il rinnovo dei banchi è una piccolissima parte di quella cifra. E no, non costano 300 euro a banco come qualcuno ha diffuso falsamente, ma molto meno.

3) “Ma i bambini delle elementari come fanno con dei banchi così”
Infatti sono banchi solo ed esclusivamente per gli studenti più grandi di età, mica per i bambini delle elementari.

4) “Eh ma questi banchi non vanno bene per i mancini”
FALSO Il tavolino si può girare anche dall’altro lato per essere utilizzato dai mancini.

5) “Non serviva comprare banchi nuovi”
FALSO A parte che servivano banchi monoposto per garantire il metro di distanza in classe, ma oltre a questo erano 30 anni che non si investiva sugli arredi scolastici. C’erano ragazzi che studiavano sugli stessi banchi dei loro nonni. Direi che era ora che si rinnovassero anche gli arredi scolastici. (e io aggiungo "fatevi una ricerca sulla presenza della formaldeide nei banchi di scuola).

CONCLUDENDO
Invidiamo tante le scuole del nord Europa dicendo che sono “molto avanzate” e quando un Ministro dell’Istruzione prova ad innovare le scuole, anche attraverso gli arredi, le diamo tutti contro attaccandola dicendo che è una cosa sbagliata? Questi banchi sono GIÀ UTILIZZATI nelle scuole più innovative d’Italia e d’Europa. Perché permettono una didattica diversa, innovativa. Non la classica lezione frontale. E no, i ragazzi non ci fanno gli autoscontri perché sono molto più intelligenti e maturi di voi che dite certe sciocchezze.
E se i presidi vogliono acquistare per la propria scuola questa tipologia di banco che rispecchia la loro esigenza didattica, fidatevi di loro. Invece di lamentarvi sempre per tutto.

Vita su Venere: tracce di possibile origine biologica. - Marco Malaspina

 














La rappresentazione artistica mostra la superficie e l'atmosfera del pianeta Venere, con le molecole di fosfina in evidenza (nella realtà sono naturalmente così piccole da non essere visibili). Le molecole sono trasportate dalle nubi spinte dal vento di Venere ad altitudini comprese tra 55 e 80 km e assorbono parte delle onde millimetriche prodotte ad altitudini inferiori. Sono state rilevate nei dati del James Clerk Maxwell Telescope e di Alma, di cui l'Eso è partner. Crediti: Eso/M. Kornmesser/L. Calçada

Tre atomi d’idrogeno e uno di fosforo. Questi gli ingredienti della fosfina, la molecola che potrebbe cambiare per sempre la storia della vita nell’universo. La sua presenza nelle nubi di Venere – rivelata da osservazioni con il James Clerk Maxwell Telescope (Jcmt), alle Hawaii, e confermata da Alma, l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array – potrebbe infatti rappresentare la prima prova dell’esistenza di forme di vita aliena. Microbi extraterrestri. Se l’ipotesi sulla sua origine riportata oggi su Nature Astronomy troverà anch’essa conferma, saremmo davanti a una scoperta epocale.

Tre atomi d’idrogeno e uno di fosforo, dicevamo. Formula chimica PH3. Non è uno degli innumerevoli precursori che periodicamente vengono rinvenuti nello spazio e presentati come “mattoni della vita”. Non è nemmeno una sostanza organica. Questa volta è una molecola semplicissima. Eppure quando, nel giugno del 2017, al termine di cinque giorni di osservazioni dell’atmosfera di Venere, Jane Greaves, astrofisica alla Cardiff University (Regno Unito), ne scorse la firma spettroscopica – la riga a 1,123 mm di quella che i fisici chiamano transizione rotazionale 1-0 – nei dati acquisiti con il Jcmt, rimase letteralmente scioccata.

«Vedere i primi segnali della presenza di fosfina nello spettro di Venere è stato un colpo!», ricorda ora Greaves, a distanza di tre anni.

Scioccata perché quella molecola, in quell’ambiente e a quella concentrazione – circa venti parti per miliardo – semplicemente non poteva esserci. La fosfina è una sostanza altamente tossica per la quale gli scienziati conoscono, almeno qui sulla Terra, solo due possibili processi di produzione. Uno è quello industriale, adottato per esempio nella fabbricazione dei prodotti che si usano per sterminare i parassiti attraverso la fumigazione. L’altro è un processo biologico: la fosfina può infatti essere sintetizzata da batteri anaerobici. Parliamo di microbi che vivono in assenza di ossigeno, assorbono fosfato dai minerali o da materiale biologico, aggiungono l’idrogeno e infine espellono, appunto, fosfina.

Rappresentazione artistica con Venere e molecole di fosfina, la cui forma è mostrata graficamente nel riquadro. Crediti: Eso/M. Kornmesser/L. Calçada & Nasa/JPL/Caltech

Escludendo dunque la presenza su Venere di impianti industriali, l’ipotesi al momento più plausibile – per quanto straordinaria – è che nelle acidissime nubi della sorella della Terra siano all’opera microorganismi alieni. «Trovare la fosfina su Venere è stato un regalo del tutto inaspettato. È una scoperta che solleva molte domande, come per esempio sul modo in cui un qualsiasi organismo potrebbe sopravvivere», osserva un’altra delle autrici dello studio, Clara Sousa Silva del Massachusetts Institute of Technology. «Sulla Terra, alcuni microbi possono sopportare fino a circa il 5 per cento di acido nell’ambiente, ma le nubi di Venere sono fatte quasi interamente di acido».

Ipotesi, dicevamo. Se infatti è pressoché sicuro che la fosfina, nell’atmosfera di Venere, ci sia – e questo grazie alle successive verifiche compiute nel marzo del 2019 con 45 delle 66 antenne di Alma, il miglior strumento al mondo per questo tipo di osservazioni – non è altrettanto certo che non possa avere un’origine che ancora ci sfugge. Anzitutto va detto che concentrazioni piuttosto elevate di fosfina erano state già rinvenute altrove nel Sistema solare, in particolare nell’atmosfera di Giove e Saturno, seppure in condizioni di pressione e temperatura talmente estreme da essere del tutto improbabile incontrarle su un pianeta roccioso. Altri potenziali “agenti produttori” di fosfina potrebbero poi essere la luce solare, i fulmini o fenomeni geologici come i vulcani. Ma nessuno di questi sembrerebbe in grado di produrne una quantità anche solo lontanamente paragonabile a quella misurata dal Jcmt e da Alma. Ai microbi terrestri, al contrario, per riuscirci basterebbe funzionare ad appena il dieci per cento della loro produttività massima.

Impronta della fosfina nello spettro di Venere. Crediti: Alma(Eso/Naoj/Nrao), Greaves et al. & Jcmt (East Asian Observatory)

Insomma, nelle concentrazioni rilevate e in ambienti come quelli che caratterizzano i pianeti rocciosi la fosfina, per quanto ne sappiamo, può avere – a differenza per esempio del metano – solo origine antropogenica o biologica. Ecco perché gli astrobiologi l’hanno messa da tempo in cima alla lista dei loro obiettiviè un eccellente indicatore della potenziale presenza di vita.

«La produzione non biologica di fosfina su Venere è esclusa dalla nostra attuale conoscenza della chimica della fosfina nelle atmosfere dei pianeti rocciosi. Confermare l’esistenza della vita nell’atmosfera di Venere sarebbe un importante passo avanti per l’astrobiologia», commenta il direttore operativo europeo di Alma Leonardo Testi, astronomo dell’Eso e dell’Inaf di Arcetri, non direttamente coinvolto nello studio, «quindi è essenziale far seguire a questo risultato entusiasmante studi teorici e osservativi, per escludere la possibilità che la fosfina sui pianeti rocciosi possa anche avere un’origine chimica diversa da quella che ha sulla Terra».

https://www.media.inaf.it/2020/09/14/venere-vita-fosfina/?fbclid=IwAR2sxOeFVF6cZQ4N_AVpoq-Bz-b9cLF-4_Ld5dX6MgKRsonBzP1FKDEEloI

Guida al referendum. Le ragioni del Sì, le obiezioni del No. - Marco Travaglio











Qual è il numero perfetto di parlamentari? La domanda se la posero già i Padri costituenti eletti nel 1946 (556 in tutto). E ovviamente risposero che il numero perfetto non esiste: si tratta di una pura convenzione che, come tale, può cambiare a seconda dei tempi e delle circostanze. L’Assemblea si divise fra chi – come i liberali Einaudi e Nitti, i repubblicani Conti e Perassi e il comunista Nobile – voleva un organo più snello, rappresentativo ed efficiente (3-400 deputati e metà senatori), e chi – come il comunista Terracini e l’indipendente Ruini – pensava che quantità fosse sinonimo di qualità. Alla fine, nella Costituzione, si decise di non fissare un numero preciso, ma un criterio elastico: un deputato ogni 80mila abitanti o frazione superiore a 40mila; un senatore ogni 200mila abitanti o frazione superiore a 100mila. Risultato: nelle prime tre legislature il numero dei parlamentari cambiò tre volte col crescere della popolazione. Nella I (1948-’53) i deputati furono 574 e i senatori 237; nella II (1953-’58) 590 e 237; nella III (1958-’63) 596 e 246. Ma ormai la democrazia era già degenerata in partitocrazia e infatti all’inizio del 1963, a pochi mesi dalle elezioni, la maggioranza del governo Fanfani IV (Dc, Psdi e Pri con l’appoggio esterno del Psi) varò una legge costituzionale che cambiava per la quarta volta il numero degli eletti, moltiplicando le poltrone ben oltre il rapporto fissato dalla Carta: 630 deputati e 315 senatori (più quelli a vita). È quella legge targata Dc, non la Costituzione, che oggi difende chi fa campagna per il No: i Padri Costituenti non c’entrano.

Allora il potere legislativo era affidato in esclusiva al Parlamento. Poi, nel 1970, arrivarono le Regioni e in seguito il Parlamento europeo. E i nostri legislatori elettivi raddoppiarono, da quasi 945 a 1918 (945 parlamentari, 897 consiglieri regionali, 76 eurodeputati). Fu così che dagli anni 80 non i 5Stelle, ancora nel grembo di Giove, la gran parte dei partiti, dei giuristi e dell’opinione pubblica si convinsero che il Parlamento andasse sfoltito: in linea con le Camere elettive delle altre grandi democrazie, tutte meno pletoriche e costose delle nostre. La prima riforma costituzionale che invertiva la marcia rispetto alla legge del 1963 fu quella della commissione presieduta dal liberale Aldo Bozzi nel 1983: abortita in Parlamento. Poi quella della commissione De Mita-Iotti del 1993-’94: abortita in Parlamento. Poi quella della Bicamerale D’Alema del 1997-’99: abortita in Parlamento. Il gioco dei partiti era chiaro: promettere tagli alla Casta più impopolare del mondo e usarli per nascondere varie porcate; poi litigare perché c’era troppa carne al fuoco e lasciare tutto come prima, anzi peggio.

La svolta fu la terrificante Devolution di B.&Bossi, che stravolgeva oltre un terzo della Costituzione e usava il taglio degli eletti come specchietto per le allodole: approvata anzi imposta a colpi di maggioranza nel 2005, fu fortunatamente bocciata dagli elettori nel referendum del 2006. Stesso copione dieci anni dopo con la controriforma Renzi-Boschi-Verdini, che stravolgeva oltre un terzo della Costituzione e indorava la pillola col solito taglio (ma solo al Senato): imposta dal centrosinistra dopo quattro letture nel 2015, fu sacrosantamente bocciata dagli elettori nel referendum del 2016. Il messaggio del popolo italiano era chiaro: basta maxi-riforme costituzionali che costringono gli elettori a un Sì o a un No “prendere o lasciare” su norme diverse ed eterogenee; vogliamo mini-riforme “un passo alla volta”, puntuali, chirurgiche e il più possibile condivise, per correggere o aggiornare pochissimi articoli della Carta e consentire ai cittadini un voto omogeneo e consapevole. Il tutto in linea con lo spirito dell’articolo 138, che prevede modifiche limitate, non blocchi enormi e indistinti.

Così è nato in questa legislatura il ddl costituzionale “Quagliariello-Fraccaro” che recepisce i progetti gemelli dell’esponente di centrodestra e dei 5Stelle (e quello del Pd del 2008) per ridurre i parlamentari da 945 a 600 r risponde a entrambi i requisiti da tutti invocati: è puntuale (modifica i tre articoli della Carta sul numero degli eletti: 56, 57 e 59) e condiviso (grazie ai 5Stelle che l’hanno posto come condizione per il patto con la Lega e per l’alleanza col centrosinistra, è stato approvato nelle quattro letture con maggioranze del 59, 49, 57 e 88%). Siccome nella prima “seconda lettura” non si sono raggiunti i due terzi, era possibile ricorrere al referendum “confermativo” e allontanare l’amaro calice. Così FI e Lega – dopo aver approvato la riforma quattro volte su quattro – hanno raccolto le firme necessarie di 71 senatori: è per questi voltagabbana, che rappresentano appena il 7,5% dei parlamentari, che domenica e lunedì voteremo su una legge approvata da tutti e promessa da 40 anni. Se vince il No, il Parlamento ha un’ottima scusa per interrompere le autoriforme e magari riprendersi i privilegi perduti (vitalizi in primis). Se vince il Sì, si impone una nuova legge elettorale e si possono accontentare pure i benaltristi che al taglio degli eletti preferiscono quello degli stipendi.

Da lunedì, se vince il Sì, il Fatto inizierà una campagna a tappeto per adeguare gli stipendi dei parlamentari a quelli dei colleghi europei e, soprattutto, per una legge elettorale che restituisca agli elettori il potere di scegliersi i propri rappresentanti: meno numerosi, ma migliori. Come li voleva Einaudi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/15/guida-al-referendum-le-ragioni-del-si-le-obiezioni-del-no/5931696/