ROMA - Nei confronti di Alessandro Sallusti la Cassazione motiva la condanna al carcere per la sua «spiccata capacità a delinquere», dimostrata da tanti precedenti e dalla «gravita» della «campagna intimidatoria» e «diffamatoria» condotta nei confronti del giudice Giuseppe Cocilovo quando nel 2007 dirigeva 'Libero'. «La Cassazione ne risponderà», è la replica del giornalista. Intanto il ddl diffamazione passa all'esame del Senato.
Le motivazioni. Nella sentenza 41249, la Suprema Corte spiega perché, lo scorso 26 settembre, ha confermato la condanna a 14 mesi per diffamazione e omesso controllo a carico di Sallusti per due articoli - uno firmato 'Dreyfus' - pubblicati il 17 febbraio 2007. «Gli atti processuali - scrive la Cassazione - danno un quadro di forti tinte negative sulle modalità della plurima condotta trasgressiva» di Sallusti ai danni non solo di Cocilovo ma anche dei genitori adottivi e di una minorenne «sbattuti in prima pagina».
«Non esiste il diritto di mentire». «In ordinamento e in una società, che vivono e si sviluppano grazie al confronto delle idee, non può avere alcun riconoscimento l'invocato diritto di mentire, al fine di esercitare la libertà di opinione», sottolinea la Cassazione replicando alla tesi difensiva di Sallusti. «L'affermato intreccio del dovere del giornalista di informare e del diritto del cittadino di essere informato merita rilevanza e tutela costituzionale se ha come base e come finalità la verità e la sua diffusione. Se manca questa base di lancio, se non c'è verità, ma calcolata e calibrata sua alterazione, finalizzata a disinformare e a creare inesistenti responsabilità e ad infliggere fantasiose condanne agli avversari, il richiamo a nobili e intangibili principi di libertà è intrinsecamente offensivo per la collettività e storicamente derisorio, beffardo per coloro che, in difesa della libertà di opinione, hanno sacrificato la propria vita». La sentenza si compone di 26 pagine.
«Illecita strategia intimidatrice». «Forma, sostanza, modalità, tecnica di informazione impiegati ed esibiti dal quotidiano, in persona del direttore Sallusti, dimostrano l'assenza di un leale confronto di idee e di una lecita critica» alla legge sull'interruzione di gravidanza, scrive poi la Cassazione, aggiungendo che i due articoli incriminati «dimostrano invece la presenza (nell'ambito di un lecito quadro di dissenso per la disciplina legislativa dell'aborto) di una illecita strategia di intimidatrice intolleranza, di discredito sociale, di sanzione morale diretta contro un magistrato». Sallusti, per i Supremi giudici, ha attribuito al giudice tutelare Cocilovo «un inesistente ruolo di protagonista nella procedura dell'aborto, rappresentata come cerimonia sacrificale di una vita umana, in nome della legge». A Cocilovo, inoltre, Sallusti ha attribuito «una funzione e una immagine di crudele e disumano giustiziere, meritevole di essere posto nella gogna mediatica con la qualifica di assassino». Per la Cassazione Sallusti ha pubblicato in maniera «deliberata» la notizia falsa e diffamatoria.
La «mancata concessione delle attenuanti generiche» a favore di Alessandro Sallusti, per la «dimostrata gravità» dei fatti da lui commessi, è «già sufficiente a configurare un'ipotesi eccezionale, legittimante l'inflizione della pena detentiva», sottolinea infine la Cassazione.
La replica di Sallusti. «Non si può giocare con la vita delle persone, il presidente della Cassazione dovrà risponderne anche a mio figlio», replica Alessandro Sallusti, reagendo con parole durissime alle motivazioni della sentenza di condanna. «Non si può dare del delinquente - conclude - a un giornalista che non ha mai subito altre condanne». Il direttore del Giornale si lascia andare anche a qualche insulto nei confronti di Aldo Grassi, presidente della quinta sezione della Corte di Cassazione. «Il mio non è uno sfogo - spiega - ma un giudizio sereno che sarà oggetto di un mio editoriale che sarà pubblicato domani. Mi auguro che questo giudice venga cacciato dalla magistratura. Non si può giocare con la vita delle persone». «Non c'è nessuna reiterazione del reato, c'è solo un articolo, neanche scritto da me, che a ben guardare non è neanche diffamatorio perché non si cita nessuno e si parla per assurdo».
Le motivazioni. Nella sentenza 41249, la Suprema Corte spiega perché, lo scorso 26 settembre, ha confermato la condanna a 14 mesi per diffamazione e omesso controllo a carico di Sallusti per due articoli - uno firmato 'Dreyfus' - pubblicati il 17 febbraio 2007. «Gli atti processuali - scrive la Cassazione - danno un quadro di forti tinte negative sulle modalità della plurima condotta trasgressiva» di Sallusti ai danni non solo di Cocilovo ma anche dei genitori adottivi e di una minorenne «sbattuti in prima pagina».
«Non esiste il diritto di mentire». «In ordinamento e in una società, che vivono e si sviluppano grazie al confronto delle idee, non può avere alcun riconoscimento l'invocato diritto di mentire, al fine di esercitare la libertà di opinione», sottolinea la Cassazione replicando alla tesi difensiva di Sallusti. «L'affermato intreccio del dovere del giornalista di informare e del diritto del cittadino di essere informato merita rilevanza e tutela costituzionale se ha come base e come finalità la verità e la sua diffusione. Se manca questa base di lancio, se non c'è verità, ma calcolata e calibrata sua alterazione, finalizzata a disinformare e a creare inesistenti responsabilità e ad infliggere fantasiose condanne agli avversari, il richiamo a nobili e intangibili principi di libertà è intrinsecamente offensivo per la collettività e storicamente derisorio, beffardo per coloro che, in difesa della libertà di opinione, hanno sacrificato la propria vita». La sentenza si compone di 26 pagine.
«Illecita strategia intimidatrice». «Forma, sostanza, modalità, tecnica di informazione impiegati ed esibiti dal quotidiano, in persona del direttore Sallusti, dimostrano l'assenza di un leale confronto di idee e di una lecita critica» alla legge sull'interruzione di gravidanza, scrive poi la Cassazione, aggiungendo che i due articoli incriminati «dimostrano invece la presenza (nell'ambito di un lecito quadro di dissenso per la disciplina legislativa dell'aborto) di una illecita strategia di intimidatrice intolleranza, di discredito sociale, di sanzione morale diretta contro un magistrato». Sallusti, per i Supremi giudici, ha attribuito al giudice tutelare Cocilovo «un inesistente ruolo di protagonista nella procedura dell'aborto, rappresentata come cerimonia sacrificale di una vita umana, in nome della legge». A Cocilovo, inoltre, Sallusti ha attribuito «una funzione e una immagine di crudele e disumano giustiziere, meritevole di essere posto nella gogna mediatica con la qualifica di assassino». Per la Cassazione Sallusti ha pubblicato in maniera «deliberata» la notizia falsa e diffamatoria.
La «mancata concessione delle attenuanti generiche» a favore di Alessandro Sallusti, per la «dimostrata gravità» dei fatti da lui commessi, è «già sufficiente a configurare un'ipotesi eccezionale, legittimante l'inflizione della pena detentiva», sottolinea infine la Cassazione.
La replica di Sallusti. «Non si può giocare con la vita delle persone, il presidente della Cassazione dovrà risponderne anche a mio figlio», replica Alessandro Sallusti, reagendo con parole durissime alle motivazioni della sentenza di condanna. «Non si può dare del delinquente - conclude - a un giornalista che non ha mai subito altre condanne». Il direttore del Giornale si lascia andare anche a qualche insulto nei confronti di Aldo Grassi, presidente della quinta sezione della Corte di Cassazione. «Il mio non è uno sfogo - spiega - ma un giudizio sereno che sarà oggetto di un mio editoriale che sarà pubblicato domani. Mi auguro che questo giudice venga cacciato dalla magistratura. Non si può giocare con la vita delle persone». «Non c'è nessuna reiterazione del reato, c'è solo un articolo, neanche scritto da me, che a ben guardare non è neanche diffamatorio perché non si cita nessuno e si parla per assurdo».