sabato 24 ottobre 2015

Il piede sull'Anm - Liliana Milella

Anm: "Contro di noi strategia di delegittimazione". Tensione fra politica e magistratura
Il presidente dell'Anm, Rodolfo Sabelli

La politica contro i giudici. 
Li vorrebbero muti, ciechi, sordi. 
Elettroencefalogramma piatto. 
Nessuna reazione. 
Nessuna disobbedienza. 
Solo e sempre "sissignore". 
Bari, Anm a congresso. 
Il presidente Sabelli, magistrato moderato di Unicost, anche caratterialmente un uomo misurato e attento agli equilibri istituzionali, ripete quello che ha sempre detto, critiche tecniche alle misure del governo (vedi corruzione, intercettazioni, prescrizione...). Aggiunge che mal vede certa "strategia dì delegittimazione" che proviene, per esempio, da chi, come Cantone, parla male delle correnti e della stessa Anm. La politica non aspettava altro. Attacca Sabelli come se avesse di fronte un giudice rosso rivoluzionario e guerrafondaio. Il Guardasigilli è velenoso e vede nelle parole di Sabelli un modo per coprire le divisioni interne dell'Anm. Il ministro dell'Interno Alfano, immemore degli scandali che hanno pesantemente coinvolto molta gente del suo partito, consiglia all'Anm di guardare in casa propria, allo scandalo della Saguto a Palermo. S'arrabbia pure il Pd renziano David Ermini, vede "critiche ingenerose". La triste impressione è che una politica arrogante voglia solo toghe prone e pronte a dire "evviva" a qualsiasi riforma, fatte anche in modo provocatorio, come fu per il taglio delle ferie.

http://milella.blogautore.repubblica.it/2015/10/24/il-piede-sullanm/

Galan lascia villa Rodella e si porta via termosifoni e sanitari.

Galan lascia villa Rodella e si porta via termosifoni e sanitari
Villa Rodella a Cinto Euganeo

L'ex presidente del Veneto, accusato di corruzione nell'inchiesta Mose, ha patteggiato la pena e una confisca da 2,6 milioni. Per questo ha dovuto abbandonare la dimora cinquecentesca sui colli Euganei. Ora si dice disposto a restituire quello che ha portato via indebitamente.

Un colpo di testa, ipotizzano gli inquirenti. Quello dell'ex governatore del Veneto, Giancarlo Galan, che ha fatto scardinare di proposito rubinetti, sanitari e termosifoni dalla lussuosa villa di Cinto Euganeo che gli è stata confiscata. Uno sfregio prima di abbandonarla. "Non li uso io e non li userà più nessuno", deve aver pensato degli almeno otto bagni che ci sono dentro la sua ormai ex casa. Costretto a lasciare questa dimora cinquecentesca, proprietà dello Stato dal 3 luglio, per trasferirsi in affitto in una casa a Rovolon, sempre sui colli Euganei, Galan ha pensato bene di portarsi via anche alcuni caminetti e termosifoni. Ora il deputato di Forza Italia e due volte ministro - accusato di corruzione nell'inchiesta Mose, per cui ha patteggiato una pena di due anni e dieci mesi e una confisca da 2,6 milioni - ha fatto sapere alla procura di Venezia che si è trattato di un malinteso e che è pronto a restituire quanto ha prelevato indebitamente da Villa Rodella.

Galan ha traslocato qualche giorno fa e quando i finanzieri e i funzionari dell'Agenzia del Demanio sono entrati a Villa Rodella, l'hanno trovata spoglia degli arredi, come previsto dalla legge, ma anche di alcuni caloriferi, di quasi tutti i sanitari (di tutti i bagni della casa), delle docce, di tutta la rubinetteria e delle parti esterne di decoro dei caminetti. Che non avrebbe dovuto toccare. "Interpretazioni fantasiose - dice l'avvocato di Galan, il famoso penalista veneziano Antonio Franchini -. Forse c’è stato un equivoco sulla definizione di arredi". Invece di fantasioso non c'è proprio nulla. È tutto documentato. "Anche ammesso che Galan non lo sappia, difficile che il suo avvocato non conosca la definizione di arredo - dicono gli inquirenti -. Più probabile che Galan abbia fatto di testa sua, senza avvisarlo, ma ben sapendo cosa stava facendo". Anche perché, come testimoniano le fotografie scattate dai finanzieri, tutti questi oggetti sono stati asportati con una precisa volontà. Martello, scalpello e, quasi sicuramente, una ditta per il trasporto. Il Demanio deve valutare la villa: un complesso di diverse unità immobiliari che, senza sanitari, docce e rubinetti, non è considerata un immobile abitabile, ma al grezzo avanzato. Ecco che la valutazione non si può fare. Questo è emerso dalle indagini coordinate dal Sostituto procuratore di Venezia, Stefano Ancilotto.


Solo malintesi per la difesa, ma non è detto che la vicenda si concluda qui: essendo una villa cinquecentesca, infatti, le Fiamme gialle stanno valutando se per i lavori eseguiti da Galan non fosse necessaria un'autorizzazione da parte della Soprintendenza. In quel caso partirebbe immediata la denuncia, che potrebbe avere delle ripercussioni sull’udienza in cui l'ex governatore chiederà l'affidamento in prova ai servizi sociali, il prossimo 4 novembre davanti al Tribunale di Sorveglianza di Padova. Galan si è detto pronto ad aiutare i migranti per il fine pena della sua condanna che sta scontando ai domiciliari e deve dimostrare che c'è una cooperativa sociale disposta ad accoglierlo per farlo lavorare, ma anche questo episodio potrebbe non giocare a suo favore. Deve restituire e risarcire tutto e non è cosa da potersi risolvere in pochi giorni, vista la mole di oggetti che si è portato via come fossero tavoli.

http://www.repubblica.it/politica/2015/10/23/news/galan_villa_rodella_porta_via_termosifoni_e_sanitari-125742426/

Io lo condannerei a rimettere tutto a posto a spese sue.
Questa gentaglia non imparerà mai che stare al governo significa assumersi la responsabilità di amministrare bene una nazione, non diventarne proprietari...

Basta prescrizione.

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"La prescrizione, in Italia, è ormai l’ancora di salvezza dei delinquenti ed è anche una delle principali cause di intasamento dei Tribunali. Oggi, un delinquente che è stato beccato inconfutabilmente con “le mani nella marmellata”, fa di tutto per allungare i tempi processuali e arrivare alla meta agognata della salvezza: la prescrizione del reato. La prescrizione, infatti, dovrebbe avere lo scopo di evitare che lo Stato possa “svegliarsi” in qualsiasi momento e perseguire un cittadino per un reato commesso, per esempio, trent’anni prima; ovviamente, nel momento in cui lo Stato si attiva e, addirittura, c’è un rinvio a giudizio (vuol dire che c’è stato il vaglio di un PM e di un GIP), allora è evidente che la prescrizione deve essere sospesa.
Così avviene in quasi tutto il resto d’Europa, dove, con diversi meccanismi, la prescrizione viene ovviamente sospesa o interrotta per tutta la durata del processo. In Francia e Germania viene interrotta addirittura dagli atti istruttori come, per esempio, un semplice interrogatorio. Nel Regno Unito l’istituto della prescrizione addirittura non esiste. Il M5S, fin dal primo momento in cui è entrato in Parlamento, ha proposto di interrompere la prescrizione dal momento del rinvio a giudizio per tutta la durata del processo. E’ una norma semplice ed efficace che impedirebbe numerosissime ingiustizie. Quando un reato si estingue per prescrizione, lo Stato fallisce due volte: una perché non è riuscito ad accertare la verità; un’altra volta perché viene cancellato tutto l’impegno profuso da giudici, avvocati, cancellieri, inquirenti ecc. con un inaudito sperpero di denaro pubblico.
Dal 2003 al 2013, circa un milione e mezzo di processi si sono letteralmente volatilizzati per colpa della prescrizione.

Tra imprenditori e politici , coloro che hanno usufruito, a vario titolo, della prescrizione sono tantissimi (solo per fare alcuni esempi: De Benedetti, Moggi, Tanzi, Geronzi, Ricucci, Fazio, Caltagirone, Gelli, Berlusconi, Andreotti, Calderoli, D’Alema, Penati, Scajola)
Ogni mercoledì, a Lucca, i familiari delle vittime di Viareggio si recano in Tribunale dove un Collegio di Giudici efficientissimo corre contro il tempo per arrivare quanto prima all'accertamento della verità. Purtroppo, è praticamente impossibile che ben tre gradi di giudizio possano concludersi prima che alcuni reati vadano in prescrizione.
Studiando migliaia di pagine di diritto non se ne ricorda nemmeno una che permetta di spiegare a Marco Piagentini, che ha perso in quella strage la moglie (di 40 anni) e due figli (di 4 e 2 anni), che alcuni reati stanno per “scadere”. E’ arrivato il momento di smetterla. Il 29 agosto 2014 il premier annunciava la riforma della prescrizione; il 20 novembre 2014, dopo il vergognoso caso Eternit, sempre il premier diceva: “Va cambiata la prescrizione. C’è domanda di giustizia. Mi colpisce e mi fanno venire i brividi le interviste ai famigliari delle vittime che mostrano una grande dignità, persone che credono nella giustizia più di quanto ci creda qualche servitore dello Stato. Le morti delle persone care non possono essere consolate, non c’è sentenza che possa farlo, però l’idea di aggrapparsi alla giustizia, la considero una cosa di un dolore e di una bellezza senza fine”. Parlava sul serio o si limitava a fare sciacallaggio mediatico? E’ passato quasi un anno: la prescrizione non è cambiata e il PD continua a dire “no” alla proposta del M5S! La prescrizione deve interrompersi dopo il rinvio a giudizio: chiediamo al governo di mantenere i propri impegni!" 
Alfonso Bonafede, M5s Camera

http://www.beppegrillo.it/2015/10/prescrizione_fa.html?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+beppegrillo%2Fatom+%28Blog+di+Beppe+Grillo%29

Giustizia, Anm: “Governo più attento alle intercettazioni che alla mafia. Strategia di delegittimazione verso i giudici”.

Giustizia, Anm: “Governo più attento alle intercettazioni che alla mafia. Strategia di delegittimazione verso i giudici”

Nella relazione annuale davanti al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati, Rodolfo Sabelli, critica l'azione del governo. I magistrati puntano il dito anche contro la riforma della responsabilità civile: "Discutibile nel merito, nel metodo e nei tempi" e "ha preceduto perfino quelle – tuttora irrealizzate – del processo e dell’organizzazione". Ermini, responsabile Giustizia del Pd: "Frasi ingenerose".

Più attenzione sulle intercettazioni che sulla mafia. “Timidezza” nel contrasto all’evasione fiscale. “Consapevole strategia di delegittimazione” della magistratura. Politica e giustizia “subordinate al potere economico”. Nella relazione annuale davanti al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati,Rodolfo Sabelli, punta il dito contro l’azione del governo Renzi in materia di giustizia.
Il primo affondo arriva nelle prime righe. “I temi economici vanno ricondotti all’alveo delle decisioni politiche – dice Sabelli al congresso del sindacato dei magistrati- va dunque respinta l’idea strisciante che a minori garanzie e a minori controlli possa corrispondere una maggiore crescita, come se il problema consistesse nella regola e non piuttosto nella sua violazione. L’approdo di una tale impostazione sarebbe la subordinazione della politica e della giurisdizione al potere economico“. Difficile non leggere nelle parole del presidente dell’Anm un riferimento alla norma, contenuta nella legge di Stabilità, che consente i pagamenti fino a 3.000 euro in contanti, presentata dall’esecutivo come uno strumento per favorire la crescita. E una risposta alla posizione del governo, secondo cui – come ha detto il premier Matteo Renzi – “il limite del contante non aiuta l’evasione, né la combatte”.
Al contempo il governo fa poco per combattere la corruzione e la penetrazione delle organizzazioni criminali nella P.A.. “C’è una “timidezza nella disciplina dei mezzi di contrasto al fenomeno della corruzione (…) condotte che spesso si uniscono a fenomeni di criminalità organizzata e per mezzo delle quali realtà mafiose si insinuano nel tessuto della pubblica amministrazione impongono maggiore determinazione e richiedono più penetranti strumenti di indagine e di prova”. Una timidezza, continua Sabelli, che risulta “incoerente” con la scelta di aumentare le sanzioni per alcuni reati comuni, che sa invece di “cedimento a superficiali appetiti giustizialisti“.
Il secondo j’accuse Sabelli lo lancia contro la riforma della responsabilità civile dei magistrati realizzata dal governo prima di quella del processo, ritenuta dai giudici prioritaria. Tra politica e magistratura “oggi si sviluppano tensioni nuove o si riaccendono altre antiche e mai davvero sopite, che alimentano delegittimazione e sfiducia nel sistema giudiziario – affonda il presidente dell’Anm – il terreno sul quale sono state realizzate riforme relative al trattamento giuridico della magistratura, discutibili nel merito, nel metodo e nei tempi, che hanno preceduto perfino quelli delle riforme – tuttora irrealizzate – del processo e dell’organizzazione; sul quale è intervenuta la nuova legge sulla responsabilità civile, che appare condizionata da ragioni estranee alle finalità risarcitorie che le sono proprie; sul quale avanzano proposte di nuovi illeciti disciplinari, incoerenti con l’attuale sistema di fattispecie tipiche; sul quale si muovono disegni di riforma processuale che riflettono sulla responsabilità del magistrato le carenze dell’organizzazione e l’inadeguatezza delle regole. Tutti aspetti troppo delicati, perché siano fatti materia di scontro e oggetto di riforme affrettate“.
“Le riforme operate sullo stato giuridico di una categoria già sofferente per il peso dei carichi di lavoro, delle crescenti responsabilità e della carenza di risorse, unite a demagogiche semplificazioni – ha detto ancora Sabelli – hanno aggravato il diffuso malcontento dei colleghi e rischiato di incoraggiare istanze e reazioni di stampo corporativo”. I giudici sono “consci dei pericoli che potrebbero venire dall’immagine, facile e falsa, di un’associazione raffigurata come espressione di una corporazione rivendicativa, tutta volta alla difesa dei propri privilegi, immagine purtroppo sostenuta e rilanciata da più parti, in una consapevole strategia di delegittimazione“.
Concentrandosi sui temi relativi all’organizzazione e alle procedure interne alla sfera giudiziaria, il governo ha tralasciato di intervenire in aree che toccani più da vicino la vita dei cittadini. Il tema delle intercettazioni, ad esempio, “ha finito con l’assumere una centralità che risulta persino maggiore dell’attenzione dedicata ai problemi strutturali del processo e a fenomeni criminali endemici” come la mafia. Tutto questo avvienne nonostante una criminalità organizzata “diffusa ormai in ogni ambito e le forme di pesante devianza infiltrate nel settore pubblico e dell’economia“.
Sabelli ha anche lamentato la disorganicità degli interventi nella materia penale e chiesto misure per l’efficienza. Ma anche maggiore attenzione ai temi civili: “Le persistenti lacune legislative in materie delicate quali i rapporti di convivenza e il fine vita, oggetto di casi giudiziari anche drammatici, vedono il giudice affrontare ancora, da anni, un impegno difficile e solitario, a fronte di una richiesta di giustizia che viene da una società in continua evoluzione“.
La replica del Partito Democratico è affidata a Davide Ermini: “Bisogna fare attenzione a non fare confusione. Fino ad oggi né il governo né il parlamento hanno messo mano al sistema delle intercettazioni – afferma il responsabile Giustizia dei dem – per questo alcune frasi sulla ‘politica non attenta’ ci appaiono ingenerose“. “Non è stata toccata nessuna delle attuali competenze degli organi inquirenti o di quelli giudicanti. Ci siamo preoccupati solo dell’aspetto legato alla pubblicità delle intercettazioni”, ha detto ancora Ermini.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/10/23/giustizia-anm-da-governo-piu-attenzione-alle-intercettazioni-che-alla-mafia-strategia-di-delegittimazione-verso-i-giudici/2153974/

Questa, assieme alle altre, è la prova che il governo vuole agevolare la parte malata del paese e intralciare l'unica Istituzione che garantisce la legalità. 
Mi sembra di rivivere il deprecato periodo berlusconiano.

Infine: se adesso si sono limitati ad impedire che le intercettazioni vengano pubblicate, e mi risulta incomprensibile accettarlo, quanto tempo pensate che passerà prima che ne impediscano del tutto l'uso?

Cetta

Stabilità, porte aperte al nero: scompare obbligo pagamenti tracciati per affitti e fatture autotrasporto. - Carlo Di Foggia

Stabilità, porte aperte al nero: scompare obbligo pagamenti tracciati per affitti e fatture autotrasporto


Nelle ultime bozze della manovra si apre alla possibilità di pagare in contanti nei due settori considerati "a rischio infiltrazione criminale".

Quattro righe criptiche e il colpo di spugna è servito: niente obbligo di usare solo pagamenti tracciati per versare gli affitti, o saldare fatture nell’autotrasporto, settore a rischio di “infiltrazione criminale”. Due conquiste, manco a dirlo, volute a suo tempo dal Pd, che ora la legge di stabilità di Matteo Renzi cancella del tutto. Nel messaggio “sbagliatissimo” (copyright Raffaele Cantone) – come molti tra magistrati ed esperti definiscono la decisione del premier di alzare il limite all’uso del contante dai mille attuali a tremila euro – ce n’è un altro passato inosservato: il dietrofront è su tutta la linea, perfino per settori nei quali quel limite non valeva. Perchè sensibili.
Andiamo con ordine. In tutte le bozze della Stabilità circolate finora (il testo definitivo dovrebbe approdare oggi in Senato) all’articolo 65 (“circolazione del contante”) figurano due commi, che abrogano altrettante misure tutt’ora in vigore. La prima riguarda una novità introdotta dalla legge di stabilità 2014, governo di Enrico Letta: “I pagamenti dei canoni di locazione di unità abitative, fatta eccezione per l’edilizia residenziale pubblica, sono corrisposti obbligatoriamente, quale ne sia l’importo, in forme che escludano l’uso del contante e ne assicurino la tracciabilità”. Una misura voluta per arginare il fenomeno endemico degli affitti in “nero”, per un’evasione stimata in 3,5 miliardi (per la Cgil nel 2013 quelli versati dagli studenti hanno nascosto un imponibile da 1,5 miliardi). Chi l’ha voluta? Il Pd, che il 12 dicembre 2013 fa passare un emendamento in commissione bilancio, firmato dal capogruppo Marco Causi. La norma fa infuriare il solito Ncd, che si duole per bocca di Renato Schifani: “Non può valere come regola generale, è bene evitare misure che troppo drasticamente impediscano la circolazione della moneta”.
Stessa storia per l’autotrasporto. A ottobre, in sede di conversione del famoso decreto “sblocca Italia”, in Senato il Pd fa approvare un emendamento che recita così: “Tutti i soggetti della filiera dei trasporto merci su strada provvedono al pagamento del corrispettivo per le prestazioni rese utilizzando strumenti elettronici di pagamento e comunque ogni altro strumento idoneo a garantire la piena tracciabilità delle operazioni, indipendentemente dall’ammontare dell’importo”. Il motivo? “La prevenzione delle infiltrazioni criminali e del riciclaggio del denaro derivante da traffici illegali”. Ora tutto viene cancellato.
“È una scelta così specifica che sembra suggerita da qualcuno”, spiega Cinzia Franchini, presidente nazionale della Cna-Fita, che da anni si batte contro le infiltrazioni criminali nel settore e per questo ha ricevuto lettere di minaccia e proiettili: “Eravamo orgogliosi di quella norma, cancellarla è un grave errore inspiegabile, di sicuro alcuni festeggeranno. Noi chiederemo un incontro urgente, anche perché le imprese sane già pagavano tutto in maniera tracciata”.
Non è un dettaglio da poco. In entrambi i casi, infatti, il Pd fa approvare le norme, senza però specificare le sanzioni. Quella sugli affitti, infatti entra in vigore a gennaio 2014, ma il 4 febbraio, con il governo Letta ormai morente, il Tesoro emette una nota interpretativa che conferma l’incredibile svista: visto che non le hanno specificate, si applicano solo le sanzioni già previste dalla normativa antiriciclaggio, quella che prevede la soglia dei mille euro. Al di sotto, si infrange la legge ma non si rischia nulla. Anche sull’autotrasporto l’emendamento democrat – firmato dalla relatrice dello “Sblocca Italia”, Chiara Braga – curiosamente si scorda le sanzioni. Di più, nel testo si fa riferimento a un altro decreto per cui non viene punito chi viola la norma ma solo il commercialista che non comunica la violazione. “Ora il governo invece di fare un passo avanti ne fa due indietro”, continua Franchini.
Tradotto: il Pd fa approvare di due misure per contrastare il “nero” e il riciclaggio di denaro in settori a rischio di “infiltrazione criminale”, poi le svuota, e ora, invece di migliorarle le cancella del tutto. Peraltro adesso, per incorrere nelle sanzioni la soglia viene alzata a tremila euro. Un segnale, appunto. Resta una domanda: se alzare il limite per Matteo Renzi “aumenta i consumi e sblocca le famiglie”, togliere l’occhio di riguardo per affitti e trasporti cosa sblocca?

La laurea falsa di Mastrapasqua. - Giacomo Amadori

Antonio Mastrapasqua


Il numero uno dell'Inps negli anni Novanta fu condannato a 10 mesi di carcere per aver comprato, con la complicità di alcuni bidelli, esami universitari mai sostenuti.

Il presidente dell'Inps Antonio Mastrapasqua ha rassegnato le proprie dimissioni al ministero del Lavoro. Mister 25 Poltrone è stato travolto negli ultimi giorni dall'inchiesta sui rimborsi truccati all'Ospedale Israelitico di Roma di cui è direttore generale, dalla polemica sulle sue cariche e, ultima bordata, la laurea falsa di cui ha scritto Giacomo Amadori su Libero in edicola sabato 1 febbraio. Di seguito, ecco l'articolo di Amadori.

La laurea in Economia e commercio conseguita nel 1984 da  Antonio Mastrapasqua, presidente dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps) e molte altre cose ancora, è falsa. O almeno è stata ritenuta tale dalla giustizia italiana. E per questo annullata. Per chi non lo ricordasse, Mastrapasqua, 54 anni, è da qualche giorno sulle prime pagine dei quotidiani per un’altra vicenda giudiziaria, un’inchiesta che lo coinvolge in quanto direttore generale dell’ospedale israelitico di Roma. I pm lo hanno indagato per truffa ai danni dello Stato (più precisamente della Regione Lazio con cui ha  una convenzione)  per rimborsi sanitari gonfiati. Inoltre giornali e detrattori  gli contestano di collezionare troppi incarichi: il Fatto quotidiano ne ha contati addirittura 25, anche se l’interessato ha spiegato che non sono stati ricoperti contemporaneamente. 
Torniamo alla laurea farlocca, partendo dall’ultimo atto della vicenda giudiziaria: il 4 aprile 1997 la Prima sezione penale della Corte suprema di Cassazione, presieduta da Giulio Carlucci, conferma definitivamente la pena a dieci mesi di reclusione per Mastrapasqua decisa dalla Corte d’Appello con queste parole: «È ben configurabile il delitto di falsità ideologica in relazione alla fattispecie riguardante il non veridico contenuto del verbale di esame di laurea e il rilascio del diploma di laurea, contenenti l’approvazione del candidato e la proclamazione di “dottore”». 

I giudici lo condannano pure a pagare le spese processuali e un milione di lire per la cassa delle ammende. Il 18 giugno del 1996 il collegio di secondo grado era stato durissimo: «Mastrapasqua censura la genericità degli elementi di prova raccolti nei suoi confronti, si deve rilevare invece che i primi giudici hanno analiticamente indicato i fatti posti a sostegno dell’affermazione di responsabilità. Risulta incontrovertibilmente che l’appellante non ha sostenuto alcuni esami perché le firme sui verbali degli stessi non sono degli esaminatori. Nonostante ciò Mastrapasqua ha presentato domanda per sostenere l’esame di laurea e ha conseguito il relativo diploma». La vicenda esplode nel 1985 quando viene arrestato uno studente di Economia, F. M., nell’ambito di un’inchiesta su un presunto commercio di esami universitari e in particolare quelli di Istituzioni di diritto privato e Diritto commerciale. A gestire il mercato sarebbero tre bidelli e un’impiegata. 
Le indagini interne erano partite a gennaio di quello stesso anno per le voci insistenti raccolte dal rettore Ernesto Chiacchierini riguardo la possibilità di «comprare alcuni degli esami più difficili». Inizialmente vengono individuati 18 studenti che avevano denunciato lo smarrimento del libretto dopo aver dato l’esame di Diritto privato. Tra questi Mastrapasqua. Qualcuno confessa e l’inchiesta si allarga, portando all’iscrizione sul registro degli indagati di centinaia di studenti. Il primo procedimento ad arrivare a sentenza è quello che riguarda Mastrapasqua  e un’altra ventina di imputati. Il futuro presidente dell’Inps il 21 giugno 1989, su richiesta del pm Sante Spinaci, viene condannato a 2 anni e dieci mesi per falsità ideologica, falso materiale e corruzione. Gli esami che inizialmente gli vengono contestati sono Diritto privato, Diritto della navigazione e Tecnica industriale e commerciale. 
Le date - Ma per quest’ultimo i giudici non ritengono sufficienti le prove anche se Mastrapasqua nel curriculum datato 19 febbraio 1983 aveva inserito l’esame tra quelli «da sostenere», mentre «invece è datato 30 aprile 1982» scrivono i magistrati. Alla fine a incastrare il grand-commis sono gli altri due esami, «in relazione ai quali», aggiungono le toghe, «anche se la chiamata di correità di E.P. (uno dei bidelli, ndr) è generica, è stata accertata la falsità attraverso il disconoscimento degli statini da parte dei docenti e il confronto tra il numero di tali statini e i numeri dei verbali di esami falsi riguardanti» altri studenti. Lo scoglio più duro, Istituzioni di diritto privato, viene, falsamente secondo i giudici, superato il 28 giugno 1982.  
A questo punto della sentenza, a pagina 233, i magistrati inchiodano lo studente alle sue responsabilità: «Mastrapasqua ha allegato alla domanda di ammissione all’esame di laurea la dichiarazione falsa di superamento degli esami di profitto del corso, comprensiva di detti esami, datata 26 settembre 1984 e da lui sottoscritta, riuscendo così, avvalendosi anche delle falsificazioni del curriculum, a conseguire, con l’inganno, quella laurea per la quale ha richiesto il rilascio del diploma il 26 novembre 1984. Il Mastrapasqua va per tanto condannato in relazione agli esami di Istituzioni di diritto privato e di diritto della navigazione per i reati di falso materiale (limitatamente alla falsificazione di verbali e statini), corruzione e falsità ideologica». La pena viene stimata in 2 anni, 10 mesi, 15 giorni di reclusione e un milione e trecentomila lire di multa. Otto anni dopo la Cassazione riduce la condanna a dieci mesi per il solo reato di falsità ideologica (laurea ottenuta con l’inganno). Per questo potrebbe far sorridere qualcuno che il 28 ottobre 2013 preso la Facoltà di Economia e commercio della Sapienza di Roma Mastrapasqua sia stato premiato dalla sua vecchia università con il premio «Best in class» per l’anno accademico 2013-2014, istituito per «valorizzare l’impegno e la carriera» degli ex studenti che si sono «maggiormente distinti nelle attività professionali». In realtà (vedere intervista a fianco) Mastrapasqua, nelle more del processo, si è rilaureato, con un piano di studi diverso. Dal sito dell’Inps apprendiamo che ha scelto un indirizzo economico-aziendale e che ha preparato una tesi di Matematica finanziaria ed economica dal titolo «Aspetti matematici ed economici dei fondi pensioni». Scopriamo pure che «è iscritto all’ordine dei dottori Commercialisti di Roma e al registro dei Revisori contabili».  Internet, però, non ci dice in che anno sia stata conseguita la laurea. Una decina d’anni dopo la condanna Mastrapasqua ha chiesto e ottenuto la riabilitazione. 
Non solo Antonio - Ma chi erano i compagni di processo del presidente dell’Inps? Il signor C. L. T., fiscalista di Frosinone, accetta di raccontare la sua vicenda in cambio della garanzia di anonimato: «Abbiamo fatto una cretinata per sbrigarci. L’università annullò le lauree di noi condannati. Io ho risostenuto i cinque esami che i magistrati ritenevano non validi e ho ridato anche la tesi. Nel 1993, prima della sentenza definitiva, mi sono iscritto all’albo dei dottori commercialisti». C’è poi P. A. il cui ricorso venne ritenuto inammissibile insieme a quello di Mastrapasqua. Lui non si è mai più laureato e, da imprenditore, è stato condannato a tre anni e sei mesi di carcere per il crac dell’azienda di famiglia. L’ultima parola la offriamo all’avvocato Antonio Capitella, difensore di E. P., uno dei bidelli al centro dell’inchiesta: «Quei processi li hanno imbastiti e proseguiti per annullare le lauree, visto che le pene sono state quasi tutte inferiori ai due anni e poi sospese. In molti casi era già intervenuta la prescrizione. Però il mio assistito mi ha rivelato che una parte di questa storia non è mai stata raccontata: Mastrapasqua non era il solo vip coinvolto. C’erano anche imprenditori che oggi stanno sulle prime pagine dei giornali». Questi personaggi non sono stati coinvolti nelle indagini? «No, perché il mio cliente non li ha denunciati ai magistrati. Ma quei nomi non li faremo mai. In Italia non serve fare gli eroi». E la caccia ai falsi laureati continua.