giovedì 22 maggio 2014

Palermo, altra vittima della crisi: chiude la gioielleria Fiorentino. - Salvo Ricco

L’azienda ha comunicato la decisione ai sindacati. Fra pochi giorni la liquidazione di tutta la merce e il licenziamento per i 23 impiegati.
PALERMO. Chiude la gioielleria Fiorentino. L'azienda ha comunicato ai sindacati la decisione di liquidare la società e di cessare l'attività commerciale nei punti vendita di via Libertà e via Roma, mentre il negozio di Trapani era stato chiuso in precedenza. Fra pochi giorni l'azienda comincerà una campagna di liquidazione di tutta la merce e avvierà le procedure di licenziamento collettivo per 23 impiegati, cioé di tutto il personale in organico, compreso l'amministratore delegato.  
Il liquidatore sarà Alfredo Fiorentino e la procedura si dovrà concludere in 45 giorni. Ciò significa che da luglio potrebbe scattare la chiusura dei negozi. I soci hanno scelto di liquidare la società in bonis. Determinante è stata la crisi del mercato del lusso. «Ci siamo guardati attorno - dice Alfredo Fiorentino, oggi liquidatore della società - e abbiamo preso atto che il mercato, ormai da anni, sta attraversando un periodo di estrema sofferenza. La liquidazione ci è sembrata la strada più giusta, fermo restando che il nostro intento è quello di produrre la massima attenzione nei confronti dei dipendenti e dei fornitori, da sempre preziosi collaboratori».
Lo scenario che si aprirà è ancora un'incognita. Nel senso che, tra le ipotesi al vaglio ci potrà essere il mantenimento di una piccolissima quota delle azioni Fiorentino dentro una nuova compagine societaria o, l'alternativa più accreditata, ci sarà la cessione definitiva delle quote. Si parla di una immobiliare disposta a immettere capitali freschi per rilevare le azioni. Il ruolo della nuova società, con o senza i Fiorentino, sarà anche quello di far sbarcare una importante griffe del mondo del lusso, proprio nei quattro piani di via Libertà. L'importante patrimonio immobiliare dei Fiorentino, e soprattutto la licenza commerciale per media struttura - quando a Palermo, nel centro storico non possono aprire nuove medie strutture di vendita - che sarà sicuramente ceduta alla nuova attività commerciale in arrivo, rappresentano un grosso business. Le trattative sarebbero in corso di definizione. 
Di certo c'è che, almeno per il momento, Fiorentino uscirà di scena. 
Ci sarà anche da stabilire il futuro dei lavoratori. Con la procedura di licenziamento collettivo si aprirà una vertenza. 
Si cercherà di attingere agli ammortizzatori sociali, con la speranza che una parte venga assorbita dal nuovo marchio del lusso che sta per arrivare. I sindacati avvisano che «già ieri - dicono dalla Filcams Cgil - i lavoratori sono stati messi al corrente della liquidazione ed è stato chiesto il loro curriculum, da poter girare a chi aprirà una nuova attività». Questo perché al momento non si tratterebbe di una cessione di ramo d'azienda, modalità che imporrebbe all'impresa il passaggio automatico dei lavoratori al nuovo soggetto imprenditoriale».
Al di la degli aspetti tecnici, e quelli molto importanti legati all'occupazione, la notizia della chiusura dell'ennesimo marchio storico palermitano non fa certo piacere. Anche se al suo posto arriverà un brand con dietro una multinazionale. La Emanuele Fiorentino spa significa tradizione che si tramanda dal 1890, con il capostipite Emanuele Fiorentino, che aprì l'omonima gioielleria nel cuore della città. Un punto di riferimento per tanti palermitani. In questi ultimi anni, tra voci di chiusura e riprese, il marchio cittadino del lusso ha cercato di rimanere sul mercato, ricorrendo alla cassa integrazione per i lavoratori e ai licenziamenti.
Con l'annuncio della liquidazione, i sindacati hanno drizzato le orecchie. «Questa vicenda è zeppa di incognite - dice Monja Caiolo, segretario provinciale della Filcams Cgil - che l'aziende deve chiarire. Per questo motivo, abbiamo chiesto una convocazione per domani, perché abbiamo fretta di capire se c'è un passaggio di licenza a un nuovo marchio. Questo garantirebbe i lavoratori. Auspichiamo in tempi celeri - continua Caiolo - un incontro anche con il nuovo soggetto imprenditoriale, al quale chiederemo la garanzia dei livelli occupazionali». 

Appunto....



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Drones Over Dolphin Stampede and Whales off Dana Point and Maui

Ma che strana telefonata che fa Scajola alla moglie… ascoltatela. - Aldo Giannuli

scajola

Cappuccino, brioche e intelligence n° 46
Il “fatto” ha pubblicato il testo di una intercettazione telefonica fra Scajola e la moglie, una telefonata molto strana che merita qualche commento. Se non l’avete ascoltata, fatelo ora, vi assicuro che sono 4 minuti ben spesi.



Sentito? Ragioniamo: la prima cosa che colpisce è che Scajola faccia di questi discorsi per telefono, sapendo che la magistratura gli sta addosso. La moglie è evidentemente imbarazzata, parla per allusioni e si capisce che teme di essere intercettata da qualcuno: dice “La….” Lasciando in sospeso la parola, sperando che lui capisca, e lui “CHI, NAPOLI?” ci manca solo che aggiunga nome e cognome del sostituto che indaga. Lui no, un ex ministro dell’Interno, allievo di Paolo Taviani, che si vanta di avere un suo personale servizio di intelligence e che sicuramente ha ancora gente amica in organi di polizia e dei servizi, parla libero e sciolto come se recitasse il “Salve Regina”, ignaro di eventuali ascolti. Possibile? L’uomo non è mai stato un genio, ma mi pare un po’ troppo anche per lui.
Ma poi, che bisogno c’è di fare quella telefonata, visto che, come si sente nella conclusione, la donna deve incontrarla dopo qualche ora? Che bisogno c’è di fare quella sparata? E poi, cosa è quell’enfasi sul “Sto lavorando molto, molto, molto, molto bene” ripetuto almeno altre tre volte? La moglie avrà capito già dalla prima. Sembra invece che lui voglia attirare l’attenzione di altri su qualcosa.
Poi c’è quell’esplicito “faccio scoppiare un casino che non avete idea” che fa pensare ad un vero e proprio ricatto al Berluska, ma per avere cosa? La candidatura alle europee per l’immunità? Sembrerebbe di si, ma forse si parla anche d’altro. Comunque, è anche chiaro che la candidatura non l’ha ottenuta, come, peraltro, non sembra aver ottenuto nulla. Ed allora il “casino” di cui di diceva, come mai non è scoppiato? Solo una sparata a salve?
Difficile crederlo: l’uomo non è un pivello e non sta minacciando le Figlie di Maria: è tutta gente navigata, con foreste di peli sullo stomaco, che non si impressiona per una minaccia a vuoto e uno come Scajola lo sa perfettamente, perché è uno come loro. Ma allora, cosa è successo di mezzo sino al suo arresto? Evidentemente c’è stato tutto uno sviluppo che ignoriamo e su cui ameremmo sapere di più.
Peraltro, anche se l’ex Cavaliere lo avesse candidato, non avrebbe evitato l’arresto che è avvenuto 4 giorni dopo quella telefonata. Magari, se fosse stato eletto, poi sarebbe uscito (ma non prima di qualche mese fra campagna elettorale, verifica poteri, proclamazione…). Forse gli è stato promesso (ma da chi ed in che modo?) che comunque sarebbe uscito prima. Magari, dopo il tempo di qualche verbale…
Infine quello stranissimo accenno agli americani che ce la avrebbero con lui per la storia della Crimea: che c’entra lui con la Crimea? Cosa può aver fatto da fare arrabbiare lo zio Sam?
Allora, tiriamo le somme:
1. con ogni probabilità, Scajola sapeva perfettamente di essere intercettato e voleva dire quelle cose a chi era in ascolto, perché le riferisse ad altri (un’offerta di collaborazione? O altro?)
2. l’allusione al casino probabilmente è l’offerta di succose rivelazioni, evidentemente sul suo capo, che starà cercando di cautelarsi diversamente
3. L’insistenza sullo stare lavorando “molto, molto, molto bene” potrebbe anche indicare l’offerta non solo di parole, ma di supporti cartacei e qui casca a fagiolo la vanteria sul proprio servizio segreto personale
4. L’accenno alla Crimea fa pensare anche ad una dimensione internazionale dell’intrigo, che porta verso Putin e, forse quello che avrebbe più da temere dallo zio Sam non è lui ma proprio l’ex Cavaliere
5. E qui salta fuori la questione dell’archivio personale, così pieno di carte dei servizi, che alcuni dicono essere già stato saccheggiato da diverse Procure, altri dicono per buona parte finito in casa di uno 007, altri ancora giurano ancora essere ben succoso… gli archivi sono sempre stati la mia passione: quanto mi piacerebbe vedere questo!
6. Concludendo: se tanto mi dà tanto, occorre che lo Scajola si sbrighi a parlare prima che gli arrivi un caffè corretto. Sapete quel caffè così buono che chi lo beve parla con gli Angeli…
Comunque, ci sarà da seguire le prossime puntate. Caso appassionante e solo all’inizio.
Aldo Giannuli

Caso Biagi, Alfano: “Lo Stato non ha saputo proteggere il giuslavorista”

   

”Noi come Stato non abbiamo saputo proteggere Marco Biagi, questo è il dato reale. 
Non abbiamo ormai solo il dovere della memoria ma abbiamo il dovere della verità”. 
Lo ha affermato il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, intervistato a Sky Tg24. 
E’ comunque “sempre difficile la vicenda della gestione delle scorte - ha spiegato il ministro - perché se ne dai troppe ci si indigna e se ne dai troppe poche metti a rischio le persone”.
Dopo l’apertura di un’inchiesta su Claudio Scajola e sulla decisione, dell’allora ministro dell’Interno, di revocare la scorta al giuslavorista, ucciso poi da un agguato brigatista sotto la propria casa a Bologna, interviene oggi sulla vicenda anche il presidente del Consiglio,Matteo Renzi. “Bisogna capire bene chi è in pericolo veramente. C’è un sacco di gente che ha la scorta ma non ne ha bisogno. La scorta sta diventando uno status symbol per i politici”. Ma il caso di Biagi è diverso, sottolinea Renzi. “Una cosa è garantire la scorta a chi rischia la vita, un altro conto sono le autoblu che, con Biagi, non c’entrano nulla. Io non vedo sottosegretari in pericolo. Io da sindaco la scorta non l’avevo”.
Dal canto suo il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, che guidava il governo in cui Scajola era ministro dell’Interno all’epoca dell’omicidio Biagi, afferma, a proposito dell’archivio segreto attribuito all’ex titolare del Viminale: “Non potevo immaginare nulla di questo, bisognerà vedere quali carte sono, se sono veramente segrete, spero che non lo siano”. E aggiunge: “Rimasi addoloratissimo quando successe l’uccisione di Biagi. Scajola si dimise -ricorda l’ex premier- anche senza che noi lo chiedessimo. Adesso Scajola è da molto tempo fuori dal nostro partito”.

Truffa Carige: perquisizioni e 7 arresti, Berneschi ai domiciliari.

Giovanni Berneschi (foto: ANSA )

GdF, portati in Svizzera 21 milioni di euro
Il vicepresidente dell'Abi ed ex presidente del cda di Carige Giovanni Berneschi è stato arrestato nell'ambito dell'indagine su Carige. Nei suoi confronti sono stati disposti gli arresti domiciliari per una presunta truffa e riciclaggio ai danni della banca. Ai domiciliari l'ex amministratore di Carige Vita Nuova Fernando Menconi.
I reati sarebbero stati compiuti ai danni del comparto assicurativo di Banca Carige. Secondo l'accusa si tratterebbe di patrimoni che venivano riciclati attraverso lo schermo di società finanziarie italiane e straniere. I fatti sarebbero avvenuti a partire dal 2006.
La Guardia di finanza ha eseguito 7 ordinanze di custodia cautelare e perquisizioni a Genova, Milano e La Spezia e il sequestro di beni per 22 milioni.  
Dal 2006 al 2009, secondo la Guardia di finanza, gli acquisti "gonfiati di società facenti capo a persone compiacenti hanno fatto in modo che fossero portati in Svizzera circa 21 milioni di euro". Di questi, "parte è stata impiegati per un investimento immobiliare in territorio elvetico i cui effettivi titolari erano i vertici del gruppo Carige".
Tra i destinatari delle ordinanze di custodia cautelare ci sono anche professionisti e imprenditori immobiliari. Secondo gli investigatori l'indagine dimostra "l'esistenza di un management fortemente condizionato dal carismatico leader ventennale del gruppo bancario assicurativo", Giovanni Berneschi.
Le indagini hanno preso il via dalla relazione della Banca d'Italia depositato in procura nel settembre 2013 e sul quale sono ancora in corso le indagini e gli accertamenti da parte della Gdf.
Per la Guardia di finanza "Giovanni Berneschi, attuale vicepresidente di Abi e della Cassa di Risparmio di Carrara aveva creato un management fortemente condizionato dal carismatico leader ventennale sia del gruppo bancario che assicurativo".
"Abbiamo preso atto delle iniziative intraprese dalla magistratura, nell'operato della quale riponiamo piena fiducia. Da quanto si apprende Banca Carige risulta parte lesa. Ci riserviamo di intraprendere, a tutela del Gruppo, tutte le opportune iniziative" dice il presidente di Carige Cesare Castelbarco Albani riguardo al vecchio management.
Gli arrestati nell'inchiesta su Carige. Giavanni Berneschi (domiciliari) ex presidente di Banca Carige, 77 anni; Ferdinando Giovanni Menconi, ex amministratore di Carige Vita Nuova (domiciliari), 71 anni; Ernesto Cavallini, imprenditore immobiliare (domiciliari), 70 anni; Davide Enderlin, svizzero, 42 anni, avvocato (in carcere); Sandro Maria Calloni, imprenditore, 65 anni (in carcere); Andrea Vallebuona, commercialista di Genova, 51 anni (carcere), Francesca Amisano, nuora di Berneschi 47 anni (carcere).

Truffa alla Carige, arresti e perquisizioni: “Portati in Svizzera 22 milioni”

(Foto Infophoto)
La guardia di Finanza ha eseguito sette ordinanze di custodia cautelare nell’inchiesta su una presunta truffa all’istituto bancario Carige. Tra le persone arrestate c’è l’ex presidente del cda di Carige e vicepresidente dell’Abi Giovanni Berneschi: nei suoi confronti sono stati disposti gli arresti domiciliari. Ai domiciliari è finito anche l’ex presidente di Carige Assicurazioni, Ferdinando Menconi. Gli altri arresti riguarderebbero cinque professionisti considerati dagli inquirenti gli “esecutori” delle operazioni contestate. Nei confronti degli indagati le accuse sono a vario titolo di associazione a delinquere, truffa aggravata, riciclaggio e intestazione fittizia di beni.
Sono inoltre in corso perquisizioni a Genova, la Spezia e Milano e il sequestro di beni per un corrispettivo di 22 milioni di euro.
Dal 2006 al 2009 “gli acquisti gonfiati di società facenti capo a persone compiacenti, hanno fatto in modo che fossero portati in Svizzera circa 22 milioni di euro, parte dei quali sono stati impiegati per un importante investimento immobiliare in territorio elvetico, i cui effettivi titolari erano i massimi vertici pro-tempore del Gruppo bancario assicurativo Carige”. E’ quanto emerge dall’indagine della GdF di Genova.
Rilevante, in questo contesto, secondo gli investigatori, il ruolo di mediatore di un avvocato svizzero, attraverso il quale sono transitati i capitali per nasconderne l’illegittima provenienza. Le ispezioni della Banca d’Italia al Gruppo Carige e i mutamenti negli assetti societari e nei rapporti tra Banca e Fondazione, secondo le Fiamme gialle avevano convinto gli indagati a riorganizzare i loro capitali all’estero mediante un intreccio di accordi e atti negoziali, secondo una strategia che avrebbe dovuto consentire di contemperare più esigenze e che avrebbe visto, alla fine, anche il subentro nell’investimento immobiliare di un soggetto con precedenti penali per bancarotta.
Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, le cessioni di quote di società create ad hoc consentivano il passaggio dei capitali a società fittizie residenti in Paesi a fiscalità privilegiata, con clausole contrattuali che avrebbero dovuto dissimulare le reali consistenze e “pulire”, ad ogni transazione, ingenti somme di denaro.

Fusione Unipol-Sai, Fiamme Gialle a Bologna. Indagato Cimbri per aggiotaggio.

Fusione Unipol-Sai, Fiamme Gialle a Bologna. Indagato Cimbri per aggiotaggio

L'ispezione è stata disposta dalla magistratura per i presunti illeciti nella fusione tra Unipol Assicurazioni, Premafin Finanziaria, Milano Assicurazioni e Fondiaria Sai sostenuta da Mediobanca in quanto creditrice di entrambi i gruppi. Guardia di Finanza anche in Consob.
L’amministratore delegato di UnipolSai Carlo Cimbri è indagato per aggiotaggio dalla Procura di Milano nell’inchiesta che riguarda presunti illeciti nell’operazione di fusione tra il gruppo assicurativo delle coop e l’ex polo della famiglia Ligresti che ha dato vita alla società. Sono indagati per lo stesso reato anche altri tre manager: Roberto Giay, già amministratore delegato di Premafin Finanziaria; Fabio Cerchiai, ex presidente del consiglio di amministrazione di Milano Assicurazioni e Vanes Galanti, in passato presidente del consiglio di amministrazione di Unipol Assicurazioni. Per tutti l’ipotesi di reato è aggiotaggioLa notizia è emersa mentre a Bologna, nella sede di UnipolSai, erano in corso delle perquisizioni della Guardia di Finanza che sono state disposte dalla magistratura in relazione a presunti illeciti commessi nel corso della fusione avvenuta tra Unipol Assicurazioni, Premafin Finanziaria, Milano Assicurazioni e Fondiaria Spa che ha dato vita a UnipolSai. Del resto sono tante le criticità che erano emerse sull’operazione fin dalla sua gestazione orchestrata da Mediobanca e si erano via via intensificate a ridosso del suo perfezionamento. Nel silenzio generale delle autorità di vigilanza.
Come per esempio la Consob che, nonostante le intercettazioni telefoniche raccolte dalla Guardia di finanza di Torino su come a Bologna si cercasse in tutti i modi di far quadrare i conti, interpellata in merito da ilfattoquotidiano.it alla vigilia del via libera alla fusione, non si è interessata alla questione e non ha messo in forse l’assemblea che il 25 ottobre scorso ha approvato l’operazione. Eppure il reato di aggiotaggio contestato Cimbri, a Giay, Cerchiai e Galanti si riferisce proprio ai valori di concambio delle azioni delle società coinvolte, cioè il controvalore dell’operazione, al momento della fusione delle società. Tema al centro delle intercettazioni venute a galla alla vigilia dell’assemblea. Tanto che secondo l’ipotesi di reato per la quale procede il procuratore Orsi, i concambi tra le società sarebbero stati valutati in modo erroneo e artificioso.  A viziare i concambi, sospettano gli inquirenti, sarebbe stato il ritocco al rialzo del valore reale degli immobili e dei titoli strutturati in pancia a Unipol, con impatto sul valore effettivo delle azioni emesse da Unipol. Ne sarebbero derivate significative alterazioni dei prezzi delle azioni e riflessi sul “peso” degli azionisti nella nuova società UnipolSai.
Sempre in relazione ai concambi nel corso dell’indagine la Procura ha acquisito, tra l’altro, il Progetto Plinio, il rapporto sui conti del 2011 della compagnia bolognese commissionato dai vertici di FonSai a Ernst & Young nel quadro sulla negoziazione dei concambi per la futura fusione e le cui risultanze erano ben diverse da quelle a cui giungevano i consulenti di Unipol. Secondo lo studio, le valutazioni sul bilancio del gruppo bolognese variavano, di molto, a secondo del consulente di riferimento. Una guerra di valutazioni che, secondo la società di revisione, poteva addirittura comportare per Unipol un patrimonio negativo. Anche su questo punto, all’epoca della diffusione del rapporto, si era registrato un certo immobilismo da parte della Consob che si era mossa solo dopo che le sollecitazioni della Procura di Milano con il pm Luigi Orsi, lo stesso che ha iscritto Cimbri nel registro degli indagati, aveva fatto recapitare una lettera alla Commissione di Giuseppe Vegas in cui chiedeva alla Consob se avesse riscontrato i dati su Unipol evocati dal progetto Plinio che circolavano in rete e se questi avessero potuto interferire con la trasparente formulazione dei prospetti.
Inoltre il magistrato domandava se il piano di risanamento finanziario della holding dei Ligresti, Premafin, fosse stato stato interamente divulgato al mercato o esistessero patti occulti con la famiglia siciliana. Solo a seguito della lettera di Orsi la Consob ha avviato un’analisi sul portafoglio di titoli strutturati di Unipol, che ai tempi della fusione rappresentava circa un quarto degli investimenti della compagnia bolognese. Nel corso della sua analisi la Commissione ha contestato la conformità del bilancio 2011 e della semestrale 2012 ad alcuni principi contabili internazionali nelle modalità di contabilizzazione di alcuni derivati. L’adozione dei principi indicati dalla Consob ha comportato 28,2 milioni di perdite in più nel 2011 e una riduzione del patrimonio netto di 49,2 milioni. Nel 2013 Unipol, riesponendo il bilancio 2011 per accogliere i rilievi, ha inoltre comunicato che l’affinamento delle metodologie di stima dei suoi derivati adottate nel corso del 2012, quando la magistratura aveva acceso un faro sul suo bilancio, aveva determinato un taglio di 240 milioni al fair value (valore di mercato) del portafoglio strutturati. L’analisi della vigilanza si è chiusa senza ulteriori rilievi a fine 2013.
Ma quello della Consob, che giovedì ha ricevuto anch’essa una visita della Guardia di finanza per l’acquisizione di nuova documentazione, non è un caso isolato. Dalle carte dell’inchiesta sul fallimento del gruppo Ligresti del procuratore milanese Orsi, nei mesi scorsi era emerso chiaramente il ruolo dell’Isvap, l’ex organismo di vigilanza delle assicurazioni, per agevolare la discussa fusione che stava molto a cuore a Mediobanca creditrice di entrambi i gruppo. In particolare la Procura aveva preso nota dell’attivismo del vicedirettore dell’Isvap, Flavia Mazzarella in costante contatto sia con il vigilato Cimbri che con Piazzetta Cuccia, Bankitalia e Consob ai tempi del via libera delle autorità all’operazione, nel 2012.
Fatti che non hanno avuto alcuna ripercussione sulla posizione della Mazzarella che risulta ancora dirigente in staff dell’Ivass, l’ente di vigilanza delle assicurazioni che ha preso il posto dell’Isvap. Ma neanche sugli assetti della Consob i cui funzionari erano in confidenza con i vigilati, rassicurandoli sull’esito di decisioni che solo la Commissione poteva prendere. A dimostrarlo, tra il resto, una serie di telefonate del luglio 2012 raccolte dalla Procura di Milano tra il capo della divisione emittenti della Consob, Angelo Apponi e la Mazzarella, nel corso della quale è lo stesso funzionario a raccontare al numero due dell’Isvap di aver incontrato Cimbri che “era preoccupato (per le decisioni in corso sulla fattibilità della fusione, ndr) ma lui lo ha rassicurato”. Pochi giorni dopo arrivò il via libera della Commissione all’esenzione di Unipol dal lancio di una costosa Offerta pubblica di acquisto sulla Milano Assicurazioni, con il conseguente crollo in Borsa (-10,72%) della compagnia dei Ligresti. Un esito che avrebbe fatto ricco chiunque l’avesse saputo prima degli altri. 
Tornando ai giorni nostri, la notizia del nuovo filone di indagine ha avuto ripercussioni immediate sui mercati finanziari. In scia agli eventi il titolo UnipolSai in Borsa ha imboccato la via del ribasso e dopo aver toccato un picco negativo superiore al 6% ha chiuso in calo del 3,8% a 2,27 euro. Peggio ancora è andata alla controllante Unipol Gruppo Finanziario che è precipitata del 7,33% a 4,17 euro. Non va tanto meglio a Mediobanca che sta perdendo il 2,84% a 6,67 euro.  E proprio qui si attacca Unipol che, incurante del paradosso rispetto alle accuse di aggiotaggio, “stigmatizza che la notizia delle indagini” sulla fusione da cui è nata UnipolSai “sia divenuta oggi di pubblico dominio con immediati, conseguenti e gravi impatti sul corso dei titoli del gruppo Unipol”. La società, si legge in una nota, “si riserva ogni opportuna valutazione a tutela propria e dei propri azionisti”.

Marco Travaglio - Intervista a Gian Roberto Casaleggio





l cofondatore del Movimento 5 stelle in un'intervista al vice direttore del Fatto Quotidiano (il video integrale in tre parti) racconta dell’invito ricevuto dall’ambasciata a Roma. E spiega cosa succederà al Movimento 5 Stelle se dovesse vincere le elezioni. Con una rivelazione: "Io ministro? Dipende dal Movimento, ma perché no? Dovendo scegliere, opterei per l'Innovazione". E Grillo? "Bisogna chiedere a lui, io lo vedrei bene ministro. Noi due comunque resteremo nel M5S finché saremo necessari, fino a quando non sarà tutto più organizzato". Il punto di vista del "guru" anche su democrazia interna, dossier, talk show, politica estera e programma.
Gianroberto Casaleggio

L’appuntamento è per le 17 di lunedì, a Milano, negli uffici della Casaleggio Associati. Le domande sono in parte mie e in parte raccolte sulla mia pagina Facebook (1200 in una giornata).
Gianroberto Casaleggio, per chi votava prima che nascessero i 5Stelle?Per me, già nella Prima Repubblica, i partiti avevano lo stesso peccato originale di oggi: destra e sinistra erano superate, non mi riconoscevo in nessun simbolo. Però mi piacevano alcuni personaggi politici di quel periodo, come Ugo La Malfa ed Enrico Berlinguer.
E nella Seconda Repubblica?
Ho avuto un rapporto di stima e di collaborazione con Di Pietro. Prima che nascesse il M5S non c’era alternativa: non perché Di Pietro fosse di destra o di sinistra, ma perché propugnava la legalità in politica. Guardi lo scandalo di Expo: dov’è la destra e dov’è la sinistra? Uno ruba con la mano destra, l’altro con quella sinistra. Sono tutti ambidestri e ambisinistri.
Lei s’è candidato una volta in vita sua: non in M5S, ma – si dice – in una lista vicina a FI.
Vero che non mi candido, falso che l’abbia fatto con un berlusconiano. Lo feci a Settimo Vittone, il paese dove vivo vicino a Ivrea, in una lista civica fondata da una persona che conoscevo e di cui mi fidavo, Vito Groccia, un signore di origini calabresi: mi chiese di entrare in lista per dargli una mano. Non feci campagna elettorale, non avevo tempo, lavoravo a Milano: infatti presi 6 voti. Mai sentito dire che fosse un berlusconiano. Quando è uscita questa balla, lui era già morto, allora ho parlato con i suoi due figli, che hanno smentito qualunque sua vicinanza, simpatia o iscrizione a Forza Italia. È uno dei tanti presunti scoop che i giornali hanno inventato su di me, senza verificare la veridicità della notizia. Ne ho raccolte un bel po’, di queste diffamazioni, in un libretto: Insultatemi. Esistono gruppi pagati dai partiti per diffondere messaggi virali contro me e Grillo.
È la stessa accusa che molti rivolgono a voi.
Ma noi non abbiamo bisogno di farlo, perché i nostri messaggi sono virali di per sé, dunque veri, e si diffondono da soli. Quelli degli altri, palesemente falsi, hanno bisogno di un supporto di truppe àscare, pagate magari 5 euro al giorno.
Grillo quando e come l’ha conosciuto?
Dieci anni fa Beppe lesse un mio libro, Web ergo sum, dedicato allo sviluppo della Rete nella società. Mi chiamò e chiese di incontrarmi. Io l’avevo visto una sera al teatro Smeraldo: entrava sul palco vestito da Savonarola e spaccava i computer. E mi ero domandato: ma con tutta la roba che c’è da spaccare, proprio i computer? Quando lo incontrai, gli proposi di aprire un blog, che all’epoca era ancora una cosa per iniziati. Lui accettò e il blog partì nel gennaio 2005.
E quando avete deciso di passare dalla Rete alla politica?
Ce l’hanno imposto la Rete e l’opinione pubblica. Il primo V-Day, l’8 settembre 2007, scatenò un’ondata di email, lettere, messaggi che ci spingevano a entrare in politica.
Grillo però sperava ancora di cambiare il centrosinistra: consegnò a Prodi una serie di proposte programmatiche raccolte sul Web; e tentò di partecipare alle primarie del Pd.
Sì, Prodi fu molto gentile, ricevette Grillo a Palazzo Chigi, gli disse che avrebbe distribuito la cartellina con le nostre proposte ai vari ministri e sottosegretari, poi però la cosa finì lì e non lo sentimmo più. Era un tentativo di vedere le loro carte: se il centrosinistra faceva proprie le nostre idee, a noi andava bene così, non ci interessava chi le portava avanti. Ma la risposta fu il muro: quando Beppe s’iscrisse al Pd ad Arzachena, gli fu negato l’accesso alle primarie con la motivazione che era ‘ostile’. Fassino gli disse che il Pd non era un taxi e che Grillo, volendo, poteva provare a fare un partito. L’abbiamo accontentato. Al primo V-Day raccogliemmo 350 mila firme per tre proposte di legge di iniziativa popolare (fuori i condannati definitivi dal Parlamento, limite massimo di due mandati, ripristino delle preferenze nella legge elettorale): se Prodi e Veltroni le avessero accolte avrebbero dato la svolta al Pd e al sistema politico. Ma dopo il V-Day i giornali, soprattutto di sinistra, ci trattarono come una via di mezzo fra dei mangiatori di bambini e una setta satanica.
Quanti post del blog sono suoi e quanti di Grillo?
Sono tutti nostri. Ci sentiamo sei-sette volte al giorno per concordarli, poi io o un mio collaboratore li scriviamo, lui li rilegge, e vanno in Rete.
In questi dieci anni avete litigato spesso?
Quasi mai.
Quindi qualche volta sì.
È impossibile pensarla allo stesso modo in dieci anni.
Su che cosa avete litigato, per esempio?
Non mi viene in mente. È più facile che venga in mente a lui.
Grillo, nel suo giro elettorale in Toscana, ha parlato di “peste rossa”: è vero, come dice Berlusconi, che gliel’ha suggerita lei leggendo i discorsi di Hitler?
Hitler non c’entra. Da appassionato di storia, stavo leggendo un libro sulla ‘morte nera’, il flagello che colpì l’Europa nel ’300 portato dai mercanti genovesi provenienti dalla Crimea e sbarcati a Messina: di lì, attraverso le pulci parassite dei ratti, la ‘peste nera’ o ‘morte nera’ dilagò in Italia e nel continente e cambiò l’economia europea. Io l’ho raccontata a Beppe, anche perché vedevo analogie con l’economia attuale, e lui l’ha tirata fuori in Toscana in versione ‘rossa’, credo pensando a disastri tipo il Montepaschi.
Le capita mai di trovarsi in imbarazzo per le sparate di Grillo?
Abbiamo provenienze, stili e linguaggi diversi. Lui è un artista, io un manager. Ma in imbarazzo no, non mi sono mai trovato: il suo linguaggio non può essere regolamentato, altrimenti non potrebbe proprio parlare in pubblico.
Ma ormai Grillo è un leader politico e deve accettare di essere preso sul serio quando parla: troppo comodo l’alibi del linguaggio comico.
Indipendentemente dal ruolo che ha, ognuno è responsabile delle cose che dice. Ma, se usa dei toni forti per esprimere un’opinione, bisogna concentrarsi sull’opinione, non sul tono.
Beh, quando dice “io sono oltre Hitler”…
È una difesa verbale da chi gli dice che è come Hitler. Abbiamo postato il discorso all’umanità di Charlie Chaplin: anche lui era oltre Hitler.
Lei dice che si preparano dossier contro di lei: sicuro che non siano paparazzi a caccia di gossip?Non confondiamo. A parte il fatto che fotografare il campanello di casa mia o scrivere dove mio figlio va a scuola non è gossip, è intimidazione, e dovrebbe essere proibito, i dossier sono altro. Io, per esempio, ero nella lista Tavaroli (il capo della Security di Telecom ai tempi di Tronchetti, poi condannato a Milano, ndr): credo risalisse alla mia vecchia esperienza in Telecom, era un ‘attenzionaggio’ per vedere se c’era qualcosa su di me. Ma né io né Grillo abbiamo paura dei dossier. Stiamo rompendo le palle al sistema da quasi dieci anni: se avessimo anche un solo scheletro nell’armadio, sarebbe già venuto fuori e noi saremmo da qualche altra parte, o in esilio o in galera. Spesso vengono create, raccolte e diffuse informazioni false ad arte per screditarci, e questa non è opera di ragazzini: ma di grandi gruppi editoriali.
Lei quanto guadagnava prima che nascesse il M5S? E oggi guadagna di più o di meno?
Per me, come manager, la nascita del Movimento è stata una sconfitta, perché un manager lavora per fare profitti. Da quando dedico gran parte del mio tempo al M5S, faccio meno profitti di prima. Il M5S è nato nel 2009, e fino ad allora, pur essendo nata solo nel 2004, la Casaleggio Associati viaggiava sul milione di euro di utili all’anno. Risultato mai più raggiunto dopo, anzi superato alla rovescia due anni fa, nel senso che abbiamo perso soldi. Così, pur essendo entrambi contrari, per evitare di chiudere la società, con Beppe decidemmo obtorto collo di accogliere sul blog la pubblicità. Che tra l’altro è veicolata da Google e da altri soggetti: noi cerchiamo di filtrarla, evitando per esempio la pubblicità delle banche…
Però ne avete pubblicate alcune del gioco d’azzardo.
Può darsi ne sia sfuggita qualcuna, contro la nostra volontà.
La Casaleggio Associati nel 2012 registrò un utile di 69.500 euro. Ora con la pubblicità siete risaliti: la pubblicità viene stimata dal Sole 24 Ore in 5 euro a clic, e da Repubblica in 0,64. Secondo il Sole in un anno avreste incassato 5-10 milioni, secondo Repubblica 570 mila euro. Chi ha ragione?
L’ordine di grandezza è quello di Repubblica. Il Sole non sa di che sta parlando: qualunque operatore sa che quei dati milionari sono assurdi.
Lei ha anticipato che quest’anno, nel bilancio che uscirà a luglio, i conti sono molto migliori del 2013. Non sarebbe giusto pubblicare quelli del blog separati da quelli di Casaleggio AssociatiParlare del blog è riduttivo, perché noi ci occupiamo di tutta la comunicazione in Rete del Movimento: i social media, il sito del M5S (che non contiene pubblicità), e poi tutte le applicazioni sviluppate e gestite da noi (la più nota è quella delle ‘presidenziali’ per far scegliere agli iscritti il nostro candidato al Quirinale). Ecco, tutta questa attività è in perdita: dai 500 ai 650 mila euro. Ma non abbiamo mai chiesto un euro né al M5S né ai finanziamenti pubblici.
Lei è mai stato massone?
No.
Perché a un tratto avete cambiato rapporto con la tv? Prima era morta, ora lei va dalla Annunziata e Grillo da Vespa. Avevate preso una cantonata?
Nessuna cantonata. Penso che tv e giornali abbiano poco da vivere. Le prime sette emittenti italiane nel 2012 hanno perso 500 milioni di euro, quest’anno è possibile che scendano a 7-800 milioni: durano finché qualcuno le finanzia. La pubblicità sta emigrando altrove, prevalentemente in Rete. Nel medio e lungo termine la tv è condannata. Comunque la nostra repulsione non era verso la tv in quanto tale: quel che abbiamo cercato di evitare erano i talk show dove non è chiaro di che si parla e vince chi strilla di più. Infatti chiediamo di poter parlare di un tema preciso, con persone mediamente competenti, altrimenti decliniamo.
Ma Vespa è l’apoteosi del vecchio talk: perché non interpellare la Rete per questa svolta radicale? Uno vale uno, o c’è uno che vale più di uno?
Non possiamo fare un referendum al giorno su ogni cosa che facciamo. Sulle cose importanti è giusto interpellare la Rete: come abbiamo appena fatto, con l’aiuto del professor Aldo Giannuli, votando la nostra legge elettorale che presenteremo a breve, prima delle Europee. L’hanno discussa e votata 100 mila persone. L’Italicum se lo son scritto Renzi e Berlusconi al Nazareno, di nascosto.
La vostra è una proposta di forte impronta proporzionale: se non prendete il 51%, sarete costretti ad allearvi con altri.
Noi non rifiutiamo le alleanze in quanto tali, ma solo se ci obbligano a sposarci per corrispondenza con uno che non conosciamo: io voglio vedere se la convivenza è possibile. Prima voglio conoscere l’altro, poi se mi piace me lo sposo. Se il mio programma è antitetico a quello dei partiti, che faccio: pur di allearmi prendo in giro i miei elettori?
Ma così gli altri partiti continueranno a mettersi insieme e a tenervi fuori, anche se arrivate primi.
Finché spariranno. Non è che possono bloccare il cambiamento per sempre, facendo massa critica. Al momento è facile prevedere che, se vinceremo le Europee con un buon margine, torneranno le larghe intese, anzi larghissime. Le intese extra-large. Contro di noi c’è un muro di Berlino che, anziché a Berlino, viene eretto fra Montecitorio e il Quirinale. Per questo, se vinciamo, chiediamo che se ne vadano sia Renzi sia Napolitano.
Molti le chiedono una certificazione indipendente per le votazioni online tra i vostri iscritti.
È un’operazione molto complessa, che va seriamente normata, e non ha precedenti per cui è impossibile copiarla. Stiamo cercando di attivarla, spero sarà pronta entro la fine del 2014.
Le pare bello che lo Statuto dei 5Stelle sia un atto notarile firmato da Grillo e dal nipote avvocato? Quando ne avrete uno meno “proprietario”? 
Il nostro vero statuto è il ‘non statuto’. Lo statuto ci fu imposto dalle leggi, noi ne avremmo fatto volentieri a meno. Comunque sì, tutto è migliorabile, anche questo statuto burocratico.
Quando verrà il momento in cui lei e Grillo farete qualche passo indietro e lascerete in prima fila i vostri parlamentari?
Io e Grillo resteremo finché saremo necessari, fino a quando il Movimento non sarà più organizzato, con persone e strutture in grado di camminare con le proprie gambe. Non abbiamo mai cercato posti, altrimenti saremmo in Parlamento, avremmo fatto accordi con Bersani & C.
Lei ha incontrato Giorgio Napolitano una sola volta. Com’è andata? Ci ha ricevuti per un’ora e mezza, con un’accoglienza molto gentile e cortese. Mi è parso una persona che, per capacità e razionalità, dimostra meno anni di quelli che ha. Più un settantenne che un novantenne. Non ha cercato di intortarci, voleva capire chi siamo: ha le sue idee e le porterà avanti fino alla fine, comunque sia.
Dopo le elezioni 2013, durante i tentativi di Bersani, poi nelle presidenziali, qualche politico l’ha mai contattata direttamente o indirettamente?
Mai parlato con Bersani, né con suoi emissari, né ricevuto telefonate, sms, tweet da politici.
E da Prodi e dal suo entourage?
No. Del resto il nostro candidato al Quirinale scelto dagli iscritti era Rodotà, dopo la rinuncia di Gabanelli e Strada. C’era anche Prodi, ma in fondo. Io espressi il parere personale che chi ha avuto incarichi politici non deve andare al Quirinale.
Lei per chi votò alle Quirinarie?
Per Gino Strada. Fu il più votato, ma rinunciò.
A quali condizioni avreste partecipato a un governo di scopo con il Pd?
A condizione che ci fossero molti punti di contatto fra il programma del Pd e quello nostro. Cosa che non era. Ma la verità è che il Pd e Berlusconi avevano già deciso prima delle elezioni di febbraio – ben sapendo che avremmo avuto quel risultato – di mettersi insieme con le larghe intese.
Visto che il risultato fu la rielezione di Napolitano e il governo Letta-Berlusconi, potevate appoggiare Prodi e far saltare quel disegno restauratore.
La nostra base espresse un nome, Rodotà, che era più che un accordo politico: era l’ex presidente del Pds! Se non l’hanno votato loro, che dovevamo fare di più? Ciò che io non mi aspettavo era la rielezione di Napolitano: lui stesso aveva sempre negato che la cosa potesse accadere.
La storia di quei giorni è stata tutta scritta?
Chissà… c’è quell’invito all’ambasciata inglese a Roma. Era il 10 aprile 2013, una settimana prima delle presidenziali. Eravamo Grillo, io e due nostri collaboratori. L’ambasciatore ci chiese di incontrare Enrico Letta, allora vicesegretario Pd, che aspettava in un’altra stanza. Rifiutammo. Allora ci fecero salire al piano di sopra da una scala di servizio per pranzare con alcuni addetti dell’ambasciata, mentre l’ambasciatore pranzava al piano di sotto con Letta. A un certo punto l’ambasciatore o il suo braccio destro ci domandò: voi che ne pensate della rielezione di Napolitano? Poi, quando due settimane dopo ci trovammo Napolitano rieletto e Letta presidente del Consiglio, ci dicemmo che forse qualcosa non quadrava… È una prova della forte influenza che i governi stranieri hanno sulle scelte politiche italiane. Non certo solo la Germania. È una delle tante facce della nostra perdita totale di sovranità: quella territoriale la perdemmo nel ’45, quella monetaria con l’ingresso nell’euro, quella fiscale con il fiscal compact, quella politica negli ultimi anni. Per andare al governo dovremo vincere le Politiche in almeno tre paesi del mondo…
Anche voi, se mai andrete al governo, dovrete fare i conti con tutti questi poteri esteri.
È un problema nostro, ma è anche loro.
Lei rivendica tutte le espulsioni dal Movimento? Pure quella di Federica Salsi perché voleva andare ai talk show, ora che ci andate anche voi?
Non personalizzerei le espulsioni. Il M5S ha poche regole: chi entra sa che deve rispettarle. E poi noi non siamo mai andati da Floris.
Era proprio necessario parafrasare Primo Levi col fotomontaggio del cancello di Auschwitz?
Ho letto Se questo è un uomo e capisco bene la tragedia, di Primo Levi e della Shoah. Ma quella rivisitazione della sua poesia non era spregiativa nei confronti suoi né della Shoah: bensì dell’attuale sistema partitico. Chi ha polemizzato non ha neppure letto il post. O non l’ha capito.
Via, qualche post l’avrete pure sbagliato: l’attacco alla Gabanelli e a Rodotà, il vaffa alla Carlassare… Quando prendete di mira qualcuno sul blog, tipo un giornalista che magari ha scritto cazzate, e poi quel qualcuno viene subissato di insulti e di minacce, anche di morte, non vi sentite in colpa?
Nessun senso di colpa. Di solito si tratta di persone che ci hanno diffamati.
E allora non è meglio querelarle?
Infatti molte le abbiamo anche querelate.
Perché il programma M5S non parla di Cultura?
Il programma è ancora incompleto. Via via cercheremo di coprire, coinvolgendo tutto il Movimento, tutti i settori ancora scoperti.
A Lucia Annunziata lei ha detto che la prima cosa che farete al governo sarà un pacchetto di norme per le piccole e medie imprese. Un po’ vago.
C’era poco tempo. L’accontento subito: attribuzione del made in Italy solo alle aziende che producono in Italia; pagamento dei debiti dello Stato entro 60 giorni; accorpamento e semplificazione degli adempimenti fiscali; diminuzione graduale della tassazione sul reddito d’impresa con adeguamento alla media europea; defiscalizzazione degl’investimenti; chiusura di Equitalia; sconti contributivi per assunzioni dei giovani under 35; diminuzione dell’Irap; defiscalizzazione dei redditi nei primi due anni di vita dell’impresa; collaborazione fra istituti, università e imprese con stage ad hoc nel corso degli studi; pagamento dell’Iva solo a fattura incassata.
Proposte che costano parecchio. E le coperture finanziarie?
La proposta, molto articolata, contiene tutte le coperture. Ma il Parlamento l’ha bocciata.
Anche il reddito di cittadinanza costa molto.
Sì, 13-17 miliardi. Lo presenteremo in Parlamento con le coperture. A partire dalla vera abolizione delle province, che farà risparmiare miliardi. E da altri tagli agli sprechi.
Dovreste movimentare decine di miliardi, ma siete molto timidi sull’evasione fiscale, che ne vale 150-180 all’anno.
Non siamo affatto timidi. Noi l’evasione vogliamo combatterla severamente. Chi evade deruba chi paga le tasse. Ma bisogna partire dai grandi capitali, non perseguitare l’alpeggio o il kebabbaro che non fa uno scontrino, mentre si scudano 100 miliardi ai grandi evasori.
Lei ha mai subìto verifiche fiscali?
Sì, tre in cinque anni. La prima volta hanno scoperto che dovevo al fisco 54 euro, la seconda che ne dovevo 18, la terza invece che ero a credito di 100: quindi alla fine han dovuto pagare me.
Sull’uscita dall’euro siete molto più prudenti.
L’euro è solo una risultante. Noi non siamo contro l’euro, ma contro l’applicazione attuale delle politiche economiche e finanziarie comunitarie. Per le Europee abbiamo un programma in sette punti: sarà scarno, ma siamo gli unici ad averne uno. I punti fondamentali sono gli eurobond e la revisione del fiscalcompact, che ci costringerebbe a tagliare 40 miliardi di spesa pubblica all’anno per 20 anni. Inattuabile. Ciò detto, dobbiamo ridurre gli sprechi di spesa pubblica e attingere ai grandi giacimenti dell’evasione e della corruzione.
Con la Rai che volete fare?
Un’istituzione totalmente separata dai partiti, con regole e organismi non collegati alla politica, perché sia autonoma ma riprenda anche a svilupparsi e a fare innovazione. La Rai non è né cattiva né buona: è la longa manus dei partiti. I quali, oltre a farsi campagna elettorale con i rimborsi elettorali, usano la Rai per farsi propaganda gratis.
Non è che poi vincete e cacciate dalla Rai quelli che vi hanno criticati in questi anni?
Mai. Non siamo i nuovi Silla.
Appoggerete la candidatura di Alexis Tsipras a presidente della Commissione europea?
Tsipras è molto lontano da noi, perché ideologicamente connotato. Noi voteremo tutte le proposte, di destra o di sinistra, simili alle nostre.
Se Napolitano riuscirete a cacciarlo o si dimetterà, per voi il candidato sarà ancora Rodotà?
Lo chiederemo ancora alla Rete.
Lei ha promesso la squadra di governo di M5S prima delle elezioni politiche, scelta con le primarie online: quindi esclude la possibilità che entri qualche ministro esterno al Movimento?
Non lo escludo, dipende dalle figure della società civile che si proporranno.
Il vostro premier ideale è Luigi Di Maio?
Il nome non lo conosco. Lo voteranno gli iscritti. Sarà una persona onesta, competente e trasparente. Di Maio ha le stesse possibilità di altri, avendo dimostrato ottime capacità in Parlamento.
Lei il ministro lo farebbe?
Dipende dal Movimento, ma perché no? Dovendo scegliere, opterei per l’Innovazione.
E Grillo?
Bisogna chiedere a lui, io lo vedrei bene ministro.
Grillo dice che, se perdete le Europee, si ritira.
Non ci credo, non è il tipo. Lo dice ogni tanto, per stanchezza. Ma anche lui persegue l’obiettivo di portare i 5Stelle al governo. Poi magari si ritira un minuto dopo. Anche se lo fanno ministro…
Qual è l’asticella per parlare di vittoria del Movimento 5Stelle?
Un voto in più del Pd.
Quindi la sconfitta è un voto in meno del Pd?
Dipenderà da quanti avranno votato e dalla percentuale che avremo. Già oggi tutti gli ultimi sondaggi ci danno attorno alla percentuale delle politiche 2013, cioè al 25%. Anche con quella percentuale non potremmo certo dire di aver perso, altrimenti Berlusconi che dovrebbe dire? Confermare il dato di un anno fa sarebbe un consolidamento importante.
È solo propaganda psicologica, o lei crede veramente che arriverete davanti al Pd?
Ci credo veramente.
da Il Fatto Quotidiano del 21 maggio 2014