lunedì 19 febbraio 2018

Cupola dei vaccini, si sospende Marabelli dirigente del ministero della Salute indagato. - Gianluca Di Feo



Dopo la chiusura dell'indagine Romano Marabelli lascia l'incarico di vertice del dicastero. Dove era stato messo dal ministro Beatrice Lorenzin, nonostante "l'Espresso" avesse rivelato il suo ruolo nel traffico dei virus.
Ma non potevano pensarci prima? Non si poteva evitare un'altra figuraccia alla credibilità delle istituzioni? Romano Marabelli si è infine autosospeso dalla carica di segretario generale del ministero della Salute. Lo ha fatto due giorni dopo la chiusura dell'istruttoria nei suoi confronti per quella che i magistrati hanno definito “la cupola dei vaccini”, capace di trasformare le epidemie in un'occasione per alimentare affari e carriere, in una commistione tra uffici pubblici e aziende private senza precedenti. Che, secondo le contestazioni della procura di Roma, avrebbe anche contribuito a diffondere negli allevamenti italiani il devastante virus della lingua blu.
L'esistenza del procedimento contro Marabelli, per anni responsabile del settore veterinario del ministero, era stata rivelata da “l'Espresso” in un'inchiesta di Lirio Abbate pubblicata in copertina lo scorso aprile. Un articolo che aveva avuto grande eco, ripreso da tutti i media. Eppure un mese dopo il ministro Beatrice Lorenzin non ha avuto dubbi nel promuovere Marabelli sulla poltrona di segretario generale del dicastero, affidandogli il compito di coordinare tutte le attività nazionali in tema di sanità. Salvo poi accogliere ora l'autosospensione dell'alto dirigente «manifestando apprezzamento per la sensibilità istituzionale mostrata e certa che potrà dimostrare la sua estraneità ai fatti».
Marabelli ha motivato la sua scelta, accompagnata anche dal congelamento dello stipendio, con la volontà di «sollevare il ministro e il ministero da qualsiasi imbarazzo conseguente gli attacchi mediatici». Le questioni che l'indagine della procura ha messo sul tavolo però pongono problemi molto gravi, perché mettono in discussione un capitolo fondamentale per la vita del Paese: come sono state gestite le epidemie, reali o solo paventate, dell'ultimo decennio?
Nel procedimento giudiziario sono accusate 41 figure di spicco della sanità italiana, tra cui la virologa e ora deputato di Scelta Civica Ilaria Capua. Contro Marabelli spiccano le contestazioni di corruzione, rivelazione di segreto d'ufficio e falsità ideologica nelle campagne per combattere la “lingua blu” negli anni dal 2006 al 2009, che ha decimato gli allevamenti ovini. In questo caso secondo i pubblici ministeri sarebbe stata favorita l'azienda Merial Italia, anche con “false attestazioni” attraverso al vendita di “ingenti quantitativi di vaccino non necessari al fabbisogno nazionale, ed in particolare alla Regione Sardegna, causando un danno patrimoniale di due milioni e mezzo di euro».
Non solo. Gli inquirenti sono convinti che l'introduzione nel 2003 di un vaccino di produzione sudafricana mai sperimentato in Italia abbia contribuito a spargere la lingua blu nel nostro Paese “cagionando la diffusione in gran parte degli allevamenti italiani del virus e provocando ingenti danni al patrimonio zootecnico nazionale”. Una decisione che sarebbe stata presa da Mirabelli, all'epoca direttore generale del dipartimento veterinario del ministero, e da Vincenzo Caporale, direttore dell'Istituto zooprofilattico dell'Abruzzo e del Molise.
Il rapporto con la Merial è anche quello che ha fatto nascere l'istruttoria. Un procedimento partito da molto lontano. Nel 1999 infatti le autorità statunitensi hanno scoperto un traffico di virus importati clandestinamente negli States. L'obiettivo dei contrabbandieri era quello di studiare subito antidoti e immetterli sul mercato prima della concorrenza. Negli Usa un manager della Merial Italia, Paolo Candoli, ammise il suo ruolo nella vicenda in cambio dell'immunità. Poi è tornato nel nostro paese e ha ripreso per anni il suo lavoro. Ma il rapporto trasmesso dagli Usa nel 2005 ha fatto scattare gli accertamenti dei carabinieri del Nas, che grazie anche a lunghe intercettazioni telefoniche, hanno messo in luce le operazioni italiane di questa presunta “associazione per delinquere”. Per i carabinieri, da alcune intercettazioni “appare evidente come il contrabbando dei ceppi virali dell’influenza aviaria, posto in essere dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, nelle persone di Ilaria Capua, Stefano Marangon e Giovanni Cattoli, con il concorso del marito della dottoressa Capua, Richard William John Currie, costituisca di fatto un serio e concreto pericolo per la salute pubblica per il mancato rispetto delle norme di biosicurezza”.
Il filone di indagine relativo alla Capua – che ha sempre respinto le accuse – riguarda proprio l'epidemia che negli scorsi anni ha creato enorme allarme: l'aviaria, micidiale per gli allevamenti di polli e, in alcune specifiche forme, pericolosa anche per l'uomo. La procura di Roma ritiene che ci fosse proprio un'associazione per delinquere finalizzata all'uso di “virus altamente patogeni dell'influenza aviaria del tipo H9 e H7N3, di provenienza illecita, al fine di produrre in forma clandestina, senza la prescritta autorizzazione ministeriale, specialità medicinali ad uso veterinario procedendo successivamente, sempre in forma illecita, alla loro commercializzazione e somministrazione ad animali avicoli di allevamenti intensivi».
Tra gli indagati per i vari capitoli ci sono tre scienziati al vertice dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Padova (Igino Andrighetto, Stefano Marangon e Giovanni Cattoli); funzionari e direttori generali del mistero della Salute (Gaetana Ferri, Romano Marabelli, Virgilio Donini ed Ugo Vincenzo Santucci); alcuni componenti della commissione consultiva del farmaco veterinario (Gandolfo Barbarino, della Regione Piemonte, Alfredo Caprioli dell’Istituto superiore di sanità, Francesco Maria Cancellotti, direttore generale dell’Istituto Zooprofilattico di Lazio e Toscana, Giorgio Poli della facoltà di Veterinaria dell’università di Milano, Santino Prosperi dell’università di Bologna); coinvolta anche Rita Pasquarelli, direttore generale dell’Unione nazionale avicoltura.
Insomma, l'inchiesta dovrebbe servire ad aprire una riflessione profonda sui confini tra l'attività dei custodi della nostra salute e gli affari delle aziende. Anche perché altre istruttorie della magistratura stanno andando a fondo sul modo in cui le epidemie si sono trasformate in un business senza scrupoli. Un mese fa la procura di Siena ha messo sotto inchiesta per truffa aggravata l'amministratore delegato della branca italiana di Novartis Vaccines ipotizzando che sia stato gonfiato il costo di un vaccino anti-influenzale e di un altro contro il virus dell'aviaria H1N1. Secondo i pm toscani nel 2012 Francesco Gulli avrebbe “indotto in errore con artifici e raggiri i componenti della commissione incaricata dal ministero della Salute in ordine alla veridicità dei costi legati allo stop della produzione del vaccino per l'H1N1". Il danno per le casse dello Stato sarebbe stato di 16 milioni di euro. Ma in quanti altri casi la minaccia delle epidemie si è trasformata in un business d'oro?

Roche-Novartis, lo Stato pagava mille euro il farmaco che ne costava 80. - Antonio Massari e Valeria Pacelli

Via del Tritone  –  La sede  dell’Agenzia  del farmaco a Roma

Il cartello dei due colossi farmaceutici - Sondaggi finti e “avvertimenti”: così i due colossi, secondo l’accusa dei pm, imbrogliavano medici e pazienti.

Questa è la storia dell’uso di una molecola – il bevacizumav – che ha portato prima i due colossi farmaceutici Roche e Novartis a risarcire le casse pubbliche italiane per un danno da 180 milioni di euroE poi i loro rappresentanti legali a essere indagati dalla Procura di RomaLa stessa molecola, secondo le accuse, veniva utilizzata in due diversi farmaci, perfettamente sovrapponibili – l’Avastin della Roche e il Lucentis della Novartis – a prezzi enormemente diversi tra loro. Le due multinazionali avrebbero spinto l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) scegliere, per il mercato del Servizio Sanitario Nazionale, quello più costoso: Lucentis. Il punto è che i medici oculisti avevano scoperto, da parecchi anni, che l’Avastin, inizialmente utilizzato solo per le malattie del colon, aveva un’ottima resa per le malattie oftalmiche. Un affare enorme, poiché la maculopatia colpisce un anziano su tre, sopra i 70 anni.
Secondo le accuse, così, i due colossi s’accordano per spingere il costosissimo Lucentis al posto del più economico Avastin. La differenza di prezzo tra i due è abissale: dai circa 80 euro dell’Avastin, si passa ai circa 900 del Lucentis. Nella vicenda, come vedremo, avrà un ruolo persino laFederanziani, che attiva un call center e che, secondo gli investigatori, finisce per taroccare i dati sull’Avastin a vantaggio della politica sul Lucentis.
L’intervento dell’Aifa sugli ospedali.
L’intervento dell’Aifa, che nei fatti obbliga gli ospedali a utilizzare il Lucentis al posto di Avastin, arriva nel 2012. Due anni dopo l’Antitrust punisce Roche e Novartis multandoli per 180 milioni di euro: secondo il garante della concorrenza, “i due gruppi si sono accordati illecitamente per ostacolare la diffusione” di Avastin “nella cura della più diffusa patologia della vista tra gli anziani e di altre gravi malattie oculistiche, a vantaggio del più costoso Lucentis, differenziando artificiosamente i due prodotti”. In che modo? Presentando “il primo come più pericoloso del secondo e condizionando così le scelte di medici e servizi sanitari”. L’intesa tra Roche e Novartis secondo l’Antitrust è costata, nel solo 2012, un esborso aggiuntivo per il Servizio sanitario nazionale di oltre 45 milioni di euro, “con possibili maggiori costi futuri fino a oltre 600 milioni l’anno.
Il caso finisce anche sotto la lente della magistratura. Nel settembre 2017 la procura di Roma chiude l’inchiesta (atto che di norma prelude a una richiesta di rinvio a giudizio) nei confronti degli amministratori delegati di Roche e Novartis Farma Spa, Maurizio De Cicco e Georg Schrockenfuchs, accusati di rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato, per aver messo in atto “manovre fraudolente” finalizzate, secondo il pm Stefano Pesci, a turbare il mercato e realizzare ingiusti profitti patrimoniali. “Tale manovra anticoncorrenziale – è scritto nel capo di imputazione – portava all’ingiustificata esclusione del prodotto (Avastin, ndr) dall’elenco dei farmaci rimborsabili dal Servizio Sanitario Nazionale”, influenzando le scelte dell’Aifa e degli oculisti. De Cicco ha chiesto di farsi interrogare la prossima settimana. Poi la procura deciderà se chiedere il processo o archiviare.
Tra Palazzo Chigi e Consiglio di Stato.
Nella vicenda, dopo la multa dell’Antitrust, viene coinvolto anche il governo. In un’informativa del Noe, del giugno 2015, si legge che gli uffici legali di Novartis contattano l’entourage del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Luca Lotti, per informarlo che “Palazzo Chigi potrebbe essere interpellato dalla Commissione europea”. “Contatti normali”, spiegano al Fatto dallo staff di Lotti, “per chi svolge il ruolo di sottosegretario. In ballo c’era la multa che le case farmaceutiche hanno pagato. In quel momento la Presidenza del Consiglio doveva gestire la questione”.
Agli atti però ci sono anche alcuni incontri del legale della Novartis, Ovidio D’Ovidio (non indagato), con Antonio Catricalà, ex sottosegretario ed ex consigliere di Stato che, per questa inchiesta, finirà indagato, in un filone a parte, per corruzione in atti giudiziari. I pm volevano verificare se vi fossero state influenze sul Consiglio di Stato che doveva emettere una sentenza sul caso. Non è stata trovata alcuna prova e per Catricalà è stata chiesta l’archiviazione.
Le mail dell’ad e i comunicati falsi.
Intanto in Roche si raccolgono dati sui problemi che l’Avastin sta registrando, secondo i suoi dirigenti, nelle cure oftalmiche: “Caro Maurizio, stiamo parlando di una ventina di casi – scrive Andrea Lanza all’ad De Cicco – (…) Dire se venti casi siano pochi o tanti è difficile perché il problema è che non conosciamo la popolazione esposta, quindi non abbiamo il dato di incidenza”. Nella mail si legge che Roche due anni prima ha “avvisato” gli oculisti italiani “dei pericoli associati all’utilizzo di Bavacizumap nella maculopatia degenerativa dell’anziano”.
In sostanza, a giudicare dalla lettera, è come se Roche avesse informato gli oculisti sui presunti pericoli dell’Avastin nelle cure oftalmiche. Eppure, stando alle accuse, Lucentis e Avastin sarebbero sovrapponibili. La tesi dei problemi creati da Avastin viene sposata anche dalla FederanzianiLaGuardia di finanza s’insospettisce dopo aver letto il comunicato dell’associazione dell’8 ottobre 2014. Federanziani ha messo in piedi un call center che, da luglio a novembre del 2014, riceve 1523 telefonate da malati di maculopatie. Nel comunicato si affermava, scrive la Finanza, che “in soli 40 giorni sono arrivate oltre 245 chiamate con il 46% di questionari completi. Sul totale dei rispondenti si è riscontrato che ben il 17,8 per cento ha dichiarato di aver avuto reazioni avverse, tra cui gravissime emorragie per il 25%, perdita della vista per il 15% e infine reazioni avverse non gravi di cui rossore, bruciore e fastidio sino al 60% dei casi”. Gli investigatori però rilevano delle incongruità in questi dati che potrebbero non esser state riportate correttamente.
Vengono così interrogate alcune persone che si sono rivolte al call center. Si scopre che i signori Del Pesce e Brunzo, ad esempio, “sono stati curati sia con iniezioni di Avastin che Lucentis”. E che ai signori Esposito e Marinelli sono state “somministrate iniezioni di Lucentis”. Il signor Collella è “stato sottoposto a un ciclo di iniezioni di Macugen e successivamente a uno di Lucentis”. Eppure nel comunicato della Federanziani, scrive la Finanza, “non è mai stato fatto alcun riferimento a Lucentis e Macugen”. Inoltre, “nessuna delle persone” interrogate “ha avuto dei reali effetti collaterali” tali “da considerarli gravi a seguito delle cure con Avastin”. La Gdf sospetta che il tutto sia stato creato ad hoc per “avvalorare la tesi della scarsa sicurezza dell’uso oftalmico dell’Avastin”. Il comunicato sembra sortire il suo effetto. Roberto Messina (non indagato), presidente della Federanziani, viene intercettato mentre ne parla direttamente con l’ex direttore generale dell’Aifa Luca Pani (estraneo alle indagini): quest’ultimo lo consiglia sulla futura diffusione dei dati. Di lì a poco, l’Aifa autorizzerà il servizio sanitario nazionale a utilizzare il Lucentis per le malattie oftalmiche. Revocando la possibilità di acquistare l’Avastin. Il che crea enormi problemi di budget nelle casse sanitarie regionali.
“Io intimidita dalle case farmaceutiche”.
Dagli atti si scopre anche altro. Gli investigatori sentono come persona informata sui fatti Emilia Chiò, all’epoca funzionario del settore acquisti della Regione Piemonte, nell’Assessorato Tutela e Salute. La Chiò nel 2011 prende parte a un gruppo di lavoro che si occupa delle “linee di indirizzo” per “i trattamenti farmacologici” sulle maculopatie. Manca un anno al documento di Aifa. Ormai sul mercato, Lucentis, in base alla legge Di Bella, dovrebbe essere utilizzato in quanto farmaco specifico per le maculopatie, ma le Regioni possono in alcuni casi preferirgli l’Avastin. “L’utilizzo del Lucentis in luogo dell’Avastin – dice Chio – a livello regionale, nel primo semestre 2011, aveva determinato una maggiore spesa di circa 0,67 milioni”. Il gruppo aveva cercato di studiare gli “eventi avversi di Avastin” ma un dirigente della Novartis (non indagato) non è d’accordo. L’uomo, racconta la Chiò, “mi riferiva di non procedere allo studio di Avastin perché la Novartis non gradiva questa iniziativa. (…) Il suo atteggiamento era perentorio a tratti intimidatorio”.

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